Porca puttana
di
Turbidum
genere
trio
Mi ha poi messo le corna Viola? Quale dei tre racconti è una cronaca e quali le fantasie? forse nessuno dei tre. Magari Viola è ancora vergine!
...No, dai! Non esageriamo!
Ma le nostre fantasie erano così vivide che il confine con la realtà è sempre stato sottilissimo. E poi...importa davvero? Che differenza c’è tra il ricordo di un qualcosa che è accaduto e la memoria di una fantasia così intensa da essere indelebile?
La fantasia ci offre la possibilità di lasciare libere le emozioni senza paura della condanna e delle conseguenze e ci dà la possibilità di esplorare mondi emozionanti e terribili allo stesso tempo!
QUEL GIORNO
Onestamente non sapevo cosa aspettarmi.
Avrei dovuto seguire le sue istruzioni e accettare qualunque cosa.
Certo, avevo posto dei paletti, pochi a dire il vero, ma per il resto gli avevo lasciato carta bianca.
“Sorprendimi!”
Fabio mi aveva dato indicazioni precise.
Si rivelò un amante dei dettagli.
Come si trattasse di un grande evento, mi portò in città a fare compere.
Era lui che cercava, diceva di no insoddisfatto e si illuminava in viso quando finalmente aveva trovato.
Un tailleur grigio aderente, una camicia bianca scollata e ben tesa sui seni, i bottoni distanti gli uni dagli altri che lasciavano intravedere il bianco del seno straripante dal reggiseno carioca.
Le scarpe scure tacco 14.
Occhiali da vista castigati.
Il parrucchiere, un suo amico, aveva completato con un taglio che raccolse in uno chignon stile Eva Kant..
Non feci nessuna domanda. Era eccitante vedere nei suoi occhi comporsi lentamente un quadro che io avrei scoperto solo alla fine.
Fabio si occupa di amministrazione in un grosso centro di analisi cliniche. Fu lì che il gioco ebbe inizio!
A mezz'ora dalla chiusura, quando la sala accettazione era più affollata, entrai e mi misi in fila con tutti gli altri. La sala era piena, l’aria irrespirabile.
Attesi qualche minuto e chiesi all’infermiera addetta alle prenotazioni dove fossero i servizi.
Era molto giovane, le labbra carnose, gli occhi chiari, i capelli neri a caschetto. Mi colpirono le sue unghie rosse, laccate, lunghe. Le immaginai piantate nella schiena di Fabio intento a scoparla sulla scrivania.
Fu gentilissima, si alzò e mi indicò una porta sulla destra in fondo ad un lungo corridoio.
Abbandonai la stanza, la folla rimarginò velocemente il mio vuoto.
Percorsi il corridoio, ma invece di imboccare la porta del bagno proseguì dritto fino ad un’anonima porta in legno.
Scesi le scale che si allungavano in un budello lunghissimo, tappezzato di tubi e interruttori.
Il centro faceva parte di un grande stabile.
Al piano terra c’erano un ipermercato, il centro analisi, una lavanderia e diversi uffici.
Il seminterrato ne conteneva le viscere del colosso di cemento.
Ripassai a mente le istruzioni di Fabio.
Percorsi alcuni metri e svoltai a sinistra. Ancora un corridoio. Alzai il passo.
Mi fermai di fronte ad una enorme porta in metallo, una targhetta sbiadita svelò la mia meta: “locale caldaie”.
All’interno odore di gasolio e puzza di umido. Richiusi la porta dietro di me e usai il display del cellulare per trovare l’interruttore. Un vecchia lampadina ad incandescenza illuminò l’enorme stanzone. Al centro del locale un colosso di metallo, alto un piano, arrugginito, incrostato di vernice rossa che un tempo doveva essere stata scintillante.
Negli anni gloriosi del cherosene doveva aver bruciato tonnellate di combustibile ogni giorno.
Ora taceva, immerso nel silenzio e costretto a subire l’umiliazione di una moderna caldaia a metano smaltata di bianco, non più grande di un armadio ad ante.
Sul fondo, su un muro grezzo, una porticina priva di intelaiatura.
L’interruttore illuminò una stanza molto più piccola della prima, il cui unico arredo era una branda addossata al muro ed un armadietto da spogliatoio industriale.
Feci pochi passi. Sotto i piedi l’attrito rumoroso della polvere grossolana erosa dal muro grezzo.
Mi sedetti sul letto e aspettai. Le lenzuola, erano pulite, ma umide.
Mi sorprese quel silenzio assoluto, blindato da tonnellate di cemento.
Mi guardai intorno.
Mi morsi un dito, impaziente. Ancora un’ora buona. Fabio amava giocare con il tempo e amava obbligarmi ad attendere.
Improvvisamente dei rumori in fondo al corridoio.
Ebbi un sussulto, un timore sottile, era ancora troppo presto, decisamente troppo presto.
Mi saltò il cuore in gola, quasi panico, come una bambina che sta per essere sorpresa dai genitori
Mi precipitai nella sala principale, spensi le luci. I passi erano di due persone.
“Merda!”
Mi sforzai di mantenermi lucida. Trattenni il respiro per captare ogni rumore.
Sentì la porta aprirsi
Lo scatto dell’interruttore. Un attimo di silenzio.
Avrei avuto voglia di scappare.
Ancora silenzio… in fine…
“Signorina?! È qui? Signorina siamo arrivati!”
Una voce con un marcato accento deL nord, grossa, baritonale.
DUE SETTIMANE PRIMA DI “QUEL GIORNO”
“Ragazzi... “
Il Tony sbattè la manona enorme, sporca di grasso sul bancone di legno del Bar..
“Roba da matti! Viene in officina a riparare la macchina sto tipo qua…. uno con l’accento toscano, sui quaranta, mai visto prima, … ci mettiamo a parlare del più e del meno e questo si mette a sbalònare … dice che in questo periodo è preso perché se sta a chiavare sta troia piena di soldi, sta signora sposata con un tipo, un imprenditore.. Si lamenta che non ce la fa perché la puttana ha sempre voglia di cazzo, che non riesce a starle dietro. Si lagna che non gli lascia respiro.
Il Capo che fino ad allora se n’era stato zitto, ad un certo punto si avvicina, lo guarda, e mentre se pulisce le mani con uno straccio gli dise
“ Bhe… se la signorina ha bisogno, l’officina offre servizio completo!!
Il Tony lo disse grondando ammirazione e imitando i gesti del capo.
“Capito? Io mi sganascio di risate… ma il tipo sta al gioco ci butta lì di trombarci la signora.… tutti e due…. A quanto pare la signora è viziata, si annoia e le piacciono i giochi strani. Ci propone di andare in un certo posto fingendo che lei fosse una puttana, di pagarla e di scoparcela. Ad organizzare la cosa ci avrebbe pensato lui
Inclusi i soldi per pagarla!
Sul momento ho pensato “questo è un matto!”. Però il tipo tira fuori dal portafoglio banconote da cinquanta e da cento e ci molla lì su due piedi 5 mila euro!!
“Non so quanto vi chiederà, voi però pagatele pure tutti gli extra di cui avete voglia!”
