Lavori Socialmente Utili (parte 2)
di
Nadim
genere
etero
Il giorno successivo fu il mio ultimo giorno di lavoro socialmente utile. Erika aveva assegnato tutti i servizi a Marcello mentre io restai in ufficio con lei per le relazioni di fine servizio. La guardavo mentre mi parlava e mi perdevo in fantasie erotiche. Ero distratto e pensieroso, perso fra lei e Rachele.
Ad un certo punto lei si spazientì per il mio atteggiamento e approfittò per recriminare anche sul mio comportamento degli ultimi giorni e i mancati rientri in ufficio nel corso dei servizi. Non avevo compiuto nulla di irregolare e mi sorprese che lei ne fosse risentita. Non riuscivo a capire. Provavo a ribattere con calma ma lei continuava ad insistere su questa mia presunta inadempienza. Arrivato al limite della pazienza, mi lasciai sfuggire che invece di rimproverarmi avrebbe dovuto ringraziarmi per averle lasciato campo libero per i suoi incontri clandestini con Marcello. Di fronte a questa affermazione divenne cerea e cominciò a balbettare e negare, ma troncai ogni velleità raccontandole l'episodio a cui avevo assistito.
Erika restò interdetta e senza parole, svuotata. Grosse lacrime di vergogna cominciarono a sgorgare dai suoi occhioni. Mi sentii in colpa. Non meritava quella umiliazione. Andai a chiudere la porta d'ingresso per evitare che qualcuno entrasse d'improvviso e poi mi avvicinai a lei. La abbracciai cercando di rassicurarla sul fatto che nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza di quell'episodio. Le asciugai le lacrime e aspettai che il suo respiro tornasse regolare, poi cominciai a parlarle con un tono di voce caldo e sicuro. Le confidai, senza remore, il mio desiderio di lei; il desiderio di accarezzarla, di baciarla, di assaporare la sua pelle, di sentire i suoi fremiti. Le raccontai del turbamento che avevo provato nel sorprenderla con Marcello e delle innumerevoli scene su cui avevo fantasticato. Le confessai i momenti di solitario piacere che mi ero regalato immaginando torridi amplessi fra me e lei.
Mi ascoltava silente e spaesata. Con un filo di voce mi chiese se quelle mie parole fossero un modo sofisticato per farle comprendere il prezzo del mio silenzio.
La interruppi posandole un dito sulle labbra umide e carnose. Poi, quello stesso dito lo portai sulle mie labbra saggiando il gusto salato della sua saliva mista alle lacrime e avvicinando la mia bocca al suo orecchio le sussurrai che non c'era alcun prezzo da pagare, perché non avrei mai accettato che il piacere del nostro averci fosse intorbidito dal peso di un ricatto. Le parlavo sfiorandole il lobo e la sentivo fremere. Le posai un bacio sulle labbra. In un primo momento incontrai la rigidità della sorpresa, poi le dischiuse lasciando che le nostre lingue si intrecciassero. Fu un bacio lungo e appassionato. Ci separammo a fatica. L'imbarazzo era palpabile nell'aria. Si allontanò per recarsi in bagno lasciandomi per diversi minuti in un silenzio denso e corposo.
Quando tornò aveva cancellato quasi tutti i segni delle lacrime sul suo viso a parte gli occhi ancora arrossati, e con la voce ancora increspata dalle emozioni mi disse che avrebbe concluso la relazione sul mio servizio nel suo ufficio da sola e che io avrei potuto allontanarmi e tornare a fine turno. Mi tornò in mente la ragazza algida e distante del primo giorno. Ma sapevo che aveva il fuoco dentro.
Erano passate poco più di due settimane dalla fine del mio impiego sociale. Mi sentivo ormai quotidianamente con Rachele e ci eravamo anche incontrati un paio di volte. Incontri fugaci segnati da baci ardenti e voraci. Rachele, nonostante tutto, non riusciva ad accettare l'idea di diventare un'adultera abbandonandosi alla nostra passione ed io non volevo forzarla nonostante la desiderassi tanto.
Ero a letto chiacchierando al telefono con Rachele, quella sera, quando durante la chiamata sentii il segnale di un messaggio ricevuto. La conversazione fu abbastanza lunga e quando ci salutammo mi lasciai rapire da Morfeo dimentico di quel messaggio ricevuto.
