Maria José cap.9 - Tre orgasmi in ufficio
di
FrancoT
genere
masturbazione
Ogni volta che tornava a Milano era sempre la stessa storia: trascorreva una settimana intera immersa nel lavoro senza un minimo di relax. Dopo al weekend trascorso a Marsiglia in compagnia di Pierre, un minimo di tranquillità sessuale le ci voleva.
Pierre l’aveva scopata come non le accadeva da tempo, se non da anni. Lei si era recata da lui al sabato sera e lui aveva organizzato una cena con catering esterno solo per loro, di grande eleganza. Al termine della cena avevano bevuto qualcosa insieme nella grande terrazza con vista sul mare e poi erano andati a letto. Lei si era portata l’occorrente per la notte ed aveva scelto un intimo bianco ad effetto con una vestaglia in seta. Sarà stato l’effetto dell’alcool, di questa mise estremamente sexy o di qualche aiutino, ma Pierre l’aveva ripassata per bene per almeno un paio di ore alla fine delle quali lei, con grazia ed educazione, lo aveva dovuto implorare di smettere. Lui le aveva detto che non avrebbe mai smesso di desiderarla e lei ne era stata felice, ma il suo corpo le stava chiedendo pietà. Era rimasta a dormire da lui ed al mattino era riuscita a tenerlo lontano da sé, svegliandosi prima di lui e recandosi in piscina. Quando lo aveva osservato dormire, completamente nudo, non aveva potuto non notare la sua prestanza fisica e dentro di sé si era sentita leggermente in colpa nei confronti di Michel che era rimasto solo nella sua casa presso la quale lei non si era voluta recare. Aveva scelto. Punto. E pensava di avere fatto la scelta giusta, almeno per quella volta.
Pierre l’aveva poi raggiunta a metà mattinata in piscina. Avevano pranzato e dopo pranzo lui si era nuovamente avventato su di lei, senza lasciarle spazio di reazione. L’aveva raggiunta in piscina, sul lettino da sole dove lei era sdraiata con un costume intero bianco ed aveva cominciato a corteggiarla ed allo stesso tempo a palpeggiarla in maniera molto delicata partendo dai suoi piedi, lunghi e magri. Glieli aveva baciati ed accarezzati in modo estremamente eccitante. Dopo alcuni minuti si era trovata le mani di Pierre che la toccavano ovunque e la sua lingua prima sul collo e poi nella sua bocca. Quell’uomo sapeva decisamente il fatto in suo e la sua mano, che si era infilata dentro al suo costume intero passando lateralmente, era esperta quanto lui.
“Fammi godere”, gli aveva detto e lui lo aveva fatto quasi subito, senza smettere di baciarla. Le aveva accarezzato il sesso senza esagerare, cambiando ritmo ed assecondando il movimento del suo bacino, quasi coccolandola. La masturbazione era certamente un arte nella quale Maria Jose era regina, ma Pierre le dimostrò di essere di un livello così alto da non averne mai trovato. Le sue dita accarezzarono le sue labbra e poi si infilarono con gentilezza dentro di lei, esplorandola dapprima con lentezza e poi con un ritmo più sostenuto.
Quando aveva goduto le era sembrato quasi impensabile giungere ad un piacere così alto grazie ad una mano che non fosse la sua. Aveva goduto così tanto che il suo liquido aveva riempito la mano di Pierre ed aveva anche bagnato il suo costume ed il lettino. Ansimava come un cane dopo una fuga per rincorrere il bastone.
Riaperti gli occhi si era trovata davanti il cazzo di Pierre in piena erezione. Evidentemente doveva essersi abbassato il costume da bagno mentre lei stava assaporando il piacere del suo orgasmo.
“Guardarti godere è una cosa impagabile. Sei una donna stupenda Maria Jose!”, le aveva detto. Lei aveva sorriso davanti a quel complimento ed aveva compreso subito cosa lui volesse. Allora aveva preso il suo membro con la mano e se lo era guidato nella bocca. Lo aveva lavorato per alcuni minuti poi lui aveva voluto possederla. Si erano trasferiti quindi su di un altro lettino all’ombra e si erano messi completamente nudi calciando lontano i rispettivi costumi.
