Luciana, la vicina quarantenne [4, in tutti i sensi]

di
genere
scambio di coppia

Li guardavo conversare amabilmente col bicchiere di Coca Cola fredda in mano, sia lui che lei, mentre Camilla si teneva un po’ defilata, e lanciava sguardi verso gli angoli del nostro appartamento che le sembravano più curiosi: una piccola mensola piena di libri non nostri, un cestino con la frutta finta poggiato su un tappeto di dépliant su residence e città. Io ero in terrazza, intento ad apparecchiare la tavola per la cena. Dalla mia prospettiva potevo percepire, anche senz’audio, un feeling composto e pieno di fascinazione: a Luciana quell’uomo doveva piacere, glielo leggevo nello sguardo e nelle labbra sempre schiuse, mentre lui parlava: più volte gli aveva lanciato sguardi fugaci verso i pantaloni di lino, o sulla camicia azzurra che teneva aperta fino a metà petto. Lui, dal canto suo, evitava di guardarle il seno, pure abbastanza scoperto, ma si concedeva carezze approfondite sulla pancia, con la scusa della sua professione. A Camilla non interessava molto né la loro chimica né ciò che dicevano. Sfilava, alternando, un piede alla volta dalle sue piccole infradito e lo stendeva all’indietro, come per far prendere aria alla pianta. Aveva un vestitino nero molto corto ma per niente volgare che le metteva in risalto una cosa che quella mattina, giù in caffetteria, non avevo notato: un culo potente, sodo, ampio e con glutei nettamente separati fra loro. Immaginai di perdermici dentro col viso, e di leccare avidamente come dal centro di un frutto maturo. Chissà che odore aveva, dentro quelle mutande.
Io e Luciana non avevamo fatto sesso per tutto il giorno. Quella mattina lei si era svegliata con la mia sborra sui piedi e la visuale di me col cazzo mezzo dritto e sgocciolante che alludevo a una colazione. Mi riferivo allo sperma che le avevo schizzato tra smalto e lenzuola, ma anche ai vari generi alimentari che avevo sottratto, in gran numero e senza vergogna, al bar dove avevo conosciuto, e invitato, Camilla e il Dottore per quella sera stessa, al tramonto.
Quando gliel’avevo detto («Stasera viene a cena una coppia, sono molto belli, dicono che ci hanno visto ieri sera in terrazza») Luciana aveva sorriso in modo strano, chiaramente eccitato, e mi aveva guardato senza parlare per un minuto buono. Mi stava dicendo, senza dirlo, Li scoperemo?, e io stavo rispondendo di sì, di tenerci pronti. Avevamo mangiato leggero, dormito ancora e passato gran parte del pomeriggio a lavarci minuziosamente. Soprattutto lei. Quando dalla porta aperta del bagno la vidi in piedi nella vasca che, a gambe lievemente divaricate, si passava una mano dalla fica al naso ripetutamente, le chiesi che stesse facendo. Mi rispose che da quando era incinta il suo odore le pareva più forte, e la cosa la imbarazzava.
«A me piace, il tuo odore».
«Non è di te che mi preoccupo».
Per rassicurarla mi avvicinai e le chiesi di allargare ancora un po’ le gambe. Mi chinai e respirai forte a un millimetro dalle sue grandi labbra, la punta del naso a farsi spazio tra i peli.
«Sai di pulito», dissi. «Purtroppo».
Lei rise. Allora tirai fuori la lingua e diedi qualche lappata, giusto due o tre, finché non sentii che cominciava a fremere e inumidirsi. Quindi mi staccai.
«Gradiranno anche il sapore», dissi. Poi uscii dal bagno, lasciandola con la fica appena bagnata e la testa reclinata all’indietro, nella distrazione del piacere.
