Vendetta 5 - La battaglia finale

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tradimenti

Quella sera pensavo che la giornata fosse terminata e cominciavo a concentrarmi su quello che sarebbe successo l’indomani, che avrebbe dovuto essere per me il giorno decisivo: quello della “battaglia finale”.
Invece suonò il telefono. Il fisso, perché Franca teneva il cellulare spento per evitare tutte le chiamate porno che riceveva da chi leggeva il suo numero nei cessi del circondario.
Fu lei, comunque a rispondere.
- Ciao mamma! …No, sono a casa. Mamma, cosa dici? Perché mi chiami troia? …Video? Quale video? …Mamma non gridare! Oh, santo cielo! …Sì, sono io, ma non è come sembra! …Certo che lui non è mio marito! …Ma chi ti ha dato questo filmato? …Cosa significa che l’hanno ricevuto anche altri!? Altri chi? …La zia Maria? …Mamma, cosa dici?! Perché non mi vuoi più vedere? – ma dall'altra parte avevano riattaccato.
Mi guardò con uno sguardo disperato. Tutto il paese ormai sapeva che lei era una puttana. Non avrebbe più avuto il coraggio di uscire di casa.
- Sei stato tu!
- No cara, sei stata tu. Non sono mie quelle tette che ballonzolano sotto i colpi del tuo caprone.
- Osvaldo, mi hai rovinata!
- Ti sei rovinata con le tue stesse mani, Franca! Dovevi pur immaginare le conseguenze, no? E anche la mia, di vita, è rovinata. Ho investito ventidue anni su di te, pensando a quanto fortunato fossi ad aver trovato la persona con cui invecchiare serenamente. Invece son bastati venti minuti e tu mi hai subito messo da parte facendotela con un altro, senza neanche pensarci due volte! Cosa ti aspetti ora, che me ne stia zitto e buono a vedere il primo balordo che passa che si scopa mia moglie come e quando vuole? Con il mio consenso? Cara, hai capito male. E mi chiedo: quanti altri ti sei scopata sotto il mio naso senza che io me ne accorgessi? E se dovessimo rimanere insieme: quanti altri te ne scoperesti? No, Franca, la nostra storia finisce qui. Sei libera di stare con Guido come e quando vuoi. Ma senza di me.
- Ma io non lo voglio più, Osvaldo! Mi ha fatto del male! Ho capito che la strada con lui porta solo alla depravazione e alla disperazione. Mi devi salvare! È stato un terribile errore, io voglio la nostra vita di prima, quando eravamo felici! Ti sono stata sempre fedele, Osvaldo. Guido è stato l’unico. Te lo giuro!
- Non riesco più a credere a niente di quello che mi dici. Hai distrutto la mia fiducia in te, che credevo incrollabile.
Si ritirò nella nostra camera da letto, mentre io aprii il congelatore per cercare qualcosa da mangiare. Ero affamato. Non mettevo nulla nello stomaco dalla mattina. Trovai delle lasagne surgelate e le schiaffai nel microonde.
Stavo cenando da solo con la lasagna e una birra a farmi compagnia, quando suonò il campanello.
Mi rabbuiai.
Guido?
Presi un martello dal ripostiglio e con circospezione andai ad aprire.
Era una donna con una valigia.
- Maria Pia! Cosa ci fa qui a quest’ora?!
- Scusi, Osvaldo, ma veramente devo parlare con Franca.
- E la valigia?
- Genesio mi ha buttata fuori di casa, non so dove andare…
- Perché?
Intanto Franca si era affacciata alla balaustra del primo piano e cercava di capire chi fosse alla porta.
- Maria Pia, entra! Osvaldo sa tutto della crociera, puoi raccontare.
- Genesio mi ha fatto una scenata terribile perché non ero da mia madre come gli avevo assicurato, ma ero quasi riuscita a rabbonirlo. Non sapeva quello che abbiamo fatto sulla nave, pensava solo a una romantica scappatella con Guido. Poi gli è caduto l’occhio sull'estratto conto della mia carta di credito, che era tra la posta del venerdì e, insospettito, ha aperto la busta e ha visto che la crociera l’ho pagata io, anche per Guido e Franca, con la carta di credito che si appoggia sul suo conto. Cioè l’ha pagata lui, alla fine. Ha cominciato a urlare che questo era intollerabile, che lui non pagava un tizio perché si scopasse sua moglie e mi ha buttata fuori. Io sono stata più di un’ora davanti al portone pregandolo che mi aprisse, ma invece mi ha buttato la valigia e qualche vestito dalla finestra del primo piano. Ora, vi prego, fatemi stare qui. Nessun altro in paese vuole avere niente a che fare con me…
Io brontolai che casa mia era diventata un bordello, con tutte ‘ste puttane che andavano e venivano, ma alla fine non obiettai a che Maria Pia si accomodasse a letto con mia moglie.
Le sentii piangere e parlottare tutta la notte.
Capivo la loro posizione: quello che era cominciato come un sogno elettrizzante, emozionante avventuroso, ricco di sensualità e estasi sessuale, era ben presto terminato in un incubo dal quale non riuscivano a svegliarsi.
Avevano perso i rispettivi mariti, la loro onorabilità, la loro posizione sociale, il rispetto per sé stesse e la solidarietà delle loro famiglie di origine.
Mi sentii dispiaciuto per loro, ma ormai avevo deciso di andare fino in fondo. “À la guerre comme à la guerre!”.
Durante la notte scesi a bere un bicchier d’acqua e ne approfittai per inserire il dvd che avevo preparato con Anna nel lettore del notebook di Franca.
La mattina successiva al lavoro l’avrebbe visualizzato automaticamente all'accendere il portatile.
Il lunedì fu il giorno decisivo. Chiamai il ferramenta per assicurarmi che Guido andasse da lui alle quattro e mezza.
Proprio il lunedì era uno dei giorni in cui solitamente visitava mia moglie e volevo evitarlo, dopo che avevo promesso di proteggerla da lui.
Dopo qualche minuto mi richiamò confermando l’appuntamento.
Passai da Genesio, il farmacista, che mi diede un pacchetto e mi chiese di sua moglie. Lo abbracciai e gli dissi che alla moglie doveva pensarci lui, ma che al suo amante ci avrei pensato io.
Quindi passai a prendere la mia sorellina Clara e l’aiutai a caricare l’armamentario sulla Qasqai.
Mi tolsi la camicia e indossai la t-shirt che mi aveva preparato. Tutto doveva funzionare al secondo.
Ci piazzammo fuori dall'ufficio di Guido, una palazzina separata dall'edificio del Comune, che aveva affittato solo il secondo piano. In quell'ufficio trovava posto la scrivania di Giulia (la cognata di mio cugino vigile), il piccolo ufficio di Guido e la stanza open space degli ispettori.
Alle nove e mezza vedemmo i tre ispettori abbandonare l’ufficio per le visite in programma.
Alle dieci e trenta Guido scese al bar di fronte per il solito caffè.
Rivederlo dall'interno della macchina mi fece impressione: era davvero enorme e sentii di nuovo quella stretta di terrore alle budella che avevo sentito la prima volta che l’avevo incontrato.
Entrò nel bar e Clara scese dall'auto, entrò con lui e si avvicinarono al bancone, spalle alla vetrina.
In quel momento il bar era quasi deserto.
Guido ordinò un caffè e Clara, accanto a lui, fece lo stesso. Scesi dalla macchina, mi piazzai fuori dal bar in modo che girandosi mi avrebbe visto. Segui i movimenti del barman e quando vidi che si apprestava a togliere la tazzina dalla macchina per sistemarla sul piattino di Guido, mi misi a gridare:
- Guido Lo Quadro, figlio di puttana!
In modo che mi sentissero tutti.
Lui si girò, come tutto il resto degli avventori, e mi vide. La sua espressione si fece più minacciosa. Sulla mia t-shirt nera campeggiava la scritta bianca:

