Troia per vocazione

di
genere
orge

“Si ragazze, ho fatto la puttana con tre uomini sconosciuti, mi sono eccitata, emozionata, divertita e ho incassato anche una bella cifra.”
Quella sera avevo tenuto banco al Dirty Circle raccontando la mia avventura e che successo!
“Ormai l’allieva Cecilia ha superato le maestre.”
Al mio racconto le amiche erano come impazzite, facevano domande volevano i particolari più minuziosi. Immaginavo, qualcuna di loro che già sognava l’impresa che avrebbe oscurato la mia performance.
Il cliente che mi aveva ingaggiato in quel grande albergo, Donato, era un importante e spregiudicato broker e alla conclusione degli affari, se ne intravvedeva l’opportunità, offriva come benefit ai suoi clienti incontri sessuali, anche particolari. Soddisfatto della mia prestazione aveva mantenuto i contatti, e così avevo finito per lavorare talvolta per lui e i suoi clienti. “Sai, Cecilia, hai un talento particolare per il sesso, non è solo questione di età e di fisico da modella, i palati raffinati vogliono altro, ma ripeto ci vuole talento.“ Utilizzava in alcune occasioni , come location per questi incontri, una villa di sua proprietà situata sul mare a 20 km da casa mia. Questo pur facilitandomi, non mi esimeva comunque da acrobazie per formulare scuse credibili per mio marito; ma non era poi così difficile, considerata la sua cieca fiducia in me. Inoltre il gruppo di amiche era di valido supporto e contribuiva a fornirmi una buona copertura.
Un lunedì ricevetti una mail di Donato (avevo creato una casella ad hoc), che mi proponeva un lavoro importante, per la serata di venerdì, e me ne voleva parlare con calma. Ci incontrammo in giornata.
Si trattava di un gruppo di suoi ottimi clienti a cui come premio voleva, per una intera serata, regalarmi come schiava sessuale.
“Ti verrà chiesto molto, ma ne varrà la pena. L’affare concluso con loro, è favoloso e posso pagarti profumatamente. Ho raccontato loro una storia e se la sono bevuta. Sono molto intrigati al pensiero che tu sia una normale, bella casalinga in difficoltà economiche, che si vende per bisogno, una persona con una famiglia e non una puttana professionista.”
In realtà il mio prostituirmi è solo un gioco, sia pur ben retribuito.
“Per essere nella parte, vestiti sobriamente e fingi di essere timida, imbarazzata. Sono quattro nigeriani animati da spirito di rivalsa nei confronti degli occidentali e ti tratteranno duramente, e io stesso potrei non essere tenero. Te la senti? Sarai molto ben retribuita.”
Non lo davo a vedere, ma ero intrigata all’idea di potermi esibire nuda, davanti a tanti uomini e di farmi scopare ogni buco e poter esprimere la puttana che c’era in me, fino anche a essere strapazzata brutalmente. Esibii un atteggiamento professionale distaccato e accettai. Trascorsi la settimana in impaziente attesa. Finalmente arrivò l’ora; mi diressi all’appuntamento percorrendo in auto la strada. Una sottile nebbiolina d’intorno, con il sole che prima di essere ingoiato dall’orizzonte colorava il tramonto in quell'autunno dolce. Sentivo scemare la baldanza con cui avevo accettato il lavoro, provavo ansia per l’ignoto a cui andavo incontro, e il mio cuore aveva accelerato i battiti, ma la voglia del piacere illecito, proibito, era più forte e mi spingeva avanti. In fondo, poi, ero una mercenaria del sesso, una vera professionista pagata per le mie prestazioni.
In ritardo, a causa dell’intenso lavoro in ufficio, da cui venivo direttamente, mi presentai alla villa un po’ trafelata. Il mio programma prevedeva una tranquilla e breve giornata di lavoro; avrei avuto il tempo di passare prima da casa per rilassarmi, farmi una doccia e prepararmi. Ma le cose non erano andate così poiché problemi imprevisti avevano di molto protratto il mio impegno.
Donato furente mi aveva telefonato: “Cecilia sei in ritardo; vieni subito!” “ Ma devo sistemarmi, sono in uno stato pietoso, mi sembra perfino di puzzare.” Sempre più concitato mi ordina perentoriamente: “Non c’è più tempo. Vorrà dire che ti gusteranno così come sei. Vola.”
Non mi sentivo a mio agio ed ero in imbarazzo. Quelle vecchie sneaker che avevo ai piedi poi… che sbaglio averle indossate. Mi preoccupava doverle togliere.
Ero attesa con impazienza. Fui condotta attraverso una scala a un salone seminterrato il cui arredamento era costituito da un tavolo colmo di bevande, sedie, un impianto Hi-Fi, due faretti per luci stroboscopiche. Al centro, due materassi da palestra blu, che si riflettevano su un grande specchio che occupava parte della parete.
