Il cantiere ed altri luoghi
di
Pisellino
genere
prime esperienze
Questi fatti risalgono alla mia giovinezza, sono (quasi) reali.
Noterete che, alcuni li ho presi e li prenderò, in parte, come spunto per altre storie un po’ più fantasiose.
Come accadeva quasi ogni estate, tornò in paese per qualche settimana un caro congiunto emigrato all’estero. Uno scapolone impenitente.
Questo signore di mezza età, un parente di secondo o terzo grado dei miei (per me quasi nulla) che veniva chiamato comunque Zietto, notò come era cresciuto quel nipote così carino, che si metteva volentieri a torso nudo, mostrando un fisichino niente male, totalmente glabro che indossava sempre pantaloncini corti, legati con una fettuccina e così facili da togliere.
Un caldissimo pomeriggio mi invitò a riposare con lui, nel giardino dove aveva piazzato un paio di lettini da campo, matrimoniali. Era fresco ed ombreggiato, posto accanto alla vecchia casa di famiglia, deserta per tutto il resto dell’anno, a qualche centinaia di metri dalla mia. Il tutto era circondato da una alta ed impenetrabile siepe. Totalmente invisibile dall’esterno.
Io trovavo Zietto simpatico, riempiva tutti di complimenti e di regali, fui molto contento di andarci.
Un po’ di chiacchiere, poi, lui:
“Come sei cresciuto! Però lo sai che sei un po’ strano, sembri una ragazzina, ma sai (mi bisbigliava nelle orecchie, ridacchiando), mi piacciono quelli come te. Sapessi quanti me ne faccio su, nel Nord Europa, quei biondini diventano matti per noi italiani vigorosi.”
Lui era il classico tipo mediterraneo, pelle olivastra baffetti e folti capelli. Fisico asciutto e grossa minchia sempre in tiro.
Avevo notato questo particolare, mentre guardava le donne passare si vedeva un grosso rigonfiamento, lo sguardo mi era finito lì.
Inizialmente non compresi cosa voleva dire ma quando mi calò i calzoncini cominciai a capire.
“Che bel pistolino che hai, adesso ti faccio vedere il mio”.
Per “riposare” si era messo in costume, quindi non ci volle nulla a far uscire il suo cazzone, un grosso affare penzolante, che mentre se lo menava crebbe fino ad arrivare ad una lunghezza di almeno un paio di decimetri (forse di più che di meno), scuro e venoso, completamente scappellato.
“Ti piace? eh… si che ti piace”.
Mi piaceva ma un po’ mi spaventava, mi sembrava anormale, era decisamente più grosso di quelli che avevo visto fino a quel momento, ai miei compagni di scuola o ai maschi di casa, che spiavo quando andavano in bagno o sotto al doccia. Zietto era sveglio, aveva capito che, senza alcun dubbio, mi piaceva guardare i cazzi.
Il suo ora mi attirava come una calamita.
Lui si stava eccitando e mi domandò proprio se era “La prima minchia seria” che vedevo oltre al mio cazzetto e se ne avevo mai toccate. Io che ero un ragazzo sincero, che non diceva mai bugie, gli confessai che qualche cazzo lo avevo visto ma non ne avevo mai toccati. Gli dovetti confessare anche che avevo visto nude le donne di casa, le mie zie, sorelle e cugine. Mi chiese se ce l’avevano pelose e quando risposi di si vidi il suo membro sobbalzare, lo sguardo vitreo per l’eccitazione.
“Vieni qua, adesso uno puoi toccarlo” mi disse.
Mi allungai e strinsi a quel bastone, come facevo quando mi tiravo le seghe. Era proprio grosso, quasi non riuscivo a circondarlo completamente con la mano.
“Ahhh… bravo, menalo”.
Mentre lo segavo, mi accarezzava, soffermandosi sul culo, poi prese anche lui a menarmelo, arrivammo quasi insieme io con uno schizzettino insignificante, lui mi riempì la mano di sborra.
“Per oggi va bene così, vieni che dormiamo”.
Ci sdraiammo entrambi sulle stesso lettino, lui dietro di me, sentivo il suo petto villoso sulla mia schiena nuda, ma, soprattutto la sua minchia che, seppure a riposo, premeva sulle mie natiche. Una strana, inspiegabilmente piacevole, sensazione. Me lo fece tornare duro.
Il giorno dopo, alla stessa ora, corsi di nuovo da lui, avrei potuto anche non farlo, non ci eravamo visti, ma la puttanella che avevo tenuto nascosta dentro di me stava uscendo fuori.
“Che bravo, sei tornato a trovarmi, vieni, vieni che ci riposiamo”.
Quando ci siamo sdraiati assieme, come il giorno prima, sul grosso e comodo lettino, indossavamo entrambi le sole mutande, io uno slip piccolissimo, praticamente ero nudo.
Lui era nella stessa posizione del giorno precedente, abbracciato da dietro.
Il grosso cazzo appoggiato fra le mie chiappe.
Iniziò a strusciarsi, ci volle poco perché l’affare diventasse durissimo, lo liberò, mi spostò appena lo slippino e cominciò a sfregarlo nel solco scoperto.
Si accorse che ero teso ed allora: “Dai, smollati, ora facciamo una cosa importante, se mi lasci fare ti piacerà”.
