Road trip
di
Sybelle.
genere
etero
Non mi sarei mai aspettata una risposta affermativa a scatola chiusa, senza neppure un minimo d'opera di convincimento.
La cosa, mi ha sorpresa non poco.
E non è poi così facile una persona riesca a sorprendermi, vuoi per il mio lavoro, vuoi per la forma mentis.
Le ho perse, le prime mail ricevute, ma le ricordo ancora bene.
In quel mare magnum di proposte più o meno oscene, più o meno viscide, erano pulite, sprovviste di quella malizia "malata".
Mai avuto nulla contro la malizia, altrimenti non avrei preso in considerazione di inviare dei racconti erotici su quella piattaforma.
Ma quella prettamente pornografica, becera e fine a se stessa a me ha sempre lasciato un senso di squallore che difficilmente riuscirei ad accostare al termine "erotismo".
Osservo gli elementi del paesaggio scorrere, dal finestrino.
Come treni su binari separati, viaggiano a velocità differenti.
Come si chiamava quell'effetto?
Vorrei abbassare il finestrino e tirar fuori il braccio per sentire l'aria, muovere la mano come fosse un aliante che sfrutta le correnti.
Un'aquila.
È un bellissimo animale, ha sempre avuto ragione.
Ma è un animale solitario.
Libero, ma solitario.
Vorrei anche parlare, dire qualcosa, ma, seduta sul sedile del passeggero, non riesco a spiccicare parola.
Mi volto verso il mio compagno di viaggio e lo osservo per qualche istante.
Da quanto tempo guida?
E da quanto tempo non scambiamo una parola?
Alla seconda domanda, so rispondere.
Da ieri sera. Da quando in albergo, ubriaca, ci ho provato in maniera a dir poco patetica.
Diffidare, sempre, di chi dice di non ricordare cosa ha fatto in preda ai fumi dell'alcool.
Mente.
Semplicemente, si vergogna, cerca una scusa, un alibi.
Ma è stato un signore, un vero signore, riaccompagnandomi in camera e mettendomi a letto per poi andare a dormire nella sua.
Distolgo lo sguardo e lo porto sui miei piedi, posati sul cruscotto.
Ottima idea quella di tingermi le unghie di nero.
Pallore, unghie nere, ed è subito halloween.
Manco avessi ancora 15/16 anni e fossero ancora gli anni '90 e seguissi la corrente goth.
Volevo solo far colpo.
"Perché hai accettato?"
Sento le parole che pronuncio mentre, fingendo disinteresse, continuo ad asservarmi i piedi.
Le sento e concordo con quel coro di insulti che mi parte in testa.
Come se non fosse bastata la figuraccia rimediata ieri.
Ma per l'ennesima volta mi sorprende.
Prima in maniera sommessa, poi piu rumorsa, ride.
È una risata contagiosa e non posso fare a meno di sorridere, di rimando.
"Perché volevo vedere questo posto, alla fine del mondo"
Alla fine del mondo.
Sempre così serio, sempre così sicuro.
Probabilmente è stata questa una delle cose che più mi ha affascinata di lui, dall'inizio.
I suoi consigli, i suoi suggerimenti, li ho sempre presi non solo in considerazione, ma ho cercato di farli miei.
E non lo nascondo, tanto farlo dietro un dito risulta non solo inutile, ma anche ridicolo: sapere che con i miei racconti su quella piattaforma avrei potuto causargli eccitazione da un punto di vista sessuale, una mente come la sua, beh, per me è stato un ottimo motivo per continuare prima, riprendere poi.
Mi volto di nuovo verso il finestrino, il sorriso ancora stampato sulle labbra. Osservo le case isolate, tutto quel verde che in un posto del genere non ci si aspetterebbe mai e penso che si, avevi ragione.
È un bel posto per un'aquila solitaria e per una lupa irrequieta.
Però ancora non ricordo come diamine si chiama, quel fenomeno.
Sento la mano sulla coscia. Una mano grande, pelle ruvida contro la mia, liscia.
Pelle calda che si sposta, piano, in una carezza su quella lasciata scoperta dall'abito.
Ho la tentazione di fingermi scandalizzata, per il semplice e infame piacere di fare ancora una volta la stronza, ma non ci riesco.
