Cos'hai da perdere?
di
tigrottina
genere
sentimentali
Ed eccomi qui con l'ultima parte della mia storia. Come sempre, inizio ringraziando il mio angelo iprimipassi per aver rivisto e corretto la mia bozza. Senza di lui, non sarei mai riuscita a raccontarmi e, probabilmente, oggi non sarei così felice.
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"Cos'hai da perdere?".
Quella fu la frase che diede inizio a tutto. All'apparenza una frase fatta, parole banali dette per chiudere un discorso, parole che ognuno avrà sentito pronunciare mille volte. Ma parole che da quella bocca escono di rado e, proprio per questo, parole alle quali decisi di dare ascolto.
L'avventura di una sera col poeta misterioso restò un unicum nella mia vita. Fu il solo, a parte Laurent, al quale concessi il mio corpo. Dopo di allora, qualche appuntamento, qualche brivido, al massimo qualche bacio. Nulla di più, nessuno che fosse riuscito a coinvolgermi sul serio. Tranne chi quelle parole le pronunciò. Qualcuno che riusciva a capirmi, a farmi guardare dentro me stessa. Qualcuno che mi piaceva, mi piaceva sul serio. Ma che mi vedeva, considerava e trattava come un'amica e nulla più.
"Cos'hai da perdere?". Me lo scrisse una sera di un paio d'anni fa, durante una pausa a lavoro, mentre parlavamo di un cliente che da settimane frequentava il bar. La prima volta ci capitò per caso, e già quel giorno non potei non notare i suoi occhi estasiati su di me. Ci tornò il giorno successivo, e quello dopo ancora. Senza mai forzare la mano, la confidenza tra noi nacque e crebbe settimana dopo settimana. Era simpatico, gentile, colto, brillante, un ragazzo a posto e decisamente carino. Eppure titubai quando, quella sera, mi chiese di uscire. Farfugliai qualcosa circa l'enorme carico di lavoro di quei giorni, e schizzai goffamente nel retro.
"Non ho rifiutato, ma non sapevo cosa rispondere. Mi ha spiazzato", digitai sullo smartphone.
"Spiazzato? Questo non è neppure della tua città, viene lì ogni giorno, ordina mezzo menu pur di passare del tempo con te, e ti meravigli se ti chiede di uscire? Dici sul serio?", rispose col suo consueto, irritante sarcasmo.
"No, certo... potevo aspettarmelo, ma... non so che fare".
"Ti conviene decidere in fretta, o, a furia di dolci della casa, fra un po' non passerà neanche più dalla porta. Resterà lì finché demolitore non vi separi".
"Ti diverti, vero?".
"Parecchio, si. Ma mi spieghi qual è il problema? Sei uscita con un po' di ragazzi. Poi è finita di merda, ma almeno ci hai provato".
"Non mi sembra corretto uscire con qualcuno se ho te in testa".
"E il professorone del mese scorso? Il vanesio? Il palestrato di quest'inverno?".
"Sarà che non ricordi i nomi, ma di aggettivi non te ne sfugge uno!".
"Oh, dai, come posso dimenticare il tizio che sproloquiava dell'etimologia di ogni singola parola che pronunciavi, o quello che ti consigliava le creme idratanti più adatte per la tua pelle... è un freak show l'album dei tuoi corteggiatori. Comunque, sei uscita con più di qualcuno, pur avendo una cotta per me. Perché con Thomas no? E' l'unico che sembra sano di mente!".
"Proprio per questo... tu mi piaci, ma la cosa non è ricambiata. Lui potrebbe piacermi, sulla carta è perfetto. Che succederebbe se mi invaghissi e, per qualche motivo, a lui non accadesse la stessa cosa?".
"Poi sarei io l'esperto di seghe mentali... ma che tuffi carpiati fai? Esci solo con gentaglia della quale non potresti mai innamorarti per evitare di renderti vulnerabile?".
"In un certo senso. Ero innamorata di Laurent e a lui non importava. Sono innamorata di te e a te non importa. Non voglio rischiare un'altra mazzata".