Si staccò un attimo, mi sfilò le mutandine, poi fece una cosa strana, si bagnò il dito di saliva poi me lo mise nel culo, lentamente, con attenzione, solamente la prima falange. Strinse i “bordi” fra il pollice e l’indice, tutto attorno, come se saggiasse la consistenza del mio sfintere, la forza del muscolo anale: “Prova a stringere… che bello!, sei chiuso come un’ostrica, verginello, non ci credo che con quel faccino da puttana non ti ha ancora rotto il culetto nessuno. I miei compaesani stanno perdendo colpi, ai miei tempi saresti durato quanto un fiocco di neve sulla stufa… bello sodo, intatto come una santa. Ci sarà da divertirsi…”.
Si sputò sulla cappella congestionata dall’enorme afflusso di sangue, poi mi girò sdraiato sulla pancia, mi posizionò un cuscino sotto le palle in modo che il culo rimanesse sollevato, mi allargò le natiche e fece colare della saliva sul buchetto inviolato.
Mi prese le mani e le sostituì alle sue in modo da farmi rimanere largo.
Sapevo bene cosa sarebbe capitato e trattenevo il fiato.
Si posizionò sopra di me, ma senza distendersi completamente, sorreggendosi sulle braccia con un sospiro di soddisfazione puntò il cazzone di ferro sul buco, spinse leggermente, entrando per qualche millimetro.
“Ahiuah! Non farmi male…” mi lamentai, più per la paura che per il dolore.
“Shhh! Non gridare che ci sentono, faccio piano piano” biascicò, eccitatissimo.
Spinse ancora e mentre io mordevo l’asciugamano steso sotto di me per non gridare, aspettandomi di peggio, fece entrare dentro solo la capellona.
Si fermò alcuni istanti, per far adattare le crespe all’intruso, per poi fare su e giù lentamente, appena appena. Io gemevo ma Zietto, ormai pensavo non si sarebbe certo tirato indietro, decise però che, per il momento non sarebbe andato più in profondità, lo tirò fuori e lo strusciò fra le cosce tese fino a venire.
“Hai visto, non è nulla, per ora va bene così, poi faremo di meglio”.
Tornai a casa senza “riposare”. Mi bruciava il culo ma impercettibilmente, Zietto aveva lavorato bene.
Io giorno dopo non ci vedemmo. Quello dopo ancora venne ospite a casa mia, durante il pranzo disse che mi avrebbe portato a fare il bagno nel fiume a qualche chilometro da lì, nessuno ebbe nulla da ridire.
Appena salito in macchina, ero ben consapevole ed intimamente felice per quello che sarebbe successo da lì a poco, lui mi disse che avremmo terminato quello che avevamo iniziato due giorni prima, domandandomi come stava il mio culo, io risposi che mi bruciava un po’, allora lui ribadì che non importava, che avrebbe sistemato le cose, io non compresi bene cosa voleva dire “sistemare le cose”, lo avrei capito presto.
Mentre guidava mi raccontò cosa succedeva, ai suoi tempi, ai ragazzi carini, soprattutto se con il culetto rotondo e la faccia da femmina come me.
Ragazze non ce n’erano o se c’erano era difficilissimo e addirittura impossibile avvicinarsi prima del matrimonio. Gli uomini, quindi, si soddisfacevano con i loro amichetti più giovani, anche parenti. Soprattutto quando lavoravano nei campi, isolati. Lo sapevano tutti ma “nessuno sapeva niente”. E’ lì che lui aveva, sempre dalla parte di quelli “attivi”, imparato ad apprezzare quei buchetti stretti, anche a valutarli col dito, come aveva fatto con me, per capire se qualcuno c’era già passato o no. Ci aveva preso gusto e mentre gli altri si trovavano finalmente una femmina e non lo facevano più, lui non aveva più smesso.
“Sapessi quanti paesani insospettabili hanno provato la mia minchia”. Poi, circa a trent’anni, aveva deciso di cambiare vita e ne era andato. Anche nel suo nuovo paese, nonostante avesse convissuto per molti anni con una compagna, aveva continuato ad apprezzare i sederini maschili, in particolare se ancora stretti come il mio (che presto non lo sarebbe stato più). Mi disse anche che lì era molto più facile, erano tutti molto più liberi.
Parcheggiò sulla riva del fiumiciattolo, ma non ci fermammo nel solito posto dove andavano tutti, ma risalimmo per almeno un paio di chilometri, ad un certo punto sembrava che non potessimo più andare avanti, il sentiero terminava lì, ma Zietto conosceva un passaggio che aveva scoperto molti anni prima, da giovane, prima di emigrare. Ci trovammo in un’ansa nascosta, dove non andava mai nessuno, fuori dal mondo.
“Qui possiamo fare tutto il rumore che vogliamo esclamò! Dai spogliati che ce l’ho già duro”. Avevo capito che in quel posto potevo urlare quanto volevo, avrebbe potuto aprirmi come una cozza senza che nessuno potesse udire. Probabilmente quello era “sistemare le cose”.
Mi voltai ed era già nudo, il pilone svettava eretto davanti a me, impressionante.
Mi sorrise e poi: “Prima che riprendiamo a giocare con il tuo culetto voglio che senti che sapore ha il mio cazzo”, se lo sciacquò con l’acqua del fiume, poi mise un asciugamani piegato davanti a lui, mi fece segno di inginocchiarmi là sopra, lo feci, mi mise una mano dietro la nuca e mi passò il cazzo sulle labbra; “Dai, aprile”. Io le spalancai automaticamente e lui entrò, con gran fatica perché non passava, da tanto era grosso, le labbra erano “tirate” come la corda di una chitarra. Reggendomi sempre la nuca mi scopava in bocca, affermò che più in là mi avrebbe insegnato come voleva che lo succhiassi, intanto dovevo abituarmi al sapore. Che era particolare, una cosa nuova ma che non mi dispiaceva affatto.
