Lavori Socialmente Utili (parte 1)

di
genere
etero

Fui assegnato a quattro mesi di lavori socialmente utili a causa di una situazione giudiziaria in cui, mio malgrado, mi ero ritrovato invischiato.
Mi presentai, come da convocazione, nell'ufficio dei servizi sociali della città capoluogo. Ad accogliermi c'era un'assistente sociale che si presentò con distanza e freddezza, scandendo il suo titolo ed il suo cognome. Pensai che avrei provato più calore aprendo il portellone del mio frigorifero, ma evitai di esternare ogni senso di fastidio per quell'atteggiamento.
Dopo avermi fatto compilare una serie di schede, illustrò le mie mansioni che consistevano nell'accompagnare persone con disabilità presso visite mediche e servizi, utilizzando il mezzo comunale attrezzato. I primi giorni sarei stato accompagnato da lei e da un operatore comunale che mi avrebbero insegnato a relazionarmi con gli utenti e ad utilizzare i presidi del mezzo. Successivamente avrei lavorato da solo. Mi congedò con lo stesso calore con cui mi aveva accolto dandomi appuntamento al mattino successivo.
Mi presentai puntuale e volenteroso, anche se l'idea di dover passare molto tempo con quel pezzo di ghiaccio, seppur con un bellissimo viso, non mi entusiasmava granché. Con mia sorpresa, invece, mi ritrovai una persona loquace e simpatica. Merito dell'operatore, Marcello, che ci accompagnava. Un quarantenne brizzolato dalla battuta sempre pronta e pieno d'attenzioni per lei.
In quella mattinata di lavoro scoprii che la mia responsabile, quella ragazzona giunonica ma dalle forme armoniche e sensuali, si chiamava Erika, aveva 32 anni e sapeva essere anche simpatica e solare.
Il lavoro aveva dei ritmi abbastanza alterni. Alcuni giorni le richieste di servizio erano così tante da dover incastrare al secondo ogni singolo spostamento, altri giorni invece restavo in ufficio con Erika in attesa di eventuali chiamate da parte di utenti. In quelle occasioni non esitavo a corteggiarla velatamente. Mi intrigava e spesso immaginavo come sarebbe stato rivoltarsi sotto le lenzuola con lei, perdersi nei suoi mastodontici seni, sentire le sue carnose labbra sulla pelle. A sua volta, lei, non disdegnava le mie attenzioni ma a parte qualche sorriso malizioso non mi concedeva altro.
Ero ormai arrivato all'ultimo mese di servizio. Da qualche giorno i ritmi erano serratissimi e restavo fuori per l'intero turno. Quella mattina, però, un appuntamento che mi avrebbe tenuto impegnato per un paio d'ore saltò per un malessere dell'utente e decisi di tornare in ufficio per attendere il successivo impegno. L'ufficio era composto da due stanze contigue: la prima, più grande, che fungeva da anticamera per il pubblico e nella quale vi era la mia postazione; la seconda che era la stanza di Erika. Stranamente trovai la porta chiusa. Avevo le chiavi di quella prima stanza, ma non mi era mai capitato di doverle usare. Entrato nella sala fui attratto da alcuni mormorii provenienti dalla stanza di Erika. Mi avvicinai alla porta con circospezione e osservai dalla toppa della chiave. Erika era in ginocchio e succhiava il sesso eretto e rugoso di Marcello. Le sue labbra carnose lo avvolgevano morbidamente mentre lo accoglieva fino in gola, la sua lingua lo vellicava con golosità. Il suo volto era trasfigurato dal piacere e dal desiderio. In un momento di lucidità mi resi conto di essere in una situazione abbastanza imbarazzante. Avevo lasciato la porta del pubblico senza mandata, sarebbe quindi potuto entrare chiunque e sorprendermi a guardare dal buco della serratura.
Mi allontanai facendo meno rumore possibile, richiusi la porta così come l'avevo trovata e mi avviai al mio successivo impegno.
Per tutto il percorso non facevo altro che ripensare alla scena che avevo visto. Mi chiedevo se si fossero limitati ad un pompino o se fossero andati oltre.
Immaginavo Erika piegata a novanta gradi, il busto sulla scrivania, i pantaloni abbassati a scoprire le sue sontuose natiche e Marcello da dietro a scoparla con forza, aggrappato ai suoi fianchi.