Lo aprii il mattino successivo, dopo colazione. Era di Erika. Imperativo e da blocco coronarico: "Desideri ancora avermi? Rispondi semplicemente Si, se lo vuoi. Se è no, resta in silenzio. Solo Si o silenzio. Nessuna altra parola per nessuna ragione".
Mi sentii tremolare nel timore che avesse già interpretato la mia mancata risposta, la notte prima, come il silenzio del rifiuto. Composi immediatamente il messaggio di risposta, tentato d'aggiungere qualche scusa o spiegazione per il ritardo ma poi optai per la semplicità che lei aveva richiesto.
Passò tutta la mattina senza che ricevessi un cenno di risposta ed anche buona parte del pomeriggio. Ormai temevo di aver perso l'occasione quando il telefono vibrò. Sul display solo un indirizzo ed un orario. Nulla più.
Feci velocemente doccia e barba, l'appuntamento era per circa un paio d'ore dopo, quindi mi avviai verso la città alla volta dell'indirizzo ricevuto. Il cuore mi batteva a mille. Il navigatore mi condusse in una zona residenziale di fronte al cancello di un residence con diversi palazzi. Suonai al citofono in corrispondenza del suo nome. Sentii il rumore di un clic che apriva il cancello e poi silenzio. Seguii le indicazioni del messaggio ed individuai il condominio ed il piano. Fra le diverse porte ve ne era una socchiusa. Per sicurezza lessi il nome sul campanello. Entrai. Le luci erano spente ad eccezioni di alcune lampade da tavolo che creavano una penombra sufficiente ad orientarsi. Ero confuso ed imbarazzato. Non mi sarei mai aspettato un'accoglienza simile. Seguii il percorso che in qualche modo era segnato dalla luce e dalle porte chiuse e arrivai in camera da letto. Avevo portato un mazzo di fiori come omaggio, ma mi cadde letteralmente dalle mani quando mi ritovai di fronte ad Erika. Seduta sul letto, di fronte la porta d'ingresso, con indosso solo un babydoll trasparente che svelava due seni enormi ma sodi, dalle grandi areole rosa e i capezzoli grossi e gia turgidi.
Senza dire una parola mi venne incontro e mi baciò. Sentivo la sua lingua entrarmi fra le labbra e intrecciarsi alla mia, mentre le sue mani armeggiavano con i miei vestiti. Era una donna corpulenta, ma le sue carni erano sode e la pelle tonica e liscia. Trasudava erotismo e sensualità. Lasciò le mie labbra dopo lunghi interminabili minuti e scivolò in ginocchio ai miei piedi. Era una scena che avevo già visto e immaginato, ma esserne diventato protagonista era un'emozione che travalicava ogni fantasia. La guardai slacciare i miei pantaloni ed imboccare il mio sesso già in tensione. Le sue labbra erano meavigliose e sapienti. Succhiava con maestria e la sua lingua tracciava arabeschi lungo tutta la lunghezza della mia carne dura, soffermandosi nei punti di maggior sensibilità senza mai distogliere il suo sguardo dal mio. Ero completamente perso nella sua sensualità. Mi spinse verso una sedia poco distante e si dispose di nuovo in ginocchio. Avvolse il mio cazzo con i suoi mastodontici seni e cominciò una lenta spagnola imboccando di tanto il tanto il glande che fuoriusciva dal solco. Ero in estasi e con estrema fatica la presi per i capelli fermandola. Avevo paura di godere così intensamente da non riuscire più a continuare dopo. Baciandola riuscii a farla arretrare fino al letto. Vi si distese di schiena ed io prontamente mi insinuai fra le sue gambe tornite. Il suo sesso era carnoso e completamente depilato. Rorido degli umori che erano colati in precedenza. Cominciai a leccarlo percorrendolo dal perineo sino al clitoride. La sentivo fremere di piacere mentre le sue mani tenevano la mia testa fra le gambe. Emise un lungo rantolo di piacere poi con un filo di voce mi chiese di scoparla. Fin da quel giorno in ufficio, una fantasia mi aveva ossessionato. La presi per mano e la condussi di fronte ad una consolle con specchiera. La piegai a 90 gradi. La guardai. Era come l'avevo sempre immaginata: le gambe tornite, le cosce tese, le natiche tonde e sode, sontuose. I