Quando lo spingeva in gola avevo dei conati e mi usciva del muco dal naso, quindi decise di toglierlo e di tornare a quello che preferiva.
“Bene ragazzo, hamnar vi bryta den snygg rumpa” pronunciò queste parole in una lingua sconosciuta (solo dopo ne compresi il significato “finiamo di rompere quel bel culetto”).
Come se l’avessi sempre fatto mi misi a quattro zampe sull’asciugamano, abbastanza comodo perché il fondo di sabbia della riva del fiume era morbido, poi appoggiai la testa sullo stesso asciugamano, con il culo sollevato.
“Sei proprio una troietta, nipotina, sai già come devi fare… ti viene di istinto… jag knulla dig så mycket … (“ti scoperò tanto tanto” queste ultime parole sempre in quella lingua, che poi mi disse essere svedese)”.
Questa volta non si fermò. Dopo averlo lubrificato con del sapone in crema che aveva portato con se (previdente) lo spinse senza pietà. Ad un certo punto non entrava più, ma con una spinta decisa mi raddrizzo l'ansa del retto, poi fu dentro. Tutto.
Fino in fondo senza fermarsi.
Un fuoco.
“Ahhhh! Mi spacchi Zietto, fai piano! Ahhh!” Gridai, ma lui pompava come un forsennato, quasi avesse fretta di venire, di sborrarmi nelle viscere.
“Bel culetto… culetto d’oro… dolce, bello stretto… come godo… nice… nice, brava, brava nipotina…” mormorava queste parole mentre mi sbatteva a dovere.
Ci stava veramente prendendo gusto ma, in verità anch’io con lui. Nonostante il dolore godevo come un maiale.
“Bravo Zietto, fai godere il tuo nipotino… la tua nipotina”. Mi stava piacendo essere chiamata “nipotina”, una nipotina femmina e troia.
Mentre mi inculava in quel modo facevo scorrere il suo cazzone fra le dita della mano per sentirlo di più, per renderci conto entrambi di quanto fosse lungo e di quanto andasse profondo.
Mi stava spaccando tutto e mi piaceva moltissimo!
Dopo avermi raddrizzato l'intestino mi picchiava sulla parte del canale, un martello pneumatico.
Quando sborrò fu un’eruzione vulcanica, ululava come un lupo, mentre mi riversava nel profondo una quantità incredibile di sborra.
Si stese accanto a me per riprendere fiato.
“Ora se ti brucia rinfrescati la “pucchiacchina”, che dopo lo rifacciamo”.
Pensai come sarebbe stato dopo, già ora mi bruciava come una fornace. Ma, mentre stavo accovacciato nell’acqua fresca che leniva il tutto, mi dissi che lo avrei rifatto volentieri, tutto per Zietto. La sborra mi usciva dal culo aperto assieme a qualche goccia di sangue, formando una scia che la corrente portava via.
Mi stesi anch’io e ci addormentammo.
Circa mezzora dopo, mi svegliai e nel languore del dormiveglia, con gli occhi chiusi pronunciò le parole: “E’ tuo, giocaci” e con delicatezza mi spinse il capo verso il suo cazzo a riposo. Io, riconoscente, glielo presi delicatamente in mano, inizia a baciarlo ed a succhiarlo, tutto succedeva automaticamente, come se lo avessi sempre fatto.
Lo leccavo tutto, con deferenza.
Era di nuovo duro come l’acciaio, allora si mosse, io ero steso sulla schiena, il cazzo dritto.
Si mise in ginocchio mi tirò su le gambe e se le appoggiò sulle spalle, per tenerle aperte, poi mi penetrò una seconda volta, ma adesso lentamente, non fu necessario alcun lubrificante, ero aperto e bagnato come una cagna.
Faceva ancora male ma molto meno di prima. Mentre gemevo cominciò a masturbarmi, si muoveva avanti e indietro in sincronia con la sua mano, guardandomi negli occhi.
“Bella fighetta… bella…”
Io venni quasi subito, fortissimo.
Strillavo come una puttana.
“Accidenti, come gridi, sembri una donna!” Esclamò.
Lui continuò ancora per molto, non finiva più, io ero semi incosciente, l’orgasmo intensissimo ed il caldo mi avevano sfinito, un deliquio.
Poi venne anche lui, ancora dentro, facemmo un bel bagno ristoratore e all’imbrunire, tornammo a casa.
Tutti mi chiesero se mi ero divertito, io, entusiasta, confermai dicendo che Zietto mi aveva fatto veramente felice.
Entrai in casa zoppicando lievemente a causa del dolore al culo, quando me ne domandarono il motivo invece accennai ad un storta causata da un piede messo male sui sassi del fiume, roba da nulla.
“Riposammo” assieme molte altre volte, prima della sua partenza. Il mio ano si adattò benissimo alla monta, tant’è che quando lo “saggiava” ormai lo stringeva con tre dita dentro contro al pollice.Mi fece bere la sua sborra e ripulire il suo cazzo. Una Puttanella completa.
Quando se ne andò ero tristissimo, il giorno dopo già mi prudeva il culo, ormai allenatissimo e spanato al punto giusto.
Ma pensavo già all’estate seguente, mi aveva assicurato che sarebbe tornato.
Restai “intatta” per poco.
Infatti, dopo poco più di una settimana, spuntò il mio primo “fidanzatino”.
