Il fascino sottile dell'esibizionismo
di
Suve
genere
etero
Oggi, a maturità acquisita (o almeno spero), alla “veneranda età” di 24 anni, posso affermare che era stata sempre latente in me fin da piccola.
Sorvolo velocemente sull’adolescenza, con un breve accenno a quando mi crebbero le tette ed io facevo in modo di evidenziarle in ogni modo, magari facendo figure ridicole come giudicherei ridicola una ragazzina che lo facesse ora davanti a me, ma allora per me era un piacere sottile far vedere al mondo che ce le avevo anche io.
Litigi continui con mia madre che non voleva assolutamente che mi vestissi con magliette o maglioncini attillati, men che meno gonne corte. Però per me era normale, lo facevano anche le mie amiche e non ci trovavo nulla di male. Crescendo ebbi il problema con i costumi da bagno, che avrei voluto minimalisti ed invece dovevo, sempre per far contenta mia madre, indossare capi scelti da lei.
A 18 anni la svolta. Finalmente “capace di intendere e di volere”, il controllo di mia madre si allentò; era meno apprensiva, meno rigida, si limitava a consigli affettuosi quando mi vedeva particolarmente in tiro (nel senso che i centimetri di pelle scoperti erano quasi più di quelli coperti dagli abiti). Dapprima timidamente, poi via via più “sfacciata”, colsi ogni occasione che avevo per mettermi in mostra. Cominciai con il dirimpettaio (in realtà l’avevo già fatto sporadicamente ma sempre con la paura che mia madre lo venisse a sapere). Di fronte al palazzone dove abitavamo ce ne era uno uguale, a circa 30 metri di distanza riempiti da un giardinetto. La mia camera era dotata di un balconcino e in sua corrispondenza, ultimo piano, c’era l’appartamento di una coppia senza figli. Scoprii per caso il lui della coppia osservarmi con attenzione una mattina che ero uscita col solo intimo per godermi la frescura del primo mattino.
Mi stavo stirando voluttuosamente quando lo vidi fermo sulla porta finestra guardare nella mia direzione. Un brivido di eccitazione mi corse per la schiena e, fingendo di non averlo visto, improvvisai delle mosse di stretching badando bene a mostrare nella sua direzione il mio culetto piegato a novanta gradi. Rientrai in camera eccitata e, sotto la doccia, non riuscii a trattenere la mano pensando a lui che mi guardava. Da quel momento, per alcuni giorni, prima di uscire sul balconcino mi accertavo che lui fosse appostato e davo il via al mio spettacolino privato che si concludeva sempre sotto l’acqua con la mano tra le mie cosce.
Osai sempre di più, togliendomi prima il reggiseno, carezzandomi le tette con fare pensieroso, infine uscendo totalmente nuda.
Di sottecchi, lo potevo vedere seminascosto dietro la finestra, non so se si carezzasse anche lui, che mi guardava con occhi pieni di libidine. Il divertimento finì quando, durante l’ennesima esibizione, udii delle urla tra cui, distinta, la parola “puttanella”. Guardando, vidi la figura della moglie sul balconcino che mi indicava infuriata. Mi precipitai dentro e da allora non lo feci più.
Però questo era stato solo l’inizio della mia nuova libertà. Intenzionalmente, vestivo con magliette aderenti con un reggiseno leggero, a volte senza, che non riusciva a nascondere i miei capezzoli, specie quando si ergevano per la mia eccitazione. Oppure dei jeans attillatissimi o pantacollant che mostravano apertamente come sotto indossassi solo un triangolino di stoffa davanti ed un filo interdentale dietro (a volte nemmeno quello). Così abbigliata, mi muovevo per i corridoi della scuola guardando fisso davanti a me come se non ci fosse nessun altro, ascoltando i bisbigli di ammirazione, a volte osceni, dei maschietti che incontravo, ed anche quelli incattiviti delle femminucce. Non era raro che dovessi chiudermi nel bagno per darmi soddisfazione da sola. E’ una cosa che faccio ancora adesso.
