Una cosa semplice
di
Capitan_America
genere
pulp
L’anima del signor Dammit era in pericolo. Decisi di far ricorso a tutta la mia eloquenza per salvarla - E. A. Poe Never Bet the Devil Your Head
Ci siamo incontrati all’interno della frequenza di un orologio a pendolo che scandiva la mezzanotte.
“Dove stanno andando tutte queste persone?”
“Non ne ho idea”
- Quando andiamo a scopare? C. A. –
- Certo che hai una bella faccia di culo. Potresti stare seduto sulla sedia a testa in giù. C_Ca. –
- Che? C. A. –
- Mi hai lasciata sola tutta la settimana. C_Ca. –
- Però ho pensato spesso alla tua passera C. A. –
- Beh, non lo so. Vediamo più avanti. C_Ca –
- Perché? Adesso che hai da fare? C. A. -
- Niente. C_Ca. –
- Si certo. Che stai disegnando? C. A. –
- Il profilo di una donna senza testa, tenuta a pecorina dalle mani di E.T. C_Ca. –
“Che cos’è questa roba?”
“Cathy Ménard. Ci credi? Non troverai mai più un porno con una trama così complessa. Ci sono persino delle riprese all’esterno.”
“Non quella, non fare sempre il cretino. Queste foto qui”
“Hanno detto che volevano provare il labirinto”
Si è alzata gli occhiali a specchio sulla testa.
“Ma gli avete spiegato perché lo chiamano labirinto?”
Da una delle stanze un colpo di frusta ha risposto alla sua domanda. Non ha avuto il tempo di ricominciare a parlare, un urlo seguito da altre frustate le ha fatto perdere la concentrazione. Guardava nella direzione delle frustate con la bocca socchiusa. Si è abbassata lentamente gli occhiali.
“Chi è il tizio con E. B. come si sono conosciuti?”
“Sono sposati. Io devo andare in un posto zuccherino. Bye right”
“…right, right”.
Non le avevo detto proprio tutto sui due tizi nel labirinto. La donna era stata da “O” diverse volte, la classica doppia vita divisa tra perversioni mal celate e normalità. Ormai ero sicuro che l’aspetto apparentemente innocuo non fosse altro che un’elaborata strategia di sopravvivenza. Un espediente con cui nascondere la vera natura della sua personalità morbosamente attratta dalle torture psicologiche. Non era molto diversa da una pianta carnivora che attira gli insetti con i suoi colori sgargianti soltanto per intrappolarli. Il marito invece era poco più che una comparsa, le serviva per ricreare le condizioni adatte a dar sfogo alle sue ossessioni. Per il momento preferivo evitarli, volevo rivedere Marina. Ero sicuro che stesse cercando di fare in modo che la protagonista del suo racconto la facesse franca, anche se ancora non ci era riuscita. Mi aspettava in cima alla scogliera sotto la quercia. Non doveva ricordarsi molto del suo sogno sull’isola, era rimasta in coma per due settimane dopo un’overdose di cocaina. Erano riusciti a riportarla indietro per miracolo. Io stesso sapevo di ricordare alcuni aspetti di quella dimensione surreale, soltanto nel sogno. Ricordavo sempre l’isola, la donna del glicine riusciva a comparirmi davanti agli occhi anche quando ero soltanto assorto o sovrappensiero, ogni volta che succedeva, la luce del giorno diventava sempre più fastidiosa. Mi sono massaggiato il collo e ho continuato verso casa.
Una volta solo, sono stato nel cinema dell’isola. Fumavo guardando pezzi di vecchi film a caso. Lo schermo è rimasto nero per qualche secondo, ed è iniziata una lunga sequenza di paesaggi. La maggior parte erano foreste e deserti. Ai piedi di una piramide una donna mi chiamava con lo sguardo, un intenso profumo di glicine ha avvolto la sala come se facesse parte delle immagini proiettate. Subito dopo mi sono trovato di fronte a lei. Siamo entrati all’ interno della piramide salendo verso la cima. Raggiunto l’ultimo livello ci siamo fermati al centro di una specie di terrazzo. Un cubo di pietra si è sollevato dal pavimento, quindi il vertice si è staccato dalla base di qualche metro restando sospeso nell’aria. Guardavamo all’esterno sotto di noi, attraverso l’apertura lasciata dal cubo.
“Che cos’è questo posto?”
“La nascita dei Balcani”
Due giganti addormentati giacevano sotto la superficie del mare. Abbiamo sorvolato templi diroccati e città sconosciute, l’apertura lasciata dal cubo continuava a muoversi come uno squarcio sul tempo. Un’enorme tigre è uscita dall’oscurità alle spalle della donna e si è seduta al suo fianco. Mentre l’accarezzava sentivo il suo respiro affannoso, incuriosito dalla mia presenza.
“Guarda. Una sola di quelle frequenze, potrebbe farti esplodere le sinapsi in meno di un secondo”
Ha indicato con lo sguardo un groviglio di cavi elettrici nell’apertura. Si estendeva intrecciandosi fino a raggiungere un’antenna parabolica posizionata sulla cima di una collina.
“Sai come funziona?”
“Nessun dispositivo scannerizza il transito dei flussi. Sono come gli scambi ferroviari. Quando gli elettroni decadono si apre. Sei mai stato dentro uno di quelli?”
“Sono pieni di interferenze. Lascia stare, è come rovistare nei rifiuti. Dopo un po’ ti fa venire il mal di testa”.
Ho percorso lo spettro luminoso attraverso lo spazio che mi separava dal corpo. Marlene Dietrich fumava pensierosa sul treno diretto a Shangai. Mi sono alzato e sono tornato indietro.
Più tardi sono uscito per andare da “O”. Una ragazza mi aspettava appoggiata contro il Patrol. Non l’avevo mai vista prima, mi sono avvicinato chiedendomi come avesse fatto a non farsi arrestare per atti osceni, visto il vestito quasi trasparente che indossava. Il disegno nero ricamato nascondeva a malapena i capezzoli. Era agganciato ad un collare di cuoio da un anello d’acciaio. Un braccio disteso lungo il fianco, con l’altra mano si tormentava le labbra. Il trucco molto pesante sugli occhi impediva di decifrare la sua espressione sfumando i lineamenti del viso. Pensavo di salire in macchina e partire facendo finta di niente, ma era proprio sul lato del guidatore. Sono rimasto con le mani sui fianchi a guardarla mentre continuava a tenere gli occhi bassi. Senza dire una parola ha fatto il giro del Patrol e si è fermata dal lato del passeggero. Sono salito intenzionato a mettere in moto e ad andarmene, quando ho notato due mollette fermacapelli colorate, una verde l’altra azzurra. Le tenevano la fronte libera dalla frangetta. Con una mano aveva afferrato l’orlo del vestito sollevandolo leggermente per mostrarmi la fica completamente rasata. Ho alzato la sicura e ho spinto lo sportello.
“Non mettere la cintura”.
Le ho passato una mano dietro la nuca. Prima di cacciarsi il cazzo in gola mi ha detto: “Non faccio che masturbarmi, non ne potevo più di restare a guardarvi dentro quel tornado”.
“Come sai del tornado?”
Invece di rispondere, si è alzata aggrappandosi allo schienale per farsi scopare da dietro. Quando siamo arrivati sull’isola tropicale l’ho trovata sdraiata al centro di un ruscello, poco distante dalla casa sulla spiaggia. Una treccia di fiori usciva dalla sua bocca sbocciando man mano che si allargava lungo il corso d’acqua. Ho imboccato il sentiero nel bosco e mi sono diretto verso l’oratorio abbandonato. Al suo interno un branco di leonesse riposava all’ombra degli alberi. Alcune mi stavano osservando mentre mi avvicinavo al tornado, accovacciate sulle nicchie delle archi-travi. Una di loro si era sdraiata sulla soglia del varco.
“Devi scendere con quella ragazza nel pozzo al centro della piramide. Lei non può farlo, l’antenna che hai visto non la lascerebbe proseguire di un passo una volta entrata lì dentro”.
Mentre la leonessa parlava nella mia mente, davanti agli occhi mi è passata l’immagine della donna nella piramide: camminava in mezzo al deserto coperta da un velo nero, seguendo la direzione della luna. Le ho posato una mano sulla testa, lei ha ruggito minacciosa, ma si è fatta accarezzare.
“Mi chiamo Nadia”.
REEL ONE, SINAPSI
Sono tornato a cercare la ragazza che avevo incontrato appoggiata al Patrol. Era riuscita a trovare il cinema all’aperto. Si stava masturbando seduta nella prima fila guardando un film sado-maso.
“Hai voglia di leccarmela?”
Le ho sollevato le gambe per le caviglie e ho iniziato a scoparla. Si è aggrappata al seggiolino, cercava di guardarmi negli occhi, ma le pupille le si giravano verso l’alto. Aveva la fica strettissima, mi stava mandando al manicomio. Mi sono messo le sue gambe sulle spalle prima di venirle in faccia. Aveva il vestito arrotolato sopra la pancia. Mentre raccoglieva lo sperma dalle guance per leccarlo mi ha detto: “Lavami la faccia”
Si è inginocchiata per succhiare il cazzo, lo ha massaggiato con il palmo della mano aperta e l’ho accontentata. Dopo abbiamo guardato il film ancora per un po’.
“Come ti chiami? Io mi chiamo Lau…”
“Non dirmelo, è meglio. Dimmi solo l’iniziale”
“Perché?”
“Preferisco non saperlo”
“…Elle.”
Stavo sfiorando il collare di cuoio con un dito.
“Vieni Elle, dobbiamo andare”.
Ho infilato l’indice nell’anello d’acciaio e l’ho tirato verso l’alto per farla alzare in piedi.