Con lui ci imboscavano nei luoghi più impensati, sempre infoiati come conigli.
Lui era il maschio ed io la femmina.
Si era stabilito così, fin dal giorno nel quale ci incrociammo sul vialetto nei pressi di casa sua e pur conoscendolo da tempo, decisi di fargli gli occhi dolci.
Quando, poco dopo, all’ombra del vigneto lì vicino, gli chiesi se potevo succhiarglielo, Fidanzatino fu subito molto chiaro, me lo avrebbe succhiato un po’ anche lui, ma giusto per riscaldare l’atmosfera, invece lo avrei spompinato per bene bevendo la sborra, poi gli avrei dato il culo e lui mi avrebbe chiamato “cara”, mi sarei fatto crescere i capelli e sarei stata la sua ragazza e come tale mi sarei comportata, fui subito d’accordissimo.
Mi disse anche che aveva capito da un po’ che ero frocio perché sculettavo come la Teresa, una paesana che (si diceva) la dava a tutti.
Del resto avevamo gli ormoni a mille, ed ogni occasione divenne buona per calarci i pantaloni. Io, fresco dell’esperienza con Zietto, lo succhiavo come un pazza. Appena possibile mi appoggiavo da qualche parte e lui me lo schiaffava nel culo, sempre caldo ed umido. Si sverginò nel mio buco. Poi lo facevamo anche cinque, sei, sette volte al giorno. Una sputazzata e via. A quell’età non si ci stanca. Poi io, che avevo iniziato già con un calibro fuori misura, non ne avevo mai abbastanza, non mi sentivo mai piena a sufficienza.
Lui, che non aveva mai toccato una ragazza, mi considerava veramente la sua morosa ed io mi comportavo come tale, sempre disponibile, dolce e femminile, la “figa” pronta.
Mi disse anche che era geloso, che non dovevo andare con altri.
Questa cosa, più per le circostanze che per una nostra precisa volontà, andò a farsi benedire quando ci fu la prima inculata di gruppo ed il culo in questione fu (ovviamente) il mio.
Da alcuni giorni ci infrattavamo all’interno di una cantiere edile, in un posto isolato ma facilmente raggiungibile, dove stavano costruendo una villa. Era momentaneamente chiuso, si diceva perché i committenti, che vivevano in Germania, avevano finito i soldi. Avevamo trovato la rete alzata, e fin dalla prima volta ci era sembrato molto comodo.
Non avevamo pensato che qualcuno doveva averla spostata quella rete!
Durante una di queste visite accadde l’imprevisto.
Ci mettevamo sempre in un angolo coperto, dove avevamo steso alcuni cartoni.
Fidanzatino mi aveva appena scopato di brutto, io ero rimasto lì, alla pecorina e con il culo gocciolante a prendere aria. Lui si era seduto sopra un sacco di cemento e rimirava la sua opera, mi diceva che amava il mio culo e che gli piaceva guardarlo, così bello liscio e rotondo, appena scopato. Che se fossi stata una vera femmina mi avrebbe sposata.
Andavo in estasi.
Piombarono in mezzo a noi in quattro, li riconoscemmo subito, erano teppisti che vivevano in un paese vicino, giravano in scooter combinando un sacco di danni. Erano entrati lì per fumare e per vedere se c’era qualcosa da rubare, come facevano ogni tanto, erano stati loro a staccare la rete.
“Ma guarda cosa abbiamo qui” gridò uno: “Un paio di ricchioni”. (vi ricordate il bagnino di Lulù?).
“Sapete cosa gli facciamo noi ai ricchioni? Li riempiamo di mazzate” proseguì il più grosso di tutti, un marcantonio di una ventina d’anni, famoso per le risse alle quali partecipava.
Le cose si stavano mettendo male, quelli facevano sul serio. Io ero rimasto come mi trovavo e ad uno di questi venne in mente di mettermi un piede sulla testa, per tenermi schiacciato, i capelli tutto attorno ed il culo di fuori.
Al Fidanzatino venne un’idea, a mali estremi, estremi rimedi.
“Ma perché ve la prendete così. Avete visto che bel culo che ha, invece di picchiarci potreste farvelo”. Disse loro, speranzoso.
“Ah, tu saresti il maschio e lui la donna! Vedo come difendi la tua bella” gli rispose il più giovane di tutti, dopo avergli mollato uno schiaffetto, però avvicinandosi al mio culo.
“Oh, ragazzi, io me la inculo questa cagnetta”, disse rivolgendosi ai suoi soci.
“Però a me prima mi deve venire grosso” disse un altro guardando Fidanzatino che dovette succhiarglielo un po’.
Mi incularono tutti e quattro, più volte, la prima incredibile razione di cazzo plurima. Ne sarebbero seguite molte altre.
Quando smisero mi colava la sborra dal culo come una fontana.
Talmente sfondato che feci fatica ad alzarmi. Ma, per la verità la cosa non mi era dispiaciuta. Mi ero sentito nuovamente “piena”, come con Zietto.
Prima di andarsene, sempre con fare minaccioso, ci imposero di non dire niente a nessuno, altrimenti ci avrebbero massacrati di botte. Ce ne guardammo bene.
Il fatto fu che uno di questi tornò a cercarmi, prendendo, anche lui, a scoparmi con regolarità.
Fu da lì che cominciai a farmi sbattere in giro, a dare il culo e la bocca a tutti quelli che lo desideravano, un solo Fidanzatino non mi bastava più.
Non ho più smesso.
Mi è capitato anche di vendermi, in passato, quasi come in “Quanti ne ho presi all'università”.
