Attenti a Quelle Due
di
Pat & Co
genere
pulp
Ottobre nel sud dell’Adriatico è come settembre al nord: bellissimo.
Mi fa uno strano effetto tornare in questo Paese: è da alcuni anni che non ci metto piede… Dai giorni drammatici del massacro sulla St.Cyril e della drammatica morte di Fabio.
Quegli eventi mi hanno cambiato la vita e hanno fatto di me, nel bene e nel male, quella che sono oggi.
In quei giorni sono stata rapita, suprata e torturata. Ho assistito al massacro di dozzine di persone, comprese diverse cui ero affezionata. Ho anche imparato a uccidere. Però mi sono legata definitivamente alla compagna della mia vita, ho ritrovato la mia libertà e scoperto dentro di me potenzialità che mai avrei creduto di possedere.
Il massacro è stato nascosto dalle autorità di tutti i Paesi coinvolti per un insieme di ragioni non esattamente politicamente corrette, ma alla fine mettere a tacere ogni notizia non ha danneggiato nessuno, e quindi forse è meglio così.
Oggi le cose sono cambiate parecchio: sia nel Montenegro che dentro Patrizia Visentin.
La piccola nazione adriatica è alla vigilia di eventi che ne cambieranno il corso della storia. E la bionda signora veneziana, che allora era una moglie infedele e un’insegnante frustrata, adesso è un’avventuriera che va in giro armata a bordo di una barca o sulla sua moto…
La Serenissima passa Boka Kotorska di buon mattino; proseguo a bassa velocità lungo la costa della splendida baia puntando a nord, finché non distinguo a occhio nudo la zona abitata di Herceg Novi. A ovest c’è la zona di Igalo, e più a est la Città Vecchia, Stari Grad.
A strapiombo sul mare, a proteggere la Città Vecchia, c’è la vecchia fortezza, e ai piedi di questa il piccolo porto turistico della città.
Attracchiamo, e mentre Jasmine si affanna a gettare gli ormeggi e io accosto fino a baciare il molo, mi viene da mandare un bestemmione dei miei.
La Serenissima è di gran lunga l’imbarcazione più grossa in rada, e non può non dare nell’occhio. Cosa è venuto in mente all’Agenzia di farmi venire quiin questo modo con la nave? Avrei potuto raggiungere Herceg Novi via terra da Ragusa, come Eva, e nessuno se ne sarebbe accorto.
Ma loro, no: dovevo arrivare via mare. Loro la chiamano “ridondanza”: opzioni di manovra in più a disposizione, nel caso insorgessero problemi… Già. Però così i problemi rischio di crearmeli da sola: ormai la Serenissima non è certo una novità in Adriatico, e chi fa il nostro lavoro non ci metterà molto a collegare la presenza della mia barca in Montenegro con la mia, e magari con quella dell’Agenzia, specie con quello che c’è in gioco in questi giorni.
Già: del resto, proprio con quel che c’è in gioco, da queste parti di “colleghi” devono essercene parecchi, e magari io non sono esattamente la preoccupazione principale degli altri.
Fra CIA, FSB, MI6, SDECE, BND, e chissà quali altre sigle rinomate, la mia Agenzia probabilmente non è quella più tenuta d’occhio.
Una delle cose che ho imparato nella mia attività professionale attuale, è che la raccolta di informazioni non è l’elemento più difficile nell’ambito dell’intelligence: con l’abbondanza di fonti di informazione esistente (fonti aperte, immagini satellitari, intercettazioni radio e telefoniche, sensori umani e assetti militari), la raccolta è la parte più semplice. Quello che è difficile, è l’analisi: indipendentemente dall’aver acquisito le informazioni con qualsiasi mezzo disponibile, se queste non sono ordinate, analizzate e valutate da specialisti, rimangono del tutto inutili.
Tradotto in termini pratici: magari è anche vero che la Serenissima attraccata al molo di Stari Grad verrà notata da mezzo mondo, ma è anche assai probabile che l’”opposizione” (e anche gli “amici”) ci metteranno diversi giorni a concludere che l’Agenzia ha mandato me a monitorare le cose alla vigilia delle elezioni politiche in Montenegro.
Insomma: è un rischio calcolato…
Devo continuare a ripetermelo.
Concludiamo le pratiche doganali abbastanza in fretta, considerato che siamo fuori dall’Area Shengen. Facciamo il pieno carburante (tanto paga l’Agenzia), e io sbarco la moto, che incateno sul molo davanti alla battagliola.
Dopo un panino con Jas e un rapido rapporto criptato con l’Agenzia, scendo a terra per una prima ispezione della zona.
Stari Grad è davvero molto graziosa. Molto simile ai paesini della Dalmazia croata, solo un po’ meno turistica: si vede che qui l’economia ancora non è decollata. Però la cittadina è pulita e ordinata, chiaramente organizzata per il turismo.
Ci sono manifesti elettorali dappertutto: naturalmente sono in cirillico e non capisco praticamente niente, ma so che si riferiscono ai due partiti principali del Paese: quello socialdemocratico dell’attuale primo Ministro Djukanovic, che intende portare il Montenegro nell’unione Europea e nelle NATO, e l’Alleanza del Fronte Democratico, l’ombrello dei movimenti filo-serbi ostili all’Occidente e fautori di un avvicinamento alla Russia.
Già: noi in Italia pensiamo di avere idee politiche molto diverse fra loro quando parliamo di destra e sinistra, ma nei Balcani occidentali è come se il tempo si fosse fermato alla Guerra Fredda. Chi sta con l’Occidente e chi sta con la Russia. Entrambi pronti a definire traditori gli altri…
Definire il Montenegro sull’orlo di una guerra civile forse è esagerato. Ma si pensava esagerato anche dirlo dell’Ucraina due anni fa… O della Siria quattro.
Sui media se ne parla poco, forse perché il Paese è così piccolo, ma le Capitali europee sono preoccupate; e anche Mosca e Washington lo sono.
Arrivando da Venezia, ho incrociato due fregate della NATO al limite delle acque territoriali: una italiana e l’altra spagnola. Più a sud c’era anche una nave più piccola che sul radar risulta innocua, ma che in base ai dati dell’Agenzia è la Liman, una nave spia russa della flotta del Mar Nero.
Podgorica è piena di giornalisti delle principali catene e testate… Sicuramente lo è anche di agenti e osservatori, sia russi che occidentali.
La tensione è palpabile.
Per fortuna pare ci siano anche persone il cui scopo è abbassare la tensione piuttosto che alzarla.
E’ per questo che sono qui.
Le parole di “Vittorio”, il mio capo, mi ronzano ancora nelle orecchie.
E’ una donna. Serba. Vuole parlare con qualcuno; qualcuno di cui possa fidarsi…
E io che c’entro, avevo chiesto.
Pare che io sia il tipo di persona con cui accetterebbe di parlare. Non vuole saperne né di diplomatici di basso rango, né tantomeno di agenti segreti, specialmente americani: ci tiene alla pelle.
Vedo la sua foto: una donna della mia età, piuttosto attraente, con due occhi vivaci e intelligenti. Ingegnere nucleare. Attivista per i diritti civili nel suo Paese. Direttrice di un istituto sulle relazioni internazionali. Tendenze europee e atlantiche, ma anche una patriota decisa a non lasciare la Serbia a nessun costo: una tipa tosta, che crede nelle sue idee e rema controcorrente in un Paese in cui Europa e Occidente non sono partticolarmente popolari.
Ma soprattutto, una che vuole parlare con qualcuno in Occidente, senza che i servizi del suo Paese lo sappiano. Vuole parlare di qualcosa di urgente, qualcosa di relativo alle imminenti elezioni in Montenegro.
