The girl who sold the world. -pt1.

di
genere
pulp

Piccola, doverosa premessa (volevo usare digressione, che fa tanto cervellona, ma poi mi son resa conto che non è il caso):
È un work in progress. Io per prima (tanto per cambiare) non so come o in che direzione si evolverà.
Sono TUTTE situazioni frutto di fantasia.
Malata, ma fantasia.

È la rivisitazione di un racconto iniziato una vita fa, su un'altra piattaforma.
Farà storcere il naso l'assenza, in questa prima parte, di coinvolgimenti della sfera sessuale.
Vi faccio risparmiare tempo, se cercate quelli.
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L'odore che accoglie, quando si entra in determinati posti, rivela molto più di quanto potrebbero farlo l'arredamento, le decorazioni, i suoni.

Croce del Sud.
Un nome evocativo per un bar, per chi nasce in questo emisfero.
Qualcosa che si sa che c'è ma che difficilmente si è visto.
Ecco, l'odore che l'ha avvolta, fin dal primo ingresso, è stato qualcosa di simile.
L'odore di un tempo che si sa per certo ci sia stato ma che non si è mai vissuto.
Odore di nicotina sulle dita, di carta di quotidiani, di mobili antichi. Non vecchi, antichi.
Con ogni probabilità lo sgabello su cui siede di solito, a fine giornata, ha il doppio dei suoi anni.

Eppure, tutto questo, non l'ha mai fatta sentire fuori luogo.
Al biliardo all'angolo più lontano, due figure giocano in silenzio, come tutte le sere.
Non le ha mai sentite parlare, neppure per segnare il punteggio.
Giocano, pagano, se ne vanno.
Non le ha mai guardate a lungo e, di sicuro, non avrebbe iniziato oggi, non dopo una giornata del genere.

Alle pareti vecchie stampe pubblicitarie e due mappe della città.
Una città che ormai non c'è più da un pezzo.

Si è sempre chiesta chi, al giorno d'oggi, potrebbe anche solo prendere in considerazione l'idea di consultare una mappa.
È impossibile perdersi.

A delimitare lo spazio destinato ai clienti, il bancone.
Una struttura in legno di noce che, malgrado i segni del tempo, malgrado l'usura, risulta esser tenuta in uno stato più che decoroso.
Non le incute reverenza, ma rispetto si.
A volte, seduta su quello sgabello, si è sentita come Jack Torrance al bar dell'Overlook, però senza una famiglia da voler sterminare.
Senza una famiglia.

Sveglia-lavoro-casa-ricomincia che, sempre più spesso, si trasforma in lavoro-lavoro-casa-lavoro.
Senza sveglia.


Seduta, i gomiti posati sul piano di legno e le dita intrecciate sotto il mento a regger il capo, risponde al silenzioso cenno di saluto dell'uomo che si trova dall'altro lato del bancone.
Ancora oggi, non è riuscita ad inquadrarlo con precisione.
Cinquanta? Quaranta? Duecento?
Ai suoi occhi è una di quelle persone la cui età non solo non è decifrabile, ma non è rilevante.

Per un lungo periodo, un periodo che a lei sembra ancora più lungo, il silenzio è rotto solo dal suono delle palle numerate del biliardo che picchiano, dopo aver rotolato in silenzio, contro altre sfere.
È sempre stato surreale, questo aspetto di questo posto.
Silenzio, pace.

La divisa, l'espressione seria mentre lucida con il panno bianco il calice che ha in mano.
Lo osserva, incurante di apparire indiscreta o invadente.

"A questo punto, dovresti chiedermi cosa voglio, annuire e fingere interessamento per la mia giornata"
È tentata d'aggiungere "come tutti", ma lo sguardo prima, le parole del barista poi, la zittiscono, anticipandola.

Il solito.

Quelle due parole son bastate a zittirla.
O forse è stato quello sguardo.

Da un lato ne ha avuto sempre paura, dall'altro ne è attratta.
Probabilmente è quello che provano le falene, quando vedono una fiamma.

Accoglie, cacciando con un sospiro quel pensiero, il calice che le vien posato innanzi da mani grandi, decisamente più grosse delle sue.

Non si stupisce, quando l'uomo dall'altro lato del bancone riprende, incurante della sua presenza, a lucidare un altro calice.
Senza degnarla di una parola, di ulteriori sguardi.

