Tutti al mare! Capitolo 2: Vanessa
di
Viktorie_M
genere
tradimenti
Vanessa
Spalmata al Sole in un bikini zafferano e con la pelle lucida di olio, senza la minima intenzione di smuoversi dal suo solarium, se ne stava Vanessa, la inarrivabile, acidissima, più grande figa che avesse mai calcato i corridoi del Liceo e probabilmente già in pole position anche in Università.
Alta, con un fisico mozzafiato dalle forme più che canoniche della bella donna-clessidra, un viso con gli zigomi definiti, le labbra dal contorno perfetto e una chioma di capelli ricci rosso fuoco lunga dei metri, avrebbe potuto stare a friggere sul terrazzo incurante pure di una folla di fotografi.
Aggiungete la provenienza da una famiglia più che benestante il cui padre, per hobby più che necessità, dirigeva una popolare rivista di Motori&Modelle (su cui era apparsa qualche volta, per virtù di fisico e di nepotismo), e avrete il quadro completo di una creatura che poteva vendere il proprio ego alla grande distribuzione.
“Ciao Vane” salutò Marco
“... Ma guarda, è arrivata la quota sociale di zitelli.” sorrise senza nemmeno aprire gli occhi. “... Scherzo. No. Forse. Come va?”
Marco fece spallucce “In vacanza: Storto che già sta rollando qualcosa, Stefano e Anna...StefAnna, che si abbraccia continuamente, e Marco che scalpita al piano di sotto. Dai, andiamo in spiaggia.”
Gli occhi azzurro-grigi di Vanessa lo fissarono da sotto le ciglia lunghe
“Cazzo, sembra molto allettante, la gita dell'asilo... Tu, devi cambiare il pannolino o almeno uno normale lo abbiamo?”
“Vittoria?”
“Chi?” “La tipa di Storto” “Appunto... Normale, quindi?”
Il ragazzo non potè esimersi dal sorridere, mentre con sforzi biblici Vanessa ergeva il suo metro e ottantacinque di stronzaggine, raccoglieva il telo e rendeva l'umanità degna della sua presenza fino alla spiaggia.
Il resto del pomeriggio trascorse con tranquillità: Marco fece il suo primo bagno, Andrea commentò positivamente che Felce dopo un anno di corsa avesse smesso di avere il fisico di un ramo secco, Storto e Vittoria si lanciavano pezzi di alghe, StefAnna tubava su un asciugamano, Vanessa raccoglieva sguardi altrui e distribuiva acidità.
“Non ho capito perché ti chiamano Felce...” “E' una cosa del Liceo, Vittoria... Eravamo andati in gita il primo anno con un'escursione in montagna, io ho messo male un piede e sono rotolato praticamente in mezzo a un bosco”.
Storto smise di leccare la cartina. “Lo abbiamo recuperato che era pieno di aghi di pino e fango e felci, e quando si è fatto la doccia in albergo ne aveva anche dei pezzi nelle mutande”
“Non è una storia molto edificante” ammise Marco.
“Poteva andarti peggio!” rise Vittoria “Potevano chiamarti Fango, o Pino”.
Storto rise di gusto “Pino sarebbe anche andato bene, con il tronco che si trova!”
Marco arrossì brutalmente fulminando con lo sguardo il suo amico “Dai cazzo! Sei un coglione!” rimbeccò con una spinta Vittoria.
“Ma è vero!” “Ok ok ok, basta così!” sbottò Marco, prima che Storto cambiasse argomento di nuovo in pista sulla strada nebbiosa della sua mente.
Tornati alla magione, sotto la doccia, dopo il turno dei suoi amici e mentre l'altro bagno era monopolizzato dalle ragazze e soprattutto da Vanessa, Marco sospirò malinconicamente.
Era vero, era timido, impacciato, ci aveva messo mesi a mettere su un po' di muscoli per non sembrare un quindicenne in università, e l'unica cosa che sicuramente molti altri ragazzi gli avrebbero invidiato, era quel che gli dondolava mollemente sotto la doccia. La famigerata invidia del pene avrebbe colto molti dei suoi conoscenti, se non fosse che un organo degno di un film a luci rosse apparteneva a qualcuno che a fatica stava in mutande pure nello spogliatoio della piscina.
Come comprare una macchina sportiva ma non avere la patente.
E per la prima volta in assoluto era riuscito ad arrivare a un dunque con una sua compagna di corso, in Università.