Ha passato il messaggio attraverso la sua rete di contatti: un attivista serbo lo ha girato ad un giornalista italiano con contatti con l’Agenzia, e il giorno dopo Eva e io siamo dovute partire mollando tutto.
Lei in aereo per Dubrovnik, e io con la Serenissima…
Podgorica non è il posto migliore per incontrarsi senza dare nell’occhio in questi giorni, così la tipa ha preso una camera in un centro termale spaciale a Igalo, dove ai turisti è garantita non solo la privacy, ma anche un’assistenza sanitaria completa. Un posto per pensionati dalla salute cagionevole in cerca di mare ma anche di sicurezza, dove assumono stagionalmente infermiere e assistenti da tutta Europa.
L’Agenzia ha trovato a Eva un posto da assistente psicologa, e lei ha raggiunto l’istituto con un’auto a nolo affittata all’aeroporto di Dubrovnik: ora lavora lì da due giorni.
Insegnanti di matematica lì non ne volevano, e neanche capitani d’altura, quindi io rimarrò fuori dalla struttura, e l’incontro con la tipa avverrà in un ristorante sul lungomare. Eva avrà una funzione di osservazione e sicurezza, ma la sua missione non prevede che si faccia riconoscere.
Se tutto va bene, la nostra amica serba mi passerà le sue informazioni senza che nessuno se ne accorga, finirà la sua breve vacanza e tornerà a casa; io trasmetterò tutto dalla Serenissima a Roma, e ce ne torneremo a casa tutti insieme in un paio di giorni.
Ho finito la mia ricognizione: Herceg-Novi non è Rimini… Però è graziosa.
Incontaminata.
Ormai è pomeriggio inoltrato: i ristoranti sul lungomare cominciano a riempirsi.
Mi avvio verso il locale dell’appuntamento, previsto per l’indomani.
E’ un locale italiano: si chiama in modo molto originale, “La Pergola”.
Ci sono già alcuni avventori, nessuno però corrisponde alla descrizione del mio obiettivo.
Provo a chiamare Eva al cellulare, sperando che la scheda craccata dell’Agenzia funzioni…
Eva è ancora al lavoro: il suo turno è pomeridiano-serale, ed è libera al mattino.
Si annoia e mi invidia: io almeno posso andare in giro…
Beh, finalmente lei può fare un po’ di esperienza professionale…
Me la immagino farmi una smorfia con la lingua di fuori.
- Non ti piacerà… - mi dice – La nostra Jelena non è sola.
- Cosa?
- Si è portata dietro il marito.
Impreco. Il marito di Jelena non fa parte del piano: non solo non era previsto che venisse, ma non sa neppure che sua moglie è in contatto con agenzie occidentali. Il loro è un matrimonio “d’amore”, ma le idee politiche dei coniugi non potrebbero essere più opposte. Andreas è un nazionalista, ostile a qualsiasi avvicinamento della serbia all’Occidente: le discussioni politiche fra i due sono avvicenti per la stampa serba.
Stanno uscendo dall’istituto proprio adesso: probabilmente vanno a cena, i due piccioncini…
Li aspetterò, tanto per dare un’occhiata.
Sì, eccoli.
La coppietta sembra davvero affiatata: evidentemente le differenze politiche non intaccano il loro rapporto. Un caso raro di reciproca apertura mentale?
Certo che lei è davvero un bel bocconcino: biondastra, snella, minuta… Le prime rughe intorno agli occhi non intaccano la grazia del viso. Suo marito sembra leggermente più giovane, ed è un bel fusto anche lui: Biondo, atletico, alto quanto me, un bel volto maschio.
Me li farei volentieri tutti e due.
Siedono proprio alla “Pergola” e cominciano a chiacchierare aspettando di ordinare.
Non posso restare in strada troppo a lungo, e non sarebbe una buona idea entrare anche io, quindi mi avvio.
Speriamo che domani si liberi del marito: non possiamo certo parlare davanti a lui, considerate le sue idee politiche.
Eva ridacchia quando le dico di averli visti…
Anche a lei piacciono tutti e due.
Dice che la tipa mi somiglia anche un po’…
Ma se non è più alta di un metro e settanta!
Gelosa?
Stupida.
Non ti preoccupare, quando stacco ho un appuntamento, ma non si tratta di una donna.
Un portatore di cazzo?
E dei migliori… Un ginecologo austriaco sulla trentina, che fa il turno semestrale completo. L’ho abbordato questa mattina a colazione.
Sei una troia.
Certo. E a te piaccio così… Divertiti con Jasmine, stasera, e pensa a me!
Lo farò…
Il giorno dopo va meglio.
Sì, Jelena si è liberata del marito: Eva mi avverte che è partito dopo colazione, e con la macchina ha preso la strada per Podgorica.
Bene.
Raggiungo la “Pergola”, parcheggio la moto una cinquantina di metri lontano, metto il casco nel box, apro il giubbotto di pelle e mi avvio.
Jelena è già seduta allo stesso tavolo della sera prima: fa finta di leggere il menu, ma posso vedere che sta osservando nervosamente verso l’esterno attraverso la vetrata.
Non ha idea di chi la contatterà, ed è chiaramente a disagio.
E’ vestita da ragazza sportiva troppo cresciuta: una denim girl over 40 con giacca e calzoni jeans e una maglietta bianca.
Entro nel locale e mi guardo intorno: individuo i bagni, l’accesso alla cucina, e la cassa. Due camerieri in servizio più la cassiera.
Una dozzina di clienti: per lo più coppie, una famigliola con due marmocchi, un paio di anziani single, e Jelena.
Lei continua a guardare verso l’ingresso da sopra la carta del menu, e incrocio i suoi occhi verdastri.
Sorrido e mi avvicino con aria disinvolta, come se incontrassi una vecchia amica.
- Ciao – le faccio in italiano, prima di passare all’inglese: - E’ da molto che aspetti?
Lei mi fissa sorpresa per un momento: probabilmente si aspettava un uomo.
Mi siedo davanti a lei e sorrido amichevolmente.
Lei mi guarda: una coetanea bionda come lei, con i capelli corti e ribelli, abbronzata e sportiva nel suo completo di pelle da motociclista con stivali alti e una canotta grigia sotto il giubbotto aperto.
- Ti vedo bene, Jelena – le dico sorridendo, come se non ci vedessimo da un po’… Così metto in chiaro che conosco il suo nome e non si tratta di un errore di persona.
Lei si riprende in fretta dalla sorpresa.
Cominciamo a chiacchierare con crescente disinvoltura. Il suo inglese è perfetto, assai migliore del mio: praticamente non ha accento, come Eva.
Prova a portare il discorso sull’argomento principale, ma io la blocco; è troppo presto, ed è meglio parlare all’aperto. Non si sa mai…
Due spaghetti ai frutti di mare (rimpiango la cucina di Jasmine) e un sorbetto al limone più tardi, mentre lei ancora perde tempo con la sua macedonia di frutta, ordino due espressi e il conto.
Jelena è nervosa, e ho fretta di tirarla fuori all’aperto.
Lei non tocca il caffè: deve essere una tipa da the… peggio per lei. Mi hanno sempre fatto un po’ pena quelli che non reggono il caffè espresso.
Pago il conto in contanti per entrambe e propongo una passeggiata sul lungomare intanto che c’è ancora un po’ di luce.
Usciamo.
Poco oltre il locale, vicino a dove ho parcheggiato la moto, c’è una spacie di spiaggia artificiale: una larga piattaforma in cemento, un po’ di sabbia di riporto, muretti e panchine ancora illuminate dal sole ed esposte alla brezza di mare.
L’ideale per una chiachierata intima: il vento rende difficile l’uso dei microfoni direzionali, e la posizione obbligherebbe l’eventuale ascoltatore a collocarsi alle nostre spalle privandolo dell’ausilio del labiale.
