Attente al Lupo (cattivissimo)
di
Pat & Co
genere
pulp
Sono incazzato come una biscia.
Sì, lo so: non si direbbe a guardarmi, ma io non sono uno che da a vedere le sue emozioni. Non sono come quella troia che mi hanno mandato a coprire e che si è rivelata - esattamente come tutte le donne tranne mia figlia ma comprese mia madre e mia moglie – una che ragiona con il cervello fra le gambe… E poi dicono di noi uomini!
Ma si può: il lavoro doveva essere tranquillo, di tutto riposo... Un primo contatto con la fonte, uno scambio di indirizzi mail e numeri di telefono, la conversazione casuale in un luogo aperto e tranquillo, e il lavoro sarebbe finito lì. Ce ne fossero, di lavori così!
E invece no, maledetta puttana con più ormoni che neuroni. Lei doveva anche farsi la sua bella scopata pericolosa… E per di più coinvolgendo anche la fonte pregiata.
Quando le ho viste uscire dal locale con quei tre sfigati non ci potevo credere. Ho pensato: adesso si fanno due chiacchiere al fresco, magari una sigaretta, e poi li scaricano…
No: si sono fatte portare in uno scannatoio del cazzo, e lì si sono fatte sbattere come due ragazzine in fregola e senza nessun giudizio.
E io fuori, a fare la muffa un’altra volta.
La mia collega deve essere una di quelle che devono per forza rischiare, altrimenti non si eccitano: assuefazione da adrenalina, come tanti colleghi che conosco… Ma almeno quelli rischiano per conto proprio.
Scommetto che è una che non prende neanche la pillola perché la eccita l’idea di restarci con uno sconosciuto…
E quell’altra? Mi risultava una con la testa fra le spalle: una donna seria, un’accademica… Sposata e innamorata del marito. Che schifo.
Ho fatto bene a liberarmi di quella troia di mia moglie.
Come se non bastasse, mi tocca anche guidare questa ridicola Yaris in affitto… La mia BMW è rimasta in garage dall’altra parte dell’Adriatico, ed eccomi qui a scarrozzare sulle curve strette e sull’asfalto di merda di questa stradina, cercando di stare appresso a un furgone scassato che scorreggia fumo nero a ogni salita cercando di non farmi notare.
Mica facile, a quest’ora antelucana: non c’è nessuno in giro.
Vabbè, finalmente si fermano.
Un casolare isolato come cento altri, a metà strada da Podgorica. Niente muro di cinta, solo una siepe e un prato incolto fra la strada e l’edificio malandato.
Faccio gli ultimi duecento metri a piedi, in salita; e questo non migliora il mio umore.
OK, ci sono… Cominciamo.
Vediamo chi c'è all'ingresso... Nessuno.
Ho a che fare dilettanti? Mi viene il dubbio che i "cattivi" non siano i professionisti previsti nel rapporto pre-missione, quindi propendo per l'ipotesi che siano dei delinquenti di mezza tacca: schiuma locale che su commissione fa i lavori bagnati per altri.
Giustamente il lavoro annoia , e loro si prendono un pochino di svago no?
Ho la pistola, ma un solo caricatore di riserva. Fortunatamente ho con me anche il mio bastone da passeggio.
Troppe persone , ne ho contate cinque. Probabilmente c’è anche qualcun’altro nella casa: non credo fossero tutti fuori per prendere le due troie.
Concentriamoci, ho un solo gettone.
I balordi del posto sono dilettanti, ma se dentro ci sono anche i committenti, il lavoro rischia di essere più complesso: meglio non rischiare.
Niente finestre illuminate.
Forse non sono tanto sprovveduti… Devono essere nello scantinato. Il che, per me, presenta anche qualche vantaggio: è più facile spiare attraverso le bocche di lupo che dalle finestre dei piani alti.
Scivolo nel cortile e mi accoccolo sottomuro, nascosto nell’oombra. Poi comincio a muovermi lungo il perimetro e a scandagliare le finestrelle sudice del seminterrato.
Niente… Niente… Dietro l’angolo una luce tenue.
Una lama di luce sfugge dalla bocca di lupo; voci roche e commenti aspri sfuggono dalla finestrella socchiusa.
Tonfi.
Ci deve essere della carne che viene sbattuta a dovere, là dentro…
Sento commenti ad alta voce in una lingua che non capisco, misti a gemiti femminili; poi uno schiaffo, un altro schiaffo. Un sogghigno maschile.
Mi affaccio con un filo d'occhio sul lucernaio e sbircio dentro attraverso il vetro sudicio.
La Visentin è appesa come un salame al soffitto, nuda.
E’ normale spogliare i prigionieri prima dell’interrogatorio: li pone in posizione di inferiorità, umiliandoli.
Nel caso della mia collega ammetto che le motivazioni di chi l’ha denudata potrebbero anche essere altre… Sarà pure negli “-anta” e con una faccia da troia che non ingannerebbe nessuno, ma di corpo si mantiene davvero in forma: alta, senza un filo di grasso e muscolosa quasi come una body builder… Decisamente un tipo androgino: se ricordo bene il rapporto, oltre a essere una ciucciacazzi, ha anche un debole per le femminucce…
Ma se sperava di finire la sua notte brava a letto con la sua nuova amichetta, stavolta le è andata male.
La tipa di Belgrado non la vedo bene, ma direi che è nuda anche lei; però sta su un materasso sudicio buttato in un angolo, con tre o quattro maschi sopra che se la stanno facendo di brutto.
Il fatto che non le abbiano fatte fuori immediatamente all’inizio mi aveva un po’ sorpreso, ma adesso ho la conferma del mio sospetto: si tratta di teppaglia del posto, giovinastri con il cervello fra le gambe esattamente come la Visentin.
Sono arrabbiatissimo con lei, lo noto dal mio vocabolario da camallo: in questo momento vorrei prendere a schiaffi la mia collega con la carriera al brusco termine…
E lo farò se ne usciamo vivi.
Però forse il suo essere una troia sfrontata per il momento le ha salvato la pelle, a lei e alla sua sprovveduta amichetta: i cattivi vogliono tutti partecipare alla loro festa, e questo mi dà un po’ di tempo.