QUEL GIORNO
“Signorina?!”
Non risposi
Ancora alcuni passi. Due ombre ingombranti riempirono lo spazio della porta, accecando completamente la luce flebile che filtrava dall’altra stanza.
Il più basso dei due si fece avanti liberando un pezzo di porta di quel che tanto da liberare un debole fascio di luce
Mi sorpresero seduta sul letto, le gambe accavallate.
Erano due omoni che distinguevo appena nell’ombra, ma dalle espressioni avranno totalizzato messi insieme non più di 10 anni di scolarizzazione. I due tipi, davvero enormi, indossavano tute sporche di grasso da meccanici, come se avessero appena smontato da lavoro. Probabilmente anche loro seguivano delle istruzioni, magari erano due impiegati comunali.
Il meno grosso dei due sembrava il capo … il Capoficcina! Sulla cinquantina, la pancia prominente, capelli grigi, viso squadrato. Mi guardò torvo, piegando la testa di lato.
"Tu devi essere Viola, la puttana mandata da Fabio. vero? “
Avevo appena aperto la mia scatola di cioccolatini!
La fantasia di Fabio si rivelò prevedibile, ma tutto sommato divertente.
Mi presi un secondo per entrare nel ruolo, piegai leggermente la testa di lato e feci vagare lo sguardo annoiato.
“Sì! Però non facciamo notte!... allora uno alla volta o tutti e due insieme?”
Trattenni il respiro speranzosa.
Il Capofficina parlava per entrambi.
“ Scopiamo uno per volta!”
“Ok! Uno alla volta sono 200 €, con preservativo, solo bocca e figa e niente baci … non sono la vostra fidanzatina!”
Non volevo farli scappare, ma non volevo neanche passare per una puttana da strada
Non sembrarono scomporsi …
“E per il culo quanto vuoi?”
Rimasi per un attimo sorpresa. Duecento euro non erano pochi e i due tipi non solo non avevano battuto ciglio, ma avevano addirittura rilanciato.
Il Capofficina si avvicinò e mi mise una mano sul sedere, immaginai la macchia di grasso sul tailleur
“Non voglio usare il preservativo!”
“Scordatelo bello!”
“Niente preservativo, ci dai il culo,veniamo dove ci pare e ti baciamo quanto ci pare… quanto vuoi?”
Mi sforzai di nascondere l’eccitazione
“Troppo!”
Una fitta leggera allo stomaco
“Quanto?”
“Sono altri mille… a testa!”
Sorrise soddisfatto!
“Per me va bene!”
“.. a anche per me!”
Lo dissero tirando fuori un enorme mazzo di banconote, da cinquanta e da cento, contarono rapidamente, ne avanzarono quasi altrettante e me le porsero sorridendo beffardi.
A quanto pare Fabio non aveva badato a spese.
“La porta?”
Stretta tra le dita tozze, Il Capofficina, fece dondolare un paio di chiavi, che gettò a terra in un angolo della stanza
“Tranquilla! Non ci disturberà nessuno!”
“Ok! Chi è il primo!”
Risposi distratta mentre mi sbottonavo facevo per togliermi la giacca.
Il capofficina si avvicinò e mi afferrò le mani.
“Comincio io puttana! E tu rimani vestita!”
Con uno strattone, gli allontanai la mano… e lo fissai incazzata
“Allora bello! Cerco di chiarirti le idee! In primo luogo sarò una puttana, ma tu stai attento a come parli perché ti strappo le palle! In secondo luogo quello che ho addosso costa molto più della vostra scopata, anzi probabilmente solo la tintoria per ripulirlo dal vostro lerciume costerebbe più della vostra scopata!”
Mi rise in faccia
“ E allora? Vuoi venire a dirmi che è un problema per te?”
Lo fissai sorpresa, mi mise un braccio intorno alla vita, non opposi resistenza. Pochi passi e fummo vicini all’armadietto.
Si mise esattamente dietro di me, premendomi il cazzo duro contro il sedere
"Non avere paura, c’è chi ha pensato a tutto!”
La sua voce era cambiata, improvvisamene priva d’accento, calda…..
Non so dire quello mi disse davvero e cosa invece ho immaginato....
“Vuoi sapere perché ti chiamo puttana? “
Rimasi in silenzio
“Apri l’armadietto!”
Lo aprì lentamente, come se sapessi esattamente cosa aspettarmi….c’era un altro vestito, appeso ad una gruccia.
“E’ identico a quello che hai addosso vero? …eh sì! Certo che lo è!! E dimmi…. secondo te quel vestito cosa significa bella "Signora"?”
Non risposi…
“Bene, te lo dico io….. significa che Il tuo fottuto vestitino te lo posso sporcare quanto voglio con le mie manacce o di sborra!”
Sottolineò le ultime parole afferrandomi il seno, riempiendosene la mano, il cazzo premuto sempre più forte contro il sedere
Avverti una vertigine, una fitta allo stomaco.
“Hai ragione! il tuo vestitino da serata di beneficenza vale più dei soldi che ti ho dato e magari più di quanto guadagnerei in un mese o anche due! Ma hai amici generosi, vero?!”
Lo disse sibilandomelo nell’orecchio, l’alito bollente, i bottoni della camicetta saltarono uno dopo l’altro sotto le sue dita grosse e ruvide.
“ Non che a te importi dei soldi… puttana…. a quelli ci pensa il maritino! tu sei qui perché vuoi farti scopare da due omoni un po' rozzi! Ti piace giocare a fare la puttana! sporcarti le manine …! Tranquilla oggi te le sporcherai!”
Me lo disse dopo aver fatto saltare l’ultimo bottone ed essersi fatto scivolare il seno nella mano ruvidissima.
Mi lasciai sfuggire un gemito, mi appoggiai sul metallo freddo dell’armadietto
La sua voce diventava più roca, più densa…
“Mi chiedi perché ti do della puttana?”
Sentì l’altra mano scorrere sulla stoffa della gonna, palparmi, come un troia su un autobus di linea, tirarla lentamente su per il bordo, scoprendo le autoreggenti, il reggicalze di pizzo e infine, incorniciato nel perizoma, il culo…. Il culo che non riuscivo a non tenere premuto contro la sua erezione, che strusciavo contro il suo cazzo come una cagna in calore.
Le sue dita grosse, tozze, le unghie corte logorate dal grasso e dal sapone, divorarono in fretta le mutandine, trovarono le mie labbra torride, umide, dilatate e vi affondarono lentamente, come nel burro caldo.
Il porco alle puttane doveva esserci abituato, perché si fece strada dentro di me senza complimenti, prima con due dita e poi con tre. Mi maledissi, perché le accoglievo come se non mi bastassero, come se volessi di più e senza togliermi le scarpe misi un piede sul ripiano dell’armadietto.
Il cotone sottile si fece completamente da parte, il rumore sordo del metallo incontrò quello umido delle sue dita, che finalmente diventarono quattro, sempre più invadenti più invadenti ….
Mi morsi un labbro fino quasi a sanguinare.