"Laurent ti amava, poi è cambiato. Ma non può aver finto per dieci anni. Succede di percorrere un tratto di strada insieme e poi accorgersi che si vuol svoltare in direzioni opposte, ma questo non cancella il percorso fatto sino ad allora. E non sei innamorata di me, al massimo sei infatuata, è diverso. I ragazzi che hai intorno, o sono gay, o sono uomini delle tue amiche, o sono morti di figa che acconsentirebbero a tutto pur di portarti a letto. In me vedi un ideale, l'unica persona che ti tiene testa, che non teme di discutere e di contraddirti proprio perché non ha secondi fini. Un rapporto alla pari, qualcuno col quale confrontarti. Non vuoi ME, vuoi qualcuno COME me, è diverso".
"E tu che ne sai, Freud?".
"Non mi conosci abbastanza per poter dire di volere ME. Avrai una cotta, sarai invaghita, ma l'amore è altro, non può essere rivolto verso un'idea nella tua testa, è qualcosa che devi costruire sporcandoti le mani. E, chi lo sa, Thomas potrebbe aiutarti a farlo".
"Secondo te dovrei accettare, insomma".
"Se ci esci, magari non scatta nulla, lui smetterà di frequentare la tua città e il tuo bar e non lo rivedrai più. Se non ci esci, si stuferà di aspettarti e non lo vedrai più comunque. Cos'hai da perdere?".
Col senno di poi, nulla. Anzi.
Tornai in sala titubante, accettai l'invito di Thomas con una confusione nella testa che mi accompagnò sino al weekend, il mio primo turno di riposo e giorno stabilito per l'uscita. Ero agitata quella domenica, speravo che tutto fosse perfetto. Non so neppure perché mi sentissi così. Curai il mio aspetto nei minimi dettagli, qualcosa che non faccio mai. Studiai persino espressioni e inflessioni della voce, come quelle oche che si vedono prepararsi davanti allo specchio nelle commedie americane. Se avessi potuto vedermi dall'esterno, probabilmente avrei riso di me stessa. Ma non riuscivo a pensare a un modo migliore per attenuare la mia insolita ansia. Non potevo certo controllare il tempo, evitare che venissimo sorpresi da un acquazzone. Non potevo controllare Thomas per evitare si comportasse da idiota rovinando l'immagine che mi ero costruita di lui. Ma potevo controllare me, appunto, essere perfetta, rappresentare ciò che auspicavo per quella serata.
"Stai benissimo. Ma fai un respiro profondo e rilassati, non sei onnipotente e non stai andando in guerra", rispose a un mio messaggio e una mia foto chi quell'invito mi aveva spronata ad accettarlo.
E tutti i miei timori si rivelarono infondati, infatti. Lo sguardo dolce e il sorriso radioso di Thomas mi calmarono immediatamente. Alla fine piovve, ma neppure un tempo da lupi riuscì ad incrinare l'armonia di quell'incontro. Non accadde nulla quella sera, se non che mi sentii da subito a mio agio con lui, come se ci frequentassimo da anni. Guardammo un film al cinema e poi camminammo, parlammo, ridemmo tanto. Dopo che mi ebbe riportata a casa, continuammo a scriverci tutta la notte.
Per incontrarci di nuovo la mattina successiva, entrambi stanchi ma felici. E fu nella condizione imperfetta di due individui sfiniti dall'assenza di sonno che un bacio, quello si, perfetto unì le nostre labbra. Fu allora che colsi l'ennesima, stupefacente sfumatura del suo essere. Era dolce, gentile, delicato. Ma, al tempo stesso, quando mi aveva tra le sue braccia, passionale, sfrontato, deciso. Non mi baciava, sembrava volermi divorare.