Per gran parte della cena pensai che la storia tra Riccardo G., medico, e Camilla, doveva essere qualcosa di molto ambiguo, a casa in Italia. Lei aveva meno di venticinque anni e lui più di Luciana, chiaramente, e il vecchio segno di una fede che risaltava nell’abbronzatura dell’anulare. Mi chiesi persino se fossero parenti, o patrigno e figliastra, finché Riccardo – ad pasto concluso e dopo una serie di chiacchiere sulle rispettive vacanze, intossicate dall’eccitazione – disse «D’accordo. Beviamo un altro po’ di birre, raccontiamoci chi siamo, perché siamo qui e come mai stasera abbiamo deciso di cenare insieme». Ci trovammo tutti d’accordo. Mi alzai, presi le birre rimaste in frigo, le stappai e tornai in terrazza.
«Cominciate voi», disse. «Siete i padroni di casa».
Luciana, l’unica a non bere, prese la parola. Da sotto il tavolo, mentre raccontava, mi strinse la mano. «Niente», disse, «Eravamo vicini di casa. Il mio matrimonio andava così così e beh, ecco, abbiamo iniziato una relazione».
«Impegnativa», disse Camilla, indicando con un gesto del braccio la pancia di Luciana. Lei rise, risi anche io, e uno di noi due fece «Eh, sì», senza sapere cosa rispondere esattamente. Poi Riccardo scosse la testa.
«Non intendevo questo, quando dicevo di raccontarci chi siamo», disse. «Ma forse siete un po’ inibiti. Iniziamo noi?», chiese. Camilla incrociò il suo sguardo e poi arrossì, annuendo.
«Ok», cominciò. «In situazioni come questa ci si racconta così. Io ho quarantatré anni, quattro figli di cui due piccoli e due adolescenti, e una moglie che al momento non mi vede molto di buon’occhio. Sono ancora legalmente sposato, ma da tre mesi giro il mondo con Camilla. E sì, scopiamo finché non mi si seccano le palle. Tanto per rompere gli indugi».
Luciana scoppiò a ridere. Lui diede un sorso alla sua birra, e durante tutta la pausa che fece fra una parte e l’altra del racconto, per bere, la guardò negli occhi, ricambiato.
«Scopavamo anche in Italia, per la verità, ma con troppi sotterfugi: la sua stanza in affitto, alberghetti del cazzo, qualche amico che ci presta un appartamento. Poi la cosa è venuta fuori, fortunatamente. Sono medico e docente universitario. Camilla era la fidanzata di un mio tesista. Alla laurea di lui aveva un vestito non troppo diverso da questo, e per tutto il tempo della festa ricordo di aver pensato che volevo mettermi accovacciato dietro di lei e sfilarle le mutande da quella prospettiva. E poi guardarle questo culo mezzo aperto per tutto il tempo che il mio cazzo mi avrebbe concesso prima di volerla scopare».
«E dopo due giorni mi ha scopata, in effetti», disse Camilla, mentre lui riprendeva a bere. «Mi ha scritto su Facebook, abbiamo messaggiato un po’, mi ha invitato nel suo studio e ha fatto proprio quello che diceva di pensare quando mi ha conosciuta».
Riuscivo a immaginarli. Ero già eccitato.
«Non c’è molto da aggiungere, se non che non ci siamo fatti mancare niente. Ognuno ha le sue fissazioni, le sue mancanze e le sue doti. Noi, per quanto riguarda le nostre, ci compensiamo abbastanza: il suo culo, la mia lingua, un po’ di penombra, altra gente e non molto altro».
Luciana mi lasciò la mano. La vidi portarsela di sfuggita su un seno, e lanciare sguardi obliqui alla camera da letto, oltre lo sfinestrato, per poi tornare su di noi.
«Sta a te», mi disse Camilla. Nel dirlo mi carezzò un piede col suo, da sotto il tavolo. Era liscio e vagamente umido, e per tutto il tempo del mio racconto mi costrinse all’attrito spaccamutande delle sue dita che incontravano le mie. Avrei voluto mollare tutto e schiaffeggiarle la cappella contro la pianta, e sborrarle tra gli interstizi vagamente sudati mentre tutti mi guardavano. Ma preferii raccontare, e tenermi gli agguati per dopo.
