Alessandra, terzo atto. Gli stupratori diventano amanti
di
Alessandra B.
genere
dominazione
Alessandra, terzo atto. Gli stupratori diventano amanti
Lungo il viaggio di ritorno canticchiai senza posa e, a casa, chiamai subito Giovanni (che mi aveva cercato più volte, senza altri motivi che il desiderio di sentirmi) e ci conversai per qualche minuto, in piena allegria, poi mi distesi vestita sul divano, con la gattina sulle gambe, per assaporare il senso di appagamento totale che si era impadronito di me e del mio corpo, e per rivivere, passo passo, l’esperienza avuta. Stavo meravigliosamente bene, persino il culetto non protestava più, anche se lo sentivo esageratamente aperto. Lasciai passare almeno un’ora prima di decidermi a fare la doccia e a trasformarmi in una casalinga. Anche a letto, mentre si scatenava un vero e proprio temporale con lampi e tuoni, ripensai intensamente al pomeriggio trascorso e all’ulteriore dose di piacere che mi attendeva l’indomani: ripresi ovviamente a toccarmi, con davanti agli occhi il pisellone di Samir, che avrei voluto mio per sempre. La mattina continuava a gocciolare e la temperatura si era abbassata: rimasi a poltrire a letto, senza fare colazione: decisi anche di saltare il pranzo. Mi ero accorta, purtroppo, che, toccandomi dopo la sodomizzazione, il mio culetto (probabilmente perché troppo sollecitato dal lungo membro di Samir) non era più profumato come prima. Non volevo ripetere questa spiacevole esperienza, per rispetto verso gli amanti. Vista la brutta giornata, sarei stata contenta di incontrarmi con loro anche prima. Mi decisi, digitai un messaggio: “Andrebbero bene le 14?”; ottenni immediata risposta “Anche prima”.
Soddisfatta, mi alzai e cominciai a prepararmi: mentre cercavo l’intimo più adatto, vidi l’unico paio di autoreggenti, nere, che avevo portato al mare. Decisi subito di indossarle, insieme al vestito largo autunnale pre-maman che avevo acquistato pochi giorni prima, e alle 13.30 baciai la micia, aprii l’ombrellino e scesi a prendere l’auto. Il furgone era già lì, con il portellone aperto e Marco accanto con l’ombrello, che si affrettò a portarsi sopra il mio sportello e a ripararmi mentre entravamo nell’automezzo.
Si ripeté lo stesso rito del giorno prima, con la differenza che i due amanti – una volta sganciatomi il vestito – rimasero a bocca aperta per ammirare le mie gambe fasciate dalle autoreggenti: ovviamente, ne conoscevo bene il duplice effetto, erotico e spettacolare, su qualsiasi uomo (rido ancora all’immagine della faccia stranita del mio professore, al primo incontro intimo avuto….), ma rimasi sorpresa nel constatare l’espressione veramente rapita dei miei amanti. Tanto che, sorridendo, dissi loro: “beh, se vi piaccio come pare, anziché restare così basiti, datevi da fare”. Fui subito avviluppata da quattro mani, due bocche e altrettanti uccelli, con una continuità e un’intensità addirittura superiori a quelle dei giorni precedenti. Per cinque ore venni trasformata in un giocattolo sessuale, per altro attivo e contribuente al benessere comune: nonostante i miei timori e le resistenze iniziali, mi fecero provare – per fortuna con modalità compatibili con il mio stato di donna gravida – anche l’esperienza maialesca del rapporto doppio o coito a tre, con i due partner che si alternarono davanti e dietro.
Fu proprio durante questa impegnativa esperienza che il mio cellulare – del quale mi ero dimenticata di abbassare il suono – cominciò a squillare, ripetutamente. Dovetti infine dire a Samir, che era disteso sotto di me e poteva facilmente afferrarlo nella mia borsa, posata accanto a lui, muovendo il braccio destro, di passarmelo: era Giovanni e, data l’insistenza, non potei fare a meno di parlarci. Mi cercava soprattutto per informarmi che lui e suo padre si erano liberati per il venerdì pomeriggio e che sarebbero partiti subito dopo pranzo, anziché nel tardo pomeriggio. Ma la conversazione andò per le lunghe, da parte sua e anche, maliziosamente, da parte mia, quando mi accorsi che i due amanti – sui due membri dei quali stavo impalata, immobile –, a sentire mio marito che conversava piacevolmente con me, stavano provando la sensazione piacevole, anzi orgasmica, specie sul piano psicologico, degli stalloni che godono nel fare cornuti i mariti, scopandone le mogli. Avvertivo, infatti, chiaramente le pulsazioni e gli ingrossamenti dei loro piselli e le loro mani vogliose in continuo movimento sul mio corpo, con Samir che infine decise di impadronirsi dei miei seni, stringendoli con le mani a coppa, mentre Marco, da dietro, scorreva con la sua bocca sul mio collo, procurandomi continui brividi di piacere.
