Per merito di Mario I
di
Nadim
genere
etero
Dopo anni di precariato, finalmente una proposta di stabilizzazione, ma il prezzo da pagare per quel "posto fisso" che coronava lunghi anni di sacrifici era il dovermi trasferire, probabilmente per sempre, a centinaia di km dalla città in cui ero nata e cresciuta. Un allontanamento che straziava il cuore se pensavo a familiari ed amici ma che giungeva salvifico perché mi consentiva un taglio netto con quello che sarebbe stato il mio futuro marito e che, giusto qualche settimana prima avevo sorpreso con il cazzo ben piantato nel culo di Anna, mia amica di infanzia e testimone di nozze designata.
Li avevo sorpresi seguendo il più banale dei cliché: un maestro che mi chiede dei dettagli di chiarimento su un lavoro che doveva effettuare in quella che sarebbe stata la nostra casa coniugale, io che decido di fare un sopralluogo per raccogliere le informazioni necessarie, la sorpresa di trovare parcheggiate lì vicino due auto a me note, l'ingresso in punta di piedi, dei gemiti che guidano i miei passi e la scena che ormai ti aspetti ma che cerchi di scacciare dai tuoi pensieri in tutti i modi possibili.
Anna appoggiata con i gomiti su uno scatolone e piegata a 90 gradi. Un vestitino aderente ripiegato maldestramente sulla vita a scoprire le sue natiche scolpite da anni di palestra e le belle gambe pregevolmente incorniciate da autoreggenti molto raffinate. Marco, il mio fidanzato, con i pantaloni alle caviglie che l'artigliava per i fianchi e la possedeva con colpi così poderosi da farla vacillare. Restai agghiacciata a guardarli di nascosto per un tempo che non saprei definire. Dai loro gemiti e mugugni capii che Marco la stava scopando nel culo e che entrambi ne godevano a morire.
Mi ero sempre negata alle richieste di Marco di praticare il rapporto anale. Ero convinta che fosse estremamente doloroso e poco piacevole.
Restai sconvolta dal godimento che, invece, Anna esprimeva.
Senza averne consapevolezza scoppiai in una crisi isterica di urla e di offese. I due amanti si accorsero della mia presenza e ciò che accadde in quel momento è storia che presumo possa essere facilmente immaginabile.
Come per compensazione, a fronteggiare il tracollo affettivo arrivò la proposta di assunzione da una prestigiosa clinica presso cui qualche anno prima avevo sostenuto una serie di colloqui ma nella graduatoria mi ero posizionata subito dopo i posti riservati all'assunzione.
Le prime settimane mi apppoggiai a casa di una lontana parente in attesa di una situazione abitativa più consona alle mie necessità, ma la ricerca non era facile. Nel frattempo socializzavo con le nuove colleghe e in particolare con Melissa che, spesso e volentieri mi coinvolgeva nelle serate con i suoi amici. Fu in una di quelle uscite che incontrai Giuseppe. Giuseppe era dichiaratemente omosessuale e questo particolare mi fece mettere da parte la naturale ostilità che ormai provavo verso il genere maschile. Avevamo conversato amabilmente per tutta la serata e gli confidai i vari insuccessi delle mie ricerche immobiliari e del disagio di convivere con la mia parente. Mentre mi ascoltava un sorriso prendeva forma sulle sue labbra ed una volta che ebbi terminato mi disse, con una sobria euforia, che il nostro incontro era un segno del destino: da li a pochi giorni sarebbe dovuto partire per un impegno lavorativo che l'avrebbe tenuto negli States per 6 mesi e ancora non aveva trovato una soluzione per la gestione della sua casa e soprattutto per la cura del suo adorato gatto. Senza esitazioni mi propose di trasferirmi a casa sua. Avrei abitato gratuitamente nel suo appartamento col solo impegno d'aver cura di Mario, il suo gatto siamese.
La proposta era allettante. Avrei potuto continuare con più serenità la mia ricerca di un appartamento ma allo stesso tempo avere una mia autonomia. Accettai con un senso di felicità che da tempo non provavo.
La casa di Giuseppe era situata in un quartiere residenziale un po' periferico. Avrei avuto la necessità di muovermi con i mezzi pubblici ma poteva valerne la pena.
Si trattava di un villino bifamiliare arricchito da un piccolo giardino. L'interno era arredato con sobrietà e buon gusto e Mario era una piccola peste che scorrazzava in lungo e in largo.