«Fondamentalmente mi presentavo a casa sua senza mutande sotto la tuta perché mi piaceva molto. Stiamo insieme da quasi due anni. Lei ha lasciato suo marito e, ecco, come potete vedere il sesso protetto non era nelle nostre priorità. Come dice il dottore, è quasi di sette mesi. Ma il sesso va bene, non ci stiamo limitando. E per fugare ogni dubbio su quello che viene dopo, non abbiamo mai fatto sesso con altri, solo davanti ad altri».
Mi aspettavo che mi chiedessero dettagli, ma non andò così. Camilla finì la birra, fece un piccolo applauso (Clap clap) poi si alzò, mi prese per mano e si fece dire da Luciana dove fosse la camera da letto. Lei rispose «Là» con voce roca, indicandole lo sfinestrato, e il matrimoniale in penombra ben visibile oltre i vetri. Mentre mi alzavo, Riccardo disse «Calmi, la raggiungiamo tutti insieme». Si alzò anche lui e raggiunse Luciana, l’unica ancora seduta. Poi si sfilò lentamente la camicia liberando un torso ampio e non esattamente scolpito, ma affascinante e mascolino. Allora le carezzò la nuca con la sinistra, mentre con la destra mollava la presa sulla camicia, lasciandola cadere sulle piastrelle del terrazzo.
«Spero che non ti piacciano soltanto i ragazzini», le disse.
Lei si spinse dolcemente contro la sua pancia, e rispose alla provocazione baciandolo avidamente dal ventre al boschetto brizzolato del petto, prima solo con le labbra e poi con rapide incursioni di lingua. Dopo si staccò, lo guardò dritto negli occhi e disse «Mi piace chi non delude le aspettative». Quindi si alzò e si diresse verso la camera da letto. Da sola. La seguimmo tutti: io e Camilla per mano, e Riccardo a torso nudo dietro di noi.
Fui il primo a restare senza niente addosso. Camilla mi sfilò la maglietta e, senza troppa poesia, i pantaloni. Sui boxer blu scuro avevo una macchia abbastanza ampia di liquido pre-eiaculatorio, a cui lei si avvicinò prima ancora di abbassarmi le mutande. Cercò di massaggiare la cappella da sopra il tessuto, poi si portò il palmo della mano alle narici per sentirne l’odore. Allora mi tolse le mutande, e il mio pene durissimo, con la cappella libera e gocciolante, le molleggiò davanti. Ero chiaramente molto eccitato, e quando lei si chinò e impugnò il mio cazzo (indugiando qualche secondo prima di portarselo alla bocca) temetti di venirle sul viso.
«Hai un bel pisello, complimenti. Mi piacciono, le cappelle larghe», disse. Non feci in tempo a ringraziare ci che già se l’era spinto in bocca, e da quella prospettiva mi guardava ad occhi spalancati. Era molto bella Camilla: in maniera classica, lo era più di Luciana. La tipica bella ragazza che noti per strada: labbra grandi e rosse, lineamenti fortunati, occhi grandi e ben truccati. Non un grande seno, come ho detto, ma quel culo da paura, e delle belle gambe, e dei bei piedi. Mentre mi spompinava cercai di arginare il pensiero dalle sue qualità fisiche, per non eiaculare subito.
Luciana, intanto, era stesa sul letto, ancora completamente vestita. Riccardo raccolse le mie mutande da terra e le annusò. Poi le si sedette accanto, e gliele porse. Non sentii cosa le stava dicendo, perché ero preso dai rumori osceni di schiocchi e risucchio prodotti da Camilla col mio pisello in gola, ma vidi Luciana che agguantava i miei boxer e leccava i punti già bagnati dal pre-sperma, mentre Riccardo la guardava. Poi lui si mise in una posizione tale da poterle baciare i piedi senza che fosse scomoda, e iniziò un’adorazione che conoscevo bene.
Luciana sembrava l’unica padrona della situazione.
«Leccagli le palle», disse rivolta a Camilla. «E se puoi i piedi. Gli piace più di tutto il resto».
Camilla mi guardò, si sfilò il cazzo dalla bocca e mi fece cenno di stendermi accanto a Luciana. Poi si rivolse a lei, e le disse «Mi aiuti?», e Luciana si alzò – lasciando Riccardo ai piedi del letto, inutilmente accovacciato – e la raggiunse. Io, il pene come un traliccio, l’unico a starmene comodo sul matrimoniale.