"Professionale. Ricordo i primi modelli, sai? Cercavano in ogni modo di imitarci, risultando grotteschi. Mica come voialtri stronzi"

Nel parlare tra se e se, fissa gli occhi sul contenuto del calice.
Scuro, di un rosso così scuro da sembrare nero.
L'accenno d'alone del tannino sulla superficie trasparente.
È sempre stata una persona confusionaria, ma col tempo ha capito che, concentrandosi su qualcosa, su un'unica cosa, è in grado d'escludere tutto il resto.
Di trovare una sensazione di chiarezza, lucidità.
Ecco, quello è uno dei motivi per i quali, questo posto, l'ha sempre attirata.
Questo, e il vino.

Non si aspetta una risposta dalla figura che, imperturbabile, le da le spalle.

Beve, tenendo gli occhi chiusi.

Assorta nei suoi pensieri, non si accorge dell'uomo entrato nel bar.

Se ne rende conto solo quando questi arriva al bancone e chiede, rivolgendosi al barista, se è arrivato qualcosa per lui.
Abbigliamento informale, scarpe sportive, pochi capelli.
Un gran naso sul quale trovano alloggio un paio d'occhiali dalla montatura semplice.
Ancora seduta sullo sgabello, la giovane donna lo scruta, il calice quasi vuoto in mano.
Una di quelle persone che, se si fosse fermata al solo aspetto fisico probabilmente non avrebbe preso in considerazione.
Eppure, l'accento così diverso dal suo, il fare diretto e quella domanda, hanno attirato la sua attenzione.

Come le falene con le fiamme.

Non prova neppure a simulare disinteresse nei confronti dello scambio tra i due: una busta di carta in cambio di un'altra, di egual dimensioni e colore.
Gli occhi azzurri della donna altalenano tra la busta e il viso dell'uomo che si trova poco distante dal posto che occupa.

"Cyrano, a parte consegnare le poesie per Rossana, sei venuto a bere qualcosa?"



Ecco, se dovessi raccontare in maniera romanzata come è cominciato tutto, lo farei in questo modo.
Ma non sarebbe del tutto vero, non sarebbe credibile e soprattutto non sarebbe neppure interessante, alla lunga.
Non ho tanto tempo e non voglio bruciarlo tutto in questo modo, scrivendo un Harmony.

La mia professione consisteva nell'aggiustare le persone.
Si, ci sono le macchine, ora.
Si, lo fanno meglio.
Ma dovete capire che quando qualcuno si fa del male mentre sta facendo qualcosa di non propriamente corretto, non può andare in ospedale, farsi controllare da un cazzo di gundam e tutto ok, vai pure figliolo che non è successo nulla.
Si finisce dentro per molto meno, e lo sai, lo sai bene te che trovi questi.

Chiamano quelli e quelle come me.
Fallaci, meno precisi, discreti.
Qualcosa di superato.


Al bar ci andavo tutte le sere.
Era uno dei posti dove era possibile rintracciarmi, se c'era bisogno di cucire. O di un antibiotico a un prezzo tutto sommato ragionevole.
Quell'uomo della busta è stato una parentesi, una bella parentesi in quella merda che era diventata la mia vita.
E si, ho mentito prima.
Non c'era nessuna busta.
Però devi ammetterlo, facenda tanto hard boiled, come quei film che giravano il secolo scorso, quando ancora li giravano.

Non sarà l'unica bugia che troverai, in questi fogli, così come non saranno tutte verità quelle che sentirai su di me.
È il mio punto di vista sulla storia.


Io ti ho avvisato.


Quell'uomo si chiama Paolo.
Uso si chiama perché, anche ora che tutto è andato a puttane, voglio sforzarmi di esser ottimista.
Magari sta bene ed è da qualche parte che se la gode.
Lo spero per lui.

L'ho incontrato per la prima volta alla Croce del Sud.
No, ancora una volta, non ci son stati scambi loschi di buste.
Voleva soltanto sapere come raggiungere il più vicino centro di raccolta dati.
Quelle che una volta chiamavano biblioteche.
Però i libri non ci son più da un pezzo.
Non servono più.


Mi son offerta d'accompagnarlo, in cambio di un altro calice di Monteverro.
Mi spiace non poter tornare un'ultima volta in quel posto.
I vini che si trovano, non li hanno da altre parti.
scritto il
2018-08-20
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