Il primo mese trascorse senza particolari eventi degni di nota. Da quando avevo rotto con Marco avevo anche accantonato il lato sessuale della mia femminilità. Non che fossero mancati i corteggiatori, anzi... Senza peccare di presunzione sono comunque una donna che attira sguardi e desideri, tuttavia ero rimasta segnata dal trauma e tenevo gli uomini a debita distanza. Era però successo che, una notte, rientrando da una serata con Melissa e i suoi amici la mia attenzione fu calamitata da alcuni gemiti che provenivano dalla camera da letto dei miei vicini. Capii che stavano scopando e provai un po' di invidia. I maschi attualmente mi nauseavano ma non avevo certo scordato il piacere del sesso. Archiviai quella sensazione con un sospiro e mi apprestavo a chiudermi la porta dietro quando restai raggelata dalla voce di lei, che roca e sensuale comandò in modo imperativo: "inculami!" Restai immobile ad attendere gli sviluppi. Non potevo vedere ma sentivo nitidamente. Lui appariva galvanizzato da questa richiesta e mentre la chiamava "porca vogliosa" gli impartiva indicazioni sulla posizione da assumere. Poi una serie di gemiti pregni di intenso godimento che ancora una volta mi sbattevano in faccia come quella pratica, che io avevo sempre rifiutato, fosse per gli altri una fonte di profondo piacere.
Mi infilai sotto le lenzuola con un pensiero fisso, il ricordo dei gemiti di Anna e della mia vicina mentre venivano sodomizzate. Si alternavano disgusto ed eccitazione e senza rendermeno conto le mie dita cominciarono a cercare e stimolare il mio clitoride. Mi stavo bagnando tantissimo. Le mie dita scivolavano sulle labbra della mia figa con facilità ed a tratti entravano dentro in profondità. Godevo intensamente di quel piacere solitario. I capezzoli si erano inturgiditi e sentivo gli umori scivolare lungo il perineo e bagnare la rosetta dell'ano. Mentre con una mano mi carezzavo i seni e titillavo i capezzoli, con l'altra scivolai verso la bruna rosetta. Cominciai a carezzarla con un dito e ad esercitare leggere pressioni. La sentivo cedevole. Intanto il cuore batteva forte, il respiro s'era fatto corto. Mi sentivo come travolta. Provai a spingere il dito con un po' più di decisione e nel momento in cui sentii la prima falange avvolta dai muscoli elastici del mio sfintere esplosi in un violentissimo orgasmo. Mi sentivo sconvolta. Tutte le volte che Marco aveva provato ad avvicinarsi al mio buchetto con lingua o dita mi ero irrigidita e innervosita. Ne provavo un fastidio immenso. Ed eccomi ora, invece, travolta da un piacere sconquassante per una punta di dito nel culo. Mi addormentai esausta.
Dormii fino a pomeriggio inoltrato di un sonno profondo e senza sogni. Per fortuna quel giorno avevo un turno di riposo. Fui svegliata da un frastuono proveniente dal salone: il pestifero Mario aveva fatto cadere un vaso che si era fracassato. C'erano cocci dappertutto. Li raccolsi con pazienza e aprii la porta per andare a riporli nel contenitore del vetro in giardino. Mario, con uno scatto felino sgusciò fra le mie gambe e si fiondò prima nel cortile e poi, con un salto atletico, al di là muretto proprio mentre una macchina attraversava la strada. Fu travolto senza che l'autista abbozzasse neanche un accenno di frenata, ed anzi proseguì la sua corsa accelerando. Mario era rimasto sull'asfalto agonizzante e sanguinante. Mi misi ad urlare e piangere con tutto il fiato che avevo in gola. Non sapevo che fare. Le mie urla richiamarono la vicina che, compresa la situazione, contattò un veterinario di sua conoscenza.
Il dottore arrivò relativamente presto e constatate le condizioni di Mario mi rassicurò dicendo che vi erano buone possibilità di salvarlo ma che doveva portarlo nel suo ambulatorio. Mi comunicò l'indirizzo a cui avrei potuto raggiungerlo ma gli spiegai che non avevo mezzi con cui muovermi. Mi propose allora di muovermi con lui.