Senza fretta, e con le consuete parole amorose, conclusi la telefonata, dando ai due amanti l’occasione di riprendere, con una forza maggiore e invero speciale, la loro impegnativa penetrazione: in effetti, in quel frangente mi sentii pienamente troia, sbattuta senza riguardo mentre cercavo di contenere le mie urla di piacere, per fortuna per pochi minuti ancora, prima del loro quasi sincronico e mugolante orgasmo.
Alla fine, pretesi di essere ben ripulita dal sudore e dallo sperma che aveva abbondantemente riempito le mie aperture e il mio stesso corpo, e pretesi di occupare, per il necessario relax, l’intero materasso. Appagata e disponibile, parlammo delle prospettive. Confermai la previsione – da verificare con i desiderata di mio marito – di poterci rivedere il prossimo lunedì pomeriggio, ma soprattutto chiesi agli amanti che cosa stavano pensando circa il nostro futuro non immediatamente prossimo, confessando che, da allora, io non avrei voluto più rapporti sessuali impegnativi (a parte le sveltine eventualmente richieste da Giovanni) e che questa preclusione sarebbe continuata anche dopo il parto, non fosse altro per gli obblighi di allattamento.
Marco disse di essere più ottimista. Mi chiese dove abitavamo in città, e quando glielo ebbi detto, mi rivelò che suo fratello viveva solo e senza figli (era da poco divorziato) in un appartamento non lontano dalla mia residenza, con facile possibilità di parcheggio. Lui e Samir avrebbero potuto disporre dell’appartamento mattino e pomeriggio, bastava programmare. Ero io che dovevo organizzarmi, appena possibile, in modo da potermi allontanare con sicurezza dal bambino, almeno per poche ore. Io annuii, dicendo che l’idea era di attendere lo svezzamento e poi di portare il bambino all’asilo nido, vicinissimo a casa. A quel punto, avrei potuto godere di tanto tempo libero da dedicare agli incontri: “sempre che, nel frattempo, voi non siate caduti nelle grinfie di una maliarda, magari gravida, dimenticandovi completamente della povera Alessandra”. Non avevo ancora finito di parlare che mi trovai sommersa dai corpi pulsanti e ancora famelici dei due amanti.
Lungo il viaggio di ritorno canticchiai senza posa e, a casa, chiamai subito Giovanni (che mi aveva cercato più volte, senza altri motivi che il desiderio di sentirmi) e ci conversai per qualche minuto, in piena allegria, poi mi distesi vestita sul divano, con la gattina sulle gambe, per assaporare il senso di appagamento totale che si era impadronito di me e del mio corpo, e per rivivere, passo passo, l’esperienza avuta. Stavo meravigliosamente bene, persino il culetto non protestava più, anche se lo sentivo esageratamente aperto. Lasciai passare almeno un’ora prima di decidermi a fare la doccia e a trasformarmi in una casalinga. Anche a letto, mentre si scatenava un vero e proprio temporale con lampi e tuoni, ripensai intensamente al pomeriggio trascorso e all’ulteriore dose di piacere che mi attendeva l’indomani: ripresi ovviamente a toccarmi, con davanti agli occhi il pisellone di Samir, che avrei voluto mio per sempre. La mattina continuava a gocciolare e la temperatura si era abbassata: rimasi a poltrire a letto, senza fare colazione: decisi anche di saltare il pranzo. Mi ero accorta, purtroppo, che, toccandomi dopo la sodomizzazione, il mio culetto (probabilmente perché troppo sollecitato dal lungo membro di Samir) non era più profumato come prima. Non volevo ripetere questa spiacevole esperienza, per rispetto verso gli amanti. Vista la brutta giornata, sarei stata contenta di incontrarmi con loro anche prima. Mi decisi, digitai un messaggio: “Andrebbero bene le 14?”; ottenni immediata risposta “Anche prima”.
Soddisfatta, mi alzai e cominciai a prepararmi: mentre cercavo l’intimo più adatto, vidi l’unico paio di autoreggenti, nere, che avevo portato al mare. Decisi subito di indossarle, insieme al vestito largo autunnale pre-maman che avevo acquistato pochi giorni prima, e alle 13.30 baciai la micia, aprii l’ombrellino e scesi a prendere l’auto. Il furgone era già lì, con il portellone aperto e Marco accanto con l’ombrello, che si affrettò a portarsi sopra il mio sportello e a ripararmi mentre entravamo nell’automezzo.