Nel frattempo, avevo fatto le mie prime esperienze con i maschietti e, pur capendone solo ora il perché, mi rendevo conto che lo “scambiarci coccole” con il mio ragazzo era molto più eccitante per me quando eravamo in auto, o appartati in qualche luogo aperto, piuttosto che le rare volte che si aveva casa a disposizione.
Anche lì la scoperta fu legata ad un episodio: ero nel parco e col mio lui eravamo seduti su una panchina appartata intenti a baciarci e carezzarci. Ricordo che indossavo una gonna rossa, leggera e svasata, e una camicetta bianca. Stavamo aspettando che suo fratello uscisse di casa, il parco era proprio lì davanti, per poter entrare e stare soli e, nell’attesa, eravamo strettamente abbracciati. Lui mi carezzava le cosce cercando di intrufolare la mano sotto la gonna e io cercavo, non troppo convinta, di fermargliela senza per questo smettere di baciarlo. Girando gli occhi, nello spazio tra le siepi che ci proteggevano dagli sguardi indiscreti, vidi ad una ventina di metri l’angolo di un’altra panchina dove era seduto un signore con un giornale in mano. Presumo fosse lì per leggerlo in tranquillità ma, dalla sua posizione, poteva vederci tranquillamente. Avrei potuto fare in modo di spostarci dall’altro lato della nostra panchina, e così nasconderci dietro la siepe, ed invece… vedere che quel tipo che, tenendo il giornale aperto davanti, aveva la testa semi-girata nella nostra direzione, spiandoci mentre faceva finta di leggere, mi fece correre un brivido lungo la spina dorsale. Prima che fossi pienamente cosciente di farlo avevo già allargato le gambe e avevo la mano del mio ragazzo felicemente sopra le mutandine. Spudorata, amplificai il volume del gemito che mi uscì spontaneo al tocco delle dita del mio lui. Volevo che l’altro sentisse quanto mi piaceva. Allungai la mano verso il cavallo dei pantaloni del mio partner sentendolo bello duro e, in fretta gli aprii i pantaloni, con difficoltà poiché usavo una mano sola, fino a tirarglielo fuori. Fu lui a interrompere il bacio per dirmi di stare calma, che eravamo esposti, ma io non gli diedi retta.
- Alzati –
Gli dissi tirandolo per un braccio.
Un po’ mi dispiacque perdere il contatto delle sue dita sulla mia micina ma avevo in mente un’altra cosa il cui pensiero mi stava già facendo impazzire. In piedi davanti alla panchina ove ero seduta, parzialmente girato verso di me, il mio ragazzo mi guardava estasiato mentre glielo prendevo in bocca. Lui non poteva, ma io vedevo l’altro uomo arrossire, toccarsi il davanti dei pantaloni per rimetterselo a posto. Immaginai la scena che aveva davanti: una bella e giovane ragazza che, di tre quarti, spompinava un coetaneo senza badare a lui che ci spiava e l’idea mi fece uscire di testa. Scintille di piacere iniziarono a ballarmi davanti agli occhi inducendomi a portare la mano tra le cosce aperte, a toccarmi mentre lo succhiavo, e godetti così, carezzandomi e mugolando forte a bocca piena. Fu troppo per il mio ragazzo che mi avvertì, non che ce ne fosse bisogno, già lo sentivo fremere e ingrossarsi tra le mie labbra, di stare per venire. Me lo tolsi di bocca e lo finii con la mano, scorrendo veloce lungo l’asta, facendolo zampillare di lato, dove non poteva sporcarmi, leccandomi le labbra mentre vedevo l’altro alzarsi con fare imbarazzato e, lanciando un’ultima occhiata verso di noi, sparire velocemente.
- Sei stata pazza, poteva vederci qualcuno –
Il mio ragazzo non si capacitava che io fossi stata così ardita, ma il suo rimprovero suonava falso di fronte all’aria felice che aveva.