“Lo sai che hai proprio un bel nome, Elle?”. Lo schermo è diventato nero, il film si è interrotto bruscamente per lasciare spazio ad un’immagine di Elle. Si spazzolava i capelli nuda di fronte allo specchio. Li aveva portati tutti su un lato. Ha afferrato una lametta da barba, tenendola stretta tra indice e pollice. Scintillava in primo piano sotto le luci del bagno. Una pioggia di ciocche di capelli neri è caduta sul bianco intenso della ceramica. Ha lanciato la lametta nel lavandino e si è chinata in avanti verso lo specchio. Le unghie coperte di smalto bianco trasparente creavano un contrasto molto piacevole con il nero corvino dei suoi capelli, mentre passava le dita sulla tempia rasata a zero. Ha stretto il collare intorno al collo e si è voltata verso la tigre alle sue spalle. Ci siamo incamminati verso una stanza buia tenendoci per mano, la donna della piramide ci osservava dall’alto seduta sul bordo del pozzo.
“Che cos’è questo suono? Sembra il ronzio dei cavi dell’alta tensione”
“Non farci caso, concentrati sul suono solo quando vuoi tornare indietro”
Si è messa in bocca un bavaglio di metallo e ha continuato a parlarmi con la mente.
“Perché non ti togli mai questo giubbotto di pelle? Non ti ho mai visto nudo neanche quando vi spiavo all’interno del tornado”
Non le ho risposto e ho continuato a camminare. Stavamo percorrendo un lungo corridoio, una passerella di metallo all’interno di un cunicolo. Le pareti erano coperte di cavi elettrici, si muovevano come serpenti al nostro passaggio. I tacchi degli stivaletti di Elle facevano rimbombare i suoi passi nella penombra. Sotto di noi una gigantesca tubatura di ferro si snodava nell’oscurità seguendo la passerella su cui stavamo camminando.
“Mi sono accorta che i riflessi della luce sull’acciaio riescono a farmi saltare nel tempo. A volte pochi minuti, in qualche occasione, se sono molto forti, anche diversi giorni. Ho capito che si trattava dei riflessi del metallo mentre ti guardavo scopare con la tua amica. Quella che porta sempre gli occhiali a specchio”
“Per questo ti piace tanto il ferro chirurgico”
“Non vedo l’ora di farmela”
“Anch’io”.
Siamo sbucati in una stanza quadrata dai muri altissimi. Sulla parete di fronte a noi era stata dipinta un’immagine di Osiride, ai suoi piedi pendevano delle catene, le manette alle loro estremità erano aperte. L’aria impregnata da un fortissimo profumo di glicine.
“Tu sai cosa ci facciamo qui?”
“Una consegna”
Mi sono avvicinato e ho frugato tra i suoi capelli sulla nuca. Ho estratto un lungo spillo con la testa nera. Era conficcato tra la scatola cranica e le vertebre. Lei mi ha guardato con gli occhi sbarrati.
“Non so a cosa le serva. Non farti troppe domande su quella tipa. A volte ci chiede di fare delle consegne come questa. Da quello che ho capito sono come messaggi nella bottiglia abbandonati nel corso del tempo. Credo sia naufragata qui moltissimi anni fa”.
Annuiva con la testa.
“Continuiamo?”
“Ok”
Si è ammanettata alle catene per scopare.
“Così possiamo uscire da questo posto, nel deserto…prima nella fica”.
L’ho accontentata di nuovo. Aveva il corpo magrissimo, riuscivo a sentire le costole anche attraverso i guanti. Le mura della stanza si sono dissolte, come un sipario che si alza all’improvviso. All’esterno era notte fonda, le nostre ombre si sono allungate sotto la luce della luna. Del tempio di Osiride erano rimasti solo alcuni ruderi. Si è aggrappata alle catene, tenendo la testa piegata verso il basso. Le ho liberato i polsi dalle manette e l’ho fatta girare per farle succhiare il cazzo. Alcuni germogli di Edera nera sono spuntati dalla sabbia, salendo rapidamente lungo la parete. A quella velocità avrebbero ricoperto i resti del tempio nel giro di pochi minuti. Gli occhi di una donna si sono aperti lentamente tra le foglie e sono subito svaniti indicando un varco attraverso le rovine. Siamo usciti dal tempio per riprendere a camminare.
Sulla sabbia erano ancora visibili delle orme, si perdevano tra le dune oltre l’oscurità. Le abbiamo seguite fino ad un’oasi disseccata in mezzo al deserto. Un albero spoglio vicino ad un gruppo di rocce e una grossa chiazza di sabbia umida e scura. Elle si è appoggiata con la schiena all’albero. Mi ha sfilato lo spillo dal colletto del giubbotto per conficcarselo nell’occhio destro, tenendo la testa nera tra l’anulare e il medio. Attraverso le sue dita l’acqua zampillava gocciolando sulla sabbia. In pochi istanti è diventata un piccolo ruscello. Scorreva tra le rocce insinuandosi in mezzo a due enormi massi al limite dell’oasi. Piante irriconoscibili si sono alzate dal terreno arido seguendo il suo percorso.
“Continuiamo?”
“Ok”
“Come sei riuscita a ricordarti del tornado?”
“Nadia. Mi ha raccontato un sogno che avevo fatto, ma di cui non ricordavo niente. Era di fronte a me, la sentivo nella mia testa. Mentre parlava però ero sicura stesse mentendo”
“Eri già stata sull’isola?”
“No, ma quando mi sono ricordata del tornado ho iniziato a vedervi. La vostra immagine si sovrappone ai miei pensieri. Senza preavviso appare nitida nella mia mente, come se fosse in grado di sovrascrivere l’immaginazione
“Ti sbagli, non è così che funziona è l’esatto contrario”
“Aspetta, deve essere qui sotto”
Non capivo il motivo per cui si fosse fermata. Si è inginocchiata a terra e ha cominciato a scavare con le mani nella sabbia. A pochi centimetri di profondità era stata sepolta una fune rossa, identica a quella che avevo visto dalla scogliera con Marina. Ne ha dissotterrato qualche metro, il resto si è liberato da solo alzando una nuvola di polvere fino a perdersi dietro le dune.
“Forse ci riporterà sull’isola”
“Continuiamo?”
“Ok”
“L’amore non corrisposto?”
“E’ come stare seduti sul trono di un regno in rovina”.
Abbiamo proseguito fino a raggiungere l’estremità della fune rossa. Era legata intorno ai polsi di una donna inginocchiata al centro di una meridiana, tra le dune. Portava una benda sugli occhi. Elle ha sciolto i polsi e le ha messo delle rose nere tra i capelli, io ho slegato la benda. Il viso coperto di sabbia si è rigato di lacrime blu, scendevano inzuppando il vestito dello stesso colore della fune.
“L’amore corrisposto?”
“Ancora peggio. Hai mai incontrato un bivio?”
“No”
“Continuiamo?”
“Ok”.
Le stelle stavano cedendo alla luce rossa dell’alba. Superate le dune siamo scesi lungo una pista battuta. Il relitto di una grande nave da crociera proiettava la sua ombra sulla strada quasi rettilinea. La chiglia coricata su un fianco attraversata da lunghe macchie di ruggine metteva Elle in agitazione.
“Non ti sembra paradossale indicare la più potente forma di energia mai scoperta con una parola che significa: indivisibile. Nonostante questa energia provenga dalla frammentazione della materia?”
“Dovremo superare una frequenza molto alta, cerca di ricordarti il silenzio del deserto che abbiamo attraversato”
“Ok”
“A me sembra più bizzarra l’assonanza della parola materia con la parola mater”.
La pista si interrompeva di fronte ad una recinzione metallica. Una rete di acciaio alta più di due metri, sormontata dal filo spinato. Si estendeva a perdita d’occhio intorno a noi impedendoci di proseguire. Ai suoi piedi abbiamo trovato una ragazza nuda, il viso era in parte nascosto dai capelli. Aveva un plug con una pietra verde smeraldo infilato nel culo, le mani affondavano nella sabbia mentre ondeggiava lentamente i fianchi come se si trattasse di un invito. Dall’altro lato della rete metallica, un’altra donna le parlava attraverso un velo nero annodato dietro la nuca aspettando che ci avvicinassimo.
“Lucy?”
“Intendi la donna all’interno della piramide?”
“Aveva con sé la tigre?”
“Ci ha condotto qui”
“Non potrete tornare dalla galleria che avete attraversato all’inizio, è completamente allagata. Dovrete trovare un altro passaggio. Cercate di non ascoltare il suono dell’alta tensione”
Alle sue spalle un traliccio di ferro emergeva da un groviglio di cavi. La cima era sormontata da un proiettore simile a quello di un faro. La sua luce blu si accendeva e spegneva intermittente trasmettendo un segnale morse in una direzione ben precisa verso il deserto. Elle si è avvicinata alla rete appoggiando l’occhio in cui era ancora conficcato lo spillo nero ad una delle sue aperture, in modo che la donna dall’altro lato potesse sfilarlo. Estratto lo spillo l’occhio è tornato normale.
“Potete divertirvi con lei fino a che non sarà di nuovo buio”.
Elle non ha perso tempo, ha messo il suo collare alla ragazza a terra e ha infilato un dito in uno degli anelli d’acciaio trascinandola come un cane disobbediente. L’ha fatta bere dalla fica, strattonando il collare ogni volta che cercava di tirarsi indietro con la bocca piena.
“Due persone ti aspettano in un labirinto. Hanno perso il controllo, a volte vorrebbero ucciderti. In altri momenti pensano che tu possa ancora servirgli”
“Li ho portati io nel labirinto, non ne usciranno mai”
“Che cosa c’era scritto sul biglietto che hai mandato a quella ragazza tedesca?”