Piccoli accorgimenti che non rendono impossibile l’ascolto, ma lo rendono più complesso da eseguire…
Jelena è nervosa.
Cerco di metterla a suo agio: le racconto di me, dico che sono veneziana e che ho una figlia alle superiori…
Lei è di Belgrado e non ha figli.
Oh, mi dispiace…
No, è una sua scelta. E’ votata al suo lavoro da quando aveva vent’anni.
Già, il suo lavoro… E il suo impegno civile.
Esatto. Verrà il giorno che anche il suo sarà un “Paese normale”, come il Belgio o la Danimarca…
Sospiro: è un discorso che ho già sentito anche a proposito dell’Italia.
Lei fa un sorriso amaro: già, solo che l’Italia non si è fatta bombardare da tutti i suoi vicini pochi anni prima.
Vero. Nel nostro caso sono passati più di settant’anni… Ma tutti hanno qualcosa di cui farsi perdonare dagli altri.
Ma prima di farsi perdonare dagli altri bisognerebbe perdonare sé stessi, e questo in Serbia ancora non vale per tutti.
Sarà. Comincio ad essere un po’ impaziente: i crociati troppo bene intenzionati mi mettono a disagio. Del resto è un fatto riconosciuto che Jelena si sta sforzando di cambiare le cose…
Ci vorrà molto tempo. Un’altra generazione almeno… Ma bisogna pur cominciare.
Esatto. Noi come possiamo aiutare?
Jelena sospira: siamo arrivati al punto.
Ci sono dei gruppi, in Serbia, che non hanno digerito il fatto che il Montenegro si sia separato e che abbia intrapreso la strada dell’integrazione europea: lo vedono come un errore. La richiesta di adesione alla NATO, poi, lo sentono come un tradimento: la NATO li ha bombardati nel 1999.
Cercheranno di influenzare le elezioni?
Esatto. Ma non in maniera diplomatica.
E come?
Con la violenza. E questo è inaccettabile.
Spiegati.
Jelena si spiega… O meglio, ci prova.
Non è il governo serbo: sono gli estremisti nazionalisti… Sono in contatto con altri attori, anche al di fuori della serbia: in Montenegro, e oltre. Sanno che i partiti nostalgici della Jugoslavia perderanno le elezioni, e quindi cercheranno di far saltare il piatto prima di perdere tutto.
Un attentato scatenerà il panico. Poi gli estremisti riempiranno le strade di Podgorica paralizzando la polizia. Il governo verrà messo in difficoltà. Le elezioni si svolgeranno in un clima improvvisamente deteriorato, nella paura.
Se possibile, i nazionalisti vinceranno e la politica del Montenegro cambierà radicalmente. Se invece perderanno, il nuovo governo sarà comunque delegittimato e l’integrazione euro-atlantica sarà rallentata.
No, non ha le prove di quello che dice… Però ha dei nomi. E un numero di telefono.
Potrebbe essere abbastanza. Ma come ha ottenuto tutte queste informazioni? Lei è un’attivista di opposizione, di sicuro gli estremisti non condividono informazioni con lei…
No, non lo fanno. Ma lei ha le sue fonti. E non può stare a guardare mentre un Paese vicino viene sovvertito con la forza mentre cerca di fare ciò che secondo lei è giusto.
Hmmm… Beata lei che ha le sue certezze. Per quel che ne so io, il Montenegro è terra di scontro fra bande di affaristi connessi alla criminalità organizzata, sia russa che italiana: le opposte politiche che perseguono sono strumentali ai loro affari.
Certo: però se una di quest politiche conduce verso la democrazia, il fatto che chi la persegue sia un poco di buono non è un buon motivo per fermarlo a vantaggio dei suoi avversari.
A questo non ho niente da obiettare, anche perché è quanto pensano anche quelli che mi pagano. E quelli che mi pagano vorranno conoscere l’origine delle sue informazioni.
No. Dovranno accontentarsi delle informazioni: lei non può rivelare le sue fonti.
Sospiro.
Tiro fuori l’iphone dalla tasca del giubbotto e invio la registrazione del colloquio al transponder che incrocia in Adriatico: sarà in Agenzia in pochi secondi, insieme ai nomi e al numero di telefono che mi ha passato Jelena.
Dapo tutti i film di Bond che ho visto, mi sembra impossibile che le avventure di cappa e spada siano in realtà così semplici e banali.
Tempo di salutarsi e per me di tornare a bordo… Oppure no?
Guardo Jelena: è nervosissima. Ma la sua non è paura.
Si sente in colpa. Pensa di aver tradito il suo Paese, anche se per proteggere i suoi principi? No, ha detto chiaramente che il suo governo non è coinvolto, almeno non direttamente…
Allora perché?
Le sue fonti: deve essere quello che la tormenta.
Devo farle dire di più…
Ricevo la conferma della ricezione e della leggibilità del mio post.
Interrompo la connessione internet e cancello il messaggio originario: non si sa mai. Poi ripongo l’iphone.
Le labbra di Jelena sono serrate, il suo sorriso forzato è un po’ sbilenco.
Peccato, le rovina i lineamenti.
Di solito a me la femmina piace al dente, mentre il maschio lo prendo stagionato… Però Jelena mi piace, anche se un po’ passita. Come me, del resto.
Forse è il momento di unire il dovere al piacere.
- Ti va una passeggiata? Ti farà bene…
Lei mi guarda, sorpresa.
Le spiego che se qualcuno ci sta osservando, sembrerà rassicurante vederci passare il resto della serata insieme; se invece ci salutiamo, il nostro sembrerà un incontro un po’ sospetto.
Annuisce rapidamente: sa che ho ragione.
Bene: avrò il tempo di lavorarmela un po’…
Passeggiamo, parlando un po’ di noi. Comincio io, raccontandole del mio matrimonio fallito e del mio vecchio lavoro di insegnante di matematica.
Davvero? Lei è ingegnere nuclere, ma ha anche una laurea in matematica…
Ho lasciato mio marito perché era un’ameba a letto, e ho tenuto mia figlia con me.
Il suo matrimonio invece è felice… Molto felice. Anche se, come saprò, lei e Jadran hanno idee politiche opposte.
Sì, lo so. Ma questo a letto non conta, giusto?
Giustissimo. Anzi, un po’ di rivalità non guasta, è come il pepe verde su una bistecca…
Le piacciono le bistecche?
Le adora…
Lo dice dopo la seconda birra al pub dove ormai siamo sedute da un’ora, e la scintilla negli occhi verdi tradisce l’allusione.
Ho già messo da parte l’idea di portarmela a letto: Jelena è chiaramente etero, e se ci provassi probabilmente rovinerei tutto. Però è chiaro che le sue pulsioni sessuali sono robuste quanto le mie…
Ho visto suo marito: giovane e aitante. Sicuramente il “pepe” di cui parla la mia nuova amica è un aspetto molto secondario del suo rapporto con un uomo con cui ha poco in comune dal punto di vista intellettuale.
Forse è il caso di dedicare il resto della notte all’altra metà del cielo.
Mi mordo le labbra, cercando di indurre la mia libido ad un cambio di fase, e comincio a fantasticare di una cameratesca condivisione di maschi con la mia bella amica serba…
- Cosa ne diresti di un night club?
Mi guarda sorpresa e un po’ scandalizzata: - Pat, io sono sposata…
Insisto: una serata fra donne; quattro salti in allegria, qualcosa di più forte della birra da bere, un po’ di flirting per sentirci giovani… Siamo due quarantenni ancora piacenti, farà bene al nostro ego.
Lei fa un sorriso un po’ buffo.
Poi alza il boccale di birra ormai vuoto: - Merda. E perché no?
La mia ricognizione del giorno prima si rivela utile: c’è un club a neanche centocinquanta metri dal nostro bar sulla spiaggia, proprio accanto all’ufficio postale e nei pressi dell’albergo principale della città, quindi immagino ci sarà una bella clientela internazionale.