I muscoli irrigiditi in un primo momento, allentano la tensione, al tocco delle dita.
Sento il caldo sulle gote e mi sforzo di mantener lo sguardo rivolto verso il finestrino.
Senza neppur rendermene conto, abbasso le gambe, mettendomi seduta in maniera più composta, la mano ancora sulla coscia.
Accentua la stretta, di tanto in tanto, quasi mi stesse artigiando le carni.
So che con ogni probabilità domani compariranno dei segni ben visibili, ma non mi importa.
Poso la mano sul dorso della sua, sentendola farsi un po' più audace mentre si sposta verso l'interno coscia.
Non lo guido ma lo accompagno, in un gesto che è un tacito consenso, un invito.
L'auto che abbiamo noleggiato decellera in maniera graduale e, non fosse per il progressivo rallentare degli edifici più vicini, non me ne renderei conto, rapita dal tocco delle sue dita.
Quando l'auto è ormai ferma al lato della carreggiata, le sue dita hanno ormai scostato il mio intimo, sfiorando la mia, di intimità.
Dita che, senza lo sapessero, battendo dei messaggi su un pc in più occasioni mi hanno toccata l'anima, posto esista.
Vorrei dire qualcosa, ma tutto quello mi frulla per la testa viene sostituito da un sospiro a fil di labbra.
Mi sciolgo sul sedile così come mi sciolgo al tocco delle sue dita.
Non la percepisco come una violazione ma, al contrario, mi lascio trasportare come non mi capita da tanto.
È come quando in acqua ci si lascia galleggiare, senza opporre resistenza. Con la sola differenza che non so nuotare e che, in questo caso, non c'è alcun panico, nessuna preoccupazione, solo il suo darmi piacere, piacere che accolgo inarcando la schiena e stringendo con forza le dita sulla sua mano, premendola contro di me.
Solo quando gli spasmi mi lasciano libera di avere controllo sul mio corpo, solo quando ritrovo lucidità nei pensieri, mi volto ad osservarlo.
Sento il viso in fiamme.
Parallasse. Ecco come si chiama.
Parallaase.
Ottimo momento per ricordarmene.
Mi sorride mentre gli sollevo la mano, portandomela al viso, baciando quelle dita che sanno di me.
La cosa, mi ha sorpresa non poco.
E non è poi così facile una persona riesca a sorprendermi, vuoi per il mio lavoro, vuoi per la forma mentis.
Le ho perse, le prime mail ricevute, ma le ricordo ancora bene.
In quel mare magnum di proposte più o meno oscene, più o meno viscide, erano pulite, sprovviste di quella malizia "malata".
Mai avuto nulla contro la malizia, altrimenti non avrei preso in considerazione di inviare dei racconti erotici su quella piattaforma.
Ma quella prettamente pornografica, becera e fine a se stessa a me ha sempre lasciato un senso di squallore che difficilmente riuscirei ad accostare al termine "erotismo".
Osservo gli elementi del paesaggio scorrere, dal finestrino.
Come treni su binari separati, viaggiano a velocità differenti.
Come si chiamava quell'effetto?
Vorrei abbassare il finestrino e tirar fuori il braccio per sentire l'aria, muovere la mano come fosse un aliante che sfrutta le correnti.
Un'aquila.
È un bellissimo animale, ha sempre avuto ragione.
Ma è un animale solitario.
Libero, ma solitario.
Vorrei anche parlare, dire qualcosa, ma, seduta sul sedile del passeggero, non riesco a spiccicare parola.
Mi volto verso il mio compagno di viaggio e lo osservo per qualche istante.
Da quanto tempo guida?
E da quanto tempo non scambiamo una parola?
Alla seconda domanda, so rispondere.
Da ieri sera. Da quando in albergo, ubriaca, ci ho provato in maniera a dir poco patetica.
Diffidare, sempre, di chi dice di non ricordare cosa ha fatto in preda ai fumi dell'alcool.
Mente.
Semplicemente, si vergogna, cerca una scusa, un alibi.
Ma è stato un signore, un vero signore, riaccompagnandomi in camera e mettendomi a letto per poi andare a dormire nella sua.
Distolgo lo sguardo e lo porto sui miei piedi, posati sul cruscotto.
Ottima idea quella di tingermi le unghie di nero.