Cristina era rotondetta, con un seno pieno e morbido e un culo un po' strabordante, simpatica, cordiale, e incredibilmente erano finiti a letto assieme dopo un paio di mesi di uscite, quasi inaspettatamente visto che Marco non pensava di poter interessare a qualcuna. E quando Cristina aveva toccato e palpato il contenuto dei suoi boxer, una massa soda che non vedeva l'ora di entrare in azione, aveva cominciato con le paranoie.
Mi farà male, non so, cosa sto facendo, magari solo qualche coccola... Era finita così con tante palpate, ansimi, un orgasmo di lei dopo una masturbazione impacciatissima e una sega finita nel nulla per lui.
Che si scusò ripetutamente di non essere venuto, che andava bene solo qualche coccola, che ci mancava altro.
A pensare a quella sera, uscendo dalla doccia, l'umore di Marco si inabissò, mentre il suo amico pubico si alzò interessato e svettante (evidentemente i due pensavano a dettagli differenti della vicenda), per cui quando la porta del bagno si aprì ci mise un attimo a squittire un “ehi”, prima di afferrare l'asciugamano e buttarselo in vita.
Vanessa se ne stava sulla porta, con i capelli ancora un po' bagnati e un accappatoio ben stretto addosso, con la solita espressione sarcastica sulle labbra lucide.
“Hai paura di rimanere chiuso al cesso se usi la chiave?”
“Non... Ci ho pensato” La ragazza sbuffò dal naso “ Mi serve il phon di qui, quello sopra fa schifo al cazzo, è nell'armadietto lì...” Marco, più rosso del suo asciugamano e dei capelli di lei, armeggiò nel mobile cercando di darle le spalle, tirò fuori l'asciugacapelli e lo porse a lei, mentre l'adattatore della spina si sfilava e cadeva a terra, inevitabilmente attirando gli sguardi di tutti e due verso il basso, in zona ove il telo presentava ancora un rigonfiamento assolutamente intuibile.
Lestamente il ragazzo si inginocchiò per prendere l'adattatore Schuko e porgerlo alla fanciulla, che girò le spalle e se ne ne uscì senza commenti.
“Andata bene...” sospirò il ragazzo chiudendo la porta – a chiave stavolta- e preparandosi per uscire a cena.
Spalmata al Sole in un bikini zafferano e con la pelle lucida di olio, senza la minima intenzione di smuoversi dal suo solarium, se ne stava Vanessa, la inarrivabile, acidissima, più grande figa che avesse mai calcato i corridoi del Liceo e probabilmente già in pole position anche in Università.
Alta, con un fisico mozzafiato dalle forme più che canoniche della bella donna-clessidra, un viso con gli zigomi definiti, le labbra dal contorno perfetto e una chioma di capelli ricci rosso fuoco lunga dei metri, avrebbe potuto stare a friggere sul terrazzo incurante pure di una folla di fotografi.
Aggiungete la provenienza da una famiglia più che benestante il cui padre, per hobby più che necessità, dirigeva una popolare rivista di Motori&Modelle (su cui era apparsa qualche volta, per virtù di fisico e di nepotismo), e avrete il quadro completo di una creatura che poteva vendere il proprio ego alla grande distribuzione.
“Ciao Vane” salutò Marco
“... Ma guarda, è arrivata la quota sociale di zitelli.” sorrise senza nemmeno aprire gli occhi. “... Scherzo. No. Forse. Come va?”
Marco fece spallucce “In vacanza: Storto che già sta rollando qualcosa, Stefano e Anna...StefAnna, che si abbraccia continuamente, e Marco che scalpita al piano di sotto. Dai, andiamo in spiaggia.”
Gli occhi azzurro-grigi di Vanessa lo fissarono da sotto le ciglia lunghe
“Cazzo, sembra molto allettante, la gita dell'asilo... Tu, devi cambiare il pannolino o almeno uno normale lo abbiamo?”
“Vittoria?”
“Chi?” “La tipa di Storto” “Appunto... Normale, quindi?”
Il ragazzo non potè esimersi dal sorridere, mentre con sforzi biblici Vanessa ergeva il suo metro e ottantacinque di stronzaggine, raccoglieva il telo e rendeva l'umanità degna della sua presenza fino alla spiaggia.