Con la mano libera continuava torturarmi il seno, stringendolo, come se fossero roba sua
“Dimmelo tu allora cosa sei!”
Lo sentì slacciarsi i pantaloni, un rumore di stoffa e di metallo così nitido che travolse ogni mia resistenza… .
Non esitai..
“Sono una puttana!”
Spostai la testa indietro e cercai le sue labbra, le trovai e trovai la sua lingua, umida, larga, volgare.
Mi è sempre piaciuto l’istante in cui sento per la prima volta un sapore, vado a caccia delle singole sfumature e mi sforzo di mandarle giù a memoria.
La bocca del Capofficina era un impastato caldo di tabacco e sambuca. Di proposito faceva scivolare la sua saliva densa fino a riempirmi la bocca.
Mi staccai un attimo, per mandarla giù e respirare.
Fu in quel momento che lo vidi.
L’Apprendista, il gigante.
Era poco più di una sagoma scura sulla soglia della porta. Con la mano sulla patta si torturava il cazzo. Il suo sguardo inchiodato su di noi
Per un attimo mi vidi riflessa nei suoi occhi: la signora bene in tailleur e occhiali da maestrina,pochi minuti prima quei suoi modi da stronza snob di chi non ha sudato mai per nulla ora era sbattuta contro l’armadio, le tette grosse , straziate come avrebbe voluto fare lui , il sedere quasi nudo, spinto all’indietro e premuto senza ritegno contro il cazzo del capo.
Il tacco 14 faceva leva contro il metallo dell’armadio sollevandole la coscia e offrendo un’ottima prospettiva di quella mano che le dilatava la fica.
Era Il disegno di Fabio.
Lo fissai negli occhi l’Apprendista, mentre facevo scivolare di nuovo la lingua nella bocca del suo capo.
Lui si avvicinò, trovando la forza di sfuggire alla gravità del suo cono d’ombra.
Avrà avuto vent’anni, alto, massiccio, non muscoloso, i capelli biondissimi, folti. Le scarpe grosse, strisciate per terra, la tuta Goodyear aperta sulla maglietta bianca gonfia del suo torace, sporca di una giornata di lavoro. Lo divorai con gli occhi senza sforzarmi di fingere, come fosse stato un capo di bestiame
Una latente omofobia da bar gli appesantiva ogni passo verso di noi, attratto da me, ma spaventato dal capobranco che già mi stava sbranando, con le mani, con la bocca e con le parole
“Ti piace puttana? Mi senti? Mi senti?”
“Sìììì…!”
Risposi al Capofficina guardando il suo Apprendista negli occhi senza riuscire a resistere alla vista della mano frenetica nei pantaloni larghi della tuta.
Mi voltai, affrontai ancora il capobranco, lo baciai, lo fissai un istante…
“Carino il ragazzo … è il tuo aiutante?”
Sorrise
“Hai sentito Tony… vedi di cosa ha bisogno la signora!”
Lo disse ridendo, per prendermi in giro, mentre continuava a dilatarmi la fica con la mano.
L’ Apprendista, Tony, si era sfilato le maniche della tuta, che trascinava come la coda di un frac, si menava a pugno stretto il cazzo ormai libero.
Aveva abbandonato ogni timore, non che avesse sfondato una qualche barriera morale, ma semplicemente non ne vedeva più.
Il suo membro, grande, bianchissimo, attraversato da una maglia fitta di vene blu, la cappella larga, squadrata, umida, mi ipnotizzava.
Era a meno di mezzo metro da noi. Lo fissai negli occhi.
“Vieni qui…”
Come se lo stessi dicendo ad un bambino.
Lui esitò, ma fece quel passo, divorò quei trenta centimetri che mi permisero di catturarlo.
Mi avvicinai al suo viso, lo annusai e, finalmente, lo baciai. La saliva del Capofficina si diluì in fretta nella sua bocca, divenne tiepida, addolcita da una caramella alla menta masticata in fretta.
Finalmente incontrai la lingua morbida e umida intorno alla mia. Sembrò rilassarsi, prese coraggio. La sua mano sul seno, più dolce del Capofficina, più liscia, ma più affamata.
La bocca calda del Capofficina mi tormentava il collo, la pelle d’oca ad ogni tocco, il tepore della sua saliva.
“Allora Tony… Vuoi vedere quanto è troia?”
Sfilò le dita dalla figa con la stessa urgenza con cui le aveva infilate, completamente bagnate, coperte dai miei umori. Me le presentò sotto al naso, l’odore intenso!
“La signora è completamente fradicia…!”
Gli afferrai la mano, fissai seria l’Apprendista
“Il tuo capo ha ragione Tony…”
Lasciai la frase sospesa nell’aria, fissai l’Apprendista negli occhi, passai la lingua sull’indice del Capofficina e me lo feci sparire tra le labbra. Riconobbi il mio sapore e, lentamente, me ne riappropriai.
Senza interrompere quel gioco, afferrai la mano dell’Apprendista e me la portai tra le gambe. Sentì le sue dita scivolarmi dentro, saltare le tappe, forse pensava di trovare la strada spianata, ma non era così. La sua mano era più grande e lui troppo frettoloso. Quasi saltai per il dolore, gli bloccai la mano e lo fissai allarmata. Lui si congelò, fuggi con lo sguardo, provò ad allontanare la mano, ma io lo trattenni
“Rimani .ma …fai piano…”
Lo guidai con dolcezza. Tornò a fissarmi, mi sorrise.
Il dolore non si placò, la dolcezza non rendeva le sue mani più piccole e la foga più contenibile, ma trovai la forza di nasconderlo, di permettergli di giocare con me.
Assaggia anche le sue dita, quante potevo tenerne in bocca, lo baciai.
Soffocata dai loro corpi, esasperata da ogni sensazione.
Ancora le labbra del capofficina, di nuovo il sapore delle sue dita, la forza delle sue mani, delle loro mani, dentro e poi ancora sul seno o febbrili sul sedere, sul culo, fino a farmi male.
I loro membri contro i vestiti e poi la pelle nuda
Il capofficina decise che il tempo era di giocare era finito..
Sentì la sua mano pesante tra i capelli e una pressione decisa verso il basso per ricordarmi quale era il mio posto
Il pavimento era freddo e sporco sotto le ginocchia. L’autoreggente sinistra arrotolata fin quasi alla caviglia. Fissavo lo scroto enorme del Capofficina, scuro, peloso, sormontato da un cazzo grosso, ma non lunghissimo.
“ Succhialo …!”
Mi afferrò per capelli, così forte che spalancai la bocca per la sorpresa.
Mi presento sotto il naso una cappella scura da sembrare quasi nera. Ne sentivo l’odore acre di sperma e di sudore.
“Tira fuori la lingua…puttana…”
Obbedì
Mi poggiò la cappella sulla punta della lingua, sentivo il frenulo teso, la cappella liscissima, lentamente la fece scivolare fino in fondo, quasi in gola.
“Ti piace? Volevi due cazzi… … puttana?”