Ci rimettemmo in ordine e, vista l’ora, andammo a casa sua trovandola finalmente vuota. L’eccitazione non si era spenta in me e nemmeno in lui; appena nella sua camera ci spogliammo di fretta e limonammo per un po’ prima che lui mi girasse di schiena e mi salisse sopra. Il suo cazzo si muoveva dentro di me veloce eppure non mi sentivo soddisfatta, sentivo come se mi mancasse qualcosa. Non so perché ma mi venne in mente la faccia di quel signore mentre facevo il pompino, e il mio piacere ripartì facendomi godere sotto i colpi sempre più veloci del mio ragazzo.
Non ci meditai sopra più di tanto, sapevo solo che sapere che qualcuno mi stava guardando, o anche solo poteva esserci qualcuno a guardare, mi eccitava fino a farmi colare come una fontanella.
E così camerini di prova, scaffali di supermercato, parcheggi trafficati, biblioteche silenziose, ogni luogo dove c’era o ci poteva essere qualcuno, fu teatro di una mia esibizione singola o in coppia.
Mi faceva venire i brividi provarmi un abito lasciando un piccolo spazio, come inavvertitamente, nel tendaggio dei camerini quando mi spogliavo per provare un vestito, o anche allargare le cosce davanti al commesso che mi stava facendo provare un paio di scarpe, e pure tirare su la gonna leggera, allargando le gambe, mentre fingevo di studiare in biblioteca. Seghe e pompini accennati tra la merce dei supermercati, con la gente che passava a pochi metri da noi, limonate pesanti nel parcheggio del centro commerciale dove chiunque poteva vederci. Cercavo ogni occasione, a volte rischiando come in quell’occasione in cui… va beh, diciamocelo, feci la “troietta” al pub facendo ingrifare un gruppo di tre giovani che non si limitarono a ammirarmi ma vollero seguirmi all’esterno facendo apprezzamenti pesanti. Feci appena in tempo a salire in auto e partire mentre uno di quelli voleva prendermi per un braccio e fermarmi.
Lo facevo inconsciamente, platealmente, fottendomene di tutto e tutti, ottenendo come sottoprodotto di avere tanti ragazzi a ronzarmi intorno ma anche tante ragazze che mi parlavano male dietro.
Poi la “rivelazione”. Tra le poche amiche che avevo in facoltà c’era una ragazza che studiava psicologia. Parlando del più e del meno, e specificatamente di come ci piaceva vestire, arrivammo al discorso dell’esibizionismo e lei, riempiendomi la testa di paroloni, mi spiegò con tono dottorale cosa fosse questa “deviazione sessuale” e come non fosse poi così rara. Mi consigliò un libro che divorai avidamente arrivando così a conoscermi meglio.
Me ne fregai di tutte le puttanate riguardo le reazioni della cosiddetta “società” verso quelli e quelle come me, le basi cliniche e comportamentali, Freud e Jung e compagnia cantante… badai solo al fatto che ora sapevo ciò che già conoscevo a livello inconscio, e cioè cosa mi procurava più piacere.
Lo so, non ci voleva poi un’amica per farmelo capire eppure… sarà che ero concentrata su studi tecnici.
Ad ogni modo, ora sono cosciente e cerco certi momenti scientificamente senza comunque tralasciare l’ispirazione del momento.
Perché vi ho raccontato questo? Per farvi capire il background di “Inga”, quella bella ragazza “misteriosa” che tanto sta appassionando i frequentatori di locali “equivoci” come il TRIVIA, dove sono ora, col solo intimo, il più sexy che ho, addosso, ed una mascherina che mi garantisce l’anonimato.
Tra poco sarò lì nella sala dove non tutti possono accedere, e so già che mi fotteranno, mi inculeranno, mi sborreranno addosso, mi leccheranno la figa, e io farò pompini, leccherò fighe, offrirò la lingua ai bianchi schizzi di piacere, aprirò le gambe per farmi penetrare, porgerò il culetto al voglioso di turno e godrò, godrò tantissimo. Quello che io so e che non sanno gli altri è che il mio piacere non sarà tanto per tutto quello che ho detto ma, molto più sottilmente, per gli sguardi incatenati al mio corpo, per la voglia che vi leggerò, per le lingue che umetteranno istintivamente labbra tumide e gonfie di desiderio.