Torno a osservare la situazione: Patrizia è appesa per le braccia, con i piedi a pochi centimetri da terra. Non è bendata, il che basta a togliere ogni dubbio sulle intenzioni dei suoi rapitori: quando avranno finito anche con lei, rimarrà loro solo da smaltire il suo cadavere.
I suoi abiti da motociclista sono ammucchiati a terra poco più in là, e lei ha un labbro spaccato; ma per il resto non sembra messa troppo male, per adesso.
La lascio lì appesa come un salame e guardo dall’altra parte: i maschi sono in quattro, tutti ammucchiati sopra la signora di Belgrado (…come si chiama? Ah, già: Jelena). Di lei vedo solo le gambe che si dimenano inutilmente, il resto è sotto il mucchio che agita sopra di lei: immagino che la sua notte brava se la ricorderà per un pezzo.
L’unica porta della stanza è chiusa: impossibile sapere cosa ci sia oltre.
Lascio la mia collega appesa a stagionare e la sua amica a divertirsi con i suoi rapitori, e proseguo la ricognizione intorno al perimetro della casa.
I resto del seminterrato è al buio, ma sul retro vedo una luce tenue provenire da una camera al primo piano; probabilmente ho ragione, e lì dentro c’è anche qualcun’altro.
Studiamo la situazione: ci deve essere un'alternativa all'entrare sparando come a capodanno; una che mi lasci la possibilità di tornarmene a casa alle mie orchidee e ai miei aeroplanini senza lasciare la pelle in questo buco.
Finisco il giro della casa, e mi ritrovo dietro il muretto che delimita un terrazzo piuttosto grande davanti all’ingresso.
Adesso la porta è aperta, e nel fresco della notte distinguo un debole lucore.
Una figura maschile sta fumando una sigaretta osservando verso la porta aperta da cui provengono i tonfi e i gemiti provenienti dal seminterrato.
Forse il tipo aspetta il suo turno… O magari non gli piacciono le donne.
Lontano per colpirlo… La pistola è rumorosa e anche un po’ pericolosa (saranno venti metri, ed è buio) ma io ho il vantaggio della terza età.
Nel mio bastone da passeggio ho una cerbottana e dei dardi intinti nel Cianuro di potassio; la migliore arma è quella che non sembra tale, penso una volta di più.
Tolgo il tappo di gomma e svito il manico, poi prendo la mira.
Il bersaglio è davvero in una pessima luce ed il primo dardo non va a segno. Ma non se ne accorge nessuno, tantomeno il bersaglio che continua a fumare come un coglione.
Mi calmo, respiro a fondo, e riprovo.
Un sibilo, e il coglione sussulta. La sua mano va verso il collo e colpisce una zanzara da 8 cm di lunghezza.
Il mio maccabeo vorrebbe dire qualcosa, avvertire gli altri, magari imprecare contro la sua morte, ma non può: l'asfissia dei centri nervosi è istantanea, e lui non può nemmeno ansimare prima di morire...
Scivola a terra e rimane immobile.
Un cattivo di meno, ma ce ne sono altri: quelli sopra le due vittime, e chiunque altro si nasconda dietro la porta dove sono prigioniere.
Più l’eventuale occupante del piano superiore.
Mi piazzo dietro la porta con la cerbottana, come un teppista cinquantenne; pazientemente aspetto un'occasione propizia.
Nessuno.
Mi faccio coraggio e entro.
L’atrio è stretto e deserto. Un corridoio porta alla sala immersa nel buio. A destra, una scala sale verso il piano superiore, e un’altra scende verso lo scantinato. A sinistra una porticina nasconde un cesso puzzolente.
Guardo a destra, niente. Guardo a sinistra… Cazzo, potevano almeno tirare lo sciacquone!
Che lavoro di merda…
Scendo verso lo scantinato e mi trovo in un ballatoio umido.
Penso di mettere dai due ai tre millenni per arrivare alla prima porta, ancora nessuno. Sarebbe un problema se qualche idiota apparisse nel corridoio, il rimbombo della pistola toglierebbe ogni speranza alle due donne e soprattutto ridurrebbe drasticamente la mia aspettativa di vita.
Voci. Ancora il tonfo dei corpi sbattuti, ma anche un sonoro ceffone.
Una porta è semichiusa, e vedo le ombre che si dimenano.
Sbircio all’interno, e ho la conferma di aver trovato la prigione di Jelena e Patrizia.
Per ora vedo pistole appoggiate sui mobili; sul materasso le mani di tutti e sono piene di culi e tette, mi ripeto che se vedessi stringere un collo avrei il tempo di vuotare il caricatore addosso a questi quattro deficienti che si dimenano addosso a Jelena...
Mi correggo tre deficienti ed "una" deficiente: una dell'ex quintetto è una donna.
Ai tempi del SAS i cattivi li chiamavamo dickers: cazzari. Così per un momento mi domando se questa si potrebbe chiamare cuntress: ficara...
Non dovrei sogghignare, lo so; ma il gioco di parole mi affascina. Va bene, ho divagato per un piacevole secondo, ora torno a concentrarmi.
La donna ; non troppo giovane, ma cattiva e determinata: lo vedo come sta torcendo i capezzoli di Patrizia.
Posso capirla: la mia collega ninfomane sarà piatta come una tavola e altrettanto legnosa, ma ha i capezzoli più scuri, lunghi e grossi che abbia mai visto. Un vero invito alla tortura, per qualunque carnefice degno del suo nome.
La tipa deve essere l’elemento “professionista” del gruppo: infatti sembra più interessata a estorcere informazioni che a sfogare i suoi istinti. Magari proprio perché è una donna e evidentemente non ha gusti raffinati come la sua vittima…
Da come si muove sembra il capo del gruppo e da come ringhia domande ed ordini non deve essere molto contenta.
Ignora completamente gli scimmioni pelosi e seminudi che si dimenano addosso a Jelena: la sua attenzione è tutta concentrata su Patrizia.
Parla un inglese decente, ma il suo accento la tradisce.
Russa.
Stringe un capezzolo di Patrizia fra le nocche: lo torce e lo tira con forza.
Patrizia urla di dolore.