“Una poesia di Poe, Israfael”.
Sono rimasto a guardarla scomparire nella foschia intorno alla base della torre. Poi mi sono messo a scopare la fica della ragazza sdraiata sopra Elle. Si stavano leccando, la lingua di Elle passava sul cazzo mentre lo spingevo dentro. Volevo sfilarmi i guanti per toccarle la pelle anche se sapevo che mi avrebbe fatto venire un forte mal di testa. Il dorso muscoloso della sua schiena era irresistibile.
“La tua amica è buonissima”. Le ha appoggiato una guancia sulla pancia e si è messa a ridere.
“Sborrami in bocca per favore”.
Ho accontentato anche lei.
Siamo tornati sull’isola seguendo la recinzione metallica. Elle era seduta di fianco a me nel cinema all’aperto, la ragazza incontrata nel deserto dormiva con la testa appoggiata sulla spalla di Marina, vicino a noi.
“Chi sono quei due nel labirinto?”
“Li ho visti là fuori, sul fondo dell’oceano.”
“Pensavo volessi andare da loro”
Continuava a parlare fissando Tyrone Power sullo schermo, intento ad organizzare il rapimento di Lady Denby.
“Quoth the Raven, nevermore”
“Ho sognato di essere un’altra persona. Quando mi sono svegliata, per un attimo ho avuto la sensazione che entrambe fossimo reali”
“Hai terminato il tuo racconto, riesce a squagliarsela?”
“Credo di sì. Ho provato a rileggerlo, ma non sono riuscita a capire che cosa voglia dire. A volte mi dà l’impressione che non significhi niente”
“Guarda questo. Lo chiamo l’Ammiratore segreto. Qualcuno le lancia dei fiori, lei ne ha preso uno con la bocca. Dietro c’è un uomo, è lui a lanciarle i fiori. L’espressione della donna però lascia intendere che non ne conosca la provenienza. Sai come si intitola veramente? Il filo rosso. L’hanno esposto per strada senza nemmeno il nome dell’autore. Più tardi hanno aggiunto questa scritta con una targhetta: “Che cosa cucino? Non lo so, l’importante è che cucini”.
“Ho fatto dei sogni”
“L’hai vista?”. Mi sono svegliato prima che potesse rispondere.
HIGH ENERGY PROTONS
“Questa?”
“Una cosa semplice”
“Cioè?”
“Disallineate”
“Hai uno strano modo di leggere la realtà”
“A dopo”
“Ok”
JAM SESSION, REPLICATORI
Ho di nuovo incontrato E. B. sull’isola, se ne stava seduta sui talloni sotto la luce della luna. Guardava verso il mare. Aveva i capelli lunghissimi legati con la coda, molto più lunghi dell’ultima volta in cui l’avevo vista da “O” nella stanza del pavone. Sul viso indossava una maschera verde. La sua ostinazione nel volersi nascondere il volto sembrava quasi un paradosso. In molte occasioni aveva dato prova di essere in possesso di una bizzarra capacità: era in grado di farsi dimenticare dalle persone a suo piacimento. Io stesso stentavo a ricordare il suo aspetto, ogni volta che me la ritrovavo davanti mi rendevo conto di come il suo viso fosse completamente diverso da quello che ricordavo. Per questo motivo ormai ero convinto che la sua fissazione per la maschera fosse più che altro un feticcio, una questione puramente estetica. Le ho infilato un dito in bocca e l’ho fatto roteare intorno alla lingua. Lei è scoppiata a ridere e mi è venuta voglia di scoparla. L’ho spinta indietro per leccargliela. Ha aperto le gambe e si è appoggiata a terra con i gomiti.
Doveva essere appena stata in acqua, la pelle era molto salata. Volevo farla venire in fretta, l’ho baciata intorno alla fica e sulle gambe. Stava per dirmi qualcosa, ma le parole si sono spente sulle labbra quando le ho infilato una mano dentro, fino al polso. Ha piegato la testa all’indietro un secondo prima di raggiungere l’orgasmo.
“Come hai fatto a ricordarti di me?”
“Non ne ho idea, è successo per caso”
“Questa volta non ricorderai niente”
“E’ stato divertente umiliarti in quel modo”
“Sei stato tu a parlarmi della fortuna e di come cogliere le occasioni”
Le onde sulla spiaggia hanno spinto a riva un pedone degli scacchi, è rimasto incastrato in una bottiglia rotta piantata nella sabbia. Si è abbassata la maschera, ma ha voltato la testa da un’altra parte.
“Qualche giorno fa ho fatto un sogno stranissimo. Ero su questa spiaggia, stavo leggendo qualcosa su una pergamena, o forse si trattava di un disegno. Indossavo un vestito nero. Sono rimasta a lungo a guardare la pergamena, fino a che non ha fatto giorno. Poi ho tolto il vestito e mi sono sdraiata a terra. Nonostante fosse pieno giorno si vedeva la luna enorme e bassissima nel cielo, subito dopo ero in piedi e tenevo qualcosa appoggiato sopra la testa, la tenevo ferma con una mano, come in quella storia, hai presente? Come se stessi facendo da bersaglio”
“Non è mai troppo tardi, l’allegato trentanove”
“Cosa faresti se non riuscissi più a svegliarmi?”
“Cammina lungo il viale di cipressi. Il suono dei tuoi passi sulla ghiaia ti farà eccitare. Sospesa nel vuoto di fronte a te vedrai una piramide, una sfera nera si metterà tra te e la piramide. Tu non fare caso alla sfera, continua a camminare fino a raggiungere la piramide. Ti sveglierai nel tuo letto, andrai a prendere qualcosa da bere in frigo e tornerai a dormire come se niente fosse”
“Non devo guardare la sfera? E quella balena che si vede in mare aperto? Sono rimasta ore a fissarla, la sua immersione non si ferma mai, è interminabile, una lentezza infinita”
“Forse è lì da sempre. Tu però non guardare la sfera ok? Stai alla larga dalla sfera”
“Hai capito quello che cercavo di dirti con il rosso e il nero?”
“Si, ho capito”
“Quando ci ho pensato mi è piaciuto. Non avevo mai provato un orgasmo così forte. Allora? Cosa rispondi?”
“Come vuoi”
“Vengo venerdì. Adesso possiamo scopare o non ne hai voglia?”
“No, però non ho nemmeno voglia di svegliarmi”
“Metto la giarrettiera, prima di suonare alla porta mi tolgo il vestito e resto solo con le calze e gli stivali di pelle”
“Sei una masochista, ti piace essere sottomessa. In questo modo ti sembra di avere il controllo sulle persone”
“E per questo motivo ti faccio schifo?”
“Perché vuoi ricominciare? Ci è mancato poco. Ti ho già lasciata andare”
“Sei un rincoglionito. Perché non riesco più a farne a meno, ormai è il nostro gioco. Lo capisci?
Metti l’uniforme da SS e i guanti”
“E’ per questo che indossi sempre quella maschera? Speri che qualcuno prima o poi te la faccia saltare via davanti a tutti?”
“Ho paura che tu non abbia capito”
“Non ci vedremo mai più”
“Tequila bum! Bum! E pompini”
“Andata”.
R.E.M. RISVEGLIO
Da quando avevo attraversato il deserto con Elle la realtà in cui mi trovavo da sveglio vacillava sempre più spesso, alterata da allucinazioni continue. I mesi successivi sono trascorsi rapidamente, ero stato completamente assorbito dal lavoro. Poi ho incontrato una ragazza. Le avevo mandato una mail di contatto per un cliente dopo un’occhiata veloce al suo profilo su internet, ma non avevo ottenuto nessuna risposta. Avevo continuato ancora per un po’ a scartabellare tra gli archivi online senza concludere niente e alla fine avevo lasciato perdere. La mattina seguente sono uscito per comprarmi un pacchetto di sigari alla menta. In macchina mi sono accorto di non avere contanti, avevo passato giorni tappato in casa trascurando tutto e le monete sparse nel portaoggetti non erano abbastanza per i sigari. Ho dato una seconda occhiata, ma soltanto per rassegnarmi a tirare fuori dalla tasca la moneta portafortuna. A malincuore l’ho messa sul bancone insieme alle altre restando a guardare malinconico la statua di Marco Aurelio su una delle facce. Aspettavo che la tizia del negozio le raccogliesse e mettesse al loro posto il mio pacchetto di sigari. Invece è rimasta a guardarmi in silenzio, come se fosse stata messa in pausa, paralizzata da una dilatazione improvvisa del tempo. Subito dopo le luci si sono abbassate mettendosi a tremolare, lo spazio si è deformato.
“Verrai investito da un segnale fortissimo”.
Una pressione sulla nuca come se qualcuno mi stesse fissando intensamente mi ha costretto a guardare alle mie spalle. Sono stato attraversato dall’immagine di un serpente a sonagli, una frustata improvvisa simile ad una scarica elettrica. Agitava la coda acciambellato sulla sabbia. In un istante è svanito per lasciare il posto ad una donna con i capelli ricci ferma sulla porta. Aveva addosso uno strano profumo, un vestito aderente nero coperto di glitter rosso scuro e occhiali da sole. Una mano era appoggiata su un fianco, l’altra indicava verso il basso con l’indice disteso. Prima che potessi trovare una spiegazione razionale alle sue parole, la tizia del negozio ha messo i sigari sul bancone e le luci sono tornate normali.
“Sono questi?”.
Ho afferrato il pacchetto e sono uscito cercando di schivare la donna sulla porta. Quando le sono passato di fianco ha aggiunto: “Not Found 404”.