Quella sera, mentre guidò la sua Mercedes per tornare a Milano, quando ripensò a quel dopo pranzo non poté non stupirsi per la resistenza di Pierre che su quel lettino all’ombra l’aveva posseduta per un’ora e mezza, senza mostrare la minima défaillance. Avevano cominciato con lui sopra di lei, poi lei era salita a cavalcioni su di lui tenendo poggiati i piedi a terra e cavalcandolo a dovere. Sembrava che per lui non arrivasse mai il momento dell’eiaculazione. Quando l’aveva fatta inginocchiare e l’aveva penetrata da dietro lei gli aveva dovuto chiedere di rallentare. Mentre percorse le curve dell’autostrada ligure si accorse che avrebbe dovuto chiedergli di rallentare prima. Era riuscita a farlo venire con la bocca comunicandogli che si sarebbe masturbata mentre lo succhiava.
“Ti stai toccando?”, le aveva chiesto lui.
“Sì. Posso?”, le aveva chiesto lei con gli occhi da cerbiatto guardandolo dal basso verso l’alto, in ginocchio davanti a lui.
“Tu puoi tutto ma cherie”, le aveva risposto lui e Maria Jose aveva sentito l’eccitazione del suo cazzo nella sua bocca aumentare. Quando lei si era autoprocurata il secondo orgasmo della giornata penetrandosi con il dito medio, aveva sentito il respiro di Pierre farsi più affannato ed aveva capito che con qualche colpo di lingua ancora lo avrebbe portato a termine.
E così era andata. Se lo era tolto di bocca giusto in tempo per non essere invasa dal suo copioso sperma che invece schizzò lontano sul pavimento della zona piscina. Non le era mai piaciuto ingoiare. Lo aveva sempre trovato triviale e volgare.
La domenica sera era arrivata a Milano tardi ed aveva mangiato una insalata veloce in un ristorante ricercato vicino ai Navigli.
Al lunedì mattino si era recata presto in ufficio e ci era stata fino al tardo pomeriggio. Al martedì la stessa cosa ma alla sera era uscita per un leggera sessione di corsa al fine di tenersi in forma. Non era assolutamente portata all’ingrasso ma era meglio mantenersi soda e in salute, diceva sempre tra sé.
Il mercoledì pomeriggio, mentre lavorava nel proprio ufficio, ricevette la telefonata di Michel. Parlarono di lavoro e poi lui le chiese perché lo evitasse.
“Non ti evito. Semplice”.
“Invece sì. E lo sai. Io vorrei trascorrere del tempo con te. Sei la donna che desidero più al mondo e tu non ti degni nemmeno di concedermi qualche attimo”.
“Ne parliamo un’altra volta, ok?”, gli disse lei più per interrompere quella conversazione che per volerne veramente parlare con lui in un altro momento.
“Tanto non lo farai”, le rispose lui e riattaccò.
Forse aveva ragione, pensò Maria Jose ma il telefono suonò nuovamente ed ella pensò che fosse ancora lui. Invece era Pierre. Le chiese come stesse e quando si sarebbero rivisti. Lei non sapeva quando sarebbe tornata a Marsiglia e quindi rimase sul vago.
“Non mi vorrai nascondere qualcosa, vero?”.
“Per esempio?”.
“Che preferisci la compagnia di altri uomini, magari”, le disse lui.
“In questo momento no. Mi piace la tua”, gli rispose lei sincera.
“Se fossi lì in questo momento non sai cosa ti farei….”.
“Cosa?”, gli chiese lei stuzzicandolo.
Quello che lui le rispose la lasciò basita.
Pierre partì in un racconto di quello che le avrebbe fatto con una dovizia di particolari estrema. Restò ad ascoltarlo senza dire nulla per almeno cinque minuti, con gli occhi socchiusi, immaginandosi nella interpretazione delle fantasie che lui le stava raccontando.
L’effetto su di lei fu devastante.