Donato, mi accolse sbrigativamente con un gelido sorriso, spazientito dal mio ritardo: “Bene, cara signora, è arrivata. Vero è, che le belle donne si fanno attendere, ma finalmente, eccoci qui. Come le ho detto, verrò incontro alle sue richieste di aiuto economico. In cambio lei ci delizierà della sua presenza stasera. Purtroppo ho un impegno e son costretto a lasciare questa bella compagnia e la festa che abbiamo preparato. I miei quattro amici nigeriani sono ansiosi di fare la sua conoscenza…intima. Prego, fate partire la musica, versatevi da bere. Potete fare il baccano che volete: la stanza è perfettamente insonorizzata e nessuno sentirà. Inoltre non temete di sporcare, poiché tutte le superfici sono lavabili. Scatenatevi pure. Buon divertimento, senza alcun limite. Ci vediamo più tardi.”
Sparì chiudendosi alle spalle la porta.
Ero sola con quei grossi individui neri. Per un attimo tutto sembrò cristallizzarsi e gli uomini immobili mi guardavano senza proferire parola, in un silenzio surreale. Sentivo le gambe che mi tremavano, la gola era secca, senza saliva, ma ero decisa. Come da copione, lasciai credere di essere presa dal panico e mi volsi, dirigendomi verso la porta. Una mano mi artigliò un braccio, bloccandomi e facendomi girare su me stessa. ”Dove credi di andare donna bianca?” Finsi spavento.
Nel frattempo partì la musica ad alto volume. Gli uomini nel frastuono invadente della musica si spogliarono e si mossero da ogni lato, stringendomi in un cerchio. Per l’effetto illusorio delle luci stroboscopiche quei grandi corpi neri e i loro maestosi peni sembravano avvicinarsi a scatti, con movimenti ipnotici, che osservavo ammaliata. Mi sentivo al centro di un’oscena caccia, in cui io ero la preda ormai senza scampo e loro, i feroci predatori carnivori. L’eccitazione rendeva la mia vagina fradicia. Fui sballottata e spinta al centro della stanza fino ai materassi rivestiti di tessuto plastico e lì fui scaraventata senza tante cerimonie. Mi era del tutto chiaro, quello che si preparava per me. Mi strapparono rudemente i vestiti di dosso e mi tolsero le scarpe. I miei piedi liberati dalla stretta e dal calore soffocante delle calzature esalarono un acre odore, facendo esclamare qualcuno: “Allora anche i piedi di queste troie bianche possono puzzare. Pensavo che alla loro razza superiore non potesse accadere.” Sghignazzarono, divertiti. Provai un sincero imbarazzo.
Ero nuda, inerme davanti a quegli energumeni.
Apprezzavano il contrasto fra il mio nero pelo pubico e il candore della mia pelle, i loro occhi brillavano. Mi rannicchiai allora, stringendo le ginocchia, celando i miei anfratti e incrociai le braccia sul torace, come a nascondere e proteggere le mammelle. Ripetevo sommessamente:”No, no, vi supplico, lasciatemi, non voglio.” Desideravo lasciarmi andare ed essere presa, ma recitavo la parte di una donna finita lì per caso e per necessità, e terrorizzata, ma, in realtà, fremevo di voglia lussuriosa, percepita come un fremito al basso ventre e sentivo la mia intimità sempre più calda e bagnata.
Al vedere il mio atteggiamento, gli uomini si eccitarono di più sentendo crescere il loro potere su di me. Dimentichi del loro presente di uomini d’affari, si tramutarono in primitivi selvaggi arrapati che fiutavano l’odore di una donna in calore, e furono su di me. La preda era ormai ghermita.
“Troia, non vuoi sentire dentro i nostri bei cazzoni neri? Non sei qui per questo? Fai la timida? Adesso sei il nostro buco da usare, in tutte le maniere di cui avremo voglia. La schiava sei tu ora, puttana bianca, e noi neri, i padroni.”
Mi afferrarono gli arti , che tennero divaricati. Mi sentivo come una bestia in procinto di essere squartata. Pizzicavano e mi schiaffeggiavano i seni, i glutei. Fremetti quando dita brutali esplorarono la mia figa e sussultai quando un dito un dito si insinuò nel mio canale anale. La frequenza del mio cuore e del mio respiro aumentavano tumultuosamente. Ano e vagina erano ora esposti in bella mostra. La preda era immobilizzata, e pronta ad essere sbranata. Lingue saettanti raggiunsero come avanguardie, le mie cavità, lappando, assaggiando il nettare ivi contenuto, facendomi ansimare intensamente. Dapprima mi penetrarono la figa e, quando mi puntarono e sfondarono il culo, con un intenso e spietato affondo, urlai, come forse fa una preda azzannata, ma il mio grido fu strozzato subito da una mano che mi afferrò il volto e mi ficcò in bocca un grosso membro, che succhiai voracemente, mentre quello, entrava e si ritraeva ritmicamente. Gustai quel glande dal deciso sapore di maschio.