Appena uscito, mi sono trovato di fronte un Hummer nero con i vetri oscurati, era in sosta sul marciapiede con il motore acceso. Targa svizzera. Ho cercato di convincermi a non pensarci, sicuramente si trattava solo di una coincidenza, ma non sono comunque riuscito a respingere il pensiero che mi stava martellando nella testa: “Cazzi enormi in arrivo”. Una volta a casa ho aperto la posta, tra i messaggi non letti c’era la risposta alla mail di contatto.
- Potrebbe darmi qualche dettaglio in più sul lavoro da fare? L.M. –
- Possiamo incontrarci per parlarne? Cerco un tecnico per un cliente. Mi serve un sopralluogo. I. B. –
- Si certo. L. M. –
La notte prima di incontrarla sono uscito in giardino a fumare sotto la luce della luna piena. Le ombre tra gli alberi erano intrecciate in un amplesso. Ho pensato all’oratorio abbandonato, la luna attraversava il cielo rapidamente seguendo l’arco della struttura rimasta ancora in piedi, subito dopo l’ala di un angelo nero la oscurava completamente.
Mi sono presentato all’appuntamento convinto che non ne avrei cavato un ragno dal buco. Era incredibilmente giovane, completamente nel pallone, impacciata al punto da far tenerezza. Non sono riuscito a dirle nemmeno la metà delle cose che avrei dovuto dirle. Il proprietario dal canto suo non prometteva niente di buono, sembrava una speculazione immobiliare lontano un chilometro. Diceva di aver avuto il mio numero da un’agenzia che in realtà non avevo mai sentito nominare. Durante la telefonata una vocina nella mia testa mi aveva messo in guardia pregandomi di rifiutare, invece avevo accettato. Come se non bastasse pioveva a dirotto.
Abbiamo dato un’occhiata rapida alla casa, per tutto il tempo non sono riuscito a toglierle gli occhi dal culo. Cercavo di non farglielo capire, ma non ero affatto sicuro di esserci riuscito. Non parlava gran che, sembrava palesemente in imbarazzo. Siamo rimasti sempre insieme, a parte quando ci hanno fatto vedere la soffitta. Lei era rimasta di sotto insieme al proprietario e il suo socio. Niente di insolito, ho semplicemente pensato che non avesse voglia di riempirsi di ragnatele, in effetti era piuttosto sudicia. Dal tetto malandato filtrava la luce esterna, sul pavimento si erano formate delle grosse chiazze scure in corrispondenza delle aperture da cui filtrava la pioggia. Completamente vuota, a parte una pila di vecchi romanzi western accatastati uno sull’altro contro il muro, non c’era altro. Prima di scendere ho notato un paio di ganci avvitati alle travi, sembravano del tutto inutili. Più tardi siamo stati insieme anche in un altro posto, un negozio di abbigliamento in fase di restyling, sempre per lo stesso tizio. Il magazzino era pieno di manichini, figure indefinite avvolte dal buio dell’edificio sprovvisto di corrente. Appena soli ha cambiato atteggiamento, sembrava un’altra persona. Le sagome di quei corpi di plastica ammassati devono aver fatto scattare qualcosa, le difese del pensiero razionale sono crollate sotto i colpi dell’attrazione fisica. Ho sentito un tam-tam assordante all’altezza delle tempie, il senso dei suoi discorsi si è perso nel vuoto stemperato dalla visione di corpi nudi attorcigliati. Si fingeva scostante, in realtà era più che altro seccata perché ancora non avevo preso l’iniziativa nonostante le sue intenzioni fossero chiare. L’ho spinta in uno degli spogliatoi con lo specchio e le ho infilato le mani nei jeans abbassandoli alle caviglie, non avevo prestato attenzione ad una sola delle parole che aveva pronunciato fino a quel momento, avevo soltanto cercato di assecondarla fino a quando non ero stato sicuro che non potesse più tirarsi indietro e filarsela. Non mi sono nemmeno preoccupato di considerare il vantaggio pratico nell’abbassarle in quel modo i jeans e in effetti non ci siamo affatto trovati in una posizione favorevole per scopare. Volevo che la sua fica fosse finalmente libera da quella prigione di stoffa.
“E allora? Che ti prende? Le mani addosso no, hai capito?”.
L’ho messa seduta sul seggiolino e le ho spinto il cazzo in bocca fino in fondo. Avevo fatto bene a non credere alle sue proteste, lo stava succhiando fermandosi di tanto in tanto per passarselo sulle labbra e leccarlo. Volevo spogliarla completamente in modo che fosse più semplice farmela sul seggiolino dello spogliatoio, ma lei non si era lasciata distrarre e mi aveva spinto via le mani dalla camicetta. Poi mi ha guardato negli occhi e ha borbottato: “Ti faccio un pompino che vedi”. Sentivo la lingua calda muoversi intorno al cazzo mentre le schizzava in bocca. Prima di lasciare il magazzino siamo rimasti a parlare chiusi nello spogliatoio.
“Il tuo sperma è dolcissimo, sa di gelsi. Non provo quasi mai sensazioni come queste, erano secoli che non pensavo al sapore dei gelsi”.
“Che ne pensi di questo posto?”.
Ha scostato leggermente la tendina dello spogliatoio.
“Mi fa impressione. Ma dove hai trovato quel tipo? Hai visto che razza di nome? Johnny Lazzari, ti sembra possibile?”
“No, è un nome d’arte. Da quello che ho capito da giovane era una specie di attore. A me sembra solo un pallone gonfiato. Tu comunque non fidarti di nessuno. Se succede qualcosa dillo a me”
“E il suo socio?”
“Jimmy L’Amour, ti rendi conto?”
“Individuo maturo. Non pensavo ci fosse ancora qualcuno con abbastanza coraggio da andarsene in giro con dei pantaloni a zampa di elefante come quelli”.
“E la camicia rosa?”
Si è rilassata e mi ha appoggiato le mani sulle gambe, lasciando andare la tendina.
“Sei uno strano tipo”
“Perché?”
“Sembri una di quelle giornate nuvolose in cui esce il sole poco prima che faccia buio”.
Si è inginocchiata di spalle sul seggiolino e me la sono fatta di nuovo. Quando siamo usciti dal magazzino la pioggia si era fermata. Davanti al Patrol abbiamo trovato l’Hummer nero fermo in doppia fila. La vernice metallizzata e la mascherina di acciaio scintillavano sotto i lampioni accesi. Appena ci siamo avvicinati ha messo in moto ed è partito facendo inversione, gli abbaglianti ci hanno investito costringendoci a distogliere lo sguardo. Per un attimo sono comunque riuscito a vedere una bionda con gli occhiali da sole oltre il finestrino mezzo abbassato dal lato del passeggero. Sotto il tergicristallo abbiamo trovato un biglietto, diceva: “Non è morto ciò che in eterno può attendere”.
“Che succede?”
“Niente”
“Che cazzo dici? Cos’è questa storia del biglietto?”
“Lovecraft, è un classico. Tu comunque non fare niente. E soprattutto stai alla larga dal proprietario”.
Siamo saliti in macchina e abbiamo cambiato discorso.
Dopo ho incontrato Nadia nell’oratorio fatiscente. Era in compagnia di una ragazza albina, capelli bianchi cortissimi pettinati con la riga da una parte e un anello di acciaio nel sopracciglio. La stava massaggiando sotto il collo aspettando appoggiata sulla soglia del varco che conduce nel tornado.
“Devi restare con quella ragazza ha bisogno del tuo aiuto. Le persone a cui fa riferimento non sono quello che crede. O forse non riesce a vederle per quello che sono”
“Ha un bellissimo viso, è sveglia, è stato piacevole stare con lei ne avevo bisogno”
“Dovrai portarla da Lucy, forse è in grado di trovare un varco nella recinzione”
“Secondo te in estate indossa pantaloncini di jeans?”
“Devi ascoltarmi, è molto importante”
“Non prendermi per il culo, quelle svitate che c’entrano? Che ci fanno qui?”
La ragazza albina si è inginocchiata di fronte a me per succhiarmelo. Sono rimasto a fissarla negli occhi chiarissimi e inespressivi anche mentre le venivo in bocca. L’ha succhiato più forte tenendo lo sperma sulla lingua, poi l’ha lasciato lentamente colare sul mento, le labbra si sono distese in un sorriso compiaciuto.
“Fai la tua parte e andrà tutto liscio”.
Nelle settimane successive sono rimasto sull’isola da solo. Passavo la maggior parte del tempo nel cinema a fumare sigari e guardare film porno. In qualche occasione Pasticcina è venuta a cercarmi per scuotermi senza successo dal mio torpore.
“Vuoi chiavare?”
“Non rompere, adesso non mi va di fare niente”
“Non capisco che ti è preso”
“Secondo Werner Herzog i film porno conservano il piacere dell’immagine in movimento che avevano i primi film muti”
“Frocio… fa come vuoi segaiolo”.
Ho ingaggiato di nuovo quella ragazza per lavoro. Non era passato molto tempo da quando eravamo stati nel magazzino pieno di manichini. Nadia mi aveva lasciato una chiave di sale per lei, la tenevo in un cassetto della scrivania aspettando il momento giusto per dargliela, anche se non avevo ancora deciso come. Probabilmente il modo migliore sarebbe stato infilarla nella sua borsa di nascosto, senza dirle niente. Soltanto avevo paura che potesse romperla inavvertitamente ancora prima di capire cosa fosse.
Avevamo appuntamento di fronte alla casa in cui ci eravamo visti la prima volta, una vecchia villa abbandonata circondata da un parco enorme invaso dai rovi. La facciata gialla era in gran parte rovinata dalla muffa e coperta di graffiti. Cercavo di fare lo spiritoso per sondare il suo umore, anche se lei sembrava completamente concentrata sul lavoro, o forse si stava semplicemente difendendo fingendosi distante. Si teneva aggrappata alla borsa con gli strumenti di misura evitando di incrociare il mio sguardo il più possibile.