Quando, sorridendo e fingendo al massimo delle proprie capacità, gli disse che doveva interrompere poiché di lì a breve aveva una riunione e doveva chiudere la conversazione, Pierre non comprese nulla di quanto stesse accadendo dall’altra parte del telefono. Le mandò un bacio e si accomiatò. Ma allo stesso tempo lei si era già sollevata l’elastico vestito grigio che indossava ed aveva già lasciato che la sua mano destra le accarezzasse il sesso attraverso il pizzo nero dei suoi slip.
Una volta chiusa la conversazione e poggiata la cornetta, si alzò per chiudere a chiave la porta dell’ufficio, poi tornò alla sua grande poltrona in pelle e vi si sedette sollevando i piedi e poggiandoli sul bordo della scrivania in mogano. Sollevare in quel modo le gambe e poggiare i tacchi sulla scrivania la facevano sentire da un lato molto più volgare di quanto fosse in realtà, mentre dall’altro lato la eccitava incredibilmente.
Era abile in quelle situazioni e conosceva alla perfezione il proprio corpo e ciò che esso voleva da lei. In quel momento le chiedeva piacere e godimento e lei non poteva fare altro che assecondarlo. Reclinò ulteriormente lo schienale della grande poltrona ed infilò la mano dentro allo slip scoprendo quanto fosse già calda.
Si bagnò subito ed in pochi attimi si abbassò gli slip che lasciò avvinghiati alla caviglia sinistra.
Decise che di lì a quando avrebbe deciso di essersi soddisfatta a sufficienza non avrebbe risposto né a telefonate né a chiunque avesse bussato alla sua porta. Fortunatamente non accadde né l’una né l’altra cosa e poté portare a compimento il proprio percorso di ricerca del piacere in maniera completa.
Lasciò che le sue dita riempissero il suo sesso e si accorse di non avere ancora smaltito le spinte energiche di Pierre di sabato e domenica pomeriggio. Maria Jose era maestra nell’arte della masturbazione e lasciò quindi che le sue dita sollecitassero altre zone erogene rispetto a quelle più interne. Il primo orgasmo giunse quasi inaspettato, mentre si era distratta osservando i suoi piedi, lunghi e magri, infilati in quelle scarpe rosse di Valentino dal tacco altissimo. Le sue estremità, soprattutto quelle inferiori, avevano la capacità di eccitarla incredibilmente. Sapeva quanto eccitassero gli uomini e su di lei avevano il medesimo effetto.
Capì subito che un solo orgasmo non le sarebbe bastato. La telefonata di Pierre ed il weekend appena trascorso ancora nei suoi pensieri l’avevano destabilizzata.
Si alzò e mise le mani sopra alla poltrona, poi poggiò il ginocchio sinistro sulla poltrona stessa mentre lasciò il piede destro a terra. In quella posizione avvicinò la fica al bracciolo in pelle ed iniziò a strofinargliela sopra. Era ancora bagnata dal primo orgasmo e la pelle si inumidì immediatamente.
Aveva ereditato quella poltrona dal dirigente precedente, diversi anni prima ed aveva sempre pensato che fosse stato uno strumento utilizzato per fare del sano sesso. Non era la prima volta che la utilizzava per masturbarsi ma era certamente la prima volta che utilizzava il bracciolo in quel modo. Sfregargli contro il proprio sesso, dapprima piano e poi ad un ritmo sempre più sostenuto, fu una cosa che la inebriò. Progressivamente quella superficie divenne sempre più lubrificata e le sue labbra ed il suo clitoride furono ben liete di essere accarezzate da quel materiale, seppur datato.
Si rese conto di ansimare e si accorse anche dei suoi liquidi che le scendevano lungo le cosce nude. Nel frattempo la sua mente vagò dai racconti che le aveva fatto Pierre, ai ricordi delle scopate con Michel. In quel momento avrebbe pagato perché uno dei due fosse lì a leccarle la passera ed a farla sentire ancor più donna di quanto non fosse già di suo. Si passò la lingua sulle labbra all’idea della bocca di uno dei due uomini tra le sue cosce ed incrementò il ritmo dello sfregamento. Quando venne le sembrò di implodere. Si inarcò e la vibrazione dell’orgasmo percorse interamente la sua colonna vertebrale. La sua scarpa sinistra cadde a terra dal suo piede e lei schiacciò a fondo la sua fica contro al bracciolo, quasi come ad impedire che il piacere uscisse dal suo corpo e svanisse.