Richiusi la bocca, lo contenevo a stento, la saliva bollente, viscida di cazzo mi scivolava sul mento, finalmente mi riempiva la gola, la bocca, le labbra, il viso…
Cominciai a pomparlo, con la mano cercai il cazzo del’Apprendista, lo afferrai, ne saggiai la consistenza, aveva un cazzo enorme, durissimo.
Una mano tra i capelli mi imponeva un ritmo spezzato, obbligandomi a passare da un cazzo all’altro, senza tregua e a ingurgitarne più di quanto mi sarei creduta capace.
Il cazzo umido premuto contro le lenti degli occhiali, ormai opache per liquido prespermatico.
Le loro voci eccitate che si sovrapponevano, si scavalcavano egoiste
“Allora puttana, ti sborriamo in faccia?eh? o lo vuoi in bocca?”
“Tocca a me puttana!”
“Oh sì così brava!! Brava troia continua …!”
Ma non si sborra in bocca ad una puttana. Soldi sprecati.
Mantennero la parola e mi scoparono uno alla volta.
Non so quanto tempo passò, ricordo che mi eccitò da morire ritrovarmi con la schiena sul letto. Nuda ma vestita. La giacca per terra, il seno esploso fuori dalla camicia insudiciata di tutto, la gonna arrotolata, fin sopra il sedere.
Il Capofficina su di me, mi teneva per i capelli, il cazzo cacciato in gola. Sentivo il suo odore, il suo sudore, lo scroto enorme, ruvido di peli, premuto contro il mento.
Al di là dalla pancia molle, intravedevo il suo viso paonazzo, l’espressione spiritata.
Parlava a scatti, ripetendo invariato lo stesso mantra, quasi volesse sincronizzarsi con il ritmo che mi scopava la bocca.
“Fino in gola puttana, eccolo, prendilo!”
Andò avanti non so quanto così, ma non venne.
Poi ancora a pecora. Il viso affondato nelle lenzuola, nel materasso, il culo in alto, la schiena inarcata fino a farmi male, le mani ruvide del Capofficina premute sulle natiche per allargarle. La sua saliva calda gocciolò esattamente sull’ano, sentì il suo glande premere e lentamente sparire dentro di me. Prima piano, poi con foga.
Sentivo la testa affossarsi nel materasso e il collo flettersi, sotto la violenza dei suoi colpi. Sentivo distintamente il suo cazzo dentro di me, ogni centimetro, riempirmi l’intestino.
Mi immaginavo piccola, sotto il suo corpo enorme, inculata come se volesse spezzarmi in due.
Il fumo di una sigaretta mi invase le narici, sempre più intenso. Mi eccitava l’idea dell’Apprendista che fumava impaziente del suo turno, come alla fermata di un autobus
Il Capofficina continuò così a lungo,quasi fosse un professionista. Poi sembrò vibrare, solo per un istante, si fermò, per trovare la forza di imbrigliare l’orgasmo.
Era arrivato il turno dell’Apprendista
“Dai Tony,vai tranquillo che la troia ce l’ha bello aperto”
Il flettersi scomposto della rete. Lo immaginai in piedi sul materasso dietro di me, fissarmi il sedere dilatato dal suo capo e dalle mie mani. Sentì il suo cazzo invadente premuto contro l’ano.
Andò avanti non so quanto così, ma in quella posizione sembrava a disagio.
Non era così che mi voleva.
Si fermò, come spazientito. Mi voltò sul letto, lo vidi sfilarsi il preservativo e gettarlo.
La mia schiena sulle lenzuola, le gambe larghe, fissavo il suo viso arrossato, la fronte imperlata.
Si piegò verso di me, si avvicinò al mio viso e mi baciò, appassionatamente, le dita tra i capelli, come volesse redimermi.
La sua mano mi scivolò lungo un fianco, leggera sulla coscia e si fermò all’altezza del ginocchio.
Mi fissò negli occhi, mentre con il glande mi cercava. Lo sentì scivolare umidissimo lungo l’interno coscia. Ebbi un brivido. Mi sollevò la gamba spostandola leggermente di lato e baciandomi sulle labbra, e lentamente entrò dentro di me.
Non resistetti alla tentazione, portai le mani sui suoi glutei muscolosi e lo spinsi più a fondo dentro di me.
Con le dita lungo la schiena seguì il percorso dei suoi fasci muscolari fino alle spalle larghissime.
Lo sentivo dentro di me, i peli pubici sfregare duri contro il clitoride, sempre più in fretta, il suo calore, la sua mano forte sul sedere, il ritmo incontenibile, inarcai la schiena, sentivo l’orgasmo montare, lui mi baciò ancora, il respiro spezzato.
Con le mani sul sedere lo spingevo dentro di me allargando le gambe, quasi lo cavalcassi, fu come una scossa elettrica, un orgasmo forse, poi un altro, sentì il suo scavalcare le mie mille scosse, crescere come un maremoto, ingrossarsi ed in fine esplodermi dentro.
La violenza dello sperma caldo che mi riempiva, il movimento umido del suo cazzo che annegava nella sborra. Continuavo a muovermi, tremando come una foglia, il respiro ancora affannato, smarrita.
Il suo corpo quasi franò sul mio contenuto solo dalle sue braccia forti.
Avrei voluto afferrarlo, trattenerlo. Ma esausto scivolò via.
Pochi secondi e sentì il materasso appesantirsi di nuovo, impaziente come me.
Era di nuovo il turno del Capofficina
Una mano sul sedere, le sue dita grosse si fecero spazio tra le natiche e con il medio cominciò a premere contro l’ano, lo sentì scivolarmi dentro e premere contro la sottile parete che lo separava dal cazzo. La sensazione mi fece impazzire. Mi sentivo piena, ancora una volta.
Sentivo il rumore del suo bacino sbattere contro di me.
I suoi testicoli fradici di sperma quasi ingoiati dalla mia figa.
Sentì lo stomaco contrarsi, aumentai il ritmo.
Il fiato mi mancava. Lo fissai negli occhi. Strusciai la mia fica piena contro il suo addome, venni travolta, inarcai la schiena ed esplosi, letteralmente. Spalancai la bocca, esalai un orgasmo, mentre lui continuava a pomparmi ferocemente, incurante, mi scopava ancora più forte, i miei orgasmi si accavallavano uno sull’altro, il cuore mi scoppiava in petto, infine, con un ultimo colpo, il suo orgasmo. Un numero infinito di contrazioni. Un coito esasperante. Ancora sperma caldo dentro di me. Tantissimo
Mi accascia e lui su di me.
I respiri lentamente si placarono. Lui rimase immobile, la sua pelle contro la mia.
In fine si sollevò pesante, mi fissò un istante e mi diede bacio stanco, sulla bocca, come fosse stata una stretta di mano.
Sentivo il peso del mio corpo esausto affossato nelle lenzuola fradice. Rimasi immobile, ignorando i rumori che andavano affievolendosi intorno a me e fissavo smarrita il soffitto contando gli infiniti riverberi dei miei orgasmi.
Sentì la porta di metallo sbattere contro i cardini.
Ero di nuovo sola.
Mi sentivo bollire tra le gambe. Sollevai la testa e fissai una macchia di sperma che si andava allargando sulle lenzuola.