“Guarda”. Mi sono avvicinato camminando al suo fianco e ho incrociato la mia ombra con la sua. “Le nostre ombre convergono, è un segno del destino. Forse significa che desideriamo la stessa cosa”
“Ma se le hai incrociate di proposito”
“Però sarebbe potuto succedere anche per caso”.
“Sei davvero uno strano tipo”.
Ho aperto il lucchetto, sfilando la catena del portoncino di legno. Appena ho spinto l’anta verso l’interno un gatto grigio è scivolato fuori sbucando da dietro la porta. Lei lo ha fermato con un piede spingendolo di nuovo dentro.
“Ottimi riflessi, secondo me comunque puoi lasciarlo uscire. Deve essere entrato da qualche finestra rotta”.
Lo ha preso in braccio con una mano e si è sbottonata la camicetta nascondendo il viso dietro il gatto.
“Volevi scopare, per questo mi hai portata qui?”
“No, è davvero per un lavoro. Anche se non ho fatto altro che pensare a te da quando ci siamo visti l’altra volta. La cosa strana è che non riesco mai a immaginare il tuo viso. Ogni volta che ci provo, si dissolve appena alzi gli occhi”.
Si è massaggiata una mano, al medio della sinistra aveva messo uno strano anello con una pietra ocra.
“Secondo te che significa?”.
Non le ho risposto, avevo l’impressione che la domanda mirasse a qualcos’altro. Ha lasciato andare il gatto e si è sfilata la camicia. Poi si è sbottonata i jeans strappati sul ginocchio e li ha abbassati fino alle caviglie insieme alle mutandine rosse. Voltandosi di spalle mi ha appoggiato le mani sui fianchi.
“Ottima presa”.
“Anch’io avevo voglia di vederti di nuovo, anche se pensavo di non piacerti affatto. Non si tratta solo di sesso però. Ho davvero bisogno di questo lavoro”.
“Ci sto bene con te. Non sono riuscito a pensare ad altro per giorni”.
L’ho baciata sul collo e le sono venuto dentro.
Sono di nuovo rimasto intrappolato in una bolla di torpore e apatia, ciondolavo per casa bevendo liquori di sottomarca e ascoltando i Black Sabbath a tutto volume. Non avevo dubbi sul fatto che la voce di Ozzy Osbourne fosse un’altra cosa rispetto a quella di Dio. Non c’era paragone, avevano tenuto il nome del gruppo, ma era solo una formalità, in realtà facevano una musica completamente diversa.
- Speravo mi chiamassi, sei sparito di punto in bianco. L. M.–
- Stavo per farlo. Non volevo spaventarti standoti sempre addosso. C. A. –
- Tutto a posto per quel lavoro? L. M. -
- Si, sei riuscita a farti un’idea
dei costi per iniziare? C. A. –
- Tremila euro. Circa. L. M.–
- Quando arrivano ti mando un messaggio, così puoi iniziare. C. A. –
- Facciamo un altro sopralluogo la prossima settimana? L. M. –
- Ok, evitiamo il lunedì però. C. A. –
- Non puoi di lunedì? L. M. –
- Non è che non posso, è solo che il lunedì mi porta sfortuna. Se possibile preferisco evitarlo. C. A. –
- Ok, cercherò di evitare il lunedì. L. M. –
- Hai un porta fortuna? C. A. –
- No, perché? Non ci credo a queste cose. L. M. -
- Non metterti nei guai C. A. –
- Lo so quello che devo fare L. M. –
- Non voglio finire in Costa Rica a bere Rhum al cocco e suonare l’ukulele. Non fidarti di nessuno. Vengo a prenderti io. C. A. -
- Si certo, lo so dove vuoi arrivare. L. M. –
- Li tanto ci arriviamo comunque, dico sul serio. C. A. –
- Ok…in bocca. L. M. –
- Ti ho detto che è una cosa seria, arrivo. Ti mando un messaggio quando sono dalle tue parti. C. A. –
- Io, comunque pensavo li avessi già i soldi. Lo facciamo davvero il lavoro? L. M.–
- No, ho speso tutto in occhiali da sole. Non preoccuparti lo facciamo. C. A. –
- …potrei venire io da te. L. M. –
- Dici? C. A. –
- Ma sì, perché no? L. M. -
- Non lo so, potrebbe non essere il posto più accogliente del mondo. C. A. –
- Ma figurati…ci vediamo più tardi. L M. –
- …ok. C. A. –
I fari di un mini-SUV bianco hanno illuminato la finestra sul retro. Ho sentito il rumore sommesso del motore spegnersi, dopo qualche istante lo sportello si è chiuso. Sono andato ad aspettare sulla porta d’ingresso. Stavo per andarle incontro pensando che non riuscisse a trovare la scala per scendere dal parcheggio verso la casa, in effetti era completamente coperta di foglie secche e rovi, non era poi così facile trovarla. Appena mi sono mosso è sbucata da dietro l’angolo della casa. Teneva un vestito leggero sopra la spalla nuda. A parte gli stivali di pelle non aveva altro addosso. Alle sue spalle le luci del giardino davano forma ai rami degli alberi, le labbra verde scuro di una donna mi suggerivano di scoparla subito senza perdere tempo, si muovevano sotto il vento tiepido assumendo una fisionomia stranamente familiare. Ho abbassato gli occhiali scuri, ma non sono riuscito ad ignorare i corpi avvinghiati di cui era coperto il prato. Le ho messo una mano tra le gambe e ho infilato le dita nella fica. Rasata, calda e fradicia. Ho appoggiato l’altra sui fianchi e l’ho spinta verso il basso. Si è seduta di fronte a me allargando le gambe, mi ha tirato fuori il cazzo e si è messa a succhiarlo subito. Passava la lingua sotto leccando velocemente.
“Pensavi che non facessi sul serio?”
Non ho risposto, siamo entrati in casa e ci siamo fermati sul pianerottolo senza parlare. L. M. si è guardata intorno incredula.
“Cazzo, vivi come uno zingaro”.
Da quando stavo da solo non avevo più tempo ne voglia di prendermi cura della casa, era un vero porcile. Il pavimento coperto di chiazze di calce, i muri sporchi e sbiaditi. Non c’erano mobili a parte un grosso tavolo di ciliegio che usavo come scrivania. Sopra avevo montato il computer usando come schermo una tv da quarantotto pollici a schermo piatto. Il letto, il frigorifero e una cucina malandata. Il primo piano era vuoto, arredato soltanto da polvere e ragnatele. Siamo passati di fianco allo schermo senza fare caso al porno che stavo guardando prima che arrivasse. Una tipa stava urlando a pecorina mentre la pompavano e le venivano in faccia. L’audio era a zero, rimpiazzato dalla voce di Ozzy Osbourne che cantava Killing yourself to live. Dirigendosi verso il letto ha passato l’indice sulla copertina di pelle di una biografia di Cartouche appoggiata sul bordo della scrivania. Si è seduta ed è rimasta a guardare il porno massaggiandosi lentamente la fica. Ho tirato fuori una bottiglia di vodka ghiacciata dal freezer e l’ho presa per una gamba afferrandola sotto il ginocchio. Le ho passato la bottiglia tra le gambe, poi ho versato un po’ di vodka sulla coscia. Mi sono messo a leccarla scivolando verso la fica. Lei si è appoggiata al letto affondando i gomiti nel cuscino, poi ha piegato la testa all’indietro. Non so come, è riuscita a trovare da qualche parte di fianco al letto i guanti da motociclista e un paio di occhiali da sole Route 66 con le lenti viola e la montatura di gomma nera. Ha infilato i guanti e si è messa gli occhiali. Voleva che le leccassi la fica.
You think I'm crazy and baby I know that it's true
Si è aggrappata al colletto del giubbotto per farmi sdraiare sul letto e mi ha immobilizzato le braccia salendoci sopra con le ginocchia.
“Porti il giubbotto di pelle anche in casa?”
“E già”
“E gli occhiali scuri?”
“Mi servono per pensare, anche se ormai non funzionano gran che. Devo cambiarli sempre più spesso”
“Senti, ma da dove sei uscito?”
“Dal Paese delle Meraviglie”
Ha spostato le ginocchia liberandomi le braccia in modo che potessi metterle le mani sul culo. Quando si è seduta sulla mia faccia ho cominciato a leccargliela.
I don't know if I'm up or down Whether black is white or blue is brown
“Te l’ho già detto che sei un tipo strano”
“Più unico che raro bella mia”.
Nel cuore della notte mi sono svegliato dopo aver fatto un sogno stranissimo che non riuscivo a ricordare. Mi era rimasta soltanto l’immagine di un pavimento di linoleum marrone.
L. M. dormiva rannicchiata in posizione fetale, appoggiata alla mia schiena. Nel sonno ha borbottato: “Doveva essere tequila…”. Sul momento non ci ho fatto caso, ho ricollegato le sue parole al sogno con E. B. soltanto quando è andato tutto a puttane.
La luce della luna filtrava attraverso le inferriate della finestra, riflettendosi sulla bottiglia quasi vuota appoggiata sul pavimento. Ho richiuso gli occhi per cercarla sull’isola, ma sono riuscito soltanto a trovare Pasticcina. Sulla spiaggia un gruppo di persone guardava verso il mare, se ne stavano seduti intorno ad un fuoco come se fossero stati in attesa di qualcosa per molto tempo.
“Ormai non ci speravo più”
“Dovevo sistemare delle cose per il lavoro, ma che cavolo ci fanno qui tutte quelle persone comunque?”
Non capivo perché la facesse tanto lunga, aveva le lacrime agli occhi.