Il protocollo di sicurezza è chiaro: "se" vieni preso, non trattenerti: CANTA! Hai mille storie di copertura da raccontare per tenerli occupati o sviarli; non farti torturare inutilmente, racconta tutto quello che vogliono e resta vivo/a… Ma evidentemente questa lezione Patrizia non l'ha capita, oppure qualcosa l’ha indisposta al punto di reagire, e deve aver reagito al punto che la sua carnefice mi sembra arrabbiata oltre il lecito per una professionista.
Rimango del mio parere: questo non è un lavoro per donne…
Patrizia ansima, sempre appesa per i polsi al soffitto. L’incavo sotto le ascelle, scavato dai muscoli da atleta, lascia vedere le vene gonfie per lo sforzo.
Sul materasso lo stupro in massa della povera Jelena prosegue, intervallato dal semplice rotare degli energumeni da un buco all’altro.
La tipa cattiva fa un gesto stizzito, e uno dei quattro si alza e la raggiunge.
Non capisco bene il russo, ma ho qualche nozione in più di serbo-croato dai tempi della guerra in Bosnia, e l’ordine che il delinquente riceve è abbastanza chiaro.
Si porta alle spalle di Patrizia, le caccia due dita nel culo e poi la impala da dietro con il cazzo ancora lubrificato dagli umori vaginali di Jelena.
Patrizia urla di dolore.
Mentre l’energumeno nudo e sudato sodomizza la prigioniera, la russa riprende a torturarle i capezzoli.
Il volto di Pat è stravolto dal dolore, vedo gli occhi grigi pieni di lacrime, e non posso fare a meno di pensare che se l’è cercata.
La russa l’insulta, degradandola mentre viene stuprata contro natura dal suo scagnozzo.
- Puttana, troia… Hai un buco del culo bello largo, cos’è, ti piacciono i cazzi dei negri, come a tutte le occidentali, brutta troia italiana? Quando avremo finito con te, ti caccerò la pistola in quella fogna che hai al posto della fica e ti riempirò la pancia di piombo… Poi manderò le foto alla tua amichetta sulla barca, prima di andare a consolare anche lei…
Pat prova a rispondere, ma uno schiaffo la zittisce proditoriamente, e il labbro già sanguinante si spacca del tutto.
Pat mi sorprende: sorride, si lecca la ferita… - Ancora…
Il tizio che la sta ingroppando da dietro sogghigna di approvazione: probabilmente non gli è mai capita una troia con così tanto carattere, ma la donna che l’ha schiaffeggiata non approva e gli ringhia contro come una jena.
Per lei, la prigioniera dovrebbe essere impaurita, docile, Tutt'altro.
Vedo che il tipo che la sta inculando ha una mano arrossata, sanguinante... Non mi sorprende che abbiano deciso di sollazzarsi con Jelena e di lasciare Pat alla loro superiore. Saggiamente nessuno del gruppo deve aver tentato nemmeno un rapporto orale; anche legata come un salame, con il suo carattere devono averla considerata troppo pericolosa per rischire i loro attributi.
La osservo rapito per un attimo: sembra quasi che stia provando piacere nell’essere seviziata.
Una vera pervertita, ecco quello che è. Una mina vagante, ninfomane e pericolosa… Affascinante.
Una collega dominata dalle sue passioni, schiava dei sensi.
Indomabile. Affascinante e pericolosa come una pantera.
Diversa , molto diversa è la sua amichetta: lei sta subendo, piange; non era preparata per un fine serata del genere, e i tre animali che la stanno coprendo non lesinano contumelie e schiaffoni, abusando di lei e umiliandola senza pietà.
Ha i capelli scarmigliati ed imbrattati; il trucco slavato dalle lacrime, dal sudore e da… altro.
La situazione tattica è complessa, e mi domando quando noteranno l'assenza del fumatore alla terrazza e decideranno di andarlo a cercare.
Per assurdo, a parte le parti intime le due donne non sembrano in pericolo immediato: se entrassi in scena troppo bruscamente, diverse cose potrebbero andare storte e di quattro, almeno uno di questi cazzari potrebbe arrivare ad un'arma.
Decido di assicurarmi le spalle prima di intervenire.
Controllo le altre porte del seminterrato.
In una trovo due corpi senza vita. Alla luce del telefonino, riconosco i due italiani dell’orgia… Decisamente, scoparsi quelle due non è stata una buona idea per quei due deficenti.
Mi chiedo dove sia il terzo, quello del posto.
Che sia…
Devo accertarmi.
Risalgo le scale: non credo che nessuno del gruppo impegnato nella festicciola si congederà molto presto.
Il pianterreno è sempre deserto.
Al piano superiore però sento delle voci.
Due.
La porta è appena accostata: dentro c’è una spece di studio, con una luce da tavolo accesa. Le tende tirate attenuano l’effetto e comunque la finestra da sul retro… E’ la luce che avevo visto da fuori.
Sbircio dentro e vedo i due che parlano.
La discussione è in serbo, non in russo; anche se uno dei due lo parla male.
Guardo meglio. Uno è il tipo con la barba del locale notturno: quello che si è fatto Pat. Evidentemente, a differenza dei due vitelloni sprovveduti lui è stato risparmiato.
Chissà perché…
L’altro, seduto sulla sponda del letto, è russo, riconosco l’accento. Il collega della tipa di sotto.
Ha una fondina ascellare, e lo categorizzo subito come il più pericoloso di tutti.
Quella fondina è la sua condanna a morte.
Ho ancora due frecce nella cerbottana. Prendo la mira con calma: questa volta è facile: saranno cinque metri, e la luce è buona.
Lo prendo esattamente alla base della gola.
Il russo si blocca a metà frase: s’irrogidisce, annaspa… E si affloscia sul pavimento come uno straccio.
Il barba non si rende conto di cosa sia successo.
Rimane immobile, come imbambolato, a guardare il suo interlocutore stecchito sul pavimento di legno.
Spalanco la porta e gli piombo addosso con la pistola in pugno.
Non ho intenzione di sparargli: non mi sembra troppo pericoloso. L’imbecille infatti mi guarda a bocca aperta, senza neanche provare ad alzarsi dalla sedia sgangherata su cui è seduto.
Lo colpisco in testa con il calcio della pistola, e lui cade come un sacco di patate accanto al cadavere del compagno.