Mi ritrovai a sorridere
“Porca puttana Fabio! Non staremo esagerando?”
...No, dai! Non esageriamo!
Ma le nostre fantasie erano così vivide che il confine con la realtà è sempre stato sottilissimo. E poi...importa davvero? Che differenza c’è tra il ricordo di un qualcosa che è accaduto e la memoria di una fantasia così intensa da essere indelebile?
La fantasia ci offre la possibilità di lasciare libere le emozioni senza paura della condanna e delle conseguenze e ci dà la possibilità di esplorare mondi emozionanti e terribili allo stesso tempo!
QUEL GIORNO
Onestamente non sapevo cosa aspettarmi.
Avrei dovuto seguire le sue istruzioni e accettare qualunque cosa.
Certo, avevo posto dei paletti, pochi a dire il vero, ma per il resto gli avevo lasciato carta bianca.
“Sorprendimi!”
Fabio mi aveva dato indicazioni precise.
Si rivelò un amante dei dettagli.
Come si trattasse di un grande evento, mi portò in città a fare compere.
Era lui che cercava, diceva di no insoddisfatto e si illuminava in viso quando finalmente aveva trovato.
Un tailleur grigio aderente, una camicia bianca scollata e ben tesa sui seni, i bottoni distanti gli uni dagli altri che lasciavano intravedere il bianco del seno straripante dal reggiseno carioca.
Le scarpe scure tacco 14.
Occhiali da vista castigati.
Il parrucchiere, un suo amico, aveva completato con un taglio che raccolse in uno chignon stile Eva Kant..
Non feci nessuna domanda. Era eccitante vedere nei suoi occhi comporsi lentamente un quadro che io avrei scoperto solo alla fine.
Fabio si occupa di amministrazione in un grosso centro di analisi cliniche. Fu lì che il gioco ebbe inizio!
A mezz'ora dalla chiusura, quando la sala accettazione era più affollata, entrai e mi misi in fila con tutti gli altri. La sala era piena, l’aria irrespirabile.
Attesi qualche minuto e chiesi all’infermiera addetta alle prenotazioni dove fossero i servizi.
Era molto giovane, le labbra carnose, gli occhi chiari, i capelli neri a caschetto. Mi colpirono le sue unghie rosse, laccate, lunghe. Le immaginai piantate nella schiena di Fabio intento a scoparla sulla scrivania.
Fu gentilissima, si alzò e mi indicò una porta sulla destra in fondo ad un lungo corridoio.
Abbandonai la stanza, la folla rimarginò velocemente il mio vuoto.
Percorsi il corridoio, ma invece di imboccare la porta del bagno proseguì dritto fino ad un’anonima porta in legno.
Scesi le scale che si allungavano in un budello lunghissimo, tappezzato di tubi e interruttori.
Il centro faceva parte di un grande stabile.
Al piano terra c’erano un ipermercato, il centro analisi, una lavanderia e diversi uffici.
Il seminterrato ne conteneva le viscere del colosso di cemento.
Ripassai a mente le istruzioni di Fabio.
Percorsi alcuni metri e svoltai a sinistra. Ancora un corridoio. Alzai il passo.
Mi fermai di fronte ad una enorme porta in metallo, una targhetta sbiadita svelò la mia meta: “locale caldaie”.
All’interno odore di gasolio e puzza di umido. Richiusi la porta dietro di me e usai il display del cellulare per trovare l’interruttore. Un vecchia lampadina ad incandescenza illuminò l’enorme stanzone. Al centro del locale un colosso di metallo, alto un piano, arrugginito, incrostato di vernice rossa che un tempo doveva essere stata scintillante.
Negli anni gloriosi del cherosene doveva aver bruciato tonnellate di combustibile ogni giorno.
Ora taceva, immerso nel silenzio e costretto a subire l’umiliazione di una moderna caldaia a metano smaltata di bianco, non più grande di un armadio ad ante.
Sul fondo, su un muro grezzo, una porticina priva di intelaiatura.
L’interruttore illuminò una stanza molto più piccola della prima, il cui unico arredo era una branda addossata al muro ed un armadietto da spogliatoio industriale.
Feci pochi passi. Sotto i piedi l’attrito rumoroso della polvere grossolana erosa dal muro grezzo.
Mi sedetti sul letto e aspettai. Le lenzuola, erano pulite, ma umide.
Mi sorprese quel silenzio assoluto, blindato da tonnellate di cemento.
Mi guardai intorno.
Mi morsi un dito, impaziente. Ancora un’ora buona. Fabio amava giocare con il tempo e amava obbligarmi ad attendere.
Improvvisamente dei rumori in fondo al corridoio.
Ebbi un sussulto, un timore sottile, era ancora troppo presto, decisamente troppo presto.
Mi saltò il cuore in gola, quasi panico, come una bambina che sta per essere sorpresa dai genitori
Mi precipitai nella sala principale, spensi le luci. I passi erano di due persone.
“Merda!”
Mi sforzai di mantenermi lucida. Trattenni il respiro per captare ogni rumore.
Sentì la porta aprirsi
Lo scatto dell’interruttore. Un attimo di silenzio.
Avrei avuto voglia di scappare.
Ancora silenzio… in fine…
“Signorina?! È qui? Signorina siamo arrivati!”
Una voce con un marcato accento deL nord, grossa, baritonale.
DUE SETTIMANE PRIMA DI “QUEL GIORNO”
“Ragazzi... “
Il Tony sbattè la manona enorme, sporca di grasso sul bancone di legno del Bar..
“Roba da matti! Viene in officina a riparare la macchina sto tipo qua…. uno con l’accento toscano, sui quaranta, mai visto prima, … ci mettiamo a parlare del più e del meno e questo si mette a sbalònare … dice che in questo periodo è preso perché se sta a chiavare sta troia piena di soldi, sta signora sposata con un tipo, un imprenditore.. Si lamenta che non ce la fa perché la puttana ha sempre voglia di cazzo, che non riesce a starle dietro. Si lagna che non gli lascia respiro.
Il Capo che fino ad allora se n’era stato zitto, ad un certo punto si avvicina, lo guarda, e mentre se pulisce le mani con uno straccio gli dise
“ Bhe… se la signorina ha bisogno, l’officina offre servizio completo!!
Il Tony lo disse grondando ammirazione e imitando i gesti del capo.
“Capito? Io mi sganascio di risate… ma il tipo sta al gioco ci butta lì di trombarci la signora.… tutti e due…. A quanto pare la signora è viziata, si annoia e le piacciono i giochi strani. Ci propone di andare in un certo posto fingendo che lei fosse una puttana, di pagarla e di scoparcela. Ad organizzare la cosa ci avrebbe pensato lui
Inclusi i soldi per pagarla!
Sul momento ho pensato “questo è un matto!”. Però il tipo tira fuori dal portafoglio banconote da cinquanta e da cento e ci molla lì su due piedi 5 mila euro!!
“Non so quanto vi chiederà, voi però pagatele pure tutti gli extra di cui avete voglia!”
QUEL GIORNO
“Signorina?!”