Noterete che, alcuni li ho presi e li prenderò, in parte, come spunto per altre storie un po’ più fantasiose.
Come accadeva quasi ogni estate, tornò in paese per qualche settimana un caro congiunto emigrato all’estero. Uno scapolone impenitente.
Questo signore di mezza età, un parente di secondo o terzo grado dei miei (per me quasi nulla) che veniva chiamato comunque Zietto, notò come era cresciuto quel nipote così carino, che si metteva volentieri a torso nudo, mostrando un fisichino niente male, totalmente glabro che indossava sempre pantaloncini corti, legati con una fettuccina e così facili da togliere.
Un caldissimo pomeriggio mi invitò a riposare con lui, nel giardino dove aveva piazzato un paio di lettini da campo, matrimoniali. Era fresco ed ombreggiato, posto accanto alla vecchia casa di famiglia, deserta per tutto il resto dell’anno, a qualche centinaia di metri dalla mia. Il tutto era circondato da una alta ed impenetrabile siepe. Totalmente invisibile dall’esterno.
Io trovavo Zietto simpatico, riempiva tutti di complimenti e di regali, fui molto contento di andarci.
Un po’ di chiacchiere, poi, lui:
“Come sei cresciuto! Però lo sai che sei un po’ strano, sembri una ragazzina, ma sai (mi bisbigliava nelle orecchie, ridacchiando), mi piacciono quelli come te. Sapessi quanti me ne faccio su, nel Nord Europa, quei biondini diventano matti per noi italiani vigorosi.”
Lui era il classico tipo mediterraneo, pelle olivastra baffetti e folti capelli. Fisico asciutto e grossa minchia sempre in tiro.
Avevo notato questo particolare, mentre guardava le donne passare si vedeva un grosso rigonfiamento, lo sguardo mi era finito lì.
Inizialmente non compresi cosa voleva dire ma quando mi calò i calzoncini cominciai a capire.
“Che bel pistolino che hai, adesso ti faccio vedere il mio”.
Per “riposare” si era messo in costume, quindi non ci volle nulla a far uscire il suo cazzone, un grosso affare penzolante, che mentre se lo menava crebbe fino ad arrivare ad una lunghezza di almeno un paio di decimetri (forse di più che di meno), scuro e venoso, completamente scappellato.
“Ti piace? eh… si che ti piace”.
Mi piaceva ma un po’ mi spaventava, mi sembrava anormale, era decisamente più grosso di quelli che avevo visto fino a quel momento, ai miei compagni di scuola o ai maschi di casa, che spiavo quando andavano in bagno o sotto al doccia. Zietto era sveglio, aveva capito che, senza alcun dubbio, mi piaceva guardare i cazzi.
Il suo ora mi attirava come una calamita.
Lui si stava eccitando e mi domandò proprio se era “La prima minchia seria” che vedevo oltre al mio cazzetto e se ne avevo mai toccate. Io che ero un ragazzo sincero, che non diceva mai bugie, gli confessai che qualche cazzo lo avevo visto ma non ne avevo mai toccati. Gli dovetti confessare anche che avevo visto nude le donne di casa, le mie zie, sorelle e cugine. Mi chiese se ce l’avevano pelose e quando risposi di si vidi il suo membro sobbalzare, lo sguardo vitreo per l’eccitazione.
“Vieni qua, adesso uno puoi toccarlo” mi disse.
Mi allungai e strinsi a quel bastone, come facevo quando mi tiravo le seghe. Era proprio grosso, quasi non riuscivo a circondarlo completamente con la mano.
“Ahhh… bravo, menalo”.
Mentre lo segavo, mi accarezzava, soffermandosi sul culo, poi prese anche lui a menarmelo, arrivammo quasi insieme io con uno schizzettino insignificante, lui mi riempì la mano di sborra.
“Per oggi va bene così, vieni che dormiamo”.
Ci sdraiammo entrambi sulle stesso lettino, lui dietro di me, sentivo il suo petto villoso sulla mia schiena nuda, ma, soprattutto la sua minchia che, seppure a riposo, premeva sulle mie natiche. Una strana, inspiegabilmente piacevole, sensazione. Me lo fece tornare duro.
Il giorno dopo, alla stessa ora, corsi di nuovo da lui, avrei potuto anche non farlo, non ci eravamo visti, ma la puttanella che avevo tenuto nascosta dentro di me stava uscendo fuori.
“Che bravo, sei tornato a trovarmi, vieni, vieni che ci riposiamo”.
Quando ci siamo sdraiati assieme, come il giorno prima, sul grosso e comodo lettino, indossavamo entrambi le sole mutande, io uno slip piccolissimo, praticamente ero nudo.
Lui era nella stessa posizione del giorno precedente, abbracciato da dietro.
Il grosso cazzo appoggiato fra le mie chiappe.
Iniziò a strusciarsi, ci volle poco perché l’affare diventasse durissimo, lo liberò, mi spostò appena lo slippino e cominciò a sfregarlo nel solco scoperto.
Si accorse che ero teso ed allora: “Dai, smollati, ora facciamo una cosa importante, se mi lasci fare ti piacerà”.
Si staccò un attimo, mi sfilò le mutandine, poi fece una cosa strana, si bagnò il dito di saliva poi me lo mise nel culo, lentamente, con attenzione, solamente la prima falange. Strinse i “bordi” fra il pollice e l’indice, tutto attorno, come se saggiasse la consistenza del mio sfintere, la forza del muscolo anale: “Prova a stringere… che bello!, sei chiuso come un’ostrica, verginello, non ci credo che con quel faccino da puttana non ti ha ancora rotto il culetto nessuno. I miei compaesani stanno perdendo colpi, ai miei tempi saresti durato quanto un fiocco di neve sulla stufa… bello sodo, intatto come una santa. Ci sarà da divertirsi…”.