Il tragitto fu lungo circa dieci minuti, tempo trascorso in un silenzio teso. Lo guardavo guidare, preciso e sicuro nonostante una velocità sostenuta su strade dense di traffico. La delicatezza con cui aveva approcciato Mario e gli aveva dispensato i primi soccorsi strideva rumorosamente con il suo aspetto. Capelli e barba poco curati, basso, piuttosto tarchiato e con una pancia alcolica abbastanza evidente. Non era certamente un bell'uomo. Mi chiedevo se davvero la vita di Mario fosse in buone mani. Giunti in ambulatorio mi comunicò che era necessario operare e mi chiese il consenso, che naturalmente non rifiutai. Mentre indossava la divisa operatoria mi avviai verso la sala d'attesa ma mi fermò consigliandomi di indirizzarmi verso il suo studio. Per la prima volta lo vidi sorridere, ma ebbi poco tempo per compiacermi perché realizzai che, nel trambusto, ero rimasta in pigiama. Avvampai di vergogna e con gli occhi bassi mi accomodai nella stanza che mi aveva indicato.
L'intervento durò poco più di mezz'ora. Il dottore entrò nello studio rassicurandomi sull'esito. Era molto ottimista nonostante si riservasse la notte per sciogliere la prognosi. Ora restava il problema di tornare a casa. L'idea di andarmene in giro in pigiama non era molto accattivante. Come se avesse sentito i miei pensieri il dottore si offrì, se avessi avuto la pazienza di attendere il tempo a lui necessario per somministrare le varie terapie agli animali in ricovero, di riaccompagnarmi a casa. Accettai con gratitudine. Il dottore non si poteva certo definire un grande conversatore, tuttavia durante il tragitto di ritorno riuscii a conoscere almeno il suo nome. Arrivati vicino casa, Luca, così si chiamava, mi porse un biglietto da visita con il suo numero e mi disse di chiamarlo l'indomani a mezza mattina per avere notizie di Mario. Mi rassicurò anche del fatto che sarebbe ripassato fra qualche ora dall'ambulatorio per un ulteriore giro di controllo. La giornata era stata densa e pregna di emozioni, mi sentivo esausta e andai subito a letto con mille pensieri che vagavano nella mente. Nonostante il suo aspetto e i suoi modi Luca mi aveva colpito. Aveva un certo carisma che mi attraeva.
Come da accordi il giorno dopo lo chiamai. Mi rassicurò sulle condizioni di Mario. Mi disse che era definitivamente fuori pericolo e che anche se si profilava una lunga convalescenza, sarebbe tornato la stessa peste sgambettante di prima. Aggiunse che preferiva comunque tenerlo un altro giorno in ambulatorio e che, se ero d'accordo, me l'avrebbe riportato a casa nel pomeriggio successivo. Accettai senza esitazioni. Il resto della giornata passò in modo anonimo e quella notte dormii di un sonno piacevolmente ristoratore.
Tornata da lavoro, valutai di avere ancora diverse ore prima dell'arrivo di Luca. Decisi di fare un bagno e prendermi cura di me stessa. Cullata dal tepore dell'acqua schiumosa mi abbandonai ad un momento di piacere. Le mie dita carezzavano il clitoride e affondavano fra le labbra dischiuse. Di tanto in tanto scendevano lungo il perineo, memori delle sensazioni di qualche sera prima, ed esercitavano leggere pressioni sul buchetto. Mi concentravo sulle sensazioni. Ne provavo piacere. Provai a forzare, ma una fitta di dolore mi fece desistere. Mi rendevo conto di aver rotto un tabù. Non potevo ancora affermare di provar piacere, ma avevo almeno superato il disgusto ed il rifiuto netto e ora galleggiavo in una specie di ambiguità. Tornai a concentrarmi sulla mia fighetta. Mi masturbavo penetrandomi con due dita. Dopo um lungo periodo di refrattarietà ricominciavo a sentire il desiderio di godere di un bel cazzo duro e possente. Ne immaginavo la consistenza da percorrere con la lingua, da sentire fra le labbra, da stringere fra le mani.
In quel momento l'avrei succhiato con passione e devozione, lentamente, scontornando ogni singolo fremito di quella carne torrida. Ne avrei gustato i sapori, annusato gli afrori, avrei sentito pulsarlo sotto le mie dita. Chiusi gli occhi continuando a masturbarmi e intorno a quel cazzo fantasticato cominciò a delinearsi il corpo di Luca. Mi sentii per un momento smarrita, avevo canoni di bellezza molto selettivi e mai avrei potuto pensare di eccitarmi in quel modo per un uomo che ne rappresentava l'estrema antitesi. Ma la realtà era quella: volevo essere scopata da Luca! Quello stesso Luca che sarebbe stato li fra meno di due ore.