Non risposi
Ancora alcuni passi. Due ombre ingombranti riempirono lo spazio della porta, accecando completamente la luce flebile che filtrava dall’altra stanza.
Il più basso dei due si fece avanti liberando un pezzo di porta di quel che tanto da liberare un debole fascio di luce
Mi sorpresero seduta sul letto, le gambe accavallate.
Erano due omoni che distinguevo appena nell’ombra, ma dalle espressioni avranno totalizzato messi insieme non più di 10 anni di scolarizzazione. I due tipi, davvero enormi, indossavano tute sporche di grasso da meccanici, come se avessero appena smontato da lavoro. Probabilmente anche loro seguivano delle istruzioni, magari erano due impiegati comunali.
Il meno grosso dei due sembrava il capo … il Capoficcina! Sulla cinquantina, la pancia prominente, capelli grigi, viso squadrato. Mi guardò torvo, piegando la testa di lato.
"Tu devi essere Viola, la puttana mandata da Fabio. vero? “
Avevo appena aperto la mia scatola di cioccolatini!
La fantasia di Fabio si rivelò prevedibile, ma tutto sommato divertente.
Mi presi un secondo per entrare nel ruolo, piegai leggermente la testa di lato e feci vagare lo sguardo annoiato.
“Sì! Però non facciamo notte!... allora uno alla volta o tutti e due insieme?”
Trattenni il respiro speranzosa.
Il Capofficina parlava per entrambi.
“ Scopiamo uno per volta!”
“Ok! Uno alla volta sono 200 €, con preservativo, solo bocca e figa e niente baci … non sono la vostra fidanzatina!”
Non volevo farli scappare, ma non volevo neanche passare per una puttana da strada
Non sembrarono scomporsi …
“E per il culo quanto vuoi?”
Rimasi per un attimo sorpresa. Duecento euro non erano pochi e i due tipi non solo non avevano battuto ciglio, ma avevano addirittura rilanciato.
Il Capofficina si avvicinò e mi mise una mano sul sedere, immaginai la macchia di grasso sul tailleur
“Non voglio usare il preservativo!”
“Scordatelo bello!”
“Niente preservativo, ci dai il culo,veniamo dove ci pare e ti baciamo quanto ci pare… quanto vuoi?”
Mi sforzai di nascondere l’eccitazione
“Troppo!”
Una fitta leggera allo stomaco
“Quanto?”
“Sono altri mille… a testa!”
Sorrise soddisfatto!
“Per me va bene!”
“.. a anche per me!”
Lo dissero tirando fuori un enorme mazzo di banconote, da cinquanta e da cento, contarono rapidamente, ne avanzarono quasi altrettante e me le porsero sorridendo beffardi.
A quanto pare Fabio non aveva badato a spese.
“La porta?”
Stretta tra le dita tozze, Il Capofficina, fece dondolare un paio di chiavi, che gettò a terra in un angolo della stanza
“Tranquilla! Non ci disturberà nessuno!”
“Ok! Chi è il primo!”
Risposi distratta mentre mi sbottonavo facevo per togliermi la giacca.
Il capofficina si avvicinò e mi afferrò le mani.
“Comincio io puttana! E tu rimani vestita!”
Con uno strattone, gli allontanai la mano… e lo fissai incazzata
“Allora bello! Cerco di chiarirti le idee! In primo luogo sarò una puttana, ma tu stai attento a come parli perché ti strappo le palle! In secondo luogo quello che ho addosso costa molto più della vostra scopata, anzi probabilmente solo la tintoria per ripulirlo dal vostro lerciume costerebbe più della vostra scopata!”
Mi rise in faccia
“ E allora? Vuoi venire a dirmi che è un problema per te?”
Lo fissai sorpresa, mi mise un braccio intorno alla vita, non opposi resistenza. Pochi passi e fummo vicini all’armadietto.
Si mise esattamente dietro di me, premendomi il cazzo duro contro il sedere
"Non avere paura, c’è chi ha pensato a tutto!”
La sua voce era cambiata, improvvisamene priva d’accento, calda…..
Non so dire quello mi disse davvero e cosa invece ho immaginato....
“Vuoi sapere perché ti chiamo puttana? “
Rimasi in silenzio
“Apri l’armadietto!”
Lo aprì lentamente, come se sapessi esattamente cosa aspettarmi….c’era un altro vestito, appeso ad una gruccia.
“E’ identico a quello che hai addosso vero? …eh sì! Certo che lo è!! E dimmi…. secondo te quel vestito cosa significa bella "Signora"?”
Non risposi…
“Bene, te lo dico io….. significa che Il tuo fottuto vestitino te lo posso sporcare quanto voglio con le mie manacce o di sborra!”
Sottolineò le ultime parole afferrandomi il seno, riempiendosene la mano, il cazzo premuto sempre più forte contro il sedere
Avverti una vertigine, una fitta allo stomaco.
“Hai ragione! il tuo vestitino da serata di beneficenza vale più dei soldi che ti ho dato e magari più di quanto guadagnerei in un mese o anche due! Ma hai amici generosi, vero?!”
Lo disse sibilandomelo nell’orecchio, l’alito bollente, i bottoni della camicetta saltarono uno dopo l’altro sotto le sue dita grosse e ruvide.
“ Non che a te importi dei soldi… puttana…. a quelli ci pensa il maritino! tu sei qui perché vuoi farti scopare da due omoni un po' rozzi! Ti piace giocare a fare la puttana! sporcarti le manine …! Tranquilla oggi te le sporcherai!”
Me lo disse dopo aver fatto saltare l’ultimo bottone ed essersi fatto scivolare il seno nella mano ruvidissima.
Mi lasciai sfuggire un gemito, mi appoggiai sul metallo freddo dell’armadietto
La sua voce diventava più roca, più densa…
“Mi chiedi perché ti do della puttana?”
Sentì l’altra mano scorrere sulla stoffa della gonna, palparmi, come un troia su un autobus di linea, tirarla lentamente su per il bordo, scoprendo le autoreggenti, il reggicalze di pizzo e infine, incorniciato nel perizoma, il culo…. Il culo che non riuscivo a non tenere premuto contro la sua erezione, che strusciavo contro il suo cazzo come una cagna in calore.
Le sue dita grosse, tozze, le unghie corte logorate dal grasso e dal sapone, divorarono in fretta le mutandine, trovarono le mie labbra torride, umide, dilatate e vi affondarono lentamente, come nel burro caldo.
Il porco alle puttane doveva esserci abituato, perché si fece strada dentro di me senza complimenti, prima con due dita e poi con tre. Mi maledissi, perché le accoglievo come se non mi bastassero, come se volessi di più e senza togliermi le scarpe misi un piede sul ripiano dell’armadietto.
Il cotone sottile si fece completamente da parte, il rumore sordo del metallo incontrò quello umido delle sue dita, che finalmente diventarono quattro, sempre più invadenti più invadenti ….
Mi morsi un labbro fino quasi a sanguinare.
Con la mano libera continuava torturarmi il seno, stringendolo, come se fossero roba sua
“Dimmelo tu allora cosa sei!”