Ora, ero solo il loro trastullo sessuale: anch’io, del resto, non ne ero dispiaciuta. Figa e culo erano riempiti da quei cazzi di grandi dimensioni; dita si intingevano nelle mie secrezioni intime, giocavano con le mie grandi labbra e tormentavano eroticamente il clitoride, le mie burrose mammelle erano strapazzate da mani che ne gustavano la morbida consistenza e stringevano dolorosamente i capezzoli turgidi. Partecipavo muovendo il bacino per esaltare al massimo il gusto di quelle penetrazioni; le mie mani si agitavano nella brama di stringere quei membri gonfi e nerboruti. Gemevo e mugolavo come una bestia. La musica che veniva suonata aveva un ritmo incalzante di suoni bassi, prodotti da percussioni di tamburi che inducevano in me uno stordimento ipnotico. Ero stanca, disorientata, umiliata ma provavo un intenso piacere fisico e volevo, perduta nella mia spasmodica eccitazione, ancora e ancora, sesso. Infoiata, urlavo e mi agitavo. “ Si, prendetemi tutta, sono la vostra schiava, la vostra puttana.” Le mie viscere erano inondate dallo sperma, ma gli assalti si ripetevano incessanti, interrotti solo da fugaci pause. Mi infilavano e mi sfilavano come uno stivale . Il culo ormai oscenamente dilatato per le ripetute violazioni, era riempito e svuotato senza tregua. La mia figa spalancata e fradicia di sperma e umori non offriva la benché minima resistenza al passaggio di quei pali d’ebano, che producevano un rumore di sciacquettio. La mia bocca si offriva a cazzi che si disputavano il diritto di entrare, e che ripulivo dallo sperma che li ricopriva e che fuoriusciva ancora dai loro glandi. Gustavo quel caldo liquido cremoso, inghiottendone più che potevo; il resto tracimava dalle labbra sul mio corpo ormai ricoperto di secrezioni che all’aria si rapprendevano. L’atmosfera era gravida di odori: l’afrore dei corpi sudati e quello degli umori sessuali. Infine, conclusisi gli ardenti attacchi, giacqui esausta sui materassi, dopo aver raggiunto innumerevoli orgasmi, completamente rilassata in uno stato quasi onirico, molto piacevole, simile a una bella sbronza. Il mio respiro e il mio cuore riprendevano gradualmente i lori ritmi usuali. Ero soggiogata, dominata, devastata, sfondata, colmata e traboccante di liquido del piacere maschile. Le mie dita, si introducevano a svuotare i miei orifizi dagli umori non ancora colati all’esterno, li spalmavo sul mio corpo. Mi leccavo le mani, concedendomi anche quest’ultimo piacere. Non volevo perdere nulla.
Fui ridestata. Quegli uomini che avevo soddisfatto nelle loro brame, che mi avevano riempito in modo brutalmente osceno, dimostrando disprezzo nei miei confronti, mi urinarono addosso. Sotto i getti caldi, di cui avvertii il sapore salato sulle labbra, mi scossi, mentre sentivo ridere sguaiatamente gli uomini.
” Bevi anche questo puttana bianca”.
Finì tutto: sotto lo sguardo beffardo dei nigeriani, traballando sulle gambe incerte e tremanti, con i miei buchi in fiamme, mi recai in bagno. Mi lavai, rassettai e ricomposi.
Donato, che era ricomparso, mi venne incontro sorridendo enigmaticamente, senza proferir parola. Mi consegnò il mio più che generoso compenso. Così ripresi la via di casa, con la testa che mi pulsava, senza sapere se ero stata apprezzata.
Era ormai notte fonda e i fari delle auto che mi venivano incontro mi strappavano dai miei pensieri. Ero confusa e, chissà, forse avevo solo immaginato quell’intensa serata. Il bruciore e dolore ai miei orifizi testimoniavano, tuttavia, che era accaduto realmente.
Il giorno dopo arrivò una mail alla mia casella segreta: “Ho osservato tutto da uno specchio segreto: sei stata semplicemente sublime, un fantastico animale fatto per il sesso. Ti sei meritata tutti quei soldi che ti ho consegnato. Nuove elettrizzanti avventure ti aspettano. A presto.
Donato.
di
scritto il
2020-11-18
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