“Sono stato via solo qualche settimana in fondo, non è la fine del mondo
È passato quasi un anno dall’ultima volta che ti ho visto, sei diventato scemo? Non lo vedi? Ha messo fuori la testa”
La balena a largo aveva completato l’immersione, ora inarcava il dorso alzando la testa verso il cielo. Sono rimasto a fissarla per qualche secondo, la lentezza con cui si sollevava dall’acqua non era cambiata.
“Me lo spieghi che cazzo significa?”
“Non lo so. Forse è la fine del mondo”.
Una ragazza con la frangetta mi si è avvicinata sorridendo. Indossava una tuta blu con un numero cucito sul petto, non so per quale motivo, ma ho pensato che si trattasse di una tuta da carcerati. A giudicare dall’aspetto poteva avere al massimo quindici, sedici anni. Oltre al numero sulla tuta c’era anche una scritta: electron-media.
“Siamo riuscite a passare. Le mie amiche hanno bisogno di riposarsi”. Dietro di lei un gruppo di donne con la stessa divisa aspettava che facesse un cenno con la mano per farsi avanti.
“Lei ha bisogno di un letto per dormire”. Ha spinto verso di me una ragazza con i capelli pettinati con la riga da una parte. I capelli le coprivano un occhio. Poi mi ha offerto dei dolci alla panna, li ho presi anche se ancora non capivo cosa stesse succedendo e ci siamo incamminati verso la casa nel bosco. Ho fatto vedere le camere da letto al primo piano e sono tornato da lei. Aveva appoggiato la scatola con i dolci a terra e si era sbottonata la tuta, era ovvio che volesse scopare. Sulle braccia le avevano tatuato la stessa scritta con il numero della tuta.
“Non ti sembra di esagerare?”.
Ha riso imbarazzata e si è seduta sul pavimento. A quel punto mi sono messo vicino a lei e abbiamo mangiato i dolci alla panna. Sotto l’ultimo rimasto ho trovato un biglietto: “Rinato? Natasha”.
Volevo urlare: FANCULO, ma avevo ancora la bocca piena, sono soltanto riuscito a emettere dei suoni incomprensibili sputacchiando panna ovunque.
“Ha detto che è molto importante, se la sono filata tenendosi la consegna. Il varco da cui siamo scappate si è subito richiuso, le stanno cercando. Natasha dice che…”
“Fanculo! Cazzo! Vaffanculo!”
“…non se la caveranno”.
Dopo sono tornato da Pasticcina.
“C’è qualcosa che non quadra, devo vedere Lucy nel tornado”
“Che avete fatto lì dentro?” Indicava la camera in cui stava dormendo la ragazza dei dolci.
“Niente, che dovevamo fare?”
“Vaffanculo, sei un bastardo”
“Ma non abbiamo fatto niente ti ho detto. Abbiamo solo mangiato i dolci alla panna. Secondo te cosa avremmo dovuto fare?”
“Voglio venire con te”
“No, è meglio se ci vado da solo. Aspettami da “O”, non ci vorrà molto”. Le ho alzato la maglietta e le ho abbassato i jeans per scopare.
“Che figlio di puttana che sei”
“Sbrigati, prima che la ragazza che sta dormendo con me si svegli e se ne vada”
“Che cosa state combinando di così importante?”
“Te l’ho detto è un lavoro. Devo darle una cosa, un portafortuna di Lucy”
“E’ per lei che l’altra volta non hai voluto scopare?”
“Si, forse…non lo so”
“E la balena?”
“Effetti collaterali credo”.
L. M. si stava vestendo quando mi sono svegliato. Sentivo un macigno sopra la testa per la vodka.
“Aspetta”.
Ho aperto il cassetto in cui tenevo la chiave di sale. Le ho dato due assegni e dei contanti, poi le ho messo in mano la chiave.
“Tienila sempre con te. Non lo so neanche io come si usa, dovrai capirlo da sola”
“Ed è soltanto un portafortuna?”.
Si è di nuovo massaggiata il dito con lo strano anello.
“Sei mai stata su un’isola tropicale?”
“No. Di che parli?”
“Meglio così”
“Senti…”
“Che c’è?”
“Potremmo approfittarne”
“Di cosa?”
“Niente”.
Ho lasciato che sistemasse tutto nella borsa, poi l’ho tirata verso il letto e le sono salito sopra. Aveva un buon profumo sul collo. Rideva con il viso affondato contro il mio petto. Le ho baciato i capelli e l’ho spogliata di nuovo per scopare un’altra volta.
Tornato sull’isola, per prima cosa sono andato a cercare Nadia nell’oratorio.
“Le ho dato la chiave”
“Non lasciarla andare per nessun motivo”
“Non mi piace legarmi alle persone”
“Sei uno sciocco”
“Sto facendo la mia parte”
“Sei più sciocco di quello che sembri. Riporta indietro la consegna. Dovrai attraversare di nuovo il tempo sui frattali. L’uomo che hai incontrato…”
“Perché cazzo non miagoli e non fai le fusa come tutti i gatti del cazzo?”
Appena ho terminato la frase ha ruggito nella mia direzione con tutta la ferocia di cui era capace. Ho sentito il cuore fermarsi e il sangue gelarsi nelle vene. Non avevo dubbi sul fatto che di lì a poco mi avrebbe fatto a pezzi. Invece si è calmata e mi è passata di fianco spingendomi via con il peso del suo corpo.
“Ho sempre pensato che Lucy si fosse sbagliata sul tuo conto”
“Non si è sbagliata. Gatto del cazzo”
Il secondo ruggito mi ha fatto inzuppare la maglietta di sudore. Non sono riuscito a voltarmi e nemmeno a svegliarmi.
“Quello stupido segnale ci sta facendo impazzire tutte. Devi convincerla a restare con te. A quel punto potrete attraversare il deserto. A noi interessa soltanto l’uomo”.
Ho riaperto gli occhi nel primo pomeriggio. La vista della bottiglia di vodka semivuota sul davanzale della finestra mi ha quasi fatto rivoltare lo stomaco di fianco al letto. Sono riuscito a trattenermi soltanto grazie alla vista delle sue mutandine appoggiate sul cuscino di fianco alla mia faccia. Avevano un gradevole profumo di fiori misto all’odore di sesso. Ho appoggiato una guancia contro il tessuto morbido e rosa cercando di concentrarmi sulle sue unghie azzurre che scendevano lungo la mia schiena.
“Completamente partito…cazzo”.
La playlist nello stereo ancora acceso era arrivata fino agli Alice in Chains. La sensazione del culo sodo e muscoloso di L. M. stretto tra le mie dita e il profumo di limone della sua fica, sono tornati a formarsi nella mia mente.
I vetri delle finestre tremavano annunciando un temporale.
I think it’s gonna rain, when I die
Il dorso della balena continuava ad inarcarsi verso l’alto, mentre il suo gigantesco occhio senza sentimenti mi fissava.
Yeah!
Ho preso in mano le mutandine, sul culo aveva lasciato una scritta con il rossetto: dritto sull’obbiettivo come un tomahawk.
Il giorno dopo sono stato nel cinema sull’isola. Jennifer stava guardando per l’ennesima volta Apocalypse Now. Era seduta nella prima fila completamente nuda.
“Certo che sei proprio un coglione. Non ti eri accorto che ti voleva fregare?”. Ha disteso una gamba indicando con l’alluce anellato lo schermo. L. M. si stava accordando con i tizi per cui avremmo dovuto lavorare, prendeva dei soldi in contanti e li metteva nella borsa.
“E a me che mi frega. Mi ha tolto quel coglione dalle palle, non ci ho perso niente”.
“E come farai con Nadia? C’è qualcosa che non mi hai detto, non raccontarmi cazzate”.
Ho preso una moneta dalla tasca, la moneta portafortuna, e l’ho tenuta tra due dita mettendola di fronte agli occhi di Jenny. Marco Aurelio a cavallo.
“Chi è che ha detto: Cristiano, Romano o leone?”.
Ha cercato di sbottonarmi i jeans, ma l’ho spinta indietro dandole un bacio sulla fronte.
“Fatti un esame di coscienza, è così che si comincia quando si diventa froci…io torno da “O” cazzo moscio”.
Ho alzato di nuovo lo sguardo verso lo schermo, i tizi che le avevano dato dei soldi la stavano inculando a turno, uno dei due le era appena venuto in faccia, le lacrime le scendevano lungo le guance mescolandosi con gli schizzi di sperma. Nella scena successiva era stata appesa con una catena ai ganci che avevo visto nella soffitta. Il tizio con i pantaloni a zampa non è stato mai inquadrato, l’altro invece la stava frustando sul culo. Qualche giorno dopo ho provato a chiamarla al telefono, ma non mi ha risposto. Quindi ho deciso di andare da “O”.
Pasticcina stava girando un video con un gruppo di ragazzi che avevano chiesto un fine settimana speciale. Roba pesante, fruste e vibratori. Uno di loro la stava penetrando in bocca, tenendole la testa ferma con due mani. Si è fermato di colpo spingendole il cazzo fino in gola e ha piegato la testa all’indietro. Lei ha emesso un verso strozzato, quando il tizio si è tirato indietro ha aperto la bocca lasciando cadere un fiotto di sperma sul pavimento. Ha tossito violentemente, cercava di liberarsi dei due che la stavano scopando da dietro, ma è scivolata con le ginocchia sul pavimento qualche secondo prima di vomitare. I due ragazzi si sono spostati davanti a lei, l’hanno afferrata per i capelli trascinandola in mezzo al vomito e le hanno pisciato in faccia. Lei ha guardato verso l’alto, pensavo stesse per svenire. Senza che me ne accorgessi C_Ca si è avvicinata alle mie spalle e mi ha abbracciato.