TU FOTTI
MIA MOGLIE?
IO FOTTO TE!

In quell'istante Clara si sporse e versò nel caffè il contenuto della boccetta che Genesio mi aveva dato. Un potente sonnifero.
Nessuno se ne accorse.
Guido fece due passi per inseguirmi, ma era lento come un bradipo e ancora prima di uscire dal bar aveva già rinunciato.
Ritornò e si bevve il suo caffè.
- Questo caffè fa schifo!
Sentenziò non senza rabbia, prima di ritornare in ufficio.
Alle dodici e un quarto, Giulia uscì dalla palazzina per andare a pranzo. Se la porta d’entrata si fosse chiusa, non avremmo avuto modo di raggiungere l’ufficio, quindi feci finta di incontrarla per caso mentre usciva, la salutai affettuosamente sulla porta, che le tenni aperta con un gesto galante, poi mi spostai in modo che girasse le spalle e non vedesse la mia piccola sorellina, con tutti quei tatuaggi e piercing, entrare alle sue spalle un attimo prima che la porta facesse “click”.
Io rimasi ancora qualche secondo a parlare con lei, poi finsi di andarmene, ma invece ritornai quasi subito.
Clara mi aspettava e mi apri il portone dall'interno. Salimmo a secondo piano e entrammo nell'ufficio che Giulia non aveva chiuso sapendo che all'interno c’era ancora Guido.
Trovammo facilmente il suo ufficio.
Entrammo e lo trovammo addormentato profondamente con la testa appoggiata sulla tastiera del pc.
Ci mettemmo subito al lavoro.
Rovesciarlo all'indietro contro lo schienale della poltrona non fu facile, ma alla fine in due ce la facemmo.
Clara collegò i suoi attrezzi e cominciò il lavoro. Io invece recuperai un’altra copia del dvd che avevo preparato con sua moglie e lo caricai sul suo pc in modalità “continue”.
Clara ci mise venti minuti a terminare il lavoro, ma quando ebbe finito sulla fronte di Guido c’era tatuata a caratteri cubitali la parola “BASTARDO”. Un lavoro non bellissimo, dato che era stato eseguito molto in fretta, ma io non facevo caso all'estetica.
Ci dileguammo senza che ci vedesse nessuno, salutai la sorellina e andai dai carabinieri a preparare la trappola.
Alle quattro e quaranta un Guido Lo Quadro con grossi occhiali Ray-Ban scuri e un cappellino da baseball ben calato sulla fronte si presentò dal mio amico ferramenta per riscuotere.
Si era messo una specie di fondotinta sulla fronte, ma il tatuaggio si vedeva ancora abbastanza bene. I carabinieri erano appostati dentro un furgoncino anonimo posteggiato poco lontano e io sulla mia Qasqai ero in una posizione privilegiata per godermi lo spettacolo.
Dopo circa venti minuti uscì e le forze dell’ordine gli furono addosso.
Evidentemente lo scambio di denaro era stato ben documentato e questo autorizzò i carabinieri a eseguire l’arresto.
Guido cercò di opporre resistenza e buttò per terra un paio di agenti, ma alla fine qualche manganellata alle ginocchia lo fece cadere e immediatamente fu ammanettato.
Missione compiuta!