Si sputò sulla cappella congestionata dall’enorme afflusso di sangue, poi mi girò sdraiato sulla pancia, mi posizionò un cuscino sotto le palle in modo che il culo rimanesse sollevato, mi allargò le natiche e fece colare della saliva sul buchetto inviolato.
Mi prese le mani e le sostituì alle sue in modo da farmi rimanere largo.
Sapevo bene cosa sarebbe capitato e trattenevo il fiato.
Si posizionò sopra di me, ma senza distendersi completamente, sorreggendosi sulle braccia con un sospiro di soddisfazione puntò il cazzone di ferro sul buco, spinse leggermente, entrando per qualche millimetro.
“Ahiuah! Non farmi male…” mi lamentai, più per la paura che per il dolore.
“Shhh! Non gridare che ci sentono, faccio piano piano” biascicò, eccitatissimo.
Spinse ancora e mentre io mordevo l’asciugamano steso sotto di me per non gridare, aspettandomi di peggio, fece entrare dentro solo la capellona.
Si fermò alcuni istanti, per far adattare le crespe all’intruso, per poi fare su e giù lentamente, appena appena. Io gemevo ma Zietto, ormai pensavo non si sarebbe certo tirato indietro, decise però che, per il momento non sarebbe andato più in profondità, lo tirò fuori e lo strusciò fra le cosce tese fino a venire.
“Hai visto, non è nulla, per ora va bene così, poi faremo di meglio”.
Tornai a casa senza “riposare”. Mi bruciava il culo ma impercettibilmente, Zietto aveva lavorato bene.
Io giorno dopo non ci vedemmo. Quello dopo ancora venne ospite a casa mia, durante il pranzo disse che mi avrebbe portato a fare il bagno nel fiume a qualche chilometro da lì, nessuno ebbe nulla da ridire.
Appena salito in macchina, ero ben consapevole ed intimamente felice per quello che sarebbe successo da lì a poco, lui mi disse che avremmo terminato quello che avevamo iniziato due giorni prima, domandandomi come stava il mio culo, io risposi che mi bruciava un po’, allora lui ribadì che non importava, che avrebbe sistemato le cose, io non compresi bene cosa voleva dire “sistemare le cose”, lo avrei capito presto.
Mentre guidava mi raccontò cosa succedeva, ai suoi tempi, ai ragazzi carini, soprattutto se con il culetto rotondo e la faccia da femmina come me.
Ragazze non ce n’erano o se c’erano era difficilissimo e addirittura impossibile avvicinarsi prima del matrimonio. Gli uomini, quindi, si soddisfacevano con i loro amichetti più giovani, anche parenti. Soprattutto quando lavoravano nei campi, isolati. Lo sapevano tutti ma “nessuno sapeva niente”. E’ lì che lui aveva, sempre dalla parte di quelli “attivi”, imparato ad apprezzare quei buchetti stretti, anche a valutarli col dito, come aveva fatto con me, per capire se qualcuno c’era già passato o no. Ci aveva preso gusto e mentre gli altri si trovavano finalmente una femmina e non lo facevano più, lui non aveva più smesso.
“Sapessi quanti paesani insospettabili hanno provato la mia minchia”. Poi, circa a trent’anni, aveva deciso di cambiare vita e ne era andato. Anche nel suo nuovo paese, nonostante avesse convissuto per molti anni con una compagna, aveva continuato ad apprezzare i sederini maschili, in particolare se ancora stretti come il mio (che presto non lo sarebbe stato più). Mi disse anche che lì era molto più facile, erano tutti molto più liberi.
Parcheggiò sulla riva del fiumiciattolo, ma non ci fermammo nel solito posto dove andavano tutti, ma risalimmo per almeno un paio di chilometri, ad un certo punto sembrava che non potessimo più andare avanti, il sentiero terminava lì, ma Zietto conosceva un passaggio che aveva scoperto molti anni prima, da giovane, prima di emigrare. Ci trovammo in un’ansa nascosta, dove non andava mai nessuno, fuori dal mondo.
“Qui possiamo fare tutto il rumore che vogliamo esclamò! Dai spogliati che ce l’ho già duro”. Avevo capito che in quel posto potevo urlare quanto volevo, avrebbe potuto aprirmi come una cozza senza che nessuno potesse udire. Probabilmente quello era “sistemare le cose”.
Mi voltai ed era già nudo, il pilone svettava eretto davanti a me, impressionante.
Mi sorrise e poi: “Prima che riprendiamo a giocare con il tuo culetto voglio che senti che sapore ha il mio cazzo”, se lo sciacquò con l’acqua del fiume, poi mise un asciugamani piegato davanti a lui, mi fece segno di inginocchiarmi là sopra, lo feci, mi mise una mano dietro la nuca e mi passò il cazzo sulle labbra; “Dai, aprile”. Io le spalancai automaticamente e lui entrò, con gran fatica perché non passava, da tanto era grosso, le labbra erano “tirate” come la corda di una chitarra. Reggendomi sempre la nuca mi scopava in bocca, affermò che più in là mi avrebbe insegnato come voleva che lo succhiassi, intanto dovevo abituarmi al sapore. Che era particolare, una cosa nuova ma che non mi dispiaceva affatto.