Lo sentì slacciarsi i pantaloni, un rumore di stoffa e di metallo così nitido che travolse ogni mia resistenza… .
Non esitai..
“Sono una puttana!”
Spostai la testa indietro e cercai le sue labbra, le trovai e trovai la sua lingua, umida, larga, volgare.
Mi è sempre piaciuto l’istante in cui sento per la prima volta un sapore, vado a caccia delle singole sfumature e mi sforzo di mandarle giù a memoria.
La bocca del Capofficina era un impastato caldo di tabacco e sambuca. Di proposito faceva scivolare la sua saliva densa fino a riempirmi la bocca.
Mi staccai un attimo, per mandarla giù e respirare.
Fu in quel momento che lo vidi.
L’Apprendista, il gigante.
Era poco più di una sagoma scura sulla soglia della porta. Con la mano sulla patta si torturava il cazzo. Il suo sguardo inchiodato su di noi
Per un attimo mi vidi riflessa nei suoi occhi: la signora bene in tailleur e occhiali da maestrina,pochi minuti prima quei suoi modi da stronza snob di chi non ha sudato mai per nulla ora era sbattuta contro l’armadio, le tette grosse , straziate come avrebbe voluto fare lui , il sedere quasi nudo, spinto all’indietro e premuto senza ritegno contro il cazzo del capo.
Il tacco 14 faceva leva contro il metallo dell’armadio sollevandole la coscia e offrendo un’ottima prospettiva di quella mano che le dilatava la fica.
Era Il disegno di Fabio.
Lo fissai negli occhi l’Apprendista, mentre facevo scivolare di nuovo la lingua nella bocca del suo capo.
Lui si avvicinò, trovando la forza di sfuggire alla gravità del suo cono d’ombra.
Avrà avuto vent’anni, alto, massiccio, non muscoloso, i capelli biondissimi, folti. Le scarpe grosse, strisciate per terra, la tuta Goodyear aperta sulla maglietta bianca gonfia del suo torace, sporca di una giornata di lavoro. Lo divorai con gli occhi senza sforzarmi di fingere, come fosse stato un capo di bestiame
Una latente omofobia da bar gli appesantiva ogni passo verso di noi, attratto da me, ma spaventato dal capobranco che già mi stava sbranando, con le mani, con la bocca e con le parole
“Ti piace puttana? Mi senti? Mi senti?”
“Sìììì…!”
Risposi al Capofficina guardando il suo Apprendista negli occhi senza riuscire a resistere alla vista della mano frenetica nei pantaloni larghi della tuta.
Mi voltai, affrontai ancora il capobranco, lo baciai, lo fissai un istante…
“Carino il ragazzo … è il tuo aiutante?”
Sorrise
“Hai sentito Tony… vedi di cosa ha bisogno la signora!”
Lo disse ridendo, per prendermi in giro, mentre continuava a dilatarmi la fica con la mano.
L’ Apprendista, Tony, si era sfilato le maniche della tuta, che trascinava come la coda di un frac, si menava a pugno stretto il cazzo ormai libero.
Aveva abbandonato ogni timore, non che avesse sfondato una qualche barriera morale, ma semplicemente non ne vedeva più.
Il suo membro, grande, bianchissimo, attraversato da una maglia fitta di vene blu, la cappella larga, squadrata, umida, mi ipnotizzava.
Era a meno di mezzo metro da noi. Lo fissai negli occhi.
“Vieni qui…”
Come se lo stessi dicendo ad un bambino.
Lui esitò, ma fece quel passo, divorò quei trenta centimetri che mi permisero di catturarlo.
Mi avvicinai al suo viso, lo annusai e, finalmente, lo baciai. La saliva del Capofficina si diluì in fretta nella sua bocca, divenne tiepida, addolcita da una caramella alla menta masticata in fretta.
Finalmente incontrai la lingua morbida e umida intorno alla mia. Sembrò rilassarsi, prese coraggio. La sua mano sul seno, più dolce del Capofficina, più liscia, ma più affamata.
La bocca calda del Capofficina mi tormentava il collo, la pelle d’oca ad ogni tocco, il tepore della sua saliva.
“Allora Tony… Vuoi vedere quanto è troia?”
Sfilò le dita dalla figa con la stessa urgenza con cui le aveva infilate, completamente bagnate, coperte dai miei umori. Me le presentò sotto al naso, l’odore intenso!
“La signora è completamente fradicia…!”
Gli afferrai la mano, fissai seria l’Apprendista
“Il tuo capo ha ragione Tony…”
Lasciai la frase sospesa nell’aria, fissai l’Apprendista negli occhi, passai la lingua sull’indice del Capofficina e me lo feci sparire tra le labbra. Riconobbi il mio sapore e, lentamente, me ne riappropriai.
Senza interrompere quel gioco, afferrai la mano dell’Apprendista e me la portai tra le gambe. Sentì le sue dita scivolarmi dentro, saltare le tappe, forse pensava di trovare la strada spianata, ma non era così. La sua mano era più grande e lui troppo frettoloso. Quasi saltai per il dolore, gli bloccai la mano e lo fissai allarmata. Lui si congelò, fuggi con lo sguardo, provò ad allontanare la mano, ma io lo trattenni
“Rimani .ma …fai piano…”
Lo guidai con dolcezza. Tornò a fissarmi, mi sorrise.
Il dolore non si placò, la dolcezza non rendeva le sue mani più piccole e la foga più contenibile, ma trovai la forza di nasconderlo, di permettergli di giocare con me.
Assaggia anche le sue dita, quante potevo tenerne in bocca, lo baciai.
Soffocata dai loro corpi, esasperata da ogni sensazione.
Ancora le labbra del capofficina, di nuovo il sapore delle sue dita, la forza delle sue mani, delle loro mani, dentro e poi ancora sul seno o febbrili sul sedere, sul culo, fino a farmi male.
I loro membri contro i vestiti e poi la pelle nuda
Il capofficina decise che il tempo era di giocare era finito..
Sentì la sua mano pesante tra i capelli e una pressione decisa verso il basso per ricordarmi quale era il mio posto
Il pavimento era freddo e sporco sotto le ginocchia. L’autoreggente sinistra arrotolata fin quasi alla caviglia. Fissavo lo scroto enorme del Capofficina, scuro, peloso, sormontato da un cazzo grosso, ma non lunghissimo.
“ Succhialo …!”
Mi afferrò per capelli, così forte che spalancai la bocca per la sorpresa.
Mi presento sotto il naso una cappella scura da sembrare quasi nera. Ne sentivo l’odore acre di sperma e di sudore.
“Tira fuori la lingua…puttana…”
Obbedì
Mi poggiò la cappella sulla punta della lingua, sentivo il frenulo teso, la cappella liscissima, lentamente la fece scivolare fino in fondo, quasi in gola.
“Ti piace? Volevi due cazzi… … puttana?”
Richiusi la bocca, lo contenevo a stento, la saliva bollente, viscida di cazzo mi scivolava sul mento, finalmente mi riempiva la gola, la bocca, le labbra, il viso…
Cominciai a pomparlo, con la mano cercai il cazzo del’Apprendista, lo afferrai, ne saggiai la consistenza, aveva un cazzo enorme, durissimo.