Rimarrà nel regno dei sogni per almeno mezz’ora…
Scendo nuovamente le scale, sentendomi un po’ più a mio agio.
La situazione ora si è rovesciata: l’allegra combriccola nella stanza del seminterrato non lo sa, ma ha perso il controllo del resto della casa, mentre io ho le spalle al sicuro.
Per un attimo dubito della mia buona sorte: la porta si apre prima che io finisca di scendere le scale, e uno dei tipi ne esce allacciandosi i pantaloni… Mi vede, e per fortuna rimane più sorpreso di me. Jelena deve avergli svuotato non solo le palle, ma anche il cervello.
Ho il bastone da passeggio ancora in mano, e l’ultimo dardo va a segno senza problemi: questa volta non ho la precisione di tiro a cui tengo tanto, ma anche piantato nel petto il cianuro fa effetto abbastanza bene… Semplicemente il tipo fa in tempo a rendersi conto di morire, ed emette un rantolo di protesta mentre cade a terra nel corridoio sudicio.
Dentro, Pat sta urlando e nessuno lo sente.
Mi affaccio alla porta e mi rassicuro: sono tutti troppo occupati per accorgersi di me… per ora.
Le cose nello scantinato non sono cambiate, a parte le posizioni reciproche del mucchio sul materasso.
La russa è sempre più incazzata, Pat è sempre appesa per le braccia e lo prende in culo dal delinquente alle sue spalle che sembra divertirsi un mondo.
Hmmm… Mi serve un diversivo, una distrazione.
Se provassi a chiamare il telefono di Pat? Ci sarebbe un momento di incertezza: nessuno penserebbe ad un pericolo immediato, ma si distrarrebbero tutti a sufficienza; magari qualcuno risponderebbe anche, e sarebbe molto utile…
Ho il numero di Patrizia , me lo ha dato "Vittorio" insieme all'incarico di copertura… Un incarico tranquillo a suo parere, e sarebbe stato così, se quelle due cagne in calore non avessero spalancato le gambe. Volevi fare l'avventuriera , cara? Ci sono statistiche che indicano che fare il mestiere di spia è più sicuro che non fare la cassiera in un supermercato, lo sapevi? Certo, a patto di non mettersi a cercare cazzi in missione...
Se chiamo, il telefono dove sarà? Hmmm… Probabilmente nei pantaloni della proprietaria, nel mucchio sotto i suoi piedi. Speriamo che il volume della suoneria sia sufficientemente alto... Deve coprire i gemiti di Jelena, che adesso sembra quasi stia godendo.
OK, pronto a lanciare la chiamata: per fortuna la zona è coperta. Ancora un secondo per decidere la sequenza di fuoco…
Il primo: quello con il cazzo nel culo di Jelena, che mi sta di lato sulla destra.
Il secondo: quello che si sta ingroppando Pat, e che mi è quasi di fronte.
Il terzo: quello che ha smesso di scopare e adesso se ne sta con il cazzo in bocca a Jelena e mi dà la schiena.
Il quarto, il Mister X femminile, mi sembra la più pericolosa, ma è anche chiaramente il capo di questo simpatico gruppo di stupratori, e quindi proverò a risparmiarla per il momento... Potrebbe essemi utile dopo.
Chiamo.
Quando ero bambino, giocavamo ad “uno, due tre, stella!” …E perdevo sempre; ma adesso devono fermarsi gli altri e per sempre.
La russa si gira istintivamente al suono della vibrazione e si piega sugli abiti della sua vittima.
Fruga un momento, trova il cellulare e osserva lo schermo.
Apro velocemente la porta, punto la pistola a due mani e faccio fuoco.
Il primo colpo è perfetto: in piena fronte, e il proiettile esce dalla nuca portandosi dietro metà cervello a causa della potenza dell’impatto e della distanza ridotta; la parete alle sue spalle si inzacchera tutta di sangue e materia cerebrale, mentre lui spalanca gli occhi in una enorme sorpresa. Rimane un lungo istante immobile, scosso da sussulti, e intuisco che pur essendo morto all’istante, si sta svuotando i testicoli nel retto di Jelena… In un certo senso penso di avergli fatto un regalo: è morto godendo. La donna non si è accorta di niente, e prima che il morto cada lentamente a terra, sempre piantato nell’ano della sua vittima, sposto la mira e faccio fuoco nuovamente due secondi esatti dopo il primo colpo.
Il mio secondo proiettile passa accanto all’orecchio di Pat ed entra nella bocca spalancata del suo stutratore, che rimane a sua volta per un momento immobile, piantato fino alla guardia dentro il culo che sta riempiendo… Per poi tracciare nell’aria un arco di sangue prima di cadere all’indietro con un tonfo sordo. Devo ricordarmi di chiedere a Pat se ha fatto in tempo anche lui a venirle dentro, o se il suo seme è andato sprecato de tutto…
Il terzo proiettile si pianta nella nuca del tipo che stava scopando la gola di Jelena, e fa un bel casino uscendogli dalla fronte e scoperchiandogli completamente il cranio. Anche nel suo caso la morte è istantanea, però l’imbecille rovescia una secchiata di sangue e di materia cerebrale addosso alla povera donna nuda che gli sta sotto, e questa volta la disgraziata si accorge perfettamente di quello che succede…
Prima che il triplice rimbombo della Glock si sia spento e che l’accademica serba si metta a strillare istericamente, avanzo nella rapido stanza, e ficco la canna rovente in bocca alla russa che mi guarda intontita, e che non ha ancora capito cosa stia succedendo.
- Buonasera – le faccio in italiano mentre sento ancora tintinnare il terzo bossolo sul pavimento.
La cazzara spalanca gli occhi, improvvisamente consapevole dell’accaduto.
- Aghhh - fa, con gli occhi sgranati ed emettendo suoni incoerenti, ma penso che la canna rovente in bocca le provochi qualche difficoltà nell'esprimersi.
La spingo contro il muro, le allargo le gambe e le spingo la pistola alla nuca.
Non sono passati dieci secondi da quando ho spalancato la porta, e il mondo piange la dipartita di tre cazzari.
Le grida isteriche di Jelena di distraggono, sono tentato di sparare anche a lei per farla stare zitta…
Mi guardo intorno: i cadaveri si stanno rilassando, abbandonano le loro pose e si afflosciano definitivamente sul pavimento imbrattato di sangue.