Le mie supposizioni erotiche furono interrotte dal dovere. Ero arrivato dall'utente che mi attendeva: Fabio, un trentacinquenne, paraplegico a seguito di un colpo di pistola, che dovevo accompagnare ad un ciclo di fisioterapia presso un centro attrezzato. Ero al primo appuntamento con quest'uomo. Avrei dovuto trasportarlo per una decina di appuntamenti a giorni alterni. Era in compagnia della moglie.
Li accompagnai al centro fisioterapico, dove li lasciai per poi passare a riprenderli dopo altri accompagnamenti di altri utenti.
Il giorno successivo incontrai Erika di sfuggita. Mi comportai come se non avessi visto nulla il giorno prima ma avevo estrema difficoltà nel dissimulare il mio imbarazzo. Per fortuna le giornate continuavano ad essere dense di richieste e mi consentivano di stare fuori per tutto il turno. Fu così per alcuni giorni ancora, poi arrivò un periodo di calma piatta che mi costrinse a passare, di nuovo, diverso tempo in ufficio e con Erika. Non riuscivo a guardarla senza ricordarla con quel grosso cazzo conficcato sino in gola e questo mi provocava un evidente turbamento che a lei non era sfuggito. Per evitarmi questi imbarazzi avevo preso l'abitudine di restare in ufficio solo l'indispensabile e quando accompagnavo Fabio alla fisioterapia, in mancanza di altri appuntamenti, restavo per le due ore di seduta ad aspettare nel parcheggio del centro, piuttosto che tornare in ufficio.
Fu nel corso di queste attese che ebbi l'occasione di entrare in confidenza con Rachele, la moglie di Fabio. Parlavamo molto e avevo notato che negli ultimi appuntamenti non si presentava più trasandata, come agli inizi, ma anzi esaltava la sua bellezza semplice e silenziosa con un filo di trucco e vestiti aggraziati. Era una donna dagli occhi tristi e dal sorriso malinconico. In quelle ore trascorse insieme ad aspettare che Fabio facesse i suoi esercizi di fisioterapia avevo guadagnato la sua confidenza e mi raccontò che suo marito, ferito da un colpo di pistola, probabilmente non avrebbe mai ripreso a camminare nè vi erano speranze che potesse ricominciare ad avere una vita sessuale. Per la cronaca era stato ferito durante un tentativo di rapina da un delinquente rimasto ignoto, ma lei aveva scoperto che il colpo era stato esploso dal marito di una donna con cui Fabio aveva una relazione adultera e che la storia della rapina era stata un'invenzione per non creare ulteriori scandali. La rabbia per il tradimento subito, tuttavia, non bastava a darle la forza per abbandonarlo.
Rachele era una bella donna, ma mi sentivo fuori luogo all'idea di poterla corteggiare approfittando della sua fragilità anche se non riuscivo a non desiderare d'esserle vicino e farla sentire protetta e coccolata ogni volta che mi fosse possibile, fosse anche per un abbraccio o per parole di conforto.
Il mio periodo di lavoro socialmente utile era, nel frattempo, arrivato agli sgoccioli. Per un paio di appuntamenti non mi era stato possibile fermarmi al centro di fisioterapia con Rachele a causa di alcune richieste di servizio accavallate. Quella mattina, quando, dopo aver accompagnato il marito nell'area palestra, uscii fuori in parcheggio per fumare e mi ritrovò ancora lì, in attesa, esternò tutta la sua gioia con un abbraccio che mi lasciò confuso. Mi disse che le ero mancato molto e, prima che io potessi abbozzare una qualsiasi risposta, mi baciò appassionatamente. Restai interdetto ed incapace di qualsiasi reazione, se non lasciarmi trasportare da quel bacio morbido e caldo che mi sembrò durare per un tempo infinito. Appena ci staccammo, la invitai a salire sull'automezzo e mi spostai in un luogo più defilato del parcheggio.
Restammo per tutto il tempo abbracciati, con la sua testa appoggiata sul mio petto, e di tanto in tanto scambiavamo baci densi e appassionati. Sapevamo che quello sarebbe stato l'ultimo incontro, ma non ci preoccupavamo di organizzare il modo futuro di ritrovarci. Era come implicito che in qualche modo ci saremmo rivisti. Fra carezze e baci giunse l'ora di recuperare Fabio dalla palestra. Fu difficile dissimulare, durante il tragitto verso casa, quella complicità che ormai univa me e Rachele. Ci salutammo con cordialità, come semplici conoscenti ma dentro bruciava la passione.
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scritto il
2016-12-28
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