seni prendevano corposi nel vuoto. La leccai ancora da dietro, soffermandomi sull'ano. Erika gemeva. Poi l'artigliai per i fianchi e con un colpo le fui dentro. Spingevo con forza, tenendo un ritmo serrato. Lo sciacquio dei suoi umori si mescolava ai suoi rantoli di piacere e al rumore dello sbattere del mio bacino sui suoi glutei. Mi incitava a sbatterla con sempre più forza. Ne guardavo il viso stravolto attraverso lo specchio. La passione l'aveva trasfigurata ed il suo linguaggio si era fatto crudo e diretto. Così diretto da chiedermi, senza perifrasi, d'incularla, mentre portava le mani ad allargare le natiche. Non le lasciai il tempo di ripeterlo. Uscii da lei e subito dopo aver fatto cadere un fiotto di saliva sul suo buchino le puntai il glande e cominciai a spingere. Affondai senza difficoltà. Evidentemente era una pratica che gradiva. Mi incitava a spingere con forza mentre con la mano si masturbava in figa. I suoi seni erano sballottati dagli urti. Godemmo insieme dopo diversi minuti di furiosa passione. Il suo orgasmo fu accompagnato dai fiotti del mio seme che si scaricavano nei suoi intestini. Ci ritrovammo subito dopo esausti distesi nel suo letto, senza parlare. Dopo diversi minuti passati a guardare il soffitto della stanza mi voltai a guardarla. Sembrava assopita. Forse aveva solo gli occhi chiusi, comunque appariva assente. Mi rivestii evitando di fare troppo rumore. Lei era sempre nella stessa posizione, il suo torace ed i suoi seni mossi da un respiro sereno e pacifico. Mi avvicinai e le posai un bacio leggero sulle labbra e quindi mi allontanai dall'appartamento.
Arrivato in macchina recuperai il cellulare che avevo lasciato in giacca senza suoneria. Nel tempo in cui ero stato con Erika, poco meno di un'ora, avevo ricevuto una chiamata e due messaggi. Guardai il registro chiamate e scoprii che Rachele mi aveva cercato. Poi andai sul registro messaggi. Uno era di Erika, inviato giusto pochi minuti prima e diceva soltanto: "meraviglioso". L'altro era di Rachele: "Mi manchi. Stasera avrei voluto fare l'amore con te".
Chiusi gli occhi e trattenni il respiro. Il cuore batteva forte.
Ad un certo punto lei si spazientì per il mio atteggiamento e approfittò per recriminare anche sul mio comportamento degli ultimi giorni e i mancati rientri in ufficio nel corso dei servizi. Non avevo compiuto nulla di irregolare e mi sorprese che lei ne fosse risentita. Non riuscivo a capire. Provavo a ribattere con calma ma lei continuava ad insistere su questa mia presunta inadempienza. Arrivato al limite della pazienza, mi lasciai sfuggire che invece di rimproverarmi avrebbe dovuto ringraziarmi per averle lasciato campo libero per i suoi incontri clandestini con Marcello. Di fronte a questa affermazione divenne cerea e cominciò a balbettare e negare, ma troncai ogni velleità raccontandole l'episodio a cui avevo assistito.
Erika restò interdetta e senza parole, svuotata. Grosse lacrime di vergogna cominciarono a sgorgare dai suoi occhioni. Mi sentii in colpa. Non meritava quella umiliazione. Andai a chiudere la porta d'ingresso per evitare che qualcuno entrasse d'improvviso e poi mi avvicinai a lei. La abbracciai cercando di rassicurarla sul fatto che nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza di quell'episodio. Le asciugai le lacrime e aspettai che il suo respiro tornasse regolare, poi cominciai a parlarle con un tono di voce caldo e sicuro. Le confidai, senza remore, il mio desiderio di lei; il desiderio di accarezzarla, di baciarla, di assaporare la sua pelle, di sentire i suoi fremiti. Le raccontai del turbamento che avevo provato nel sorprenderla con Marcello e delle innumerevoli scene su cui avevo fantasticato. Le confessai i momenti di solitario piacere che mi ero regalato immaginando torridi amplessi fra me e lei.
Mi ascoltava silente e spaesata. Con un filo di voce mi chiese se quelle mie parole fossero un modo sofisticato per farle comprendere il prezzo del mio silenzio.