Sì, lo so: non si direbbe a guardarmi, ma io non sono uno che da a vedere le sue emozioni. Non sono come quella troia che mi hanno mandato a coprire e che si è rivelata - esattamente come tutte le donne tranne mia figlia ma comprese mia madre e mia moglie – una che ragiona con il cervello fra le gambe… E poi dicono di noi uomini!
Ma si può: il lavoro doveva essere tranquillo, di tutto riposo... Un primo contatto con la fonte, uno scambio di indirizzi mail e numeri di telefono, la conversazione casuale in un luogo aperto e tranquillo, e il lavoro sarebbe finito lì. Ce ne fossero, di lavori così!
E invece no, maledetta puttana con più ormoni che neuroni. Lei doveva anche farsi la sua bella scopata pericolosa… E per di più coinvolgendo anche la fonte pregiata.
Quando le ho viste uscire dal locale con quei tre sfigati non ci potevo credere. Ho pensato: adesso si fanno due chiacchiere al fresco, magari una sigaretta, e poi li scaricano…
No: si sono fatte portare in uno scannatoio del cazzo, e lì si sono fatte sbattere come due ragazzine in fregola e senza nessun giudizio.
E io fuori, a fare la muffa un’altra volta.
La mia collega deve essere una di quelle che devono per forza rischiare, altrimenti non si eccitano: assuefazione da adrenalina, come tanti colleghi che conosco… Ma almeno quelli rischiano per conto proprio.
Scommetto che è una che non prende neanche la pillola perché la eccita l’idea di restarci con uno sconosciuto…
E quell’altra? Mi risultava una con la testa fra le spalle: una donna seria, un’accademica… Sposata e innamorata del marito. Che schifo.
Ho fatto bene a liberarmi di quella troia di mia moglie.
Come se non bastasse, mi tocca anche guidare questa ridicola Yaris in affitto… La mia BMW è rimasta in garage dall’altra parte dell’Adriatico, ed eccomi qui a scarrozzare sulle curve strette e sull’asfalto di merda di questa stradina, cercando di stare appresso a un furgone scassato che scorreggia fumo nero a ogni salita cercando di non farmi notare.
Mica facile, a quest’ora antelucana: non c’è nessuno in giro.
Vabbè, finalmente si fermano.
Un casolare isolato come cento altri, a metà strada da Podgorica. Niente muro di cinta, solo una siepe e un prato incolto fra la strada e l’edificio malandato.
Faccio gli ultimi duecento metri a piedi, in salita; e questo non migliora il mio umore.
OK, ci sono… Cominciamo.
Vediamo chi c'è all'ingresso... Nessuno.
Ho a che fare dilettanti? Mi viene il dubbio che i "cattivi" non siano i professionisti previsti nel rapporto pre-missione, quindi propendo per l'ipotesi che siano dei delinquenti di mezza tacca: schiuma locale che su commissione fa i lavori bagnati per altri.
Giustamente il lavoro annoia , e loro si prendono un pochino di svago no?
Ho la pistola, ma un solo caricatore di riserva. Fortunatamente ho con me anche il mio bastone da passeggio.
Troppe persone , ne ho contate cinque. Probabilmente c’è anche qualcun’altro nella casa: non credo fossero tutti fuori per prendere le due troie.
Concentriamoci, ho un solo gettone.
I balordi del posto sono dilettanti, ma se dentro ci sono anche i committenti, il lavoro rischia di essere più complesso: meglio non rischiare.
Niente finestre illuminate.
Forse non sono tanto sprovveduti… Devono essere nello scantinato. Il che, per me, presenta anche qualche vantaggio: è più facile spiare attraverso le bocche di lupo che dalle finestre dei piani alti.
Scivolo nel cortile e mi accoccolo sottomuro, nascosto nell’oombra. Poi comincio a muovermi lungo il perimetro e a scandagliare le finestrelle sudice del seminterrato.
Niente… Niente… Dietro l’angolo una luce tenue.
Una lama di luce sfugge dalla bocca di lupo; voci roche e commenti aspri sfuggono dalla finestrella socchiusa.
Tonfi.
Ci deve essere della carne che viene sbattuta a dovere, là dentro…
Sento commenti ad alta voce in una lingua che non capisco, misti a gemiti femminili; poi uno schiaffo, un altro schiaffo. Un sogghigno maschile.
Mi affaccio con un filo d'occhio sul lucernaio e sbircio dentro attraverso il vetro sudicio.
La Visentin è appesa come un salame al soffitto, nuda.
E’ normale spogliare i prigionieri prima dell’interrogatorio: li pone in posizione di inferiorità, umiliandoli.
Nel caso della mia collega ammetto che le motivazioni di chi l’ha denudata potrebbero anche essere altre… Sarà pure negli “-anta” e con una faccia da troia che non ingannerebbe nessuno, ma di corpo si mantiene davvero in forma: alta, senza un filo di grasso e muscolosa quasi come una body builder… Decisamente un tipo androgino: se ricordo bene il rapporto, oltre a essere una ciucciacazzi, ha anche un debole per le femminucce…
Ma se sperava di finire la sua notte brava a letto con la sua nuova amichetta, stavolta le è andata male.
La tipa di Belgrado non la vedo bene, ma direi che è nuda anche lei; però sta su un materasso sudicio buttato in un angolo, con tre o quattro maschi sopra che se la stanno facendo di brutto.
Il fatto che non le abbiano fatte fuori immediatamente all’inizio mi aveva un po’ sorpreso, ma adesso ho la conferma del mio sospetto: si tratta di teppaglia del posto, giovinastri con il cervello fra le gambe esattamente come la Visentin.
Sono arrabbiatissimo con lei, lo noto dal mio vocabolario da camallo: in questo momento vorrei prendere a schiaffi la mia collega con la carriera al brusco termine…
E lo farò se ne usciamo vivi.
Però forse il suo essere una troia sfrontata per il momento le ha salvato la pelle, a lei e alla sua sprovveduta amichetta: i cattivi vogliono tutti partecipare alla loro festa, e questo mi dà un po’ di tempo.