Quando lo spingeva in gola avevo dei conati e mi usciva del muco dal naso, quindi decise di toglierlo e di tornare a quello che preferiva.
“Bene ragazzo, hamnar vi bryta den snygg rumpa” pronunciò queste parole in una lingua sconosciuta (solo dopo ne compresi il significato “finiamo di rompere quel bel culetto”).
Come se l’avessi sempre fatto mi misi a quattro zampe sull’asciugamano, abbastanza comodo perché il fondo di sabbia della riva del fiume era morbido, poi appoggiai la testa sullo stesso asciugamano, con il culo sollevato.
“Sei proprio una troietta, nipotina, sai già come devi fare… ti viene di istinto… jag knulla dig så mycket … (“ti scoperò tanto tanto” queste ultime parole sempre in quella lingua, che poi mi disse essere svedese)”.
Questa volta non si fermò. Dopo averlo lubrificato con del sapone in crema che aveva portato con se (previdente) lo spinse senza pietà. Ad un certo punto non entrava più, ma con una spinta decisa mi raddrizzo l'ansa del retto, poi fu dentro. Tutto.
Fino in fondo senza fermarsi.
Un fuoco.
“Ahhhh! Mi spacchi Zietto, fai piano! Ahhh!” Gridai, ma lui pompava come un forsennato, quasi avesse fretta di venire, di sborrarmi nelle viscere.
“Bel culetto… culetto d’oro… dolce, bello stretto… come godo… nice… nice, brava, brava nipotina…” mormorava queste parole mentre mi sbatteva a dovere.
Ci stava veramente prendendo gusto ma, in verità anch’io con lui. Nonostante il dolore godevo come un maiale.
“Bravo Zietto, fai godere il tuo nipotino… la tua nipotina”. Mi stava piacendo essere chiamata “nipotina”, una nipotina femmina e troia.
Mentre mi inculava in quel modo facevo scorrere il suo cazzone fra le dita della mano per sentirlo di più, per renderci conto entrambi di quanto fosse lungo e di quanto andasse profondo.
Mi stava spaccando tutto e mi piaceva moltissimo!
Dopo avermi raddrizzato l'intestino mi picchiava sulla parte del canale, un martello pneumatico.
Quando sborrò fu un’eruzione vulcanica, ululava come un lupo, mentre mi riversava nel profondo una quantità incredibile di sborra.
Si stese accanto a me per riprendere fiato.
“Ora se ti brucia rinfrescati la “pucchiacchina”, che dopo lo rifacciamo”.
Pensai come sarebbe stato dopo, già ora mi bruciava come una fornace. Ma, mentre stavo accovacciato nell’acqua fresca che leniva il tutto, mi dissi che lo avrei rifatto volentieri, tutto per Zietto. La sborra mi usciva dal culo aperto assieme a qualche goccia di sangue, formando una scia che la corrente portava via.
Mi stesi anch’io e ci addormentammo.
Circa mezzora dopo, mi svegliai e nel languore del dormiveglia, con gli occhi chiusi pronunciò le parole: “E’ tuo, giocaci” e con delicatezza mi spinse il capo verso il suo cazzo a riposo. Io, riconoscente, glielo presi delicatamente in mano, inizia a baciarlo ed a succhiarlo, tutto succedeva automaticamente, come se lo avessi sempre fatto.
Lo leccavo tutto, con deferenza.
Era di nuovo duro come l’acciaio, allora si mosse, io ero steso sulla schiena, il cazzo dritto.
Si mise in ginocchio mi tirò su le gambe e se le appoggiò sulle spalle, per tenerle aperte, poi mi penetrò una seconda volta, ma adesso lentamente, non fu necessario alcun lubrificante, ero aperto e bagnato come una cagna.
Faceva ancora male ma molto meno di prima. Mentre gemevo cominciò a masturbarmi, si muoveva avanti e indietro in sincronia con la sua mano, guardandomi negli occhi.
“Bella fighetta… bella…”
Io venni quasi subito, fortissimo.
Strillavo come una puttana.
“Accidenti, come gridi, sembri una donna!” Esclamò.
Lui continuò ancora per molto, non finiva più, io ero semi incosciente, l’orgasmo intensissimo ed il caldo mi avevano sfinito, un deliquio.
Poi venne anche lui, ancora dentro, facemmo un bel bagno ristoratore e all’imbrunire, tornammo a casa.
Tutti mi chiesero se mi ero divertito, io, entusiasta, confermai dicendo che Zietto mi aveva fatto veramente felice.
Entrai in casa zoppicando lievemente a causa del dolore al culo, quando me ne domandarono il motivo invece accennai ad un storta causata da un piede messo male sui sassi del fiume, roba da nulla.
“Riposammo” assieme molte altre volte, prima della sua partenza. Il mio ano si adattò benissimo alla monta, tant’è che quando lo “saggiava” ormai lo stringeva con tre dita dentro contro al pollice.Mi fece bere la sua sborra e ripulire il suo cazzo. Una Puttanella completa.
Quando se ne andò ero tristissimo, il giorno dopo già mi prudeva il culo, ormai allenatissimo e spanato al punto giusto.
Ma pensavo già all’estate seguente, mi aveva assicurato che sarebbe tornato.
Restai “intatta” per poco.
Infatti, dopo poco più di una settimana, spuntò il mio primo “fidanzatino”.
Con lui ci imboscavano nei luoghi più impensati, sempre infoiati come conigli.
Lui era il maschio ed io la femmina.