Esplosi in un violento orgasmo nel momento in cui immaginai il suo cazzo forzare le labbra arrese della mia figa nello stesso istante in cui le nostre lingue si intrecciavano in un rovente bacio.
Avevo vissuto una sensazione così violenta da necessitare diversi minuti per riprendermi.
Li avevo sorpresi seguendo il più banale dei cliché: un maestro che mi chiede dei dettagli di chiarimento su un lavoro che doveva effettuare in quella che sarebbe stata la nostra casa coniugale, io che decido di fare un sopralluogo per raccogliere le informazioni necessarie, la sorpresa di trovare parcheggiate lì vicino due auto a me note, l'ingresso in punta di piedi, dei gemiti che guidano i miei passi e la scena che ormai ti aspetti ma che cerchi di scacciare dai tuoi pensieri in tutti i modi possibili.
Anna appoggiata con i gomiti su uno scatolone e piegata a 90 gradi. Un vestitino aderente ripiegato maldestramente sulla vita a scoprire le sue natiche scolpite da anni di palestra e le belle gambe pregevolmente incorniciate da autoreggenti molto raffinate. Marco, il mio fidanzato, con i pantaloni alle caviglie che l'artigliava per i fianchi e la possedeva con colpi così poderosi da farla vacillare. Restai agghiacciata a guardarli di nascosto per un tempo che non saprei definire. Dai loro gemiti e mugugni capii che Marco la stava scopando nel culo e che entrambi ne godevano a morire.
Mi ero sempre negata alle richieste di Marco di praticare il rapporto anale. Ero convinta che fosse estremamente doloroso e poco piacevole.
Restai sconvolta dal godimento che, invece, Anna esprimeva.
Senza averne consapevolezza scoppiai in una crisi isterica di urla e di offese. I due amanti si accorsero della mia presenza e ciò che accadde in quel momento è storia che presumo possa essere facilmente immaginabile.
Come per compensazione, a fronteggiare il tracollo affettivo arrivò la proposta di assunzione da una prestigiosa clinica presso cui qualche anno prima avevo sostenuto una serie di colloqui ma nella graduatoria mi ero posizionata subito dopo i posti riservati all'assunzione.
Le prime settimane mi apppoggiai a casa di una lontana parente in attesa di una situazione abitativa più consona alle mie necessità, ma la ricerca non era facile. Nel frattempo socializzavo con le nuove colleghe e in particolare con Melissa che, spesso e volentieri mi coinvolgeva nelle serate con i suoi amici. Fu in una di quelle uscite che incontrai Giuseppe. Giuseppe era dichiaratemente omosessuale e questo particolare mi fece mettere da parte la naturale ostilità che ormai provavo verso il genere maschile. Avevamo conversato amabilmente per tutta la serata e gli confidai i vari insuccessi delle mie ricerche immobiliari e del disagio di convivere con la mia parente. Mentre mi ascoltava un sorriso prendeva forma sulle sue labbra ed una volta che ebbi terminato mi disse, con una sobria euforia, che il nostro incontro era un segno del destino: da li a pochi giorni sarebbe dovuto partire per un impegno lavorativo che l'avrebbe tenuto negli States per 6 mesi e ancora non aveva trovato una soluzione per la gestione della sua casa e soprattutto per la cura del suo adorato gatto. Senza esitazioni mi propose di trasferirmi a casa sua. Avrei abitato gratuitamente nel suo appartamento col solo impegno d'aver cura di Mario, il suo gatto siamese.
La proposta era allettante. Avrei potuto continuare con più serenità la mia ricerca di un appartamento ma allo stesso tempo avere una mia autonomia. Accettai con un senso di felicità che da tempo non provavo.
La casa di Giuseppe era situata in un quartiere residenziale un po' periferico. Avrei avuto la necessità di muovermi con i mezzi pubblici ma poteva valerne la pena.
Si trattava di un villino bifamiliare arricchito da un piccolo giardino. L'interno era arredato con sobrietà e buon gusto e Mario era una piccola peste che scorrazzava in lungo e in largo.