Pallore, unghie nere, ed è subito halloween.
Manco avessi ancora 15/16 anni e fossero ancora gli anni '90 e seguissi la corrente goth.
Volevo solo far colpo.
"Perché hai accettato?"
Sento le parole che pronuncio mentre, fingendo disinteresse, continuo ad asservarmi i piedi.
Le sento e concordo con quel coro di insulti che mi parte in testa.
Come se non fosse bastata la figuraccia rimediata ieri.
Ma per l'ennesima volta mi sorprende.
Prima in maniera sommessa, poi piu rumorsa, ride.
È una risata contagiosa e non posso fare a meno di sorridere, di rimando.
"Perché volevo vedere questo posto, alla fine del mondo"
Alla fine del mondo.
Sempre così serio, sempre così sicuro.
Probabilmente è stata questa una delle cose che più mi ha affascinata di lui, dall'inizio.
I suoi consigli, i suoi suggerimenti, li ho sempre presi non solo in considerazione, ma ho cercato di farli miei.
E non lo nascondo, tanto farlo dietro un dito risulta non solo inutile, ma anche ridicolo: sapere che con i miei racconti su quella piattaforma avrei potuto causargli eccitazione da un punto di vista sessuale, una mente come la sua, beh, per me è stato un ottimo motivo per continuare prima, riprendere poi.
Mi volto di nuovo verso il finestrino, il sorriso ancora stampato sulle labbra. Osservo le case isolate, tutto quel verde che in un posto del genere non ci si aspetterebbe mai e penso che si, avevi ragione.
È un bel posto per un'aquila solitaria e per una lupa irrequieta.
Però ancora non ricordo come diamine si chiama, quel fenomeno.
Sento la mano sulla coscia. Una mano grande, pelle ruvida contro la mia, liscia.
Pelle calda che si sposta, piano, in una carezza su quella lasciata scoperta dall'abito.
Ho la tentazione di fingermi scandalizzata, per il semplice e infame piacere di fare ancora una volta la stronza, ma non ci riesco.
I muscoli irrigiditi in un primo momento, allentano la tensione, al tocco delle dita.
Sento il caldo sulle gote e mi sforzo di mantener lo sguardo rivolto verso il finestrino.
Senza neppur rendermene conto, abbasso le gambe, mettendomi seduta in maniera più composta, la mano ancora sulla coscia.
Accentua la stretta, di tanto in tanto, quasi mi stesse artigiando le carni.
So che con ogni probabilità domani compariranno dei segni ben visibili, ma non mi importa.
Poso la mano sul dorso della sua, sentendola farsi un po' più audace mentre si sposta verso l'interno coscia.
Non lo guido ma lo accompagno, in un gesto che è un tacito consenso, un invito.
L'auto che abbiamo noleggiato decellera in maniera graduale e, non fosse per il progressivo rallentare degli edifici più vicini, non me ne renderei conto, rapita dal tocco delle sue dita.
Quando l'auto è ormai ferma al lato della carreggiata, le sue dita hanno ormai scostato il mio intimo, sfiorando la mia, di intimità.
Dita che, senza lo sapessero, battendo dei messaggi su un pc in più occasioni mi hanno toccata l'anima, posto esista.
Vorrei dire qualcosa, ma tutto quello mi frulla per la testa viene sostituito da un sospiro a fil di labbra.
Mi sciolgo sul sedile così come mi sciolgo al tocco delle sue dita.
Non la percepisco come una violazione ma, al contrario, mi lascio trasportare come non mi capita da tanto.
È come quando in acqua ci si lascia galleggiare, senza opporre resistenza. Con la sola differenza che non so nuotare e che, in questo caso, non c'è alcun panico, nessuna preoccupazione, solo il suo darmi piacere, piacere che accolgo inarcando la schiena e stringendo con forza le dita sulla sua mano, premendola contro di me.
Solo quando gli spasmi mi lasciano libera di avere controllo sul mio corpo, solo quando ritrovo lucidità nei pensieri, mi volto ad osservarlo.
Sento il viso in fiamme.
Parallasse. Ecco come si chiama.
Parallaase.
Ottimo momento per ricordarmene.
Mi sorride mentre gli sollevo la mano, portandomela al viso, baciando quelle dita che sanno di me.
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