Allo stesso modo s'impossessò del mio corpo quando glielo donai, circa un mese più tardi. La stessa persona che mi portava i fiori, che mi versava da bere, che mi apriva lo sportello dell'auto, non si faceva alcuno scrupolo nel mordere la mia carne, nell'afferrarla con tanta forza da lasciarne i segni sulla mia pelle, nel penetrarla a fondo, quasi con violenza, pur di prendersi il suo piacere e di donarne altrettanto a me. Dopo la prima volta con lui, non ricordavo di aver mai goduto così tanto in tutta la mia vita. Non con Laurent che, pur amandomi, non sapeva prendermi. Non col poeta ignoto che, invece, aveva saputo sedurmi ma verso il quale non provavo nulla più di un'attrazione. Thomas non era nulla di questo e, al tempo stesso, stava diventando tutto e anche di più. Perfetto per me, non solo sulla carta. Ce le stavamo sporcando le mani, e ne valeva la pena.
Ciò che venne dopo ebbe l'intensità di una valanga. Un continuo crescendo di eventi, sensazioni, emozioni. Nelle settimane e nei mesi che seguirono, la nostra unione non fece che rinsaldarsi. Andammo a vivere insieme e, nel giorno del nostro anniversario, tornando dal ristorante nel quale avevamo cenato, ci accorgemmo di aver dimenticato le chiavi di casa. In un impeto di eroismo, Thomas pensò bene di provare ad arrampicarsi su un albero per raggiungere una finestra aperta del nostro appartamento al primo piano. Ma, di certo, non era un atleta. E, difatti, incespicò e sprofondò miseramente in una pozzanghera quand'era ancora praticamente all'inizio di quella piccola scalata. Fu allora che, con le lacrime agli occhi per le troppe risate e gli abiti imbrattati di fango, mi chiese di sposarlo. Avevo accettato ben prima che arrivassero i vigili del fuoco a permetterci di rientrare nella nostra abitazione. Facemmo l'amore sotto la doccia, poi di nuovo a letto.
Continuammo ad amarci e a dimostrarlo giorno dopo giorno, fino a che, in quel tiepido mattino di luglio, non ci giurammo amore eterno anche di fronte a Dio, alla Repubblica, ai parenti, agli amici, ai colleghi, al mondo intero.
E continuiamo ad amarci anche ora, a quasi due mesi dalla cerimonia, mentre scrivo queste parole con Thomas addormentato accanto a me, con la sua mano adagiata sul mio corpo nudo e il suo respiro perfettamente a tempo con i battiti del mio cuore.
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"Cos'hai da perdere?".
Quella fu la frase che diede inizio a tutto. All'apparenza una frase fatta, parole banali dette per chiudere un discorso, parole che ognuno avrà sentito pronunciare mille volte. Ma parole che da quella bocca escono di rado e, proprio per questo, parole alle quali decisi di dare ascolto.
L'avventura di una sera col poeta misterioso restò un unicum nella mia vita. Fu il solo, a parte Laurent, al quale concessi il mio corpo. Dopo di allora, qualche appuntamento, qualche brivido, al massimo qualche bacio. Nulla di più, nessuno che fosse riuscito a coinvolgermi sul serio. Tranne chi quelle parole le pronunciò. Qualcuno che riusciva a capirmi, a farmi guardare dentro me stessa. Qualcuno che mi piaceva, mi piaceva sul serio. Ma che mi vedeva, considerava e trattava come un'amica e nulla più.
"Cos'hai da perdere?". Me lo scrisse una sera di un paio d'anni fa, durante una pausa a lavoro, mentre parlavamo di un cliente che da settimane frequentava il bar. La prima volta ci capitò per caso, e già quel giorno non potei non notare i suoi occhi estasiati su di me. Ci tornò il giorno successivo, e quello dopo ancora. Senza mai forzare la mano, la confidenza tra noi nacque e crebbe settimana dopo settimana. Era simpatico, gentile, colto, brillante, un ragazzo a posto e decisamente carino. Eppure titubai quando, quella sera, mi chiese di uscire. Farfugliai qualcosa circa l'enorme carico di lavoro di quei giorni, e schizzai goffamente nel retro.
"Non ho rifiutato, ma non sapevo cosa rispondere. Mi ha spiazzato", digitai sullo smartphone.