Torno a osservare la situazione: Patrizia è appesa per le braccia, con i piedi a pochi centimetri da terra. Non è bendata, il che basta a togliere ogni dubbio sulle intenzioni dei suoi rapitori: quando avranno finito anche con lei, rimarrà loro solo da smaltire il suo cadavere.
I suoi abiti da motociclista sono ammucchiati a terra poco più in là, e lei ha un labbro spaccato; ma per il resto non sembra messa troppo male, per adesso.
La lascio lì appesa come un salame e guardo dall’altra parte: i maschi sono in quattro, tutti ammucchiati sopra la signora di Belgrado (…come si chiama? Ah, già: Jelena). Di lei vedo solo le gambe che si dimenano inutilmente, il resto è sotto il mucchio che agita sopra di lei: immagino che la sua notte brava se la ricorderà per un pezzo.
L’unica porta della stanza è chiusa: impossibile sapere cosa ci sia oltre.
Lascio la mia collega appesa a stagionare e la sua amica a divertirsi con i suoi rapitori, e proseguo la ricognizione intorno al perimetro della casa.
I resto del seminterrato è al buio, ma sul retro vedo una luce tenue provenire da una camera al primo piano; probabilmente ho ragione, e lì dentro c’è anche qualcun’altro.
Studiamo la situazione: ci deve essere un'alternativa all'entrare sparando come a capodanno; una che mi lasci la possibilità di tornarmene a casa alle mie orchidee e ai miei aeroplanini senza lasciare la pelle in questo buco.
Finisco il giro della casa, e mi ritrovo dietro il muretto che delimita un terrazzo piuttosto grande davanti all’ingresso.
Adesso la porta è aperta, e nel fresco della notte distinguo un debole lucore.
Una figura maschile sta fumando una sigaretta osservando verso la porta aperta da cui provengono i tonfi e i gemiti provenienti dal seminterrato.
Forse il tipo aspetta il suo turno… O magari non gli piacciono le donne.
Lontano per colpirlo… La pistola è rumorosa e anche un po’ pericolosa (saranno venti metri, ed è buio) ma io ho il vantaggio della terza età.
Nel mio bastone da passeggio ho una cerbottana e dei dardi intinti nel Cianuro di potassio; la migliore arma è quella che non sembra tale, penso una volta di più.
Tolgo il tappo di gomma e svito il manico, poi prendo la mira.
Il bersaglio è davvero in una pessima luce ed il primo dardo non va a segno. Ma non se ne accorge nessuno, tantomeno il bersaglio che continua a fumare come un coglione.
Mi calmo, respiro a fondo, e riprovo.
Un sibilo, e il coglione sussulta. La sua mano va verso il collo e colpisce una zanzara da 8 cm di lunghezza.
Il mio maccabeo vorrebbe dire qualcosa, avvertire gli altri, magari imprecare contro la sua morte, ma non può: l'asfissia dei centri nervosi è istantanea, e lui non può nemmeno ansimare prima di morire...
Scivola a terra e rimane immobile.
Un cattivo di meno, ma ce ne sono altri: quelli sopra le due vittime, e chiunque altro si nasconda dietro la porta dove sono prigioniere.
Più l’eventuale occupante del piano superiore.
Mi piazzo dietro la porta con la cerbottana, come un teppista cinquantenne; pazientemente aspetto un'occasione propizia.
Nessuno.
Mi faccio coraggio e entro.
L’atrio è stretto e deserto. Un corridoio porta alla sala immersa nel buio. A destra, una scala sale verso il piano superiore, e un’altra scende verso lo scantinato. A sinistra una porticina nasconde un cesso puzzolente.
Guardo a destra, niente. Guardo a sinistra… Cazzo, potevano almeno tirare lo sciacquone!
Che lavoro di merda…
Scendo verso lo scantinato e mi trovo in un ballatoio umido.
Penso di mettere dai due ai tre millenni per arrivare alla prima porta, ancora nessuno. Sarebbe un problema se qualche idiota apparisse nel corridoio, il rimbombo della pistola toglierebbe ogni speranza alle due donne e soprattutto ridurrebbe drasticamente la mia aspettativa di vita.
Voci. Ancora il tonfo dei corpi sbattuti, ma anche un sonoro ceffone.
Una porta è semichiusa, e vedo le ombre che si dimenano.
Sbircio all’interno, e ho la conferma di aver trovato la prigione di Jelena e Patrizia.
Per ora vedo pistole appoggiate sui mobili; sul materasso le mani di tutti e sono piene di culi e tette, mi ripeto che se vedessi stringere un collo avrei il tempo di vuotare il caricatore addosso a questi quattro deficienti che si dimenano addosso a Jelena...
Mi correggo tre deficienti ed "una" deficiente: una dell'ex quintetto è una donna.
Ai tempi del SAS i cattivi li chiamavamo dickers: cazzari. Così per un momento mi domando se questa si potrebbe chiamare cuntress: ficara...
Non dovrei sogghignare, lo so; ma il gioco di parole mi affascina. Va bene, ho divagato per un piacevole secondo, ora torno a concentrarmi.
La donna ; non troppo giovane, ma cattiva e determinata: lo vedo come sta torcendo i capezzoli di Patrizia.
Posso capirla: la mia collega ninfomane sarà piatta come una tavola e altrettanto legnosa, ma ha i capezzoli più scuri, lunghi e grossi che abbia mai visto. Un vero invito alla tortura, per qualunque carnefice degno del suo nome.
La tipa deve essere l’elemento “professionista” del gruppo: infatti sembra più interessata a estorcere informazioni che a sfogare i suoi istinti. Magari proprio perché è una donna e evidentemente non ha gusti raffinati come la sua vittima…
Da come si muove sembra il capo del gruppo e da come ringhia domande ed ordini non deve essere molto contenta.
Ignora completamente gli scimmioni pelosi e seminudi che si dimenano addosso a Jelena: la sua attenzione è tutta concentrata su Patrizia.
Parla un inglese decente, ma il suo accento la tradisce.
Russa.
Stringe un capezzolo di Patrizia fra le nocche: lo torce e lo tira con forza.
Patrizia urla di dolore.