Siamo vestite un po’ troppo sportive per un locale notturno, ma d’altra parte la stagione è ormai al termine, e noi siamo due signore abbastanza attraenti. Il buttafuori ci studia un attimo, ci classifica come due milf/cougar in caccia e ci fa entrare senza fare troppe storie.
Io non posso fare a meno di comportarmi da maschiaccio come sempre, e tratto istintivamente Jelena come fosse la mia ragazza, e questo aiuta: probabilmente agli occhi dello smaliziato buttafuori passiamo per una coppia gay… Oppure per due mogli in vena di trasgressione.
Faccio per pagare l’ingresso, ma Jelena mi ferma: - No, tu hai già pagato ristorante e bar: adesso tocca a me.
Apprezzo: Jelena ha classe.
Fossimo a Rimini, questo club sarebbe classificato una bettola. Ma a Herceg-Novi è probabilmente il locale notturno migliore della città, e infatti individuo subito un gran numero di clienti stranieri: in gran parte italiani, ma anche russi e tedeschi.
Single in caccia, coppiette, ubriaconi abituali e un discreto numero di entreneuses… Alcune piuttosto carine.
Noi siamo le uniche clienti non accompagnate, e questo ci frutta subito un bel tavolino in posizione centrale.
Ordino un Bloody Mary: preferisco restare lucida; Jelena opta per un Black Russian… Speriamo che combinato con la birra la ammorbidisca un po’.
Continuiamo a chiacchierare per un po’ sorseggiando con calma i nostri cocktail, e noto con piacere che alcuni maschi ci occhieggiano con evidente interesse.
Sento diverse voci discorrere in italiano, e individuo in particolare un discreto numero di napoletani, quasi tutti single in caccia.
Sfigati di fine stagione cui piacciono le ragazzine slave. Squallidi.
I crucchi sono quasi tutti accompagnati: sono in coppia, oppure hanno già agganciato (o meglio sono stati agganciat da) le ragazze più attraenti.
I russi pensano solo a guardare e a ubriacarsi.
Fra quelli che ci lumano, individuo un gruppetto di sfigati più rumorosi di altri. Sento i commenti in italiano: dibattono della nostra nazionalità presunta (l’opinione prevalente ci fa svedesi, per via dei capelli e della mia statura immagino), delle nostre tendenze sessuali (uno ci marchia come lesbiche, ma gli altri ci bollano come ‘vajasse’ in caccia), e soprattutto delle nostre abilità erotiche… Ci reso un po’ male quando li sento decidere che Jelena deve essere una pompinara migliore di me: dev’essere a causa delle sue labbra carnose a fronte delle mie che sono un po’ sottili. Ma mi riprendo quando quello con la barba decide (in un italiano peggiore degli altri) che con il fondoschiena che mi ritrovo, devo essere una rottainculo da urlo.
Ha ragione.
Sorrido dentro di me, e constatato che Jelena ha ormai vuotato il suo calice, le propongo di andare a ballare un po’.
Lei ridacchia cercando di schernirsi, ma è evidente che le piacerebbe eccome…
Sospiro fra me: non deve essere una difficile da rimorchiare… Per un maschio.
Pazienza: intanto la trascino in pista, poi vedremo.
La musica è quella trendy in Italia: l’abbiamo ballata a Rimini tutta l’estate, e Eva ha fatto furore. Jelena non è una grande ballerina, ma le sue tette ballano che è un piacere sotto la sua maglietta bianca: avrà una terza abbondante, o magari una quarta. Mi rodo d’invidia…
Aggancio con lo sguardo gli stronzi del tavolo vicino al nostro: qualli dei commenti spinti.
Due sono giovinastri di 25-30 anni che chiaramente si considerano grandi rimorchiatori, mentre il loro compare barbuto ha qualche anno di più. Tutto sommato, per esere dei portatori di cazzo, non sembrano male.
Fisso uno dei giovani stronzi e mi umetto le labbra, poi agito un po’ il culo.
Jelena non si accorge neanche delle mie manovre: lei balla a occhi chiusi, persa nella musica e nei fumi dell’alcool.
Quando finalmente li riapre, i tre stronzi ci hanno circondate e si stanno dimenando con aria da conquistatori, convinti di averci conquistate.
Provo un certo senso di disgusto, ma è anche vero che non prendo un cazzo da almeno quindici giorni, e l’idea di una bella scovolata non mi dispiace troppo…
Il barbuto che apprezza il mio lato B ha un orecchino, un tatuaggio osceno al polso e un bel sorriso maschio. Mi balla addosso, cercando il contatto fisico, ma almeno sa ballare piuttosto bene.
I due giovinastri sono più invadenti, ma chiaramente non hanno scelto la loro preda preferita: già, i due coglioncelli pensano di essere loro, i cacciatori…
Jelena mi guarda sgomenta: ha capito che i tipi ci stanno provando, ed è un po’ confusa.
Le strizzo l’occhio con aria sicura, e mi strofino contro uno dei giovinastri senza smettere di fissare il barbuto.
Sono una di vedute aperte, non si è capito?
Voglio quello con la barba, e quindi lo provoco stuzzicando il giovinastro. Tattica da quindicenne, ma con i portatori di cazzo standard funziona sempre.
- Guagliò, chesta stangona ci sta!
Il giovinastro nella sua testa mi si è già fatta.
- E’ svedes’ song tutte troie…
L’altro coglioncello non si pone neanche il dubbio che una di noi possa capire quello che dice: è davvero convinto che siamo svedesi…
La musica si spegne per passare a un lento con un mix da brividi
Il mio spasimante di Spaccanapoli prova ad abbracciarmi, ma io me lo scrollo via.
Mi rivolgo in inglese al barbuto: - Cosa ne direste di offrirci da bere?
Quello mi guarda un po’ imbarazzato. Ripeto la domanda più lentamente, facendo il gesto del bicchiere, e lui annuisce contento.
Dice in pessimo italiano agli amici che noi vogliamo bere, e quelli scoppiano a ridere.
Uno dice che le troie bionde tocca ubriacarle prima di fotterle.
Finiamo al banco.
Jelena non è affatto convinta, ma accetta con piacere la vodka che si vede offrire. Io ne prendo un’altra, ma mi guardo bene dal mandarla giù.
Il patetico abbordaggio va avanti per un po’: nessuno dei tre sfigati parla una parola di inglese, e nessuno di loro è sfiorato dall’idea che io possa capire l’italiano. Il barba invece è del posto, e riesce a comunicare facilmente con Jelena, che si rilassa un po’: anche la vodka la aiuta. Così traduce lei i punti essenziali, che io capisco perfettamente (o quasi) quando i due giovinastri parlano fra loro.
Naturalmente lei è serba ed è sposata… Io invece sono davvero svedese, e sono divorziata.
- L’avevo detto, io… - esclama uno dei due imbecilli.
Jelena mi guarda un po’ stranita: ma non ero veneziana? Poi scuote le spalle e scola la sua vodka. Io sospiro di sollievo.
Pasquale e Vito, come sospettavo, sono universitari in vacanza, e Milos è la loro guida locale. I due stanno all’albergo lì vicino, mentre Milos abita a casa sua fuori città.
Bevendo la sua vodka e chiacchierando alternativamente con Milos e con me, Jelena si rilassa sempre di più.
Io propongo di tornare al tavolo, e finiamo seduti tutti insieme.
Continuiamo a bere e a chiacchierare, ma il rumore è troppo per una conversazione comunque piuttosto difficoltosa di suo.
Quando il DJ torna a una disco decente, mi alzo per tornare in pista, e il branco mi segue; sono pienamente in controllo della situazione, e già pregusto la scorpacciata di cazzo che mi aspetta…
Con un po’ di fortuna, riuscirò anche ad assaggiare un po’ di passera serba.