Una mano tra i capelli mi imponeva un ritmo spezzato, obbligandomi a passare da un cazzo all’altro, senza tregua e a ingurgitarne più di quanto mi sarei creduta capace.
Il cazzo umido premuto contro le lenti degli occhiali, ormai opache per liquido prespermatico.
Le loro voci eccitate che si sovrapponevano, si scavalcavano egoiste
“Allora puttana, ti sborriamo in faccia?eh? o lo vuoi in bocca?”
“Tocca a me puttana!”
“Oh sì così brava!! Brava troia continua …!”
Ma non si sborra in bocca ad una puttana. Soldi sprecati.
Mantennero la parola e mi scoparono uno alla volta.
Non so quanto tempo passò, ricordo che mi eccitò da morire ritrovarmi con la schiena sul letto. Nuda ma vestita. La giacca per terra, il seno esploso fuori dalla camicia insudiciata di tutto, la gonna arrotolata, fin sopra il sedere.
Il Capofficina su di me, mi teneva per i capelli, il cazzo cacciato in gola. Sentivo il suo odore, il suo sudore, lo scroto enorme, ruvido di peli, premuto contro il mento.
Al di là dalla pancia molle, intravedevo il suo viso paonazzo, l’espressione spiritata.
Parlava a scatti, ripetendo invariato lo stesso mantra, quasi volesse sincronizzarsi con il ritmo che mi scopava la bocca.
“Fino in gola puttana, eccolo, prendilo!”
Andò avanti non so quanto così, ma non venne.
Poi ancora a pecora. Il viso affondato nelle lenzuola, nel materasso, il culo in alto, la schiena inarcata fino a farmi male, le mani ruvide del Capofficina premute sulle natiche per allargarle. La sua saliva calda gocciolò esattamente sull’ano, sentì il suo glande premere e lentamente sparire dentro di me. Prima piano, poi con foga.
Sentivo la testa affossarsi nel materasso e il collo flettersi, sotto la violenza dei suoi colpi. Sentivo distintamente il suo cazzo dentro di me, ogni centimetro, riempirmi l’intestino.
Mi immaginavo piccola, sotto il suo corpo enorme, inculata come se volesse spezzarmi in due.
Il fumo di una sigaretta mi invase le narici, sempre più intenso. Mi eccitava l’idea dell’Apprendista che fumava impaziente del suo turno, come alla fermata di un autobus
Il Capofficina continuò così a lungo,quasi fosse un professionista. Poi sembrò vibrare, solo per un istante, si fermò, per trovare la forza di imbrigliare l’orgasmo.
Era arrivato il turno dell’Apprendista
“Dai Tony,vai tranquillo che la troia ce l’ha bello aperto”
Il flettersi scomposto della rete. Lo immaginai in piedi sul materasso dietro di me, fissarmi il sedere dilatato dal suo capo e dalle mie mani. Sentì il suo cazzo invadente premuto contro l’ano.
Andò avanti non so quanto così, ma in quella posizione sembrava a disagio.
Non era così che mi voleva.
Si fermò, come spazientito. Mi voltò sul letto, lo vidi sfilarsi il preservativo e gettarlo.
La mia schiena sulle lenzuola, le gambe larghe, fissavo il suo viso arrossato, la fronte imperlata.
Si piegò verso di me, si avvicinò al mio viso e mi baciò, appassionatamente, le dita tra i capelli, come volesse redimermi.
La sua mano mi scivolò lungo un fianco, leggera sulla coscia e si fermò all’altezza del ginocchio.
Mi fissò negli occhi, mentre con il glande mi cercava. Lo sentì scivolare umidissimo lungo l’interno coscia. Ebbi un brivido. Mi sollevò la gamba spostandola leggermente di lato e baciandomi sulle labbra, e lentamente entrò dentro di me.
Non resistetti alla tentazione, portai le mani sui suoi glutei muscolosi e lo spinsi più a fondo dentro di me.
Con le dita lungo la schiena seguì il percorso dei suoi fasci muscolari fino alle spalle larghissime.
Lo sentivo dentro di me, i peli pubici sfregare duri contro il clitoride, sempre più in fretta, il suo calore, la sua mano forte sul sedere, il ritmo incontenibile, inarcai la schiena, sentivo l’orgasmo montare, lui mi baciò ancora, il respiro spezzato.
Con le mani sul sedere lo spingevo dentro di me allargando le gambe, quasi lo cavalcassi, fu come una scossa elettrica, un orgasmo forse, poi un altro, sentì il suo scavalcare le mie mille scosse, crescere come un maremoto, ingrossarsi ed in fine esplodermi dentro.
La violenza dello sperma caldo che mi riempiva, il movimento umido del suo cazzo che annegava nella sborra. Continuavo a muovermi, tremando come una foglia, il respiro ancora affannato, smarrita.
Il suo corpo quasi franò sul mio contenuto solo dalle sue braccia forti.
Avrei voluto afferrarlo, trattenerlo. Ma esausto scivolò via.
Pochi secondi e sentì il materasso appesantirsi di nuovo, impaziente come me.
Era di nuovo il turno del Capofficina
Una mano sul sedere, le sue dita grosse si fecero spazio tra le natiche e con il medio cominciò a premere contro l’ano, lo sentì scivolarmi dentro e premere contro la sottile parete che lo separava dal cazzo. La sensazione mi fece impazzire. Mi sentivo piena, ancora una volta.
Sentivo il rumore del suo bacino sbattere contro di me.
I suoi testicoli fradici di sperma quasi ingoiati dalla mia figa.
Sentì lo stomaco contrarsi, aumentai il ritmo.
Il fiato mi mancava. Lo fissai negli occhi. Strusciai la mia fica piena contro il suo addome, venni travolta, inarcai la schiena ed esplosi, letteralmente. Spalancai la bocca, esalai un orgasmo, mentre lui continuava a pomparmi ferocemente, incurante, mi scopava ancora più forte, i miei orgasmi si accavallavano uno sull’altro, il cuore mi scoppiava in petto, infine, con un ultimo colpo, il suo orgasmo. Un numero infinito di contrazioni. Un coito esasperante. Ancora sperma caldo dentro di me. Tantissimo
Mi accascia e lui su di me.
I respiri lentamente si placarono. Lui rimase immobile, la sua pelle contro la mia.
In fine si sollevò pesante, mi fissò un istante e mi diede bacio stanco, sulla bocca, come fosse stata una stretta di mano.
Sentivo il peso del mio corpo esausto affossato nelle lenzuola fradice. Rimasi immobile, ignorando i rumori che andavano affievolendosi intorno a me e fissavo smarrita il soffitto contando gli infiniti riverberi dei miei orgasmi.
Sentì la porta di metallo sbattere contro i cardini.
Ero di nuovo sola.
Mi sentivo bollire tra le gambe. Sollevai la testa e fissai una macchia di sperma che si andava allargando sulle lenzuola.
Mi ritrovai a sorridere
“Porca puttana Fabio! Non staremo esagerando?”
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