Per un attimo le girò leggermente il capo, poi rinsavì. Si guardò attorno e comprese di non essere ancora soddisfatta del tutto. Allora si spostò verso il divano che stava sul lato opposto della stanza, camminando in maniera alquanto goffa visto che in un piede indossava una scarpa dal tacco dieci e nell’altro era scalza.
A quel punto, dopo il secondo orgasmo ed i pensieri equamente divisi tra Michel e Pierre, quello a cui anelava era solo ed esclusivamente una cosa: una penetrazione. La sua borsa di Hermes rosso fiammante, come le sue scarpe, era bellamente posata sul divano. Vi si sedette e la prese infilandoci dentro una mano ed estraendone l’amico di sempre. Poggiò la borsa a terra, anche se non era un gesto che le piaceva fare e gettò lontano dalla sua caviglia lo slip che si era avvinghiato ad essa qualche minuto prima, poi si sdraiò e dopo aver imbevuto di saliva la punta del dildo, lo guidò con maestria dentro al suo corpo.
“Mmmmhhh….”, mugugnò sentendosi penetrare da quell’oggetto inizialmente freddo. Poi pensò ai colpi che le aveva infierito Pierre in quel weekend ed all’ultima scopata fatta con Michel a Marsiglia, nel proprio ufficio. Decise che, a differenza del solito approccio con il vibratore, costituito da mosse delicate e lavoro di vibrazione, si sarebbe scopata come se fosse stato un uomo a possederla e cominciò quindi a penetrarsi ritmicamente e incessantemente. La sua fica era un lago di umori che si riversarono sulla pelle del divano e tra le sue cosce. Fortuna che il vestito di quel tessuto strech si era arrotolato fino al suo ombelico e non rischiava di venire intriso dai suoi liquidi.
Aveva sete. Di sesso e di cazzo. In quel momento avrebbe pagato per poter essere tra le braccia di un uomo. Si sentì porca ma sentì anche che non sarebbe stata capace, come non lo era mai stata, di farsi possedere dal primo che capitava e che quindi si sarebbe ridotta a soddisfarsi da sé.
Nel frattempo il dildo entrava ed usciva velocissimamente dalla sua passera. Quando, per sentirsi più comoda, si mise su un fianco e sollevò una gamba a squadra, anche l’altra scarpa cadde a terra. Sentì il piacere arrivare e allora decise di lasciarsi andare e lo gustò fino in fondo, contorcendosi sul divano ed ansimando come un animale in calore. Accese il dildo e chiuse le gambe tenendolo dentro di se vibrante e le sembrò, per la seconda volta quel giorno, di implodere.
Era madida di sudore e le ci sarebbero voluti diversi minuti da trascorrere davanti allo specchio del bagno per rimettersi in sesto.
Quando si riprese, dopo aver espulso il dildo ed averlo rimesso al suo posto, si fermò un attimo sul divano a riflettere. Pensò a Michel ed a Pierre e si rese conto di non essere in grado di scegliere. Amava Michel, questo era certo, ma di lui non si fidava ed il suo essere un uomo con famiglia non la tutelava. Pierre invece era l’opposto. Un single che le era devoto ma non si fidava nemmeno di lui. Avrebbe voluto un mix dei due.
Si rimise gli slip ed inserì i piedi nelle calzature rosse costosissime riflettendo sulla sua ricerca della perfezione. Era lei stessa il problema di fondo, era lei la perfezionista. Come per la ricerca degli orgasmi che si autoprocurava. Su questo non vi era alcun dubbio. Voleva tutto: la perfezione nel godimento, la perfezione nel partner, la precisione, la puntualità, il massimo livello nel lavoro ma anche nella vita sessuale.
Per questo motivo forse alla sua età era ancora single nonostante fosse una donna estremamente piacente.