Si ripeté lo stesso rito del giorno prima, con la differenza che i due amanti – una volta sganciatomi il vestito – rimasero a bocca aperta per ammirare le mie gambe fasciate dalle autoreggenti: ovviamente, ne conoscevo bene il duplice effetto, erotico e spettacolare, su qualsiasi uomo (rido ancora all’immagine della faccia stranita del mio professore, al primo incontro intimo avuto….), ma rimasi sorpresa nel constatare l’espressione veramente rapita dei miei amanti. Tanto che, sorridendo, dissi loro: “beh, se vi piaccio come pare, anziché restare così basiti, datevi da fare”. Fui subito avviluppata da quattro mani, due bocche e altrettanti uccelli, con una continuità e un’intensità addirittura superiori a quelle dei giorni precedenti. Per cinque ore venni trasformata in un giocattolo sessuale, per altro attivo e contribuente al benessere comune: nonostante i miei timori e le resistenze iniziali, mi fecero provare – per fortuna con modalità compatibili con il mio stato di donna gravida – anche l’esperienza maialesca del rapporto doppio o coito a tre, con i due partner che si alternarono davanti e dietro.
Fu proprio durante questa impegnativa esperienza che il mio cellulare – del quale mi ero dimenticata di abbassare il suono – cominciò a squillare, ripetutamente. Dovetti infine dire a Samir, che era disteso sotto di me e poteva facilmente afferrarlo nella mia borsa, posata accanto a lui, muovendo il braccio destro, di passarmelo: era Giovanni e, data l’insistenza, non potei fare a meno di parlarci. Mi cercava soprattutto per informarmi che lui e suo padre si erano liberati per il venerdì pomeriggio e che sarebbero partiti subito dopo pranzo, anziché nel tardo pomeriggio. Ma la conversazione andò per le lunghe, da parte sua e anche, maliziosamente, da parte mia, quando mi accorsi che i due amanti – sui due membri dei quali stavo impalata, immobile –, a sentire mio marito che conversava piacevolmente con me, stavano provando la sensazione piacevole, anzi orgasmica, specie sul piano psicologico, degli stalloni che godono nel fare cornuti i mariti, scopandone le mogli. Avvertivo, infatti, chiaramente le pulsazioni e gli ingrossamenti dei loro piselli e le loro mani vogliose in continuo movimento sul mio corpo, con Samir che infine decise di impadronirsi dei miei seni, stringendoli con le mani a coppa, mentre Marco, da dietro, scorreva con la sua bocca sul mio collo, procurandomi continui brividi di piacere.
Senza fretta, e con le consuete parole amorose, conclusi la telefonata, dando ai due amanti l’occasione di riprendere, con una forza maggiore e invero speciale, la loro impegnativa penetrazione: in effetti, in quel frangente mi sentii pienamente troia, sbattuta senza riguardo mentre cercavo di contenere le mie urla di piacere, per fortuna per pochi minuti ancora, prima del loro quasi sincronico e mugolante orgasmo.
Alla fine, pretesi di essere ben ripulita dal sudore e dallo sperma che aveva abbondantemente riempito le mie aperture e il mio stesso corpo, e pretesi di occupare, per il necessario relax, l’intero materasso. Appagata e disponibile, parlammo delle prospettive. Confermai la previsione – da verificare con i desiderata di mio marito – di poterci rivedere il prossimo lunedì pomeriggio, ma soprattutto chiesi agli amanti che cosa stavano pensando circa il nostro futuro non immediatamente prossimo, confessando che, da allora, io non avrei voluto più rapporti sessuali impegnativi (a parte le sveltine eventualmente richieste da Giovanni) e che questa preclusione sarebbe continuata anche dopo il parto, non fosse altro per gli obblighi di allattamento.
Marco disse di essere più ottimista. Mi chiese dove abitavamo in città, e quando glielo ebbi detto, mi rivelò che suo fratello viveva solo e senza figli (era da poco divorziato) in un appartamento non lontano dalla mia residenza, con facile possibilità di parcheggio. Lui e Samir avrebbero potuto disporre dell’appartamento mattino e pomeriggio, bastava programmare. Ero io che dovevo organizzarmi, appena possibile, in modo da potermi allontanare con sicurezza dal bambino, almeno per poche ore. Io annuii, dicendo che l’idea era di attendere lo svezzamento e poi di portare il bambino all’asilo nido, vicinissimo a casa. A quel punto, avrei potuto godere di tanto tempo libero da dedicare agli incontri: “sempre che, nel frattempo, voi non siate caduti nelle grinfie di una maliarda, magari gravida, dimenticandovi completamente della povera Alessandra”. Non avevo ancora finito di parlare che mi trovai sommersa dai corpi pulsanti e ancora famelici dei due amanti.
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