Il protocollo di sicurezza è chiaro: "se" vieni preso, non trattenerti: CANTA! Hai mille storie di copertura da raccontare per tenerli occupati o sviarli; non farti torturare inutilmente, racconta tutto quello che vogliono e resta vivo/a… Ma evidentemente questa lezione Patrizia non l'ha capita, oppure qualcosa l’ha indisposta al punto di reagire, e deve aver reagito al punto che la sua carnefice mi sembra arrabbiata oltre il lecito per una professionista.
Rimango del mio parere: questo non è un lavoro per donne…
Patrizia ansima, sempre appesa per i polsi al soffitto. L’incavo sotto le ascelle, scavato dai muscoli da atleta, lascia vedere le vene gonfie per lo sforzo.
Sul materasso lo stupro in massa della povera Jelena prosegue, intervallato dal semplice rotare degli energumeni da un buco all’altro.
La tipa cattiva fa un gesto stizzito, e uno dei quattro si alza e la raggiunge.
Non capisco bene il russo, ma ho qualche nozione in più di serbo-croato dai tempi della guerra in Bosnia, e l’ordine che il delinquente riceve è abbastanza chiaro.
Si porta alle spalle di Patrizia, le caccia due dita nel culo e poi la impala da dietro con il cazzo ancora lubrificato dagli umori vaginali di Jelena.
Patrizia urla di dolore.
Mentre l’energumeno nudo e sudato sodomizza la prigioniera, la russa riprende a torturarle i capezzoli.
Il volto di Pat è stravolto dal dolore, vedo gli occhi grigi pieni di lacrime, e non posso fare a meno di pensare che se l’è cercata.
La russa l’insulta, degradandola mentre viene stuprata contro natura dal suo scagnozzo.
- Puttana, troia… Hai un buco del culo bello largo, cos’è, ti piacciono i cazzi dei negri, come a tutte le occidentali, brutta troia italiana? Quando avremo finito con te, ti caccerò la pistola in quella fogna che hai al posto della fica e ti riempirò la pancia di piombo… Poi manderò le foto alla tua amichetta sulla barca, prima di andare a consolare anche lei…
Pat prova a rispondere, ma uno schiaffo la zittisce proditoriamente, e il labbro già sanguinante si spacca del tutto.
Pat mi sorprende: sorride, si lecca la ferita… - Ancora…
Il tizio che la sta ingroppando da dietro sogghigna di approvazione: probabilmente non gli è mai capita una troia con così tanto carattere, ma la donna che l’ha schiaffeggiata non approva e gli ringhia contro come una jena.
Per lei, la prigioniera dovrebbe essere impaurita, docile, Tutt'altro.
Vedo che il tipo che la sta inculando ha una mano arrossata, sanguinante... Non mi sorprende che abbiano deciso di sollazzarsi con Jelena e di lasciare Pat alla loro superiore. Saggiamente nessuno del gruppo deve aver tentato nemmeno un rapporto orale; anche legata come un salame, con il suo carattere devono averla considerata troppo pericolosa per rischire i loro attributi.
La osservo rapito per un attimo: sembra quasi che stia provando piacere nell’essere seviziata.
Una vera pervertita, ecco quello che è. Una mina vagante, ninfomane e pericolosa… Affascinante.
Una collega dominata dalle sue passioni, schiava dei sensi.
Indomabile. Affascinante e pericolosa come una pantera.
Diversa , molto diversa è la sua amichetta: lei sta subendo, piange; non era preparata per un fine serata del genere, e i tre animali che la stanno coprendo non lesinano contumelie e schiaffoni, abusando di lei e umiliandola senza pietà.
Ha i capelli scarmigliati ed imbrattati; il trucco slavato dalle lacrime, dal sudore e da… altro.
La situazione tattica è complessa, e mi domando quando noteranno l'assenza del fumatore alla terrazza e decideranno di andarlo a cercare.
Per assurdo, a parte le parti intime le due donne non sembrano in pericolo immediato: se entrassi in scena troppo bruscamente, diverse cose potrebbero andare storte e di quattro, almeno uno di questi cazzari potrebbe arrivare ad un'arma.
Decido di assicurarmi le spalle prima di intervenire.
Controllo le altre porte del seminterrato.
In una trovo due corpi senza vita. Alla luce del telefonino, riconosco i due italiani dell’orgia… Decisamente, scoparsi quelle due non è stata una buona idea per quei due deficenti.
Mi chiedo dove sia il terzo, quello del posto.
Che sia…
Devo accertarmi.
Risalgo le scale: non credo che nessuno del gruppo impegnato nella festicciola si congederà molto presto.
Il pianterreno è sempre deserto.
Al piano superiore però sento delle voci.
Due.
La porta è appena accostata: dentro c’è una spece di studio, con una luce da tavolo accesa. Le tende tirate attenuano l’effetto e comunque la finestra da sul retro… E’ la luce che avevo visto da fuori.
Sbircio dentro e vedo i due che parlano.
La discussione è in serbo, non in russo; anche se uno dei due lo parla male.
Guardo meglio. Uno è il tipo con la barba del locale notturno: quello che si è fatto Pat. Evidentemente, a differenza dei due vitelloni sprovveduti lui è stato risparmiato.
Chissà perché…
L’altro, seduto sulla sponda del letto, è russo, riconosco l’accento. Il collega della tipa di sotto.
Ha una fondina ascellare, e lo categorizzo subito come il più pericoloso di tutti.
Quella fondina è la sua condanna a morte.
Ho ancora due frecce nella cerbottana. Prendo la mira con calma: questa volta è facile: saranno cinque metri, e la luce è buona.
Lo prendo esattamente alla base della gola.
Il russo si blocca a metà frase: s’irrogidisce, annaspa… E si affloscia sul pavimento come uno straccio.
Il barba non si rende conto di cosa sia successo.
Rimane immobile, come imbambolato, a guardare il suo interlocutore stecchito sul pavimento di legno.
Spalanco la porta e gli piombo addosso con la pistola in pugno.
Non ho intenzione di sparargli: non mi sembra troppo pericoloso. L’imbecille infatti mi guarda a bocca aperta, senza neanche provare ad alzarsi dalla sedia sgangherata su cui è seduto.
Lo colpisco in testa con il calcio della pistola, e lui cade come un sacco di patate accanto al cadavere del compagno.
Rimarrà nel regno dei sogni per almeno mezz’ora…
Scendo nuovamente le scale, sentendomi un po’ più a mio agio.