Si alzò dal divano riflettendo su questi aspetti e si recò al bagno a trasformare quella immagine disordinata in quella solita e perfetta della amministratrice delegata dell’azienda. In pochi attimi tutto tornò come prima ed ella si sedette alla propria scrivania, dopo aver riaperto la porta, come se nulla fosse accaduto.
Pierre l’aveva scopata come non le accadeva da tempo, se non da anni. Lei si era recata da lui al sabato sera e lui aveva organizzato una cena con catering esterno solo per loro, di grande eleganza. Al termine della cena avevano bevuto qualcosa insieme nella grande terrazza con vista sul mare e poi erano andati a letto. Lei si era portata l’occorrente per la notte ed aveva scelto un intimo bianco ad effetto con una vestaglia in seta. Sarà stato l’effetto dell’alcool, di questa mise estremamente sexy o di qualche aiutino, ma Pierre l’aveva ripassata per bene per almeno un paio di ore alla fine delle quali lei, con grazia ed educazione, lo aveva dovuto implorare di smettere. Lui le aveva detto che non avrebbe mai smesso di desiderarla e lei ne era stata felice, ma il suo corpo le stava chiedendo pietà. Era rimasta a dormire da lui ed al mattino era riuscita a tenerlo lontano da sé, svegliandosi prima di lui e recandosi in piscina. Quando lo aveva osservato dormire, completamente nudo, non aveva potuto non notare la sua prestanza fisica e dentro di sé si era sentita leggermente in colpa nei confronti di Michel che era rimasto solo nella sua casa presso la quale lei non si era voluta recare. Aveva scelto. Punto. E pensava di avere fatto la scelta giusta, almeno per quella volta.
Pierre l’aveva poi raggiunta a metà mattinata in piscina. Avevano pranzato e dopo pranzo lui si era nuovamente avventato su di lei, senza lasciarle spazio di reazione. L’aveva raggiunta in piscina, sul lettino da sole dove lei era sdraiata con un costume intero bianco ed aveva cominciato a corteggiarla ed allo stesso tempo a palpeggiarla in maniera molto delicata partendo dai suoi piedi, lunghi e magri. Glieli aveva baciati ed accarezzati in modo estremamente eccitante. Dopo alcuni minuti si era trovata le mani di Pierre che la toccavano ovunque e la sua lingua prima sul collo e poi nella sua bocca. Quell’uomo sapeva decisamente il fatto in suo e la sua mano, che si era infilata dentro al suo costume intero passando lateralmente, era esperta quanto lui.
“Fammi godere”, gli aveva detto e lui lo aveva fatto quasi subito, senza smettere di baciarla. Le aveva accarezzato il sesso senza esagerare, cambiando ritmo ed assecondando il movimento del suo bacino, quasi coccolandola. La masturbazione era certamente un arte nella quale Maria Jose era regina, ma Pierre le dimostrò di essere di un livello così alto da non averne mai trovato. Le sue dita accarezzarono le sue labbra e poi si infilarono con gentilezza dentro di lei, esplorandola dapprima con lentezza e poi con un ritmo più sostenuto.
Quando aveva goduto le era sembrato quasi impensabile giungere ad un piacere così alto grazie ad una mano che non fosse la sua. Aveva goduto così tanto che il suo liquido aveva riempito la mano di Pierre ed aveva anche bagnato il suo costume ed il lettino. Ansimava come un cane dopo una fuga per rincorrere il bastone.
Riaperti gli occhi si era trovata davanti il cazzo di Pierre in piena erezione. Evidentemente doveva essersi abbassato il costume da bagno mentre lei stava assaporando il piacere del suo orgasmo.
“Guardarti godere è una cosa impagabile. Sei una donna stupenda Maria Jose!”, le aveva detto. Lei aveva sorriso davanti a quel complimento ed aveva compreso subito cosa lui volesse. Allora aveva preso il suo membro con la mano e se lo era guidato nella bocca. Lo aveva lavorato per alcuni minuti poi lui aveva voluto possederla. Si erano trasferiti quindi su di un altro lettino all’ombra e si erano messi completamente nudi calciando lontano i rispettivi costumi.