"Spiazzato? Questo non è neppure della tua città, viene lì ogni giorno, ordina mezzo menu pur di passare del tempo con te, e ti meravigli se ti chiede di uscire? Dici sul serio?", rispose col suo consueto, irritante sarcasmo.
"No, certo... potevo aspettarmelo, ma... non so che fare".
"Ti conviene decidere in fretta, o, a furia di dolci della casa, fra un po' non passerà neanche più dalla porta. Resterà lì finché demolitore non vi separi".
"Ti diverti, vero?".
"Parecchio, si. Ma mi spieghi qual è il problema? Sei uscita con un po' di ragazzi. Poi è finita di merda, ma almeno ci hai provato".
"Non mi sembra corretto uscire con qualcuno se ho te in testa".
"E il professorone del mese scorso? Il vanesio? Il palestrato di quest'inverno?".
"Sarà che non ricordi i nomi, ma di aggettivi non te ne sfugge uno!".
"Oh, dai, come posso dimenticare il tizio che sproloquiava dell'etimologia di ogni singola parola che pronunciavi, o quello che ti consigliava le creme idratanti più adatte per la tua pelle... è un freak show l'album dei tuoi corteggiatori. Comunque, sei uscita con più di qualcuno, pur avendo una cotta per me. Perché con Thomas no? E' l'unico che sembra sano di mente!".
"Proprio per questo... tu mi piaci, ma la cosa non è ricambiata. Lui potrebbe piacermi, sulla carta è perfetto. Che succederebbe se mi invaghissi e, per qualche motivo, a lui non accadesse la stessa cosa?".
"Poi sarei io l'esperto di seghe mentali... ma che tuffi carpiati fai? Esci solo con gentaglia della quale non potresti mai innamorarti per evitare di renderti vulnerabile?".
"In un certo senso. Ero innamorata di Laurent e a lui non importava. Sono innamorata di te e a te non importa. Non voglio rischiare un'altra mazzata".
"Laurent ti amava, poi è cambiato. Ma non può aver finto per dieci anni. Succede di percorrere un tratto di strada insieme e poi accorgersi che si vuol svoltare in direzioni opposte, ma questo non cancella il percorso fatto sino ad allora. E non sei innamorata di me, al massimo sei infatuata, è diverso. I ragazzi che hai intorno, o sono gay, o sono uomini delle tue amiche, o sono morti di figa che acconsentirebbero a tutto pur di portarti a letto. In me vedi un ideale, l'unica persona che ti tiene testa, che non teme di discutere e di contraddirti proprio perché non ha secondi fini. Un rapporto alla pari, qualcuno col quale confrontarti. Non vuoi ME, vuoi qualcuno COME me, è diverso".
"E tu che ne sai, Freud?".
"Non mi conosci abbastanza per poter dire di volere ME. Avrai una cotta, sarai invaghita, ma l'amore è altro, non può essere rivolto verso un'idea nella tua testa, è qualcosa che devi costruire sporcandoti le mani. E, chi lo sa, Thomas potrebbe aiutarti a farlo".
"Secondo te dovrei accettare, insomma".
"Se ci esci, magari non scatta nulla, lui smetterà di frequentare la tua città e il tuo bar e non lo rivedrai più. Se non ci esci, si stuferà di aspettarti e non lo vedrai più comunque. Cos'hai da perdere?".
Col senno di poi, nulla. Anzi.
Tornai in sala titubante, accettai l'invito di Thomas con una confusione nella testa che mi accompagnò sino al weekend, il mio primo turno di riposo e giorno stabilito per l'uscita. Ero agitata quella domenica, speravo che tutto fosse perfetto. Non so neppure perché mi sentissi così. Curai il mio aspetto nei minimi dettagli, qualcosa che non faccio mai. Studiai persino espressioni e inflessioni della voce, come quelle oche che si vedono prepararsi davanti allo specchio nelle commedie americane. Se avessi potuto vedermi dall'esterno, probabilmente avrei riso di me stessa. Ma non riuscivo a pensare a un modo migliore per attenuare la mia insolita ansia. Non potevo certo controllare il tempo, evitare che venissimo sorpresi da un acquazzone. Non potevo controllare Thomas per evitare si comportasse da idiota rovinando l'immagine che mi ero costruita di lui. Ma potevo controllare me, appunto, essere perfetta, rappresentare ciò che auspicavo per quella serata.