Ah, dimenticavo, nell’improbabile ipotesi che mi riconosciate…. Per favore, non ditelo al mio ragazzo.
Sorvolo velocemente sull’adolescenza, con un breve accenno a quando mi crebbero le tette ed io facevo in modo di evidenziarle in ogni modo, magari facendo figure ridicole come giudicherei ridicola una ragazzina che lo facesse ora davanti a me, ma allora per me era un piacere sottile far vedere al mondo che ce le avevo anche io.
Litigi continui con mia madre che non voleva assolutamente che mi vestissi con magliette o maglioncini attillati, men che meno gonne corte. Però per me era normale, lo facevano anche le mie amiche e non ci trovavo nulla di male. Crescendo ebbi il problema con i costumi da bagno, che avrei voluto minimalisti ed invece dovevo, sempre per far contenta mia madre, indossare capi scelti da lei.
A 18 anni la svolta. Finalmente “capace di intendere e di volere”, il controllo di mia madre si allentò; era meno apprensiva, meno rigida, si limitava a consigli affettuosi quando mi vedeva particolarmente in tiro (nel senso che i centimetri di pelle scoperti erano quasi più di quelli coperti dagli abiti). Dapprima timidamente, poi via via più “sfacciata”, colsi ogni occasione che avevo per mettermi in mostra. Cominciai con il dirimpettaio (in realtà l’avevo già fatto sporadicamente ma sempre con la paura che mia madre lo venisse a sapere). Di fronte al palazzone dove abitavamo ce ne era uno uguale, a circa 30 metri di distanza riempiti da un giardinetto. La mia camera era dotata di un balconcino e in sua corrispondenza, ultimo piano, c’era l’appartamento di una coppia senza figli. Scoprii per caso il lui della coppia osservarmi con attenzione una mattina che ero uscita col solo intimo per godermi la frescura del primo mattino.
Mi stavo stirando voluttuosamente quando lo vidi fermo sulla porta finestra guardare nella mia direzione. Un brivido di eccitazione mi corse per la schiena e, fingendo di non averlo visto, improvvisai delle mosse di stretching badando bene a mostrare nella sua direzione il mio culetto piegato a novanta gradi. Rientrai in camera eccitata e, sotto la doccia, non riuscii a trattenere la mano pensando a lui che mi guardava. Da quel momento, per alcuni giorni, prima di uscire sul balconcino mi accertavo che lui fosse appostato e davo il via al mio spettacolino privato che si concludeva sempre sotto l’acqua con la mano tra le mie cosce.
Osai sempre di più, togliendomi prima il reggiseno, carezzandomi le tette con fare pensieroso, infine uscendo totalmente nuda.
Di sottecchi, lo potevo vedere seminascosto dietro la finestra, non so se si carezzasse anche lui, che mi guardava con occhi pieni di libidine. Il divertimento finì quando, durante l’ennesima esibizione, udii delle urla tra cui, distinta, la parola “puttanella”. Guardando, vidi la figura della moglie sul balconcino che mi indicava infuriata. Mi precipitai dentro e da allora non lo feci più.
Però questo era stato solo l’inizio della mia nuova libertà. Intenzionalmente, vestivo con magliette aderenti con un reggiseno leggero, a volte senza, che non riusciva a nascondere i miei capezzoli, specie quando si ergevano per la mia eccitazione. Oppure dei jeans attillatissimi o pantacollant che mostravano apertamente come sotto indossassi solo un triangolino di stoffa davanti ed un filo interdentale dietro (a volte nemmeno quello). Così abbigliata, mi muovevo per i corridoi della scuola guardando fisso davanti a me come se non ci fosse nessun altro, ascoltando i bisbigli di ammirazione, a volte osceni, dei maschietti che incontravo, ed anche quelli incattiviti delle femminucce. Non era raro che dovessi chiudermi nel bagno per darmi soddisfazione da sola. E’ una cosa che faccio ancora adesso.
Nel frattempo, avevo fatto le mie prime esperienze con i maschietti e, pur capendone solo ora il perché, mi rendevo conto che lo “scambiarci coccole” con il mio ragazzo era molto più eccitante per me quando eravamo in auto, o appartati in qualche luogo aperto, piuttosto che le rare volte che si aveva casa a disposizione.