Quella sera, mentre guidò la sua Mercedes per tornare a Milano, quando ripensò a quel dopo pranzo non poté non stupirsi per la resistenza di Pierre che su quel lettino all’ombra l’aveva posseduta per un’ora e mezza, senza mostrare la minima défaillance. Avevano cominciato con lui sopra di lei, poi lei era salita a cavalcioni su di lui tenendo poggiati i piedi a terra e cavalcandolo a dovere. Sembrava che per lui non arrivasse mai il momento dell’eiaculazione. Quando l’aveva fatta inginocchiare e l’aveva penetrata da dietro lei gli aveva dovuto chiedere di rallentare. Mentre percorse le curve dell’autostrada ligure si accorse che avrebbe dovuto chiedergli di rallentare prima. Era riuscita a farlo venire con la bocca comunicandogli che si sarebbe masturbata mentre lo succhiava.
“Ti stai toccando?”, le aveva chiesto lui.
“Sì. Posso?”, le aveva chiesto lei con gli occhi da cerbiatto guardandolo dal basso verso l’alto, in ginocchio davanti a lui.
“Tu puoi tutto ma cherie”, le aveva risposto lui e Maria Jose aveva sentito l’eccitazione del suo cazzo nella sua bocca aumentare. Quando lei si era autoprocurata il secondo orgasmo della giornata penetrandosi con il dito medio, aveva sentito il respiro di Pierre farsi più affannato ed aveva capito che con qualche colpo di lingua ancora lo avrebbe portato a termine.
E così era andata. Se lo era tolto di bocca giusto in tempo per non essere invasa dal suo copioso sperma che invece schizzò lontano sul pavimento della zona piscina. Non le era mai piaciuto ingoiare. Lo aveva sempre trovato triviale e volgare.
La domenica sera era arrivata a Milano tardi ed aveva mangiato una insalata veloce in un ristorante ricercato vicino ai Navigli.
Al lunedì mattino si era recata presto in ufficio e ci era stata fino al tardo pomeriggio. Al martedì la stessa cosa ma alla sera era uscita per un leggera sessione di corsa al fine di tenersi in forma. Non era assolutamente portata all’ingrasso ma era meglio mantenersi soda e in salute, diceva sempre tra sé.
Il mercoledì pomeriggio, mentre lavorava nel proprio ufficio, ricevette la telefonata di Michel. Parlarono di lavoro e poi lui le chiese perché lo evitasse.
“Non ti evito. Semplice”.
“Invece sì. E lo sai. Io vorrei trascorrere del tempo con te. Sei la donna che desidero più al mondo e tu non ti degni nemmeno di concedermi qualche attimo”.
“Ne parliamo un’altra volta, ok?”, gli disse lei più per interrompere quella conversazione che per volerne veramente parlare con lui in un altro momento.
“Tanto non lo farai”, le rispose lui e riattaccò.
Forse aveva ragione, pensò Maria Jose ma il telefono suonò nuovamente ed ella pensò che fosse ancora lui. Invece era Pierre. Le chiese come stesse e quando si sarebbero rivisti. Lei non sapeva quando sarebbe tornata a Marsiglia e quindi rimase sul vago.
“Non mi vorrai nascondere qualcosa, vero?”.
“Per esempio?”.
“Che preferisci la compagnia di altri uomini, magari”, le disse lui.
“In questo momento no. Mi piace la tua”, gli rispose lei sincera.
“Se fossi lì in questo momento non sai cosa ti farei….”.
“Cosa?”, gli chiese lei stuzzicandolo.
Quello che lui le rispose la lasciò basita.
Pierre partì in un racconto di quello che le avrebbe fatto con una dovizia di particolari estrema. Restò ad ascoltarlo senza dire nulla per almeno cinque minuti, con gli occhi socchiusi, immaginandosi nella interpretazione delle fantasie che lui le stava raccontando.
L’effetto su di lei fu devastante.
Quando, sorridendo e fingendo al massimo delle proprie capacità, gli disse che doveva interrompere poiché di lì a breve aveva una riunione e doveva chiudere la conversazione, Pierre non comprese nulla di quanto stesse accadendo dall’altra parte del telefono. Le mandò un bacio e si accomiatò. Ma allo stesso tempo lei si era già sollevata l’elastico vestito grigio che indossava ed aveva già lasciato che la sua mano destra le accarezzasse il sesso attraverso il pizzo nero dei suoi slip.