La interruppi posandole un dito sulle labbra umide e carnose. Poi, quello stesso dito lo portai sulle mie labbra saggiando il gusto salato della sua saliva mista alle lacrime e avvicinando la mia bocca al suo orecchio le sussurrai che non c'era alcun prezzo da pagare, perché non avrei mai accettato che il piacere del nostro averci fosse intorbidito dal peso di un ricatto. Le parlavo sfiorandole il lobo e la sentivo fremere. Le posai un bacio sulle labbra. In un primo momento incontrai la rigidità della sorpresa, poi le dischiuse lasciando che le nostre lingue si intrecciassero. Fu un bacio lungo e appassionato. Ci separammo a fatica. L'imbarazzo era palpabile nell'aria. Si allontanò per recarsi in bagno lasciandomi per diversi minuti in un silenzio denso e corposo.
Quando tornò aveva cancellato quasi tutti i segni delle lacrime sul suo viso a parte gli occhi ancora arrossati, e con la voce ancora increspata dalle emozioni mi disse che avrebbe concluso la relazione sul mio servizio nel suo ufficio da sola e che io avrei potuto allontanarmi e tornare a fine turno. Mi tornò in mente la ragazza algida e distante del primo giorno. Ma sapevo che aveva il fuoco dentro.
Erano passate poco più di due settimane dalla fine del mio impiego sociale. Mi sentivo ormai quotidianamente con Rachele e ci eravamo anche incontrati un paio di volte. Incontri fugaci segnati da baci ardenti e voraci. Rachele, nonostante tutto, non riusciva ad accettare l'idea di diventare un'adultera abbandonandosi alla nostra passione ed io non volevo forzarla nonostante la desiderassi tanto.
Ero a letto chiacchierando al telefono con Rachele, quella sera, quando durante la chiamata sentii il segnale di un messaggio ricevuto. La conversazione fu abbastanza lunga e quando ci salutammo mi lasciai rapire da Morfeo dimentico di quel messaggio ricevuto.
Lo aprii il mattino successivo, dopo colazione. Era di Erika. Imperativo e da blocco coronarico: "Desideri ancora avermi? Rispondi semplicemente Si, se lo vuoi. Se è no, resta in silenzio. Solo Si o silenzio. Nessuna altra parola per nessuna ragione".
Mi sentii tremolare nel timore che avesse già interpretato la mia mancata risposta, la notte prima, come il silenzio del rifiuto. Composi immediatamente il messaggio di risposta, tentato d'aggiungere qualche scusa o spiegazione per il ritardo ma poi optai per la semplicità che lei aveva richiesto.
Passò tutta la mattina senza che ricevessi un cenno di risposta ed anche buona parte del pomeriggio. Ormai temevo di aver perso l'occasione quando il telefono vibrò. Sul display solo un indirizzo ed un orario. Nulla più.
Feci velocemente doccia e barba, l'appuntamento era per circa un paio d'ore dopo, quindi mi avviai verso la città alla volta dell'indirizzo ricevuto. Il cuore mi batteva a mille. Il navigatore mi condusse in una zona residenziale di fronte al cancello di un residence con diversi palazzi. Suonai al citofono in corrispondenza del suo nome. Sentii il rumore di un clic che apriva il cancello e poi silenzio. Seguii le indicazioni del messaggio ed individuai il condominio ed il piano. Fra le diverse porte ve ne era una socchiusa. Per sicurezza lessi il nome sul campanello. Entrai. Le luci erano spente ad eccezioni di alcune lampade da tavolo che creavano una penombra sufficiente ad orientarsi. Ero confuso ed imbarazzato. Non mi sarei mai aspettato un'accoglienza simile. Seguii il percorso che in qualche modo era segnato dalla luce e dalle porte chiuse e arrivai in camera da letto. Avevo portato un mazzo di fiori come omaggio, ma mi cadde letteralmente dalle mani quando mi ritovai di fronte ad Erika. Seduta sul letto, di fronte la porta d'ingresso, con indosso solo un babydoll trasparente che svelava due seni enormi ma sodi, dalle grandi areole rosa e i capezzoli grossi e gia turgidi.