Anche lì la scoperta fu legata ad un episodio: ero nel parco e col mio lui eravamo seduti su una panchina appartata intenti a baciarci e carezzarci. Ricordo che indossavo una gonna rossa, leggera e svasata, e una camicetta bianca. Stavamo aspettando che suo fratello uscisse di casa, il parco era proprio lì davanti, per poter entrare e stare soli e, nell’attesa, eravamo strettamente abbracciati. Lui mi carezzava le cosce cercando di intrufolare la mano sotto la gonna e io cercavo, non troppo convinta, di fermargliela senza per questo smettere di baciarlo. Girando gli occhi, nello spazio tra le siepi che ci proteggevano dagli sguardi indiscreti, vidi ad una ventina di metri l’angolo di un’altra panchina dove era seduto un signore con un giornale in mano. Presumo fosse lì per leggerlo in tranquillità ma, dalla sua posizione, poteva vederci tranquillamente. Avrei potuto fare in modo di spostarci dall’altro lato della nostra panchina, e così nasconderci dietro la siepe, ed invece… vedere che quel tipo che, tenendo il giornale aperto davanti, aveva la testa semi-girata nella nostra direzione, spiandoci mentre faceva finta di leggere, mi fece correre un brivido lungo la spina dorsale. Prima che fossi pienamente cosciente di farlo avevo già allargato le gambe e avevo la mano del mio ragazzo felicemente sopra le mutandine. Spudorata, amplificai il volume del gemito che mi uscì spontaneo al tocco delle dita del mio lui. Volevo che l’altro sentisse quanto mi piaceva. Allungai la mano verso il cavallo dei pantaloni del mio partner sentendolo bello duro e, in fretta gli aprii i pantaloni, con difficoltà poiché usavo una mano sola, fino a tirarglielo fuori. Fu lui a interrompere il bacio per dirmi di stare calma, che eravamo esposti, ma io non gli diedi retta.
- Alzati –
Gli dissi tirandolo per un braccio.
Un po’ mi dispiacque perdere il contatto delle sue dita sulla mia micina ma avevo in mente un’altra cosa il cui pensiero mi stava già facendo impazzire. In piedi davanti alla panchina ove ero seduta, parzialmente girato verso di me, il mio ragazzo mi guardava estasiato mentre glielo prendevo in bocca. Lui non poteva, ma io vedevo l’altro uomo arrossire, toccarsi il davanti dei pantaloni per rimetterselo a posto. Immaginai la scena che aveva davanti: una bella e giovane ragazza che, di tre quarti, spompinava un coetaneo senza badare a lui che ci spiava e l’idea mi fece uscire di testa. Scintille di piacere iniziarono a ballarmi davanti agli occhi inducendomi a portare la mano tra le cosce aperte, a toccarmi mentre lo succhiavo, e godetti così, carezzandomi e mugolando forte a bocca piena. Fu troppo per il mio ragazzo che mi avvertì, non che ce ne fosse bisogno, già lo sentivo fremere e ingrossarsi tra le mie labbra, di stare per venire. Me lo tolsi di bocca e lo finii con la mano, scorrendo veloce lungo l’asta, facendolo zampillare di lato, dove non poteva sporcarmi, leccandomi le labbra mentre vedevo l’altro alzarsi con fare imbarazzato e, lanciando un’ultima occhiata verso di noi, sparire velocemente.
- Sei stata pazza, poteva vederci qualcuno –
Il mio ragazzo non si capacitava che io fossi stata così ardita, ma il suo rimprovero suonava falso di fronte all’aria felice che aveva.
Ci rimettemmo in ordine e, vista l’ora, andammo a casa sua trovandola finalmente vuota. L’eccitazione non si era spenta in me e nemmeno in lui; appena nella sua camera ci spogliammo di fretta e limonammo per un po’ prima che lui mi girasse di schiena e mi salisse sopra. Il suo cazzo si muoveva dentro di me veloce eppure non mi sentivo soddisfatta, sentivo come se mi mancasse qualcosa. Non so perché ma mi venne in mente la faccia di quel signore mentre facevo il pompino, e il mio piacere ripartì facendomi godere sotto i colpi sempre più veloci del mio ragazzo.