Una volta chiusa la conversazione e poggiata la cornetta, si alzò per chiudere a chiave la porta dell’ufficio, poi tornò alla sua grande poltrona in pelle e vi si sedette sollevando i piedi e poggiandoli sul bordo della scrivania in mogano. Sollevare in quel modo le gambe e poggiare i tacchi sulla scrivania la facevano sentire da un lato molto più volgare di quanto fosse in realtà, mentre dall’altro lato la eccitava incredibilmente.
Era abile in quelle situazioni e conosceva alla perfezione il proprio corpo e ciò che esso voleva da lei. In quel momento le chiedeva piacere e godimento e lei non poteva fare altro che assecondarlo. Reclinò ulteriormente lo schienale della grande poltrona ed infilò la mano dentro allo slip scoprendo quanto fosse già calda.
Si bagnò subito ed in pochi attimi si abbassò gli slip che lasciò avvinghiati alla caviglia sinistra.
Decise che di lì a quando avrebbe deciso di essersi soddisfatta a sufficienza non avrebbe risposto né a telefonate né a chiunque avesse bussato alla sua porta. Fortunatamente non accadde né l’una né l’altra cosa e poté portare a compimento il proprio percorso di ricerca del piacere in maniera completa.
Lasciò che le sue dita riempissero il suo sesso e si accorse di non avere ancora smaltito le spinte energiche di Pierre di sabato e domenica pomeriggio. Maria Jose era maestra nell’arte della masturbazione e lasciò quindi che le sue dita sollecitassero altre zone erogene rispetto a quelle più interne. Il primo orgasmo giunse quasi inaspettato, mentre si era distratta osservando i suoi piedi, lunghi e magri, infilati in quelle scarpe rosse di Valentino dal tacco altissimo. Le sue estremità, soprattutto quelle inferiori, avevano la capacità di eccitarla incredibilmente. Sapeva quanto eccitassero gli uomini e su di lei avevano il medesimo effetto.
Capì subito che un solo orgasmo non le sarebbe bastato. La telefonata di Pierre ed il weekend appena trascorso ancora nei suoi pensieri l’avevano destabilizzata.
Si alzò e mise le mani sopra alla poltrona, poi poggiò il ginocchio sinistro sulla poltrona stessa mentre lasciò il piede destro a terra. In quella posizione avvicinò la fica al bracciolo in pelle ed iniziò a strofinargliela sopra. Era ancora bagnata dal primo orgasmo e la pelle si inumidì immediatamente.
Aveva ereditato quella poltrona dal dirigente precedente, diversi anni prima ed aveva sempre pensato che fosse stato uno strumento utilizzato per fare del sano sesso. Non era la prima volta che la utilizzava per masturbarsi ma era certamente la prima volta che utilizzava il bracciolo in quel modo. Sfregargli contro il proprio sesso, dapprima piano e poi ad un ritmo sempre più sostenuto, fu una cosa che la inebriò. Progressivamente quella superficie divenne sempre più lubrificata e le sue labbra ed il suo clitoride furono ben liete di essere accarezzate da quel materiale, seppur datato.
Si rese conto di ansimare e si accorse anche dei suoi liquidi che le scendevano lungo le cosce nude. Nel frattempo la sua mente vagò dai racconti che le aveva fatto Pierre, ai ricordi delle scopate con Michel. In quel momento avrebbe pagato perché uno dei due fosse lì a leccarle la passera ed a farla sentire ancor più donna di quanto non fosse già di suo. Si passò la lingua sulle labbra all’idea della bocca di uno dei due uomini tra le sue cosce ed incrementò il ritmo dello sfregamento. Quando venne le sembrò di implodere. Si inarcò e la vibrazione dell’orgasmo percorse interamente la sua colonna vertebrale. La sua scarpa sinistra cadde a terra dal suo piede e lei schiacciò a fondo la sua fica contro al bracciolo, quasi come ad impedire che il piacere uscisse dal suo corpo e svanisse.