Il resto del pomeriggio trascorse con tranquillità: Marco fece il suo primo bagno, Andrea commentò positivamente che Felce dopo un anno di corsa avesse smesso di avere il fisico di un ramo secco, Storto e Vittoria si lanciavano pezzi di alghe, StefAnna tubava su un asciugamano, Vanessa raccoglieva sguardi altrui e distribuiva acidità.
“Non ho capito perché ti chiamano Felce...” “E' una cosa del Liceo, Vittoria... Eravamo andati in gita il primo anno con un'escursione in montagna, io ho messo male un piede e sono rotolato praticamente in mezzo a un bosco”.
Storto smise di leccare la cartina. “Lo abbiamo recuperato che era pieno di aghi di pino e fango e felci, e quando si è fatto la doccia in albergo ne aveva anche dei pezzi nelle mutande”
“Non è una storia molto edificante” ammise Marco.
“Poteva andarti peggio!” rise Vittoria “Potevano chiamarti Fango, o Pino”.
Storto rise di gusto “Pino sarebbe anche andato bene, con il tronco che si trova!”
Marco arrossì brutalmente fulminando con lo sguardo il suo amico “Dai cazzo! Sei un coglione!” rimbeccò con una spinta Vittoria.
“Ma è vero!” “Ok ok ok, basta così!” sbottò Marco, prima che Storto cambiasse argomento di nuovo in pista sulla strada nebbiosa della sua mente.
Tornati alla magione, sotto la doccia, dopo il turno dei suoi amici e mentre l'altro bagno era monopolizzato dalle ragazze e soprattutto da Vanessa, Marco sospirò malinconicamente.
Era vero, era timido, impacciato, ci aveva messo mesi a mettere su un po' di muscoli per non sembrare un quindicenne in università, e l'unica cosa che sicuramente molti altri ragazzi gli avrebbero invidiato, era quel che gli dondolava mollemente sotto la doccia. La famigerata invidia del pene avrebbe colto molti dei suoi conoscenti, se non fosse che un organo degno di un film a luci rosse apparteneva a qualcuno che a fatica stava in mutande pure nello spogliatoio della piscina.
Come comprare una macchina sportiva ma non avere la patente.
E per la prima volta in assoluto era riuscito ad arrivare a un dunque con una sua compagna di corso, in Università.
Cristina era rotondetta, con un seno pieno e morbido e un culo un po' strabordante, simpatica, cordiale, e incredibilmente erano finiti a letto assieme dopo un paio di mesi di uscite, quasi inaspettatamente visto che Marco non pensava di poter interessare a qualcuna. E quando Cristina aveva toccato e palpato il contenuto dei suoi boxer, una massa soda che non vedeva l'ora di entrare in azione, aveva cominciato con le paranoie.
Mi farà male, non so, cosa sto facendo, magari solo qualche coccola... Era finita così con tante palpate, ansimi, un orgasmo di lei dopo una masturbazione impacciatissima e una sega finita nel nulla per lui.
Che si scusò ripetutamente di non essere venuto, che andava bene solo qualche coccola, che ci mancava altro.
A pensare a quella sera, uscendo dalla doccia, l'umore di Marco si inabissò, mentre il suo amico pubico si alzò interessato e svettante (evidentemente i due pensavano a dettagli differenti della vicenda), per cui quando la porta del bagno si aprì ci mise un attimo a squittire un “ehi”, prima di afferrare l'asciugamano e buttarselo in vita.
Vanessa se ne stava sulla porta, con i capelli ancora un po' bagnati e un accappatoio ben stretto addosso, con la solita espressione sarcastica sulle labbra lucide.
“Hai paura di rimanere chiuso al cesso se usi la chiave?”
“Non... Ci ho pensato” La ragazza sbuffò dal naso “ Mi serve il phon di qui, quello sopra fa schifo al cazzo, è nell'armadietto lì...” Marco, più rosso del suo asciugamano e dei capelli di lei, armeggiò nel mobile cercando di darle le spalle, tirò fuori l'asciugacapelli e lo porse a lei, mentre l'adattatore della spina si sfilava e cadeva a terra, inevitabilmente attirando gli sguardi di tutti e due verso il basso, in zona ove il telo presentava ancora un rigonfiamento assolutamente intuibile.
Lestamente il ragazzo si inginocchiò per prendere l'adattatore Schuko e porgerlo alla fanciulla, che girò le spalle e se ne ne uscì senza commenti.
“Andata bene...” sospirò il ragazzo chiudendo la porta – a chiave stavolta- e preparandosi per uscire a cena.
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