Le due donne cominciarono a spogliarsi reciprocamente, con una lentezza studiata. Iniziò Luciana, abbassando le spalline del vestito di Camilla e togliendole il reggiseno. Fu allora che dovetti ricredermi: le tette di quella ragazza non erano grandi, certo, né floride come quelle di Luciana (delle quali va detto che erano gonfie di latte), ma proporzionate, a modo loro piene e con bellissimi capezzoloni larghi e morbidi, di un rosa pallido virginale. Luciana fu la prima a scoprire che sapore avessero. Prese tra le labbra l’areola sinistra, lievemente gonfia come quella di un’adolescente, e a giudicare dal verso che emise Camilla – scoprimmo subito che era una che godeva rumorosamente – dovette succhiare forte, o leccare bene il capezzolo: l’altra, oltre a godere, le spingeva la nuca contro il seno come a segnalarle di non smettere, di darci dentro. Luciana passò al seno destro senza abbandonare il sinistro: con pollice e indice titillò il capezzolo che aveva fatto irrigidire.
Intanto Riccardo si era spogliato. Notai che era peloso (ma senza eccessi disgustosi) e abbastanza armonico, come uomo. Era tutto diverso da me: laddove io ero debole (tonicità, linee sottili, una certa dolcezza delle forme) lui eccelleva. E viceversa. Aveva per esempio un sedere ben più sodo del mio, e piedi molto larghi, ma il mio cazzo sembrava più grande. Di certo era un bel pisello pure il suo, che nei suoi quindici-sedici centimetri dava l’idea di funzionare bene, ma più di quello, nella zona inguinale, risaltavano delle palle che erano due o tre volte le mie, e uno scroto tesissimo.
Ora Camilla era solo in mutande: uno slippino nero, semplice davanti e a brasiliana sul culo. Luciana la lasciò così, disse, un po’ perché era troppo bagnata per privarle il piacere di farsi spogliare da un uomo, un po’ perché voleva regalarmi la soddisfazione di farlo io. Appena ebbe finito, Camilla le sbottonò la camicetta e restituì il favore. A seno scoperto, la meraviglia della coppia si palesò.
«Santo cielo», disse Camilla.
«Non ti stupire troppo, sono una donna incinta: è tutto nella norma».
«Se gliele succhio esce latte?», chiese candidamente, stavolta rivolta a Riccardo. Lui sorrise. «Devi chiederlo a lei».
Fui io a rispondere: «Non ancora. Succhia quanto ti pare».
E così fece. Le guardai, segandomi piano: Luciana, col pancione e le tette esplosive, che si faceva succhiare i capezzoli da una splendida ragazza seminuda. Potevo chiedere di meglio dalla vita? Gemeva con compostezza, eccitata dalla novità. Godette senza perdere il controllo anche un attimo dopo, quando Camilla si staccò e si sporse sulle sue labbra per un lungo bacio, e quando si separarono per raggiungerci: Camilla verso di me, io steso sul letto e lei in piedi col culo contro il mio viso; Luciana, in piedi anche lei, a gambe aperte sulla faccia di Riccardo, steso anche lui con la testa che si affacciava oltre i confini del letto: sfilò le mutande a Luciana e lei gli si appoggiò dolcemente sul viso per farsi leccare la fica. Nel secondo che precedette la mia esplorazione nel culo di Camilla, vidi la barba del mento di Riccardo confondersi coi peli della fica di Luciana, che si muoveva su di lui sempre più velocemente, cominciando a godere sul serio. La conoscevo bene, e invidiavo il dottore: doveva avere un sapore e un odore straordinari, in quel momento.
Mi voltai, per dedicarmi alle natiche di Camilla. Le sfilai dolcemente lo slip e mi trovai davanti il culo perfetto, così teso da essere praticamente già aperto. Era splendido, tornito e alto, e per vedere l’ano (attentamente rasato ma non troppo stretto, si vedeva che lo prendeva spesso nel culo) bastava aprire poco poco, con la stessa delicatezza che ci vuole a scoprire la fronte dalla tendina di una frangetta.