Mi fa uno strano effetto tornare in questo Paese: è da alcuni anni che non ci metto piede… Dai giorni drammatici del massacro sulla St.Cyril e della drammatica morte di Fabio.
Quegli eventi mi hanno cambiato la vita e hanno fatto di me, nel bene e nel male, quella che sono oggi.
In quei giorni sono stata rapita, suprata e torturata. Ho assistito al massacro di dozzine di persone, comprese diverse cui ero affezionata. Ho anche imparato a uccidere. Però mi sono legata definitivamente alla compagna della mia vita, ho ritrovato la mia libertà e scoperto dentro di me potenzialità che mai avrei creduto di possedere.
Il massacro è stato nascosto dalle autorità di tutti i Paesi coinvolti per un insieme di ragioni non esattamente politicamente corrette, ma alla fine mettere a tacere ogni notizia non ha danneggiato nessuno, e quindi forse è meglio così.
Oggi le cose sono cambiate parecchio: sia nel Montenegro che dentro Patrizia Visentin.
La piccola nazione adriatica è alla vigilia di eventi che ne cambieranno il corso della storia. E la bionda signora veneziana, che allora era una moglie infedele e un’insegnante frustrata, adesso è un’avventuriera che va in giro armata a bordo di una barca o sulla sua moto…
La Serenissima passa Boka Kotorska di buon mattino; proseguo a bassa velocità lungo la costa della splendida baia puntando a nord, finché non distinguo a occhio nudo la zona abitata di Herceg Novi. A ovest c’è la zona di Igalo, e più a est la Città Vecchia, Stari Grad.
A strapiombo sul mare, a proteggere la Città Vecchia, c’è la vecchia fortezza, e ai piedi di questa il piccolo porto turistico della città.
Attracchiamo, e mentre Jasmine si affanna a gettare gli ormeggi e io accosto fino a baciare il molo, mi viene da mandare un bestemmione dei miei.
La Serenissima è di gran lunga l’imbarcazione più grossa in rada, e non può non dare nell’occhio. Cosa è venuto in mente all’Agenzia di farmi venire quiin questo modo con la nave? Avrei potuto raggiungere Herceg Novi via terra da Ragusa, come Eva, e nessuno se ne sarebbe accorto.
Ma loro, no: dovevo arrivare via mare. Loro la chiamano “ridondanza”: opzioni di manovra in più a disposizione, nel caso insorgessero problemi… Già. Però così i problemi rischio di crearmeli da sola: ormai la Serenissima non è certo una novità in Adriatico, e chi fa il nostro lavoro non ci metterà molto a collegare la presenza della mia barca in Montenegro con la mia, e magari con quella dell’Agenzia, specie con quello che c’è in gioco in questi giorni.
Già: del resto, proprio con quel che c’è in gioco, da queste parti di “colleghi” devono essercene parecchi, e magari io non sono esattamente la preoccupazione principale degli altri.
Fra CIA, FSB, MI6, SDECE, BND, e chissà quali altre sigle rinomate, la mia Agenzia probabilmente non è quella più tenuta d’occhio.
Una delle cose che ho imparato nella mia attività professionale attuale, è che la raccolta di informazioni non è l’elemento più difficile nell’ambito dell’intelligence: con l’abbondanza di fonti di informazione esistente (fonti aperte, immagini satellitari, intercettazioni radio e telefoniche, sensori umani e assetti militari), la raccolta è la parte più semplice. Quello che è difficile, è l’analisi: indipendentemente dall’aver acquisito le informazioni con qualsiasi mezzo disponibile, se queste non sono ordinate, analizzate e valutate da specialisti, rimangono del tutto inutili.
Tradotto in termini pratici: magari è anche vero che la Serenissima attraccata al molo di Stari Grad verrà notata da mezzo mondo, ma è anche assai probabile che l’”opposizione” (e anche gli “amici”) ci metteranno diversi giorni a concludere che l’Agenzia ha mandato me a monitorare le cose alla vigilia delle elezioni politiche in Montenegro.
Insomma: è un rischio calcolato…
Devo continuare a ripetermelo.
Concludiamo le pratiche doganali abbastanza in fretta, considerato che siamo fuori dall’Area Shengen. Facciamo il pieno carburante (tanto paga l’Agenzia), e io sbarco la moto, che incateno sul molo davanti alla battagliola.
Dopo un panino con Jas e un rapido rapporto criptato con l’Agenzia, scendo a terra per una prima ispezione della zona.
Stari Grad è davvero molto graziosa. Molto simile ai paesini della Dalmazia croata, solo un po’ meno turistica: si vede che qui l’economia ancora non è decollata. Però la cittadina è pulita e ordinata, chiaramente organizzata per il turismo.
Ci sono manifesti elettorali dappertutto: naturalmente sono in cirillico e non capisco praticamente niente, ma so che si riferiscono ai due partiti principali del Paese: quello socialdemocratico dell’attuale primo Ministro Djukanovic, che intende portare il Montenegro nell’unione Europea e nelle NATO, e l’Alleanza del Fronte Democratico, l’ombrello dei movimenti filo-serbi ostili all’Occidente e fautori di un avvicinamento alla Russia.
Già: noi in Italia pensiamo di avere idee politiche molto diverse fra loro quando parliamo di destra e sinistra, ma nei Balcani occidentali è come se il tempo si fosse fermato alla Guerra Fredda. Chi sta con l’Occidente e chi sta con la Russia. Entrambi pronti a definire traditori gli altri…
Definire il Montenegro sull’orlo di una guerra civile forse è esagerato. Ma si pensava esagerato anche dirlo dell’Ucraina due anni fa… O della Siria quattro.
Sui media se ne parla poco, forse perché il Paese è così piccolo, ma le Capitali europee sono preoccupate; e anche Mosca e Washington lo sono.
Arrivando da Venezia, ho incrociato due fregate della NATO al limite delle acque territoriali: una italiana e l’altra spagnola. Più a sud c’era anche una nave più piccola che sul radar risulta innocua, ma che in base ai dati dell’Agenzia è la Liman, una nave spia russa della flotta del Mar Nero.
Podgorica è piena di giornalisti delle principali catene e testate… Sicuramente lo è anche di agenti e osservatori, sia russi che occidentali.
La tensione è palpabile.
Per fortuna pare ci siano anche persone il cui scopo è abbassare la tensione piuttosto che alzarla.
E’ per questo che sono qui.
Le parole di “Vittorio”, il mio capo, mi ronzano ancora nelle orecchie.
E’ una donna. Serba. Vuole parlare con qualcuno; qualcuno di cui possa fidarsi…
E io che c’entro, avevo chiesto.
Pare che io sia il tipo di persona con cui accetterebbe di parlare. Non vuole saperne né di diplomatici di basso rango, né tantomeno di agenti segreti, specialmente americani: ci tiene alla pelle.
Vedo la sua foto: una donna della mia età, piuttosto attraente, con due occhi vivaci e intelligenti. Ingegnere nucleare. Attivista per i diritti civili nel suo Paese. Direttrice di un istituto sulle relazioni internazionali. Tendenze europee e atlantiche, ma anche una patriota decisa a non lasciare la Serbia a nessun costo: una tipa tosta, che crede nelle sue idee e rema controcorrente in un Paese in cui Europa e Occidente non sono partticolarmente popolari.
Ma soprattutto, una che vuole parlare con qualcuno in Occidente, senza che i servizi del suo Paese lo sappiano. Vuole parlare di qualcosa di urgente, qualcosa di relativo alle imminenti elezioni in Montenegro.
Ha passato il messaggio attraverso la sua rete di contatti: un attivista serbo lo ha girato ad un giornalista italiano con contatti con l’Agenzia, e il giorno dopo Eva e io siamo dovute partire mollando tutto.