Il primo mese trascorse senza particolari eventi degni di nota. Da quando avevo rotto con Marco avevo anche accantonato il lato sessuale della mia femminilità. Non che fossero mancati i corteggiatori, anzi... Senza peccare di presunzione sono comunque una donna che attira sguardi e desideri, tuttavia ero rimasta segnata dal trauma e tenevo gli uomini a debita distanza. Era però successo che, una notte, rientrando da una serata con Melissa e i suoi amici la mia attenzione fu calamitata da alcuni gemiti che provenivano dalla camera da letto dei miei vicini. Capii che stavano scopando e provai un po' di invidia. I maschi attualmente mi nauseavano ma non avevo certo scordato il piacere del sesso. Archiviai quella sensazione con un sospiro e mi apprestavo a chiudermi la porta dietro quando restai raggelata dalla voce di lei, che roca e sensuale comandò in modo imperativo: "inculami!" Restai immobile ad attendere gli sviluppi. Non potevo vedere ma sentivo nitidamente. Lui appariva galvanizzato da questa richiesta e mentre la chiamava "porca vogliosa" gli impartiva indicazioni sulla posizione da assumere. Poi una serie di gemiti pregni di intenso godimento che ancora una volta mi sbattevano in faccia come quella pratica, che io avevo sempre rifiutato, fosse per gli altri una fonte di profondo piacere.
Mi infilai sotto le lenzuola con un pensiero fisso, il ricordo dei gemiti di Anna e della mia vicina mentre venivano sodomizzate. Si alternavano disgusto ed eccitazione e senza rendermeno conto le mie dita cominciarono a cercare e stimolare il mio clitoride. Mi stavo bagnando tantissimo. Le mie dita scivolavano sulle labbra della mia figa con facilità ed a tratti entravano dentro in profondità. Godevo intensamente di quel piacere solitario. I capezzoli si erano inturgiditi e sentivo gli umori scivolare lungo il perineo e bagnare la rosetta dell'ano. Mentre con una mano mi carezzavo i seni e titillavo i capezzoli, con l'altra scivolai verso la bruna rosetta. Cominciai a carezzarla con un dito e ad esercitare leggere pressioni. La sentivo cedevole. Intanto il cuore batteva forte, il respiro s'era fatto corto. Mi sentivo come travolta. Provai a spingere il dito con un po' più di decisione e nel momento in cui sentii la prima falange avvolta dai muscoli elastici del mio sfintere esplosi in un violentissimo orgasmo. Mi sentivo sconvolta. Tutte le volte che Marco aveva provato ad avvicinarsi al mio buchetto con lingua o dita mi ero irrigidita e innervosita. Ne provavo un fastidio immenso. Ed eccomi ora, invece, travolta da un piacere sconquassante per una punta di dito nel culo. Mi addormentai esausta.
Dormii fino a pomeriggio inoltrato di un sonno profondo e senza sogni. Per fortuna quel giorno avevo un turno di riposo. Fui svegliata da un frastuono proveniente dal salone: il pestifero Mario aveva fatto cadere un vaso che si era fracassato. C'erano cocci dappertutto. Li raccolsi con pazienza e aprii la porta per andare a riporli nel contenitore del vetro in giardino. Mario, con uno scatto felino sgusciò fra le mie gambe e si fiondò prima nel cortile e poi, con un salto atletico, al di là muretto proprio mentre una macchina attraversava la strada. Fu travolto senza che l'autista abbozzasse neanche un accenno di frenata, ed anzi proseguì la sua corsa accelerando. Mario era rimasto sull'asfalto agonizzante e sanguinante. Mi misi ad urlare e piangere con tutto il fiato che avevo in gola. Non sapevo che fare. Le mie urla richiamarono la vicina che, compresa la situazione, contattò un veterinario di sua conoscenza.
Il dottore arrivò relativamente presto e constatate le condizioni di Mario mi rassicurò dicendo che vi erano buone possibilità di salvarlo ma che doveva portarlo nel suo ambulatorio. Mi comunicò l'indirizzo a cui avrei potuto raggiungerlo ma gli spiegai che non avevo mezzi con cui muovermi. Mi propose allora di muovermi con lui.
Il tragitto fu lungo circa dieci minuti, tempo trascorso in un silenzio teso. Lo guardavo guidare, preciso e sicuro nonostante una velocità sostenuta su strade dense di traffico. La delicatezza con cui aveva approcciato Mario e gli aveva dispensato i primi soccorsi strideva rumorosamente con il suo aspetto. Capelli e barba poco curati, basso, piuttosto tarchiato e con una pancia alcolica abbastanza evidente. Non era certamente un bell'uomo. Mi chiedevo se davvero la vita di Mario fosse in buone mani. Giunti in ambulatorio mi comunicò che era necessario operare e mi chiese il consenso, che naturalmente non rifiutai. Mentre indossava la divisa operatoria mi avviai verso la sala d'attesa ma mi fermò consigliandomi di indirizzarmi verso il suo studio. Per la prima volta lo vidi sorridere, ma ebbi poco tempo per compiacermi perché realizzai che, nel trambusto, ero rimasta in pigiama. Avvampai di vergogna e con gli occhi bassi mi accomodai nella stanza che mi aveva indicato.