Lo schiusi, insomma, e mi fiondai a leccare. Lei si chinò in avanti, e portò le mani alla fica. Io intanto leccavo, le puntellavo l’ano con la lingua, annusavo: era un odore sicuramente intenso, molto intimo, ma non forte come quello di Luciana. La fica, mi accorsi, da dietro sembrava rasatissima. Intanto il cazzo mi scoppiava, e mi prese un’improvvisa e insopprimibile voglia di scopare. Mi staccai da quel culo meraviglioso e le spinsi sui fianchi perché si voltasse, e scoprii che sulla fica mi ero sbagliato: aveva le labbra ben rasate, sì, ma in ciuffetto ordinato a farle da colbacco proprio sopra il clitoride, molto fitto e scuro.
«Leccami i coglioni e poi salimi sopra», le dissi.
Lei non rise, né mi disse di andarci piano. Era abituata a prendere il sesso molto seriamente, e a rispettare le voglie dell’altro. Allargai un po’ le gambe e lei vi si insinuò, e cominciò a leccare.
Intanto il facesitting tra Luciana e Riccardo si era concluso. Lui aveva sfilato le labbra, bagnatissime degli umori di lei, dalla zona d’ombra creata dalla sua pancia, e si era alzato in piedi sul letto per farsi ciucciare il cazzo. Ruoli invertiti, come tra me e Camilla, che adesso mi spingeva le cosce sempre più indietro, come se io fossi la donna e lei volesse scoparmi.
«Tienile ferme, all’indietro», chiarì. E io tirai le gambe come vedevo fare a Luciana quando le scopavo il culo da stesa. Camilla continuò con le palle, poi scese leggermente e prese a leccarmi il culo. Meglio, devo dire, di come io avevo fatto con lei. Mi ritrovai a gemere fortissimo, quasi senza accorgermi, finché Riccardo – le palle enormi schiaffate contro le labbra di Luciana, il pisello segato a un ritmo molto sostenuto – disse «Il ragazzo gode abbastanza. Cami, se foste una coppia fissa fareste inquinamento acustico».

Fu una notte molto lunga. Non voglio esagerare, riconosco i miei limiti anche nel sesso e devo dire che sono uno scopatore normale che ha incontrato partner normali, niente roba da film né prima e né dopo, ma quella notte diedi (come gli altri tre) il meglio di me. All’orale seguirono le penetrazioni, anche anali, e la sensazione di stare in una fica d’altri mentre la tua compagna, presa a novanta dal pisello che non è il tuo, ti guarda spiritata, con un desiderio che somiglia alla disperazione. Venni tre volte: nella fica bollente e stretta di Camilla, inavvertitamente; sui suoi piedi; sul seno di Luciana, insieme a Riccardo, perché Camilla leccasse tutto. Urlai e feci urlare di piacere. Scoprii, per esempio, che Camilla amava farsi succhiare il clitoride, cosa che non piaceva a Luciana, ma che io adoravo. E fui felice di come Riccardo riuscì a soddisfare le voglie di Luciana, provocandole diversi orgasmi e dedicandole molta attenzione, soprattutto nella fase penetrativa. La tenne per decine di minuti nella posizione che più la eccitava in quel periodo – cioè lei a novanta e lui con le mani sui suoi seni, libero di stuzzicarle i capezzoli – mantenendo un ritmo costante e veloce. Ogni tanto si sfilava, quando vedeva di essere vicino a venire, e le leccava avidamente il culo ormai sudato – cosa che lei adorava. Poi tornava dentro, a volte alternando un po’ tra i buchi.
Non nascondo che ci furono sguardi e situazioni di confusione anche tra me e Riccardo, che durante un sessantanove tra Camilla e Luciana (in cui la seconda si ostinava a farsi leccare l’ano più che la fica, deviando la rotta della lingua di Camilla) finimmo per segarci vicini e, per un breve lasso di tempo, reciprocamente: fu una sensazione strana, e molto piacevole.