Senza dire una parola mi venne incontro e mi baciò. Sentivo la sua lingua entrarmi fra le labbra e intrecciarsi alla mia, mentre le sue mani armeggiavano con i miei vestiti. Era una donna corpulenta, ma le sue carni erano sode e la pelle tonica e liscia. Trasudava erotismo e sensualità. Lasciò le mie labbra dopo lunghi interminabili minuti e scivolò in ginocchio ai miei piedi. Era una scena che avevo già visto e immaginato, ma esserne diventato protagonista era un'emozione che travalicava ogni fantasia. La guardai slacciare i miei pantaloni ed imboccare il mio sesso già in tensione. Le sue labbra erano meavigliose e sapienti. Succhiava con maestria e la sua lingua tracciava arabeschi lungo tutta la lunghezza della mia carne dura, soffermandosi nei punti di maggior sensibilità senza mai distogliere il suo sguardo dal mio. Ero completamente perso nella sua sensualità. Mi spinse verso una sedia poco distante e si dispose di nuovo in ginocchio. Avvolse il mio cazzo con i suoi mastodontici seni e cominciò una lenta spagnola imboccando di tanto il tanto il glande che fuoriusciva dal solco. Ero in estasi e con estrema fatica la presi per i capelli fermandola. Avevo paura di godere così intensamente da non riuscire più a continuare dopo. Baciandola riuscii a farla arretrare fino al letto. Vi si distese di schiena ed io prontamente mi insinuai fra le sue gambe tornite. Il suo sesso era carnoso e completamente depilato. Rorido degli umori che erano colati in precedenza. Cominciai a leccarlo percorrendolo dal perineo sino al clitoride. La sentivo fremere di piacere mentre le sue mani tenevano la mia testa fra le gambe. Emise un lungo rantolo di piacere poi con un filo di voce mi chiese di scoparla. Fin da quel giorno in ufficio, una fantasia mi aveva ossessionato. La presi per mano e la condussi di fronte ad una consolle con specchiera. La piegai a 90 gradi. La guardai. Era come l'avevo sempre immaginata: le gambe tornite, le cosce tese, le natiche tonde e sode, sontuose. I seni prendevano corposi nel vuoto. La leccai ancora da dietro, soffermandomi sull'ano. Erika gemeva. Poi l'artigliai per i fianchi e con un colpo le fui dentro. Spingevo con forza, tenendo un ritmo serrato. Lo sciacquio dei suoi umori si mescolava ai suoi rantoli di piacere e al rumore dello sbattere del mio bacino sui suoi glutei. Mi incitava a sbatterla con sempre più forza. Ne guardavo il viso stravolto attraverso lo specchio. La passione l'aveva trasfigurata ed il suo linguaggio si era fatto crudo e diretto. Così diretto da chiedermi, senza perifrasi, d'incularla, mentre portava le mani ad allargare le natiche. Non le lasciai il tempo di ripeterlo. Uscii da lei e subito dopo aver fatto cadere un fiotto di saliva sul suo buchino le puntai il glande e cominciai a spingere. Affondai senza difficoltà. Evidentemente era una pratica che gradiva. Mi incitava a spingere con forza mentre con la mano si masturbava in figa. I suoi seni erano sballottati dagli urti. Godemmo insieme dopo diversi minuti di furiosa passione. Il suo orgasmo fu accompagnato dai fiotti del mio seme che si scaricavano nei suoi intestini. Ci ritrovammo subito dopo esausti distesi nel suo letto, senza parlare. Dopo diversi minuti passati a guardare il soffitto della stanza mi voltai a guardarla. Sembrava assopita. Forse aveva solo gli occhi chiusi, comunque appariva assente. Mi rivestii evitando di fare troppo rumore. Lei era sempre nella stessa posizione, il suo torace ed i suoi seni mossi da un respiro sereno e pacifico. Mi avvicinai e le posai un bacio leggero sulle labbra e quindi mi allontanai dall'appartamento.
Arrivato in macchina recuperai il cellulare che avevo lasciato in giacca senza suoneria. Nel tempo in cui ero stato con Erika, poco meno di un'ora, avevo ricevuto una chiamata e due messaggi. Guardai il registro chiamate e scoprii che Rachele mi aveva cercato. Poi andai sul registro messaggi. Uno era di Erika, inviato giusto pochi minuti prima e diceva soltanto: "meraviglioso". L'altro era di Rachele: "Mi manchi. Stasera avrei voluto fare l'amore con te".
Chiusi gli occhi e trattenni il respiro. Il cuore batteva forte.
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