“Sei proprio un pervertito. Lo capirebbe chiunque che sei innamorato come uno scemo. E pure ti diverti a vederla in quelle condizioni”
“Non credere che lei stia soffrendo per questo. Forse è l’orgasmo più violento che ha mai avuto in vita sua”.
“Hai voglia di fare l’amore?”
Ha aperto la mano e mi ha mostrato la chiave di sale che avevo dato a L. M. Appena ho cercato di toccarla si è dissolta.
“L’altra è sparita insieme alla consegna, ero quasi riuscita a trovarla, ma alla fine mi è scappata”
“L’ho lasciata sola soltanto per un attimo”
“Ci sono dei tizi. Con divise come la tua. SS vere intendo”
“Dove?”
“Ti accompagnerà quella tizia. Not Found…”
“…404. L’avevo capito”
“Ormai il video l’abbiamo girato, liberati di quei tizi”
“Ok”.
Elle stava fumando una sigaretta in piedi in fondo alla stanza, quando mi sono tolto il giubbotto e la maglietta ha cominciato a mordersi l’unghia del pollice. Era un’eternità che non restavo completamente a petto nudo. Ho sentito gli occhi della Medusa che avevo tatuata sulla schiena aprirsi lentamente. I serpenti sulla sua testa si stavano muovendo, alcuni cadevano sul pavimento emettendo un suono sordo, come una gelatina che esplode. Mi sono avvicinato a loro e ne ho abbracciati due tenendogli le mani dietro la nuca.
“Ragazzi sapete una cosa? Non è difficile nella vita avere delle occasioni. La cosa veramente difficile è saperle riconoscere”.
Mi hanno guardato con la bocca spalancata, come se fossi stato un alieno piovuto dal cielo in quell’istante. Pasticcina era svenuta sul pavimento in mezzo al vomito. Prima che potessero reagire due vipere del deserto sono scivolate lungo le mie braccia stringendogli il collo. Il terzo era in ginocchio, con le gambe avvolte dai serpenti, lo stavano divorando.
“Siete mai stati in un labirinto?”. La croce rovesciata che portavo al collo è diventata rovente.
- Senti, ho bisogno di vederti. L. M. –
- Ok, che succede? C. A. –
- Niente però voglio parlarti di una cosa. L. M. –
- Ti ho detto ok, ma dimmi che succede, intanto arrivo. C. A. –
- Quel tizio del magazzino. Ha cercato di raggiungermi. Per ora sono riuscita a prendere tempo. L. M. –
- Tutto qui? Me ne occupo io. Sicura che sia solo questo? C. A. –
- No, devo farti vedere una cosa. È questo veramente che mi preoccupa. L. M. –
- Di che si tratta? La chiave? C. A. –
- Ho fatto un sogno. L. M. –
PARADIGMA, DREAM, DREAMER, DREAMEST
Quando mi ha raggiunta sono salita sulla sua macchina cercando di non pensare a niente. Il tizio che avevo visto il giorno prima mi faceva paura, avevo capito che c’era qualcosa di più sotto la storia del magazzino abbandonato, probabilmente quella storia era soltanto un paravento. Lui non sembrava particolarmente preoccupato, ha preso la strada per lasciare la città, uno dei suoi sigari pendeva da un lato della bocca. Aspirava qualche boccata, senza togliere le mani dal volante. Avevo con me la chiavetta usb azzurra che mi aveva lasciato. L’avevo usata per caricare i documenti del magazzino. Quando l’ho messa nel suo portatile però si aperta la riproduzione automatica di un file musicale. Il portatile era collegato allo stereo del fuoristrada, la musica è partita a tutto volume.
“Che accidenti è questa roba?”
“Judas Priest, Electric Eye. Un classico della N. W. O. B. H. M. Non la fanno più musica così. Questo dinamismo nei cambi di ritmo si è sentito solo negli anni ‘80”
“Non fare lo stronzo, qui dovrebbe esserci il progetto di quel tizio, che cazzo significa?”
“Ma non chiedere a me, magari hai preso un virus”
“Mi prendi per il culo, hai visto quella roba o no?”.
“Tu che ne pensi?”
“E’ una truffa bella e buona. Quel tizio è in un bel casino se si viene a sapere. È seduto su una cassa di nitroglicerina. Anni di corruzione, sta per scoppiargli in faccia come una mina”
“Ed è per questo che mi hai fatto venire qui?”
“No, volevo vederti. Credo di essermi innamorata di te”
“Falla finita di raccontare stronzate, che cosa volevi farmi vedere?”
“Ok la pianto, però tu non mollarmi. È ancora più strano della speculazione, mi hanno costretta a prendere una cosa. Una pietra. Lo so che sembra assurdo, è solo una pietra. Subito dopo ho avuto un terribile incubo. E’ una stupidaggine, ok, però…”
“Racconta”.
Sono rimasta a guardarlo senza riuscire a spiccicare una parola. Mi sentivo come se mi avessero appena rivelato l’esistenza degli alieni. Ha continuato a guidare e non mi ha più interrotta. La situazione mi sembrava sempre più irreale. Dopo essere tornata a casa con quella strana pietra mi ero infilata sotto la doccia, mi sentivo esausta. Ero troppo giovane per ritrovarmi in un casino come quello, quel tizio mi aveva convinta a prendere dei soldi per nascondere la sua truffa del cazzo, insieme ci aveva messo una specie di anello dicendo che si trattava di un oggetto di inestimabile valore. Il lavoro consisteva più che altro nel portarlo in un posto fuori città. Mi ero mostrata collaborativa e avevo accettato, pensando di filarmela il più rapidamente possibile non appena mi avessero lasciata andare. Somigliava ad una rosa appassita. L’avevo messo al medio della mano sinistra prima di infilarmi a letto, avevo provato una strana sensazione nel sentirmelo al dito, poi mi ero addormentata e avevo fatto quello strano sogno.
Una stanza con le pareti gialle e una di quelle poltrone di pelle con braccioli di legno. Di fronte a me una scrivania, una porta alle sue spalle. In un angolo della scrivania una lunga piuma arancione, infilata in un calamaio. La porta si apre, non appena mi siedo sulla poltrona, la realtà mi assale, semplice e implacabile. Sono nata sola e sola morirò, almeno questo è quello che penso nel vedere l’ingresso del mio avvocato difensore. Un buffo omuncolo, obeso e goffo come il turbante che indossa come copricapo. Lunghi baffi sottili e arricciati. Si siede mostrandomi i denti bianchi poi si volta subito a osservare la porta.
“Bene! Allora dunque!”.
Si sistema sulla sedia allungando le gambe. I piedi in un paio di scarpe con la punta arricciata, sembra un sultano in miniatura.
“Il suo caso è molto complesso. Sono qui a svolgere le mie funzioni come suo unico difensore. Non vorrà rovinare tutto con il suo caso di coscienza?”.
Mentre parla prende la piuma dal calamaio e si mette a sventolarmela sotto il naso nel gesto di scrivere qualcosa su una specie di pergamena.
“Veniamo a noi, ho visto che ci sono delle gravi infrazioni ai tempi e alla regolarità delle sue funzioni. Questo è vero!”.
Ogni volta che si muove agitando la piuma, le cuciture dei suoi pantaloni si mettono a urlare. Mi fa venire voglia di starnutire. Non riesco a parlargli, penso solo a come uscire da quella assurda situazione in fretta. Penso, si certo come dice lei, basta che finisca.
“Prima di tutto dobbiamo pensare a proteggere gli affari, un incompetente come me non le capiterà mai più. Deve sapere che sono arrivato a ricoprire il mio prestigioso ruolo, dopo una lunga gavetta di imbrogli e sotterfugi. A dire il vero credo che nessuno come me saprebbe esporre peggio il suo caso e metterla nei guai. Sa, mi hanno sempre detto tutti che sono un impostore, ma è mia cura dimostrarle ora che questi maldicenti, non sono neanche arrivati vicino alla verità nel ricoprirmi di insulti. Se solo lei volesse essere così gentile da rendersi conto della situazione. Non è concepibile che lei voglia distinguersi per questa sua fissazione per la coscienza. Lo sappiamo tutti e due che questi sentimenti vanno repressi al loro nascere. Soltanto la finzione è degna di essere considerata, non è forse vero che in questo modo possiamo quindi raggiungere i nostri scopi e fare finalmente tutto ciò che vogliamo?”.
C. A. mi ha fermata prima che potessi finire di raccontare il sogno.
“Ho capito. Prima di commuovermi di fronte al tuo sconvolgente incontro con il Sig. Creosoto che a breve sarebbe esploso, devo informarti che quel SUV che si vede alle nostre spalle sta cercando proprio la pietra di cui mi hai parlato”
“Il sogno comunque continuava così ancora a lungo, non so se significa davvero qualcosa. Che pensi di fare?”
“Ho appena montato un bumper nuovo”
“Il sogno pensi significhi qualcosa?”
“Si, hai bisogno di cercarti un nuovo avvocato. Quello è un idiota”.
Il finale era ancora più incomprensibile. Una tizia entrava nella stanza, accompagnata da una cortina di fumo verde, come quello che si vede ai concerti heavy metal. Indossava un vestito rosso e un paio di occhiali scuri. Prendeva la sedia del tizio buffo per lo schienale e la faceva oscillare sulle gambe. Lui cercava di mantenere l’equilibrio sventolando la piuma nell’aria, ogni volta che si trovava sul punto di cadere me la sventolava sotto il naso fino a farmi starnutire. Prima che mi svegliassi aveva detto questa parola: “Reversus”. Poi l’avvocato era caduto dalla sedia.