Lui e Camilla, poco prima, avevano fatto una cosa che mi aveva arrapato moltissimo e che mi ripromisi di rifare con Luciana. In piedi sul letto, lei aveva allargato di poco le gambe mentre lui, steso, le offriva la pianta larghissima del suo piede: lei vi si sedeva, lo impugnava dalla caviglia, e si masturbava così, usando la pianta di lui come piattaforma d’attrito.
Fu bello anche quando ci scambiammo nello scambio, cioè quando ognuno scopò col proprio partner. Io e Luciana molto lentamente, parlandoci nell’orecchio di quanto fosse eccitante quella situazione (parlava lei, mentre il le ciucciavo il seno e le tenevo le mani sul pancione); Camilla e Riccardo come in un film porno, in piedi contro il muro, soltanto nel culo, con lui che la pistonava senza pace e lei che, quasi senza voce, ormai ruggiva invece di urlare.
Quando venni per la seconda volta, come ho detto, venni segandomi sui piedi di Camilla, reduce da un estenuante anale con Riccardo. Glieli leccai, prima, e scoprii che tutti gli odori intensi che non risiedevano nelle altre parti del suo corpo, ora che aveva sudato stavano lì: il profumo aspro degli interstizi, l’unico che cercavo senza trovarlo sulla pelle di Luciana, era lì.
«A Riccardo non piace che mi lavi troppo i piedi», disse, forse per giustificarsi.
«Lo capisco», risposi mentre le leccavo le dita.
Aveva piedi perfetti, senza smalto, con dita lunghe e polpastrelli pieni. Venni senza riuscire a trattenermi quando, mentre le leccavo il sinistro e lei mi soppesava i coglioni col dorso umido del destro, le vidi la fica schiudersi naturalmente, per un istante, e rilasciare qualcosa sul lenzuolo: la mia venuta di prima si mischiava a quella di Riccardo, che già da un po’ le colava tra le natiche.
Ma ecco, fra tutti, il mio momento preferito venne dopo. Fu quello che somigliava di più a un’orgia, e che precedette l’orgasmo finale mio e di Riccardo. Io steso, Camilla su di me ma di spalle (splendida prospettiva sul suo culo, quindi, e dei suoi piedi), Riccardo che scopa analmente Luciana a 90, poggiando un piede sul bordo del letto per farsi forza nelle spinte, Luciana che, inginocchiata, lecca le mie piante e le mie dita, e Riccardo e Camilla che, da sopra di noi, si baciano.
Non resistetti che due minuti: mi sfilai da Camilla e invitai Riccardo. Luciana capì, si stese, e mentre l’altra le baciava dolcemente la vagina lasciò che la invadessimo col nostro sperma caldo e, a quel punto, quantitativamente esiguo.

Quando ci addormentammo era quasi l’alba. Io che accudivo Camilla sul petto, Riccardo a cucchiaio con Luciana, le mani sulla pancia di lei (con cui credo ebbe un veloce rapporto a giorno inoltrato, mentre io mi svegliavo, perché sentii lui che diceva «Troia, tra poco partorisci e hai tutta questa voglia», e il letto cigolare, e lei che si alzava proprio mentre aprivo gli occhi, con la mano a coppa sotto la fica che sussurrava, uscendo dalla stanza, «Bravo, adesso perdo sperma di nuovo»). Non ci eravamo lavati, né avevamo aperto la finestra. L’aria stagnò per ore: piedi, sborra, sudore e umori d’ogni tipo.
A un certo punto mi alzai, lasciando Riccardo che si grattava le palle in dormiveglia e Camilla, la splendida Camilla, con le tumide labbra socchiuse. Raggiunsi Luciana in bagno, dove si stava lavando la fica nella doccia, e scavalcando il bordo della vasca la raggiunsi e la cinsi in un abbraccio.
Lei spense l’acqua, mi portò la mano sulla pancia e mi disse «Senti». Ma io non sentii nulla.
La strinsi più forte e capii che stava per dirmi qualcosa, ma non avevo voglia di parlare. Le feci «Shhh», poggiandole il dito indice sulla labbra della fica anziché sulla bocca. Lei rise, risi anche io. Poi le diedi un lungo bacio, e facemmo ripartire il getto d’acqua.
scritto il
2018-02-19
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