Lei in aereo per Dubrovnik, e io con la Serenissima…
Podgorica non è il posto migliore per incontrarsi senza dare nell’occhio in questi giorni, così la tipa ha preso una camera in un centro termale spaciale a Igalo, dove ai turisti è garantita non solo la privacy, ma anche un’assistenza sanitaria completa. Un posto per pensionati dalla salute cagionevole in cerca di mare ma anche di sicurezza, dove assumono stagionalmente infermiere e assistenti da tutta Europa.
L’Agenzia ha trovato a Eva un posto da assistente psicologa, e lei ha raggiunto l’istituto con un’auto a nolo affittata all’aeroporto di Dubrovnik: ora lavora lì da due giorni.
Insegnanti di matematica lì non ne volevano, e neanche capitani d’altura, quindi io rimarrò fuori dalla struttura, e l’incontro con la tipa avverrà in un ristorante sul lungomare. Eva avrà una funzione di osservazione e sicurezza, ma la sua missione non prevede che si faccia riconoscere.
Se tutto va bene, la nostra amica serba mi passerà le sue informazioni senza che nessuno se ne accorga, finirà la sua breve vacanza e tornerà a casa; io trasmetterò tutto dalla Serenissima a Roma, e ce ne torneremo a casa tutti insieme in un paio di giorni.
Ho finito la mia ricognizione: Herceg-Novi non è Rimini… Però è graziosa.
Incontaminata.
Ormai è pomeriggio inoltrato: i ristoranti sul lungomare cominciano a riempirsi.
Mi avvio verso il locale dell’appuntamento, previsto per l’indomani.
E’ un locale italiano: si chiama in modo molto originale, “La Pergola”.
Ci sono già alcuni avventori, nessuno però corrisponde alla descrizione del mio obiettivo.
Provo a chiamare Eva al cellulare, sperando che la scheda craccata dell’Agenzia funzioni…
Eva è ancora al lavoro: il suo turno è pomeridiano-serale, ed è libera al mattino.
Si annoia e mi invidia: io almeno posso andare in giro…
Beh, finalmente lei può fare un po’ di esperienza professionale…
Me la immagino farmi una smorfia con la lingua di fuori.
- Non ti piacerà… - mi dice – La nostra Jelena non è sola.
- Cosa?
- Si è portata dietro il marito.
Impreco. Il marito di Jelena non fa parte del piano: non solo non era previsto che venisse, ma non sa neppure che sua moglie è in contatto con agenzie occidentali. Il loro è un matrimonio “d’amore”, ma le idee politiche dei coniugi non potrebbero essere più opposte. Andreas è un nazionalista, ostile a qualsiasi avvicinamento della serbia all’Occidente: le discussioni politiche fra i due sono avvicenti per la stampa serba.
Stanno uscendo dall’istituto proprio adesso: probabilmente vanno a cena, i due piccioncini…
Li aspetterò, tanto per dare un’occhiata.
Sì, eccoli.
La coppietta sembra davvero affiatata: evidentemente le differenze politiche non intaccano il loro rapporto. Un caso raro di reciproca apertura mentale?
Certo che lei è davvero un bel bocconcino: biondastra, snella, minuta… Le prime rughe intorno agli occhi non intaccano la grazia del viso. Suo marito sembra leggermente più giovane, ed è un bel fusto anche lui: Biondo, atletico, alto quanto me, un bel volto maschio.
Me li farei volentieri tutti e due.
Siedono proprio alla “Pergola” e cominciano a chiacchierare aspettando di ordinare.
Non posso restare in strada troppo a lungo, e non sarebbe una buona idea entrare anche io, quindi mi avvio.
Speriamo che domani si liberi del marito: non possiamo certo parlare davanti a lui, considerate le sue idee politiche.
Eva ridacchia quando le dico di averli visti…
Anche a lei piacciono tutti e due.
Dice che la tipa mi somiglia anche un po’…
Ma se non è più alta di un metro e settanta!
Gelosa?
Stupida.
Non ti preoccupare, quando stacco ho un appuntamento, ma non si tratta di una donna.
Un portatore di cazzo?
E dei migliori… Un ginecologo austriaco sulla trentina, che fa il turno semestrale completo. L’ho abbordato questa mattina a colazione.
Sei una troia.
Certo. E a te piaccio così… Divertiti con Jasmine, stasera, e pensa a me!
Lo farò…
Il giorno dopo va meglio.
Sì, Jelena si è liberata del marito: Eva mi avverte che è partito dopo colazione, e con la macchina ha preso la strada per Podgorica.
Bene.
Raggiungo la “Pergola”, parcheggio la moto una cinquantina di metri lontano, metto il casco nel box, apro il giubbotto di pelle e mi avvio.
Jelena è già seduta allo stesso tavolo della sera prima: fa finta di leggere il menu, ma posso vedere che sta osservando nervosamente verso l’esterno attraverso la vetrata.
Non ha idea di chi la contatterà, ed è chiaramente a disagio.
E’ vestita da ragazza sportiva troppo cresciuta: una denim girl over 40 con giacca e calzoni jeans e una maglietta bianca.
Entro nel locale e mi guardo intorno: individuo i bagni, l’accesso alla cucina, e la cassa. Due camerieri in servizio più la cassiera.
Una dozzina di clienti: per lo più coppie, una famigliola con due marmocchi, un paio di anziani single, e Jelena.
Lei continua a guardare verso l’ingresso da sopra la carta del menu, e incrocio i suoi occhi verdastri.
Sorrido e mi avvicino con aria disinvolta, come se incontrassi una vecchia amica.
- Ciao – le faccio in italiano, prima di passare all’inglese: - E’ da molto che aspetti?
Lei mi fissa sorpresa per un momento: probabilmente si aspettava un uomo.
Mi siedo davanti a lei e sorrido amichevolmente.
Lei mi guarda: una coetanea bionda come lei, con i capelli corti e ribelli, abbronzata e sportiva nel suo completo di pelle da motociclista con stivali alti e una canotta grigia sotto il giubbotto aperto.
- Ti vedo bene, Jelena – le dico sorridendo, come se non ci vedessimo da un po’… Così metto in chiaro che conosco il suo nome e non si tratta di un errore di persona.
Lei si riprende in fretta dalla sorpresa.
Cominciamo a chiacchierare con crescente disinvoltura. Il suo inglese è perfetto, assai migliore del mio: praticamente non ha accento, come Eva.
Prova a portare il discorso sull’argomento principale, ma io la blocco; è troppo presto, ed è meglio parlare all’aperto. Non si sa mai…
Due spaghetti ai frutti di mare (rimpiango la cucina di Jasmine) e un sorbetto al limone più tardi, mentre lei ancora perde tempo con la sua macedonia di frutta, ordino due espressi e il conto.
Jelena è nervosa, e ho fretta di tirarla fuori all’aperto.
Lei non tocca il caffè: deve essere una tipa da the… peggio per lei. Mi hanno sempre fatto un po’ pena quelli che non reggono il caffè espresso.
Pago il conto in contanti per entrambe e propongo una passeggiata sul lungomare intanto che c’è ancora un po’ di luce.
Usciamo.
Poco oltre il locale, vicino a dove ho parcheggiato la moto, c’è una spacie di spiaggia artificiale: una larga piattaforma in cemento, un po’ di sabbia di riporto, muretti e panchine ancora illuminate dal sole ed esposte alla brezza di mare.
L’ideale per una chiachierata intima: il vento rende difficile l’uso dei microfoni direzionali, e la posizione obbligherebbe l’eventuale ascoltatore a collocarsi alle nostre spalle privandolo dell’ausilio del labiale.
Piccoli accorgimenti che non rendono impossibile l’ascolto, ma lo rendono più complesso da eseguire…
Jelena è nervosa.