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Tre anni dopo non avevo più la Qasqai, ma la Mercedes.
Avevo venduto l’azienda a Ahmed e la casa a un mio conoscente, avevo dato la parte che le spettava a Franca durante il procedimento di divorzio e mi ero trasferito a Vimodrone a casa di Anna (divorziata anche lei), dove avevo cominciato un’attività sempre nello stesso settore, ma più in grande.
Un mio cliente, una grossa azienda di Milano, mi aveva contattato per dotare di sistemi di sicurezza tutte le sue filiali italiane che io e alcuni miei dipendenti avremmo dovuto visitare una per una per stendere un primo studio di fattibilità.
Quel giorno passavo da Parma, dove avevo trascorso la mattinata a rilevare dati nella filiale, e mi fermai a pranzare in una piccola trattoria lungo la strada del ritorno poco fuori dalla città.
Avevo fame e non vedevo altri locali per cui scelsi quel posto anche se era un po’ troppo misero per quelli che erano diventati i miei standard.
Mi sedetti al tavolo nella sala da pranzo insieme a camionisti e muratori e una donna grassa, sfatta e avanti con l’età si avvicinò per prendere l’ordinazione.
Franca? Possibile?
- Franca! Sei proprio tu?
- Osvaldo? Oh miodio! – disse cercando di sistemare il grembiule sporco di vino che le fasciava il grosso ventre.
Fu imbarazzante.
Alla fine le promisi che dopo pranzo avremmo preso il caffè insieme. Dopo circa un'ora eravamo seduti a un tavolo in disparte, lei col grembiule e io col mio abito grigio merinos con cravatta Marinella, e mi feci raccontare cos'era successo alla sua vita.
Mi raccontò che la scuola l’aveva sospesa dall'insegnamento per le proteste di alcuni genitori a cui avevo mandato il video e che non volevano che i loro figli avessero più contatti con lei.
Poi la scuola aveva cercato tutte le scuse per licenziarla, mettendo in campo tecniche di mobbing e alla fine lei aveva ceduto e se n’era andata. Dove? A Parma, naturalmente, con l’unica amica che le era rimasta, Maria Pia, che era tornata nella sua città d’origine.
Avevano trovato un due locali in periferia e vivevano lì, insieme. Maria Pia aveva sempre avuto qualche tendenza lesbica e alla fine erano diventate una coppia anche nella camera da letto.
Le chiesi che ne era stato di Guido.
Mi disse che le cose per lui non si erano messe bene.
Prima ancora che lo condannassero a quattro anni per corruzione, resistenza a pubblico ufficiale e sfruttamento della prostituzione, mentre era in prigione in attesa di giudizio si era messo a spadroneggiare come suo solito, ma questa volta aveva fatto un passo falso, prendendosela con Don Vito, un mafioso che un giorno gli aveva scatenato contro i suoi picciotti.
Gli avevano fracassato le due ginocchia e le due caviglie.
Rimasto quasi un anno su una sedia a rotelle, su pressione di Don Vito era stato trasferito all'ala dei sodomiti, dove la sua mascolinità aveva subìto un grave ridimensionamento, al punto che guardandolo da dietro il suo ano pareva più un bocca che sbadigliava (doveva portare sempre il pannolone perché non era più in grado di trattenere le feci), attorno alla quale si poteva leggere, tatuata, la frase “proprietà di Don Vito”.
Franca non l’aveva più visto e non sapeva dove fosse, se ancora in prigione o fuori, comunque non camminava quasi più e si muoveva solo con le stampelle.
La cosa che però aveva fatto crollare Franca, fisicamente e moralmente, era stata la visione del Dvd nel quale mi si vedeva far l’amore con Anna.
A quel punto aveva capito che tutto era perduto e si era lasciata andare. E aveva provato qualcosa della sua stessa medicina.
Io invece con Anna mi trovo benissimo. Andiamo d’amore e d’accordo, non rimpiango assolutamente Franca e stiamo pianificando di accrescere la famiglia.
Ormai avevo perso le speranze, ma pare che tra sei mesi diventerò finalmente padre.
scritto il
2015-02-12
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