Non ci meditai sopra più di tanto, sapevo solo che sapere che qualcuno mi stava guardando, o anche solo poteva esserci qualcuno a guardare, mi eccitava fino a farmi colare come una fontanella.
E così camerini di prova, scaffali di supermercato, parcheggi trafficati, biblioteche silenziose, ogni luogo dove c’era o ci poteva essere qualcuno, fu teatro di una mia esibizione singola o in coppia.
Mi faceva venire i brividi provarmi un abito lasciando un piccolo spazio, come inavvertitamente, nel tendaggio dei camerini quando mi spogliavo per provare un vestito, o anche allargare le cosce davanti al commesso che mi stava facendo provare un paio di scarpe, e pure tirare su la gonna leggera, allargando le gambe, mentre fingevo di studiare in biblioteca. Seghe e pompini accennati tra la merce dei supermercati, con la gente che passava a pochi metri da noi, limonate pesanti nel parcheggio del centro commerciale dove chiunque poteva vederci. Cercavo ogni occasione, a volte rischiando come in quell’occasione in cui… va beh, diciamocelo, feci la “troietta” al pub facendo ingrifare un gruppo di tre giovani che non si limitarono a ammirarmi ma vollero seguirmi all’esterno facendo apprezzamenti pesanti. Feci appena in tempo a salire in auto e partire mentre uno di quelli voleva prendermi per un braccio e fermarmi.
Lo facevo inconsciamente, platealmente, fottendomene di tutto e tutti, ottenendo come sottoprodotto di avere tanti ragazzi a ronzarmi intorno ma anche tante ragazze che mi parlavano male dietro.
Poi la “rivelazione”. Tra le poche amiche che avevo in facoltà c’era una ragazza che studiava psicologia. Parlando del più e del meno, e specificatamente di come ci piaceva vestire, arrivammo al discorso dell’esibizionismo e lei, riempiendomi la testa di paroloni, mi spiegò con tono dottorale cosa fosse questa “deviazione sessuale” e come non fosse poi così rara. Mi consigliò un libro che divorai avidamente arrivando così a conoscermi meglio.
Me ne fregai di tutte le puttanate riguardo le reazioni della cosiddetta “società” verso quelli e quelle come me, le basi cliniche e comportamentali, Freud e Jung e compagnia cantante… badai solo al fatto che ora sapevo ciò che già conoscevo a livello inconscio, e cioè cosa mi procurava più piacere.
Lo so, non ci voleva poi un’amica per farmelo capire eppure… sarà che ero concentrata su studi tecnici.
Ad ogni modo, ora sono cosciente e cerco certi momenti scientificamente senza comunque tralasciare l’ispirazione del momento.
Perché vi ho raccontato questo? Per farvi capire il background di “Inga”, quella bella ragazza “misteriosa” che tanto sta appassionando i frequentatori di locali “equivoci” come il TRIVIA, dove sono ora, col solo intimo, il più sexy che ho, addosso, ed una mascherina che mi garantisce l’anonimato.
Tra poco sarò lì nella sala dove non tutti possono accedere, e so già che mi fotteranno, mi inculeranno, mi sborreranno addosso, mi leccheranno la figa, e io farò pompini, leccherò fighe, offrirò la lingua ai bianchi schizzi di piacere, aprirò le gambe per farmi penetrare, porgerò il culetto al voglioso di turno e godrò, godrò tantissimo. Quello che io so e che non sanno gli altri è che il mio piacere non sarà tanto per tutto quello che ho detto ma, molto più sottilmente, per gli sguardi incatenati al mio corpo, per la voglia che vi leggerò, per le lingue che umetteranno istintivamente labbra tumide e gonfie di desiderio.
Ah, dimenticavo, nell’improbabile ipotesi che mi riconosciate…. Per favore, non ditelo al mio ragazzo.
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