Cerco di metterla a suo agio: le racconto di me, dico che sono veneziana e che ho una figlia alle superiori…
Lei è di Belgrado e non ha figli.
Oh, mi dispiace…
No, è una sua scelta. E’ votata al suo lavoro da quando aveva vent’anni.
Già, il suo lavoro… E il suo impegno civile.
Esatto. Verrà il giorno che anche il suo sarà un “Paese normale”, come il Belgio o la Danimarca…
Sospiro: è un discorso che ho già sentito anche a proposito dell’Italia.
Lei fa un sorriso amaro: già, solo che l’Italia non si è fatta bombardare da tutti i suoi vicini pochi anni prima.
Vero. Nel nostro caso sono passati più di settant’anni… Ma tutti hanno qualcosa di cui farsi perdonare dagli altri.
Ma prima di farsi perdonare dagli altri bisognerebbe perdonare sé stessi, e questo in Serbia ancora non vale per tutti.
Sarà. Comincio ad essere un po’ impaziente: i crociati troppo bene intenzionati mi mettono a disagio. Del resto è un fatto riconosciuto che Jelena si sta sforzando di cambiare le cose…
Ci vorrà molto tempo. Un’altra generazione almeno… Ma bisogna pur cominciare.
Esatto. Noi come possiamo aiutare?
Jelena sospira: siamo arrivati al punto.
Ci sono dei gruppi, in Serbia, che non hanno digerito il fatto che il Montenegro si sia separato e che abbia intrapreso la strada dell’integrazione europea: lo vedono come un errore. La richiesta di adesione alla NATO, poi, lo sentono come un tradimento: la NATO li ha bombardati nel 1999.
Cercheranno di influenzare le elezioni?
Esatto. Ma non in maniera diplomatica.
E come?
Con la violenza. E questo è inaccettabile.
Spiegati.
Jelena si spiega… O meglio, ci prova.
Non è il governo serbo: sono gli estremisti nazionalisti… Sono in contatto con altri attori, anche al di fuori della serbia: in Montenegro, e oltre. Sanno che i partiti nostalgici della Jugoslavia perderanno le elezioni, e quindi cercheranno di far saltare il piatto prima di perdere tutto.
Un attentato scatenerà il panico. Poi gli estremisti riempiranno le strade di Podgorica paralizzando la polizia. Il governo verrà messo in difficoltà. Le elezioni si svolgeranno in un clima improvvisamente deteriorato, nella paura.
Se possibile, i nazionalisti vinceranno e la politica del Montenegro cambierà radicalmente. Se invece perderanno, il nuovo governo sarà comunque delegittimato e l’integrazione euro-atlantica sarà rallentata.
No, non ha le prove di quello che dice… Però ha dei nomi. E un numero di telefono.
Potrebbe essere abbastanza. Ma come ha ottenuto tutte queste informazioni? Lei è un’attivista di opposizione, di sicuro gli estremisti non condividono informazioni con lei…
No, non lo fanno. Ma lei ha le sue fonti. E non può stare a guardare mentre un Paese vicino viene sovvertito con la forza mentre cerca di fare ciò che secondo lei è giusto.
Hmmm… Beata lei che ha le sue certezze. Per quel che ne so io, il Montenegro è terra di scontro fra bande di affaristi connessi alla criminalità organizzata, sia russa che italiana: le opposte politiche che perseguono sono strumentali ai loro affari.
Certo: però se una di quest politiche conduce verso la democrazia, il fatto che chi la persegue sia un poco di buono non è un buon motivo per fermarlo a vantaggio dei suoi avversari.
A questo non ho niente da obiettare, anche perché è quanto pensano anche quelli che mi pagano. E quelli che mi pagano vorranno conoscere l’origine delle sue informazioni.
No. Dovranno accontentarsi delle informazioni: lei non può rivelare le sue fonti.
Sospiro.
Tiro fuori l’iphone dalla tasca del giubbotto e invio la registrazione del colloquio al transponder che incrocia in Adriatico: sarà in Agenzia in pochi secondi, insieme ai nomi e al numero di telefono che mi ha passato Jelena.
Dapo tutti i film di Bond che ho visto, mi sembra impossibile che le avventure di cappa e spada siano in realtà così semplici e banali.
Tempo di salutarsi e per me di tornare a bordo… Oppure no?
Guardo Jelena: è nervosissima. Ma la sua non è paura.
Si sente in colpa. Pensa di aver tradito il suo Paese, anche se per proteggere i suoi principi? No, ha detto chiaramente che il suo governo non è coinvolto, almeno non direttamente…
Allora perché?
Le sue fonti: deve essere quello che la tormenta.
Devo farle dire di più…
Ricevo la conferma della ricezione e della leggibilità del mio post.
Interrompo la connessione internet e cancello il messaggio originario: non si sa mai. Poi ripongo l’iphone.
Le labbra di Jelena sono serrate, il suo sorriso forzato è un po’ sbilenco.
Peccato, le rovina i lineamenti.
Di solito a me la femmina piace al dente, mentre il maschio lo prendo stagionato… Però Jelena mi piace, anche se un po’ passita. Come me, del resto.
Forse è il momento di unire il dovere al piacere.
- Ti va una passeggiata? Ti farà bene…
Lei mi guarda, sorpresa.
Le spiego che se qualcuno ci sta osservando, sembrerà rassicurante vederci passare il resto della serata insieme; se invece ci salutiamo, il nostro sembrerà un incontro un po’ sospetto.
Annuisce rapidamente: sa che ho ragione.
Bene: avrò il tempo di lavorarmela un po’…
Passeggiamo, parlando un po’ di noi. Comincio io, raccontandole del mio matrimonio fallito e del mio vecchio lavoro di insegnante di matematica.
Davvero? Lei è ingegnere nuclere, ma ha anche una laurea in matematica…
Ho lasciato mio marito perché era un’ameba a letto, e ho tenuto mia figlia con me.
Il suo matrimonio invece è felice… Molto felice. Anche se, come saprò, lei e Jadran hanno idee politiche opposte.
Sì, lo so. Ma questo a letto non conta, giusto?
Giustissimo. Anzi, un po’ di rivalità non guasta, è come il pepe verde su una bistecca…
Le piacciono le bistecche?
Le adora…
Lo dice dopo la seconda birra al pub dove ormai siamo sedute da un’ora, e la scintilla negli occhi verdi tradisce l’allusione.
Ho già messo da parte l’idea di portarmela a letto: Jelena è chiaramente etero, e se ci provassi probabilmente rovinerei tutto. Però è chiaro che le sue pulsioni sessuali sono robuste quanto le mie…
Ho visto suo marito: giovane e aitante. Sicuramente il “pepe” di cui parla la mia nuova amica è un aspetto molto secondario del suo rapporto con un uomo con cui ha poco in comune dal punto di vista intellettuale.
Forse è il caso di dedicare il resto della notte all’altra metà del cielo.
Mi mordo le labbra, cercando di indurre la mia libido ad un cambio di fase, e comincio a fantasticare di una cameratesca condivisione di maschi con la mia bella amica serba…
- Cosa ne diresti di un night club?
Mi guarda sorpresa e un po’ scandalizzata: - Pat, io sono sposata…
Insisto: una serata fra donne; quattro salti in allegria, qualcosa di più forte della birra da bere, un po’ di flirting per sentirci giovani… Siamo due quarantenni ancora piacenti, farà bene al nostro ego.
Lei fa un sorriso un po’ buffo.
Poi alza il boccale di birra ormai vuoto: - Merda. E perché no?
La mia ricognizione del giorno prima si rivela utile: c’è un club a neanche centocinquanta metri dal nostro bar sulla spiaggia, proprio accanto all’ufficio postale e nei pressi dell’albergo principale della città, quindi immagino ci sarà una bella clientela internazionale.
