Routine.

di
genere
pulp

(Piccola nota, per dovere di cronaca. Non sapevo in che categoria inserirlo, così ho optato per questa, dato che credo sia quella che più s'avvicina. Chiedo scusa, inoltre, se la componente erotica potrebbe sembrare messa in secondo piano. Abbiate pazienza)



Una mattina come tante, o così sarebbe dovuta essere, per lei e per altre sette miliardi di anime.
Sveglia, colazione, doccia, valutazione del nuovo taglio di capelli a mente lucida, scarpe da ginnastica e via, verso il lungolago per la corsetta giornaliera.
Non ne aveva bisogno, non per sentirsi o mantenersi in forma, ma certe abitudini son sempre state dure a morire.
Un sorriso ai cani portati a passeggiare, un cenno di saluto ai proprietari.
Una giornata come tante ce n'erano state in precedenza e come tante che ci sarebbero potute essere.

Come tutte le altre volte che ha sognato quel giorno, si sveglia prima di quel momento.
Prima del sorgere di quello che era sembrato un secondo sole in lontananza, seguito da un terzo.
Probabilmente la mente, ancora adesso, rigettava l'idea, cercava di allontanarla, di voltarsi dall'altra parte.
Come le avevano detto una vita fa durante una lezione, se un essere umano nota del sangue nelle feci, andrà a cagare al buio.
È sempre stato così. Certe abitudini, son dure a morire.

Butta un'occhiata verso gli assi che coprono la finestrella dello scantinato per poi, restando stesa sul giaciglio, sospirare rumorosamente.
Ancora buio.
Le manca l'energia elettrica.
Le manca la sua vita, i suoi amici, i suoi parenti, ma quello che le manca maggiorente è il potere di illuminare una stanza premendo un piccolo interruttore.
Migliaia e migliaia di anni di società umana e la paura del buio e di tutto quello che rappresenta, è ancora li.

Si mette a sedere con le gambe incrociate e, nel silenzio più totale, beve dalla bottiglietta.
Conta, mentalmente, quante ne son rimaste.

Fa per rimettersi distesa salvo bloccarsi all'improvviso, in ascolto.
Un'auto.
Distante. Bene.
Nessun grido. Bene.

Nessuno sparo. Meglio.

Solo quando il suono sfuma fino a perdersi in lontananza, si mette lentamente in piedi.
Dopo quasi quanto? Tre mesi? Quattro? Un anno?
Non saprebbe dirlo. Il tempo ormai conta poco.
Dopo tutto il tempo in cui ha usato quello scantinato come rifugio, ha imparato a ricostruirlo mentalmente, ad orientarsi al buio.
Certo, ogni tanto le capita di urtare con i piedi le gambe del tavolino, ma le basterebbe smettere di girar scalza per ovviare al problema.
Ma certe abitudini son dure a morire.

L'uomo steso nel giaciglio accanto al suo si muove nel sacco a pelo.
Le si distendono le labbra screpolate in un sorriso, quando nota la somiglianza con un bozzolo di una farfalla.
O come quelli che c'erano in quel film che girava in tv quando era piccola.
Cocoon, o qualcosa di simile.

Nuovamente il suono del motore, ma non sembra essere abbastanza vicino per causare troppa apprensione.
È una di quelle cose che ha imparato, da quando il mondo è andato avanti. O è tornato indietro, a seconda del punto di vista.

"Se un pericolo nell'immediato non è, attenzione prestaci ma inutile dannarsi risulta."

Questa e altre perle di saggezza spicciola le sentiva, nella sua testa, pronunciate da Yoda.
Il perché non lo saprebbe dire, anche perché a lei, Guerre Stellari e tutta la fantascienza, avevano fatto sempre abbastanza schifo.
Gli scherzi del destino.


Son passati lunghi, lunghissimi minuti tra il calare del silenzio e il borbottare che giunge dal bozzolo, seguiti da alcuni colpi di tosse.
Pochi, seguiti da un nuovo borbottio.
Buon segno.


Sono ormai almeno otto notti che lo lascia dormire nel suo rifugio ma, dopo tutto quel tempo passato a diffidare del prossimo, fatica ancora a considerarlo qualcuno di cui potersi fidare.

Gli si accovaccia accanto e lo osserva, strizzando gli occhi azzurri per poterlo metter a fuoco.
Barba incolta, capelli lunghi, viso segnato da rughe.
Non gli ha chiesto quanti anni ha, ma ad occhio e croce gliene darebbe una decina più dei suoi.
Tra i quaranta e i cinquanta.

In un'altra epoca non l'avrebbe degnato di uno sguardo.
Ma non è più quell'epoca, non è più quel mondo, non è più quella donna.
Non avrebbe mai mangiato delle trippe prima di tutto questo, eppure quando ha trovato delle scatolette e le ha mangiate, è scoppiata a piangere.

Gli carezza i capelli con una delicatezza che, in quel contesto, risulta esser a dir poco fuori luogo.
Assorta, quasi non si rende conto che l'uomo ha aperto gli occhi e sta ricambiando il suo sguardo, ed il sorriso.

Non gli parla, ma quando lui le carezza la guancia col dorso della mano, si china ulteriormente, posando le labbra sulle sue.

Pelle ruvida, alito di chi s'è appena svegliato, ma non le importa, anche lei di sicuro non profuma di pesca.

Nel silenzio, il suono della cerniera del sacco a pelo sembra il sibilo di un rettile gigantesco.
Il silenzio.
Con l'assenza dell'elettricità, è stata una delle cose alle quali ha fatto maggiormente fatto fatica ad abituarsi.
Basta musica, basta vociare, basta traffico, basta tutto.

Spogliatasi, senza dir nulla, gli si stende accanto, stringendosi contro il suo corpo, pelle contro pelle.
Con la coscia, sente la sua eccitazione crescere.

Vieni qua.

Sono le uniche parole che si scambiano, e le pronuncia con un filo di voce, voce che fatica a sentire come sua. Si sente come se fosse invecchiata di dieci anni, anni passati a fumare.

Stesa spalle a terra, sente il peso del suo corpo contro il proprio, la sua virilità contro la sua intimità.
Nessun preliminare, se non i baci scambiati poco prima.
Lo guida, accogliendolo dentro se.
Avvinghiata a lui con braccia e gambe, sospira ai suoi primi movimenti, indelicati, bruschi.
Le fa male, ma non le importa.

È stata sola per troppo tempo.

Lo stringe a se con le braccia, affondando le unghie nella sua pelle, graffiandogli la schiena prima, mordendogli la spalla quando lui si stende completamente su di lei.
Lo sente ansimare contro il suo orecchio e, d'istinto, ad ogni sua spinta ansima anche lei.

E non prestano attenzione al suono del motore dell'auto che s'avvicina.

Morde con forza la spalla dell'uomo quando l'orgasmo, improvviso e violento, la raggiunge.
In lacrime per il piacere e la disperazione, rimane sotto di lui, avvolgendolo, accogliendo il suo piacere in se.

I primi, timidi raggi di sole filtrano tra gli assi di legno, illuminando i corpi nudi, ancora avvinghiati.
Certe abitudini son dure a morire.

Si prospetta una giornata come tante altre, come tante prima di quella, come tante altre ce ne sarebbero potute essere.


















scritto il
2018-08-04
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