La situazione ora si è rovesciata: l’allegra combriccola nella stanza del seminterrato non lo sa, ma ha perso il controllo del resto della casa, mentre io ho le spalle al sicuro.
Per un attimo dubito della mia buona sorte: la porta si apre prima che io finisca di scendere le scale, e uno dei tipi ne esce allacciandosi i pantaloni… Mi vede, e per fortuna rimane più sorpreso di me. Jelena deve avergli svuotato non solo le palle, ma anche il cervello.
Ho il bastone da passeggio ancora in mano, e l’ultimo dardo va a segno senza problemi: questa volta non ho la precisione di tiro a cui tengo tanto, ma anche piantato nel petto il cianuro fa effetto abbastanza bene… Semplicemente il tipo fa in tempo a rendersi conto di morire, ed emette un rantolo di protesta mentre cade a terra nel corridoio sudicio.
Dentro, Pat sta urlando e nessuno lo sente.
Mi affaccio alla porta e mi rassicuro: sono tutti troppo occupati per accorgersi di me… per ora.
Le cose nello scantinato non sono cambiate, a parte le posizioni reciproche del mucchio sul materasso.
La russa è sempre più incazzata, Pat è sempre appesa per le braccia e lo prende in culo dal delinquente alle sue spalle che sembra divertirsi un mondo.
Hmmm… Mi serve un diversivo, una distrazione.
Se provassi a chiamare il telefono di Pat? Ci sarebbe un momento di incertezza: nessuno penserebbe ad un pericolo immediato, ma si distrarrebbero tutti a sufficienza; magari qualcuno risponderebbe anche, e sarebbe molto utile…
Ho il numero di Patrizia , me lo ha dato "Vittorio" insieme all'incarico di copertura… Un incarico tranquillo a suo parere, e sarebbe stato così, se quelle due cagne in calore non avessero spalancato le gambe. Volevi fare l'avventuriera , cara? Ci sono statistiche che indicano che fare il mestiere di spia è più sicuro che non fare la cassiera in un supermercato, lo sapevi? Certo, a patto di non mettersi a cercare cazzi in missione...
Se chiamo, il telefono dove sarà? Hmmm… Probabilmente nei pantaloni della proprietaria, nel mucchio sotto i suoi piedi. Speriamo che il volume della suoneria sia sufficientemente alto... Deve coprire i gemiti di Jelena, che adesso sembra quasi stia godendo.
OK, pronto a lanciare la chiamata: per fortuna la zona è coperta. Ancora un secondo per decidere la sequenza di fuoco…
Il primo: quello con il cazzo nel culo di Jelena, che mi sta di lato sulla destra.
Il secondo: quello che si sta ingroppando Pat, e che mi è quasi di fronte.
Il terzo: quello che ha smesso di scopare e adesso se ne sta con il cazzo in bocca a Jelena e mi dà la schiena.
Il quarto, il Mister X femminile, mi sembra la più pericolosa, ma è anche chiaramente il capo di questo simpatico gruppo di stupratori, e quindi proverò a risparmiarla per il momento... Potrebbe essemi utile dopo.
Chiamo.
Quando ero bambino, giocavamo ad “uno, due tre, stella!” …E perdevo sempre; ma adesso devono fermarsi gli altri e per sempre.
La russa si gira istintivamente al suono della vibrazione e si piega sugli abiti della sua vittima.
Fruga un momento, trova il cellulare e osserva lo schermo.
Apro velocemente la porta, punto la pistola a due mani e faccio fuoco.
Il primo colpo è perfetto: in piena fronte, e il proiettile esce dalla nuca portandosi dietro metà cervello a causa della potenza dell’impatto e della distanza ridotta; la parete alle sue spalle si inzacchera tutta di sangue e materia cerebrale, mentre lui spalanca gli occhi in una enorme sorpresa. Rimane un lungo istante immobile, scosso da sussulti, e intuisco che pur essendo morto all’istante, si sta svuotando i testicoli nel retto di Jelena… In un certo senso penso di avergli fatto un regalo: è morto godendo. La donna non si è accorta di niente, e prima che il morto cada lentamente a terra, sempre piantato nell’ano della sua vittima, sposto la mira e faccio fuoco nuovamente due secondi esatti dopo il primo colpo.
Il mio secondo proiettile passa accanto all’orecchio di Pat ed entra nella bocca spalancata del suo stutratore, che rimane a sua volta per un momento immobile, piantato fino alla guardia dentro il culo che sta riempiendo… Per poi tracciare nell’aria un arco di sangue prima di cadere all’indietro con un tonfo sordo. Devo ricordarmi di chiedere a Pat se ha fatto in tempo anche lui a venirle dentro, o se il suo seme è andato sprecato de tutto…
Il terzo proiettile si pianta nella nuca del tipo che stava scopando la gola di Jelena, e fa un bel casino uscendogli dalla fronte e scoperchiandogli completamente il cranio. Anche nel suo caso la morte è istantanea, però l’imbecille rovescia una secchiata di sangue e di materia cerebrale addosso alla povera donna nuda che gli sta sotto, e questa volta la disgraziata si accorge perfettamente di quello che succede…
Prima che il triplice rimbombo della Glock si sia spento e che l’accademica serba si metta a strillare istericamente, avanzo nella rapido stanza, e ficco la canna rovente in bocca alla russa che mi guarda intontita, e che non ha ancora capito cosa stia succedendo.
- Buonasera – le faccio in italiano mentre sento ancora tintinnare il terzo bossolo sul pavimento.
La cazzara spalanca gli occhi, improvvisamente consapevole dell’accaduto.
- Aghhh - fa, con gli occhi sgranati ed emettendo suoni incoerenti, ma penso che la canna rovente in bocca le provochi qualche difficoltà nell'esprimersi.
La spingo contro il muro, le allargo le gambe e le spingo la pistola alla nuca.
Non sono passati dieci secondi da quando ho spalancato la porta, e il mondo piange la dipartita di tre cazzari.
Le grida isteriche di Jelena di distraggono, sono tentato di sparare anche a lei per farla stare zitta…
Mi guardo intorno: i cadaveri si stanno rilassando, abbandonano le loro pose e si afflosciano definitivamente sul pavimento imbrattato di sangue.
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