Per un attimo le girò leggermente il capo, poi rinsavì. Si guardò attorno e comprese di non essere ancora soddisfatta del tutto. Allora si spostò verso il divano che stava sul lato opposto della stanza, camminando in maniera alquanto goffa visto che in un piede indossava una scarpa dal tacco dieci e nell’altro era scalza.
A quel punto, dopo il secondo orgasmo ed i pensieri equamente divisi tra Michel e Pierre, quello a cui anelava era solo ed esclusivamente una cosa: una penetrazione. La sua borsa di Hermes rosso fiammante, come le sue scarpe, era bellamente posata sul divano. Vi si sedette e la prese infilandoci dentro una mano ed estraendone l’amico di sempre. Poggiò la borsa a terra, anche se non era un gesto che le piaceva fare e gettò lontano dalla sua caviglia lo slip che si era avvinghiato ad essa qualche minuto prima, poi si sdraiò e dopo aver imbevuto di saliva la punta del dildo, lo guidò con maestria dentro al suo corpo.
“Mmmmhhh….”, mugugnò sentendosi penetrare da quell’oggetto inizialmente freddo. Poi pensò ai colpi che le aveva infierito Pierre in quel weekend ed all’ultima scopata fatta con Michel a Marsiglia, nel proprio ufficio. Decise che, a differenza del solito approccio con il vibratore, costituito da mosse delicate e lavoro di vibrazione, si sarebbe scopata come se fosse stato un uomo a possederla e cominciò quindi a penetrarsi ritmicamente e incessantemente. La sua fica era un lago di umori che si riversarono sulla pelle del divano e tra le sue cosce. Fortuna che il vestito di quel tessuto strech si era arrotolato fino al suo ombelico e non rischiava di venire intriso dai suoi liquidi.
Aveva sete. Di sesso e di cazzo. In quel momento avrebbe pagato per poter essere tra le braccia di un uomo. Si sentì porca ma sentì anche che non sarebbe stata capace, come non lo era mai stata, di farsi possedere dal primo che capitava e che quindi si sarebbe ridotta a soddisfarsi da sé.
Nel frattempo il dildo entrava ed usciva velocissimamente dalla sua passera. Quando, per sentirsi più comoda, si mise su un fianco e sollevò una gamba a squadra, anche l’altra scarpa cadde a terra. Sentì il piacere arrivare e allora decise di lasciarsi andare e lo gustò fino in fondo, contorcendosi sul divano ed ansimando come un animale in calore. Accese il dildo e chiuse le gambe tenendolo dentro di se vibrante e le sembrò, per la seconda volta quel giorno, di implodere.
Era madida di sudore e le ci sarebbero voluti diversi minuti da trascorrere davanti allo specchio del bagno per rimettersi in sesto.
Quando si riprese, dopo aver espulso il dildo ed averlo rimesso al suo posto, si fermò un attimo sul divano a riflettere. Pensò a Michel ed a Pierre e si rese conto di non essere in grado di scegliere. Amava Michel, questo era certo, ma di lui non si fidava ed il suo essere un uomo con famiglia non la tutelava. Pierre invece era l’opposto. Un single che le era devoto ma non si fidava nemmeno di lui. Avrebbe voluto un mix dei due.
Si rimise gli slip ed inserì i piedi nelle calzature rosse costosissime riflettendo sulla sua ricerca della perfezione. Era lei stessa il problema di fondo, era lei la perfezionista. Come per la ricerca degli orgasmi che si autoprocurava. Su questo non vi era alcun dubbio. Voleva tutto: la perfezione nel godimento, la perfezione nel partner, la precisione, la puntualità, il massimo livello nel lavoro ma anche nella vita sessuale.
Per questo motivo forse alla sua età era ancora single nonostante fosse una donna estremamente piacente.
Si alzò dal divano riflettendo su questi aspetti e si recò al bagno a trasformare quella immagine disordinata in quella solita e perfetta della amministratrice delegata dell’azienda. In pochi attimi tutto tornò come prima ed ella si sedette alla propria scrivania, dopo aver riaperto la porta, come se nulla fosse accaduto.
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