Siamo vestite un po’ troppo sportive per un locale notturno, ma d’altra parte la stagione è ormai al termine, e noi siamo due signore abbastanza attraenti. Il buttafuori ci studia un attimo, ci classifica come due milf/cougar in caccia e ci fa entrare senza fare troppe storie.
Io non posso fare a meno di comportarmi da maschiaccio come sempre, e tratto istintivamente Jelena come fosse la mia ragazza, e questo aiuta: probabilmente agli occhi dello smaliziato buttafuori passiamo per una coppia gay… Oppure per due mogli in vena di trasgressione.
Faccio per pagare l’ingresso, ma Jelena mi ferma: - No, tu hai già pagato ristorante e bar: adesso tocca a me.
Apprezzo: Jelena ha classe.
Fossimo a Rimini, questo club sarebbe classificato una bettola. Ma a Herceg-Novi è probabilmente il locale notturno migliore della città, e infatti individuo subito un gran numero di clienti stranieri: in gran parte italiani, ma anche russi e tedeschi.
Single in caccia, coppiette, ubriaconi abituali e un discreto numero di entreneuses… Alcune piuttosto carine.
Noi siamo le uniche clienti non accompagnate, e questo ci frutta subito un bel tavolino in posizione centrale.
Ordino un Bloody Mary: preferisco restare lucida; Jelena opta per un Black Russian… Speriamo che combinato con la birra la ammorbidisca un po’.
Continuiamo a chiacchierare per un po’ sorseggiando con calma i nostri cocktail, e noto con piacere che alcuni maschi ci occhieggiano con evidente interesse.
Sento diverse voci discorrere in italiano, e individuo in particolare un discreto numero di napoletani, quasi tutti single in caccia.
Sfigati di fine stagione cui piacciono le ragazzine slave. Squallidi.
I crucchi sono quasi tutti accompagnati: sono in coppia, oppure hanno già agganciato (o meglio sono stati agganciat da) le ragazze più attraenti.
I russi pensano solo a guardare e a ubriacarsi.
Fra quelli che ci lumano, individuo un gruppetto di sfigati più rumorosi di altri. Sento i commenti in italiano: dibattono della nostra nazionalità presunta (l’opinione prevalente ci fa svedesi, per via dei capelli e della mia statura immagino), delle nostre tendenze sessuali (uno ci marchia come lesbiche, ma gli altri ci bollano come ‘vajasse’ in caccia), e soprattutto delle nostre abilità erotiche… Ci reso un po’ male quando li sento decidere che Jelena deve essere una pompinara migliore di me: dev’essere a causa delle sue labbra carnose a fronte delle mie che sono un po’ sottili. Ma mi riprendo quando quello con la barba decide (in un italiano peggiore degli altri) che con il fondoschiena che mi ritrovo, devo essere una rottainculo da urlo.
Ha ragione.
Sorrido dentro di me, e constatato che Jelena ha ormai vuotato il suo calice, le propongo di andare a ballare un po’.
Lei ridacchia cercando di schernirsi, ma è evidente che le piacerebbe eccome…
Sospiro fra me: non deve essere una difficile da rimorchiare… Per un maschio.
Pazienza: intanto la trascino in pista, poi vedremo.
La musica è quella trendy in Italia: l’abbiamo ballata a Rimini tutta l’estate, e Eva ha fatto furore. Jelena non è una grande ballerina, ma le sue tette ballano che è un piacere sotto la sua maglietta bianca: avrà una terza abbondante, o magari una quarta. Mi rodo d’invidia…
Aggancio con lo sguardo gli stronzi del tavolo vicino al nostro: qualli dei commenti spinti.
Due sono giovinastri di 25-30 anni che chiaramente si considerano grandi rimorchiatori, mentre il loro compare barbuto ha qualche anno di più. Tutto sommato, per esere dei portatori di cazzo, non sembrano male.
Fisso uno dei giovani stronzi e mi umetto le labbra, poi agito un po’ il culo.
Jelena non si accorge neanche delle mie manovre: lei balla a occhi chiusi, persa nella musica e nei fumi dell’alcool.
Quando finalmente li riapre, i tre stronzi ci hanno circondate e si stanno dimenando con aria da conquistatori, convinti di averci conquistate.
Provo un certo senso di disgusto, ma è anche vero che non prendo un cazzo da almeno quindici giorni, e l’idea di una bella scovolata non mi dispiace troppo…
Il barbuto che apprezza il mio lato B ha un orecchino, un tatuaggio osceno al polso e un bel sorriso maschio. Mi balla addosso, cercando il contatto fisico, ma almeno sa ballare piuttosto bene.
I due giovinastri sono più invadenti, ma chiaramente non hanno scelto la loro preda preferita: già, i due coglioncelli pensano di essere loro, i cacciatori…
Jelena mi guarda sgomenta: ha capito che i tipi ci stanno provando, ed è un po’ confusa.
Le strizzo l’occhio con aria sicura, e mi strofino contro uno dei giovinastri senza smettere di fissare il barbuto.
Sono una di vedute aperte, non si è capito?
Voglio quello con la barba, e quindi lo provoco stuzzicando il giovinastro. Tattica da quindicenne, ma con i portatori di cazzo standard funziona sempre.
- Guagliò, chesta stangona ci sta!
Il giovinastro nella sua testa mi si è già fatta.
- E’ svedes’ song tutte troie…
L’altro coglioncello non si pone neanche il dubbio che una di noi possa capire quello che dice: è davvero convinto che siamo svedesi…
La musica si spegne per passare a un lento con un mix da brividi
Il mio spasimante di Spaccanapoli prova ad abbracciarmi, ma io me lo scrollo via.
Mi rivolgo in inglese al barbuto: - Cosa ne direste di offrirci da bere?
Quello mi guarda un po’ imbarazzato. Ripeto la domanda più lentamente, facendo il gesto del bicchiere, e lui annuisce contento.
Dice in pessimo italiano agli amici che noi vogliamo bere, e quelli scoppiano a ridere.
Uno dice che le troie bionde tocca ubriacarle prima di fotterle.
Finiamo al banco.
Jelena non è affatto convinta, ma accetta con piacere la vodka che si vede offrire. Io ne prendo un’altra, ma mi guardo bene dal mandarla giù.
Il patetico abbordaggio va avanti per un po’: nessuno dei tre sfigati parla una parola di inglese, e nessuno di loro è sfiorato dall’idea che io possa capire l’italiano. Il barba invece è del posto, e riesce a comunicare facilmente con Jelena, che si rilassa un po’: anche la vodka la aiuta. Così traduce lei i punti essenziali, che io capisco perfettamente (o quasi) quando i due giovinastri parlano fra loro.
Naturalmente lei è serba ed è sposata… Io invece sono davvero svedese, e sono divorziata.
- L’avevo detto, io… - esclama uno dei due imbecilli.
Jelena mi guarda un po’ stranita: ma non ero veneziana? Poi scuote le spalle e scola la sua vodka. Io sospiro di sollievo.
Pasquale e Vito, come sospettavo, sono universitari in vacanza, e Milos è la loro guida locale. I due stanno all’albergo lì vicino, mentre Milos abita a casa sua fuori città.
Bevendo la sua vodka e chiacchierando alternativamente con Milos e con me, Jelena si rilassa sempre di più.
Io propongo di tornare al tavolo, e finiamo seduti tutti insieme.
Continuiamo a bere e a chiacchierare, ma il rumore è troppo per una conversazione comunque piuttosto difficoltosa di suo.
Quando il DJ torna a una disco decente, mi alzo per tornare in pista, e il branco mi segue; sono pienamente in controllo della situazione, e già pregusto la scorpacciata di cazzo che mi aspetta…
Con un po’ di fortuna, riuscirò anche ad assaggiare un po’ di passera serba.
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