Si era stabilito così, fin dal giorno nel quale ci incrociammo sul vialetto nei pressi di casa sua e pur conoscendolo da tempo, decisi di fargli gli occhi dolci.
Quando, poco dopo, all’ombra del vigneto lì vicino, gli chiesi se potevo succhiarglielo, Fidanzatino fu subito molto chiaro, me lo avrebbe succhiato un po’ anche lui, ma giusto per riscaldare l’atmosfera, invece lo avrei spompinato per bene bevendo la sborra, poi gli avrei dato il culo e lui mi avrebbe chiamato “cara”, mi sarei fatto crescere i capelli e sarei stata la sua ragazza e come tale mi sarei comportata, fui subito d’accordissimo.
Mi disse anche che aveva capito da un po’ che ero frocio perché sculettavo come la Teresa, una paesana che (si diceva) la dava a tutti.
Del resto avevamo gli ormoni a mille, ed ogni occasione divenne buona per calarci i pantaloni. Io, fresco dell’esperienza con Zietto, lo succhiavo come un pazza. Appena possibile mi appoggiavo da qualche parte e lui me lo schiaffava nel culo, sempre caldo ed umido. Si sverginò nel mio buco. Poi lo facevamo anche cinque, sei, sette volte al giorno. Una sputazzata e via. A quell’età non si ci stanca. Poi io, che avevo iniziato già con un calibro fuori misura, non ne avevo mai abbastanza, non mi sentivo mai piena a sufficienza.
Lui, che non aveva mai toccato una ragazza, mi considerava veramente la sua morosa ed io mi comportavo come tale, sempre disponibile, dolce e femminile, la “figa” pronta.
Mi disse anche che era geloso, che non dovevo andare con altri.
Questa cosa, più per le circostanze che per una nostra precisa volontà, andò a farsi benedire quando ci fu la prima inculata di gruppo ed il culo in questione fu (ovviamente) il mio.
Da alcuni giorni ci infrattavamo all’interno di una cantiere edile, in un posto isolato ma facilmente raggiungibile, dove stavano costruendo una villa. Era momentaneamente chiuso, si diceva perché i committenti, che vivevano in Germania, avevano finito i soldi. Avevamo trovato la rete alzata, e fin dalla prima volta ci era sembrato molto comodo.
Non avevamo pensato che qualcuno doveva averla spostata quella rete!
Durante una di queste visite accadde l’imprevisto.
Ci mettevamo sempre in un angolo coperto, dove avevamo steso alcuni cartoni.
Fidanzatino mi aveva appena scopato di brutto, io ero rimasto lì, alla pecorina e con il culo gocciolante a prendere aria. Lui si era seduto sopra un sacco di cemento e rimirava la sua opera, mi diceva che amava il mio culo e che gli piaceva guardarlo, così bello liscio e rotondo, appena scopato. Che se fossi stata una vera femmina mi avrebbe sposata.
Andavo in estasi.
Piombarono in mezzo a noi in quattro, li riconoscemmo subito, erano teppisti che vivevano in un paese vicino, giravano in scooter combinando un sacco di danni. Erano entrati lì per fumare e per vedere se c’era qualcosa da rubare, come facevano ogni tanto, erano stati loro a staccare la rete.
“Ma guarda cosa abbiamo qui” gridò uno: “Un paio di ricchioni”. (vi ricordate il bagnino di Lulù?).
“Sapete cosa gli facciamo noi ai ricchioni? Li riempiamo di mazzate” proseguì il più grosso di tutti, un marcantonio di una ventina d’anni, famoso per le risse alle quali partecipava.
Le cose si stavano mettendo male, quelli facevano sul serio. Io ero rimasto come mi trovavo e ad uno di questi venne in mente di mettermi un piede sulla testa, per tenermi schiacciato, i capelli tutto attorno ed il culo di fuori.
Al Fidanzatino venne un’idea, a mali estremi, estremi rimedi.
“Ma perché ve la prendete così. Avete visto che bel culo che ha, invece di picchiarci potreste farvelo”. Disse loro, speranzoso.
“Ah, tu saresti il maschio e lui la donna! Vedo come difendi la tua bella” gli rispose il più giovane di tutti, dopo avergli mollato uno schiaffetto, però avvicinandosi al mio culo.
“Oh, ragazzi, io me la inculo questa cagnetta”, disse rivolgendosi ai suoi soci.
“Però a me prima mi deve venire grosso” disse un altro guardando Fidanzatino che dovette succhiarglielo un po’.
Mi incularono tutti e quattro, più volte, la prima incredibile razione di cazzo plurima. Ne sarebbero seguite molte altre.
Quando smisero mi colava la sborra dal culo come una fontana.
Talmente sfondato che feci fatica ad alzarmi. Ma, per la verità la cosa non mi era dispiaciuta. Mi ero sentito nuovamente “piena”, come con Zietto.
Prima di andarsene, sempre con fare minaccioso, ci imposero di non dire niente a nessuno, altrimenti ci avrebbero massacrati di botte. Ce ne guardammo bene.
Il fatto fu che uno di questi tornò a cercarmi, prendendo, anche lui, a scoparmi con regolarità.
Fu da lì che cominciai a farmi sbattere in giro, a dare il culo e la bocca a tutti quelli che lo desideravano, un solo Fidanzatino non mi bastava più.
Non ho più smesso.
Mi è capitato anche di vendermi, in passato, quasi come in “Quanti ne ho presi all'università”.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Maurice, il mio Padroneracconto sucessivo
Il cantiere ed altri luoghi 2 - Bugie
Commenti dei lettori al racconto erotico