L'intervento durò poco più di mezz'ora. Il dottore entrò nello studio rassicurandomi sull'esito. Era molto ottimista nonostante si riservasse la notte per sciogliere la prognosi. Ora restava il problema di tornare a casa. L'idea di andarmene in giro in pigiama non era molto accattivante. Come se avesse sentito i miei pensieri il dottore si offrì, se avessi avuto la pazienza di attendere il tempo a lui necessario per somministrare le varie terapie agli animali in ricovero, di riaccompagnarmi a casa. Accettai con gratitudine. Il dottore non si poteva certo definire un grande conversatore, tuttavia durante il tragitto di ritorno riuscii a conoscere almeno il suo nome. Arrivati vicino casa, Luca, così si chiamava, mi porse un biglietto da visita con il suo numero e mi disse di chiamarlo l'indomani a mezza mattina per avere notizie di Mario. Mi rassicurò anche del fatto che sarebbe ripassato fra qualche ora dall'ambulatorio per un ulteriore giro di controllo. La giornata era stata densa e pregna di emozioni, mi sentivo esausta e andai subito a letto con mille pensieri che vagavano nella mente. Nonostante il suo aspetto e i suoi modi Luca mi aveva colpito. Aveva un certo carisma che mi attraeva.
Come da accordi il giorno dopo lo chiamai. Mi rassicurò sulle condizioni di Mario. Mi disse che era definitivamente fuori pericolo e che anche se si profilava una lunga convalescenza, sarebbe tornato la stessa peste sgambettante di prima. Aggiunse che preferiva comunque tenerlo un altro giorno in ambulatorio e che, se ero d'accordo, me l'avrebbe riportato a casa nel pomeriggio successivo. Accettai senza esitazioni. Il resto della giornata passò in modo anonimo e quella notte dormii di un sonno piacevolmente ristoratore.
Tornata da lavoro, valutai di avere ancora diverse ore prima dell'arrivo di Luca. Decisi di fare un bagno e prendermi cura di me stessa. Cullata dal tepore dell'acqua schiumosa mi abbandonai ad un momento di piacere. Le mie dita carezzavano il clitoride e affondavano fra le labbra dischiuse. Di tanto in tanto scendevano lungo il perineo, memori delle sensazioni di qualche sera prima, ed esercitavano leggere pressioni sul buchetto. Mi concentravo sulle sensazioni. Ne provavo piacere. Provai a forzare, ma una fitta di dolore mi fece desistere. Mi rendevo conto di aver rotto un tabù. Non potevo ancora affermare di provar piacere, ma avevo almeno superato il disgusto ed il rifiuto netto e ora galleggiavo in una specie di ambiguità. Tornai a concentrarmi sulla mia fighetta. Mi masturbavo penetrandomi con due dita. Dopo um lungo periodo di refrattarietà ricominciavo a sentire il desiderio di godere di un bel cazzo duro e possente. Ne immaginavo la consistenza da percorrere con la lingua, da sentire fra le labbra, da stringere fra le mani.
In quel momento l'avrei succhiato con passione e devozione, lentamente, scontornando ogni singolo fremito di quella carne torrida. Ne avrei gustato i sapori, annusato gli afrori, avrei sentito pulsarlo sotto le mie dita. Chiusi gli occhi continuando a masturbarmi e intorno a quel cazzo fantasticato cominciò a delinearsi il corpo di Luca. Mi sentii per un momento smarrita, avevo canoni di bellezza molto selettivi e mai avrei potuto pensare di eccitarmi in quel modo per un uomo che ne rappresentava l'estrema antitesi. Ma la realtà era quella: volevo essere scopata da Luca! Quello stesso Luca che sarebbe stato li fra meno di due ore.
Esplosi in un violento orgasmo nel momento in cui immaginai il suo cazzo forzare le labbra arrese della mia figa nello stesso istante in cui le nostre lingue si intrecciavano in un rovente bacio.
Avevo vissuto una sensazione così violenta da necessitare diversi minuti per riprendermi.
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