"Stai benissimo. Ma fai un respiro profondo e rilassati, non sei onnipotente e non stai andando in guerra", rispose a un mio messaggio e una mia foto chi quell'invito mi aveva spronata ad accettarlo.
E tutti i miei timori si rivelarono infondati, infatti. Lo sguardo dolce e il sorriso radioso di Thomas mi calmarono immediatamente. Alla fine piovve, ma neppure un tempo da lupi riuscì ad incrinare l'armonia di quell'incontro. Non accadde nulla quella sera, se non che mi sentii da subito a mio agio con lui, come se ci frequentassimo da anni. Guardammo un film al cinema e poi camminammo, parlammo, ridemmo tanto. Dopo che mi ebbe riportata a casa, continuammo a scriverci tutta la notte.
Per incontrarci di nuovo la mattina successiva, entrambi stanchi ma felici. E fu nella condizione imperfetta di due individui sfiniti dall'assenza di sonno che un bacio, quello si, perfetto unì le nostre labbra. Fu allora che colsi l'ennesima, stupefacente sfumatura del suo essere. Era dolce, gentile, delicato. Ma, al tempo stesso, quando mi aveva tra le sue braccia, passionale, sfrontato, deciso. Non mi baciava, sembrava volermi divorare.
Allo stesso modo s'impossessò del mio corpo quando glielo donai, circa un mese più tardi. La stessa persona che mi portava i fiori, che mi versava da bere, che mi apriva lo sportello dell'auto, non si faceva alcuno scrupolo nel mordere la mia carne, nell'afferrarla con tanta forza da lasciarne i segni sulla mia pelle, nel penetrarla a fondo, quasi con violenza, pur di prendersi il suo piacere e di donarne altrettanto a me. Dopo la prima volta con lui, non ricordavo di aver mai goduto così tanto in tutta la mia vita. Non con Laurent che, pur amandomi, non sapeva prendermi. Non col poeta ignoto che, invece, aveva saputo sedurmi ma verso il quale non provavo nulla più di un'attrazione. Thomas non era nulla di questo e, al tempo stesso, stava diventando tutto e anche di più. Perfetto per me, non solo sulla carta. Ce le stavamo sporcando le mani, e ne valeva la pena.
Ciò che venne dopo ebbe l'intensità di una valanga. Un continuo crescendo di eventi, sensazioni, emozioni. Nelle settimane e nei mesi che seguirono, la nostra unione non fece che rinsaldarsi. Andammo a vivere insieme e, nel giorno del nostro anniversario, tornando dal ristorante nel quale avevamo cenato, ci accorgemmo di aver dimenticato le chiavi di casa. In un impeto di eroismo, Thomas pensò bene di provare ad arrampicarsi su un albero per raggiungere una finestra aperta del nostro appartamento al primo piano. Ma, di certo, non era un atleta. E, difatti, incespicò e sprofondò miseramente in una pozzanghera quand'era ancora praticamente all'inizio di quella piccola scalata. Fu allora che, con le lacrime agli occhi per le troppe risate e gli abiti imbrattati di fango, mi chiese di sposarlo. Avevo accettato ben prima che arrivassero i vigili del fuoco a permetterci di rientrare nella nostra abitazione. Facemmo l'amore sotto la doccia, poi di nuovo a letto.
Continuammo ad amarci e a dimostrarlo giorno dopo giorno, fino a che, in quel tiepido mattino di luglio, non ci giurammo amore eterno anche di fronte a Dio, alla Repubblica, ai parenti, agli amici, ai colleghi, al mondo intero.
E continuiamo ad amarci anche ora, a quasi due mesi dalla cerimonia, mentre scrivo queste parole con Thomas addormentato accanto a me, con la sua mano adagiata sul mio corpo nudo e il suo respiro perfettamente a tempo con i battiti del mio cuore.
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