C. A. ha tirato una leva di fianco al cambio, poi ha puntato dritto verso una sopraelevata. Il SUV bianco è uscito di colpo dal traffico, seguito da un’altra auto identica. Stavano per affiancarci e costringerci a fermare il fuoristrada. Invece di accelerare, ha mollato di colpo il pedale e si è buttato giù dalla scarpata, una specie di dosso ripido di fianco alla strada principale. Il Patrol ha messo giù il muso ed è andato su di giri. Siamo scesi seguendo l’inclinazione della discesa senza ribaltarci, il fuoristrada di C. A. ha toccato la strada sterrata ai piedi della sopraelevata, rimbalzando sulle gomme anteriori. Loro ci hanno subito seguito imitando la sua manovra, il primo si è capovolto su un fianco, non appena le ruote sono finite sull’erba. L’altro è riuscito per miracolo a schivarlo e a riprendere l’inseguimento. Sotto la sopraelevata il terreno era scivoloso per il fango, puntava continuamente i pilastri di cemento armato dell’autostrada evitandoli all’ultimo momento. Mi sono girata a guardarlo, cercava di nascondere un sorrisetto compiaciuto tirando continuamente boccate al sigaro che stringeva tra i denti.
“Guarda adesso”.
Ha pestato l’acceleratore mandando il Patrol in sovrasterzo proprio davanti ad una colonna di cemento, il SUV dietro di noi ha cercato di aumentare la velocità per non farsi tagliare fuori, ma ha perso il controllo. Gli schizzi di fango sono finiti sul loro parabrezza oscurato, mentre le gomme da palude del Patrol slittavano impazzite. Quando la nuvola di fango si è abbassata era troppo tardi, il SUV non è riuscito ad evitare l’impatto. Il parabrezza è esploso sputando il tizio dal lato del passeggero, il muso era completamente accartocciato contro la colonna. C. A. ha rallentato e ha fatto di nuovo il giro per avvicinarsi al tizio esanime a terra. Ha abbassato il finestrino e gli ha lanciato addosso il mozzicone di sigaro.
“Mio caro, ora dovresti aver capito la differenza tra una trazione integrale ad inserimento meccanico ed una ad inserimento elettronico”.
Poi si è diretto verso quello capovolto.
“Ma che cazzo speravo prendesse fuoco, queste cose succedono solo nei film”.
Ha preso velocità sbattendo con il muso sulla fiancata del SUV proprio mentre i tizi al suo interno stavano per aprire gli sportelli e scivolare fuori. Quello dal lato del passeggero è stato tagliato in due dalla portiera, l’altro è rimasto schiacciato dall’urto contro il muro ai piedi della scarpata. Subito dopo siamo risaliti sulla tangenziale.
“Devo trovarmi un autolavaggio”.
Non ci siamo fermati fino a raggiungere un capannone abbandonato, poco distante dal magazzino del tizio che mi aveva coinvolta in quella storia. C. A. ha lasciato il fuoristrada in una strada secondaria. Dopo ci siamo infilati dentro il magazzino passando dal retro, camminavo al suo fianco, lui mi teneva una mano sulla schiena, mi faceva sentire a mio agio. Non ha più detto niente della pietra. Una tizia con i capelli biondi a caschetto ci aspettava all’interno. Conosceva C. A. lo stava aspettando per qualcosa che riguardava il tizio del magazzino.
“Come cavolo hai fatto a trovarla, non riesco a sentirla, in nessun modo”
“Mi ha cercato lei”
“Ha qualcosa di strano, come se fosse nascosta sotto una specie di interferenza, non riesco a sentire niente da quando si è avvicinata”.
C. A. mi ha preso una mano e l’ha sollevata per mostrarle l’anello con la pietra. Il magazzino era sempre al buio, i manichini ci fissavano con i loro occhi di plastica. Ho fatto caso all’odore di benzina solo dopo.
“Secondo te cosa c’è sotto?”
“Si sono accorti dell’Isola. Qualcuno ha cercato di usarla come via di fuga, l’hanno usata per far passare delle persone”
La bionda sembrava preoccupata, si è avvicinata a C. A. e gli ha accarezzato una guancia.
“Ho visto una donna sulla spiaggia”
“Hai mai incontrato Lucy da sola? Dall’altra parte intendo?”
“Non capisco dove vuoi arrivare”
“Chi credi che sia realmente? Ricordi quando è cominciata questa storia?”
“È strano che tu ne parli adesso. È come se il tempo si fosse appiattito, senza più un inizio e una fine…”.
Quando si è mosso per portarci fuori ci siamo accorti della pozza di carburante sul pavimento. Si era appena messo in bocca un sigaro, la tipa bionda gli ha afferrato il polso.
“Forse non è il momento di fumare”
“Mi fanno incazzare quando mi impediscono di fumare, non riesco a pensare, poi mi ci vogliono delle ore per riuscirci”
“Vediamo di uscire in fretta da questo posto, la consegna l’abbiamo ripresa è tutto a posto”
“Guarda che dico sul serio…”.
Prima che si convincesse a muoversi, le finestre sulla parte alta del magazzino si sono infrante, i tizi che ci stavano dietro le avevano sfondate per rovesciare i fusti di benzina dall’alto, tutte le porte erano sprangate dall’esterno. Abbiamo sentito il motore di un camion in manovra proprio davanti all’ingresso principale.
“Pensi di farcela?”
“Stanno bloccando le porte con i camion, in ogni caso anche se riuscissimo ad uscire li troveremmo pronti ad aspettarci”
“Allora?”.
Ormai il panico si stava impossessando della bionda. Abbiamo provato tutte le uscite senza successo. La benzina entrava anche da sotto le porte. L’ombra di una donna è passata davanti ad una delle finestre rotte, siamo riusciti a vedere la sigaretta che stringeva tra le dita. Per un attimo ho avuto l’impressione che volesse mettere in pratica le intenzioni di C. A. con il tipo del SUV; invece, si è fatta da parte subito dopo. Erano molto più preparati di quello che pensassimo, due uomini con delle torce imbevute di petrolio si sono affacciati dietro di lei. C. A. si seduto sui talloni e ha afferrato la grata di un tombino, poi l’ha scagliata lontano.
“Si vede che proprio che non guardiamo gli stessi film”.
Ha afferrato il bordo di cemento del tombino e ha cominciato a tirare verso l’alto, I tizi alla finestra intanto avevano lanciato le torce all’interno, sono piovuta da ogni parte anche dalle altre finestre.
Digrignando i denti ha continuato a tirare anche quando le fiamme si sono alzate altissime, il calore è diventato subito insopportabile.
“Che cazzo facciamo adesso?”
“Potreste spogliarvi per esempio”
“Non dire cazzate!”
“Non so se funzionerà, però almeno qui sotto non arriverà il fumo tanto facilmente”.
Prima che potessi avvicinarmi a loro, il pavimento si è sollevato. Stava staccando una delle placche di cemento che separavano il magazzino dal seminterrato a mani nude.
“Questo…questo…non è normale…”
“E perché cazzo ti dovrebbe sembrare normale? Ti sembravo normale quando mi hai conosciuto?”.
La placca di cemento era grande abbastanza perché potessimo passarci in mezzo. Ha lasciato andare il pezzo di pavimento e ha spinto giù la bionda. L’abbiamo sentita strillare, il seminterrato era completamente allagato. Però aveva funzionato. Mi ha teso la mano per aiutarmi a scendere, ma le fiamme ormai erano troppo alte. Non sono riuscita a raggiungerlo, poi qualcuno mi ha afferrato per il braccio.
- Hanno trovato la consegna. Elle –
- Non dovete perderla per nessun motivo. SweetRevenge –
- Il fatto è che non c’è più nessun segnale. Elle –
- Nadia li sta cercando, resta nascosta finché non sarà finita. SweetRevenge –
- Le detenute sono passate, il mio stratagemma non gli è piaciuto molto, ma ha funzionato. Anarchy –
- Valli a prendere e sistema quella donna.
Portala da me, voglio anche l’uomo con i codici. SweetRevenge –
“Sbrigati, ormai non possiamo fare più niente”
“Non esiste, non la lascio qui”
“Non ha più quella pietra addosso, deve esserci qualcuno lì sopra. È ancora viva, ma la pietra è sparita”.
Non ne voleva sapere, il magazzino sopra di noi stava crollando, l’incendio era salito fino al tetto. Potevamo sentire i tralicci di metallo piegarsi per il calore e crollare a terra. Mi sono messa strillare, colpendo con i pugni C. A. sulla schiena. Quando ha provato ad arrampicarsi sull’apertura nel soffitto del seminterrato, mi sono aggrappata al collo. Per fortuna non è riuscito a raggiungere il bordo del tombino divelto. Le fiamme avvolgevano ogni cosa.
“Dobbiamo uscire di qui, idiota! Non possiamo farci niente, l’hanno presa quelli lì sopra”.
Cercavo di trascinarlo per il bavero del giubbotto, ha fatto qualche passo verso di me poi si è voltato ancora. Uno dei fusti di benzina è esploso proprio in quel momento. Lo spostamento d’aria ha spinto il fumo verso di noi. Ci siamo coperti il volto con il braccio, per un istante abbiamo avuto l’impressione di vedere la sagoma di L. M. dietro la coltre di fumo, qualcuno la stava trascinando via. C. A. si è voltato ancora verso il magazzino prima di lasciarsi portare via.
L’acqua era alta circa mezzo metro, non riuscivo a vedere niente. Mi sono concentrata sul posto in cui ci trovavamo, riuscivo a vedere il capannone come se mi trovassi al difuori del mio corpo. Poi ho ripreso a camminare, nell’arco di qualche minuto avremmo raggiunto le grate degli scarichi. Si versavano in un canale artificiale che circondava tutta la zona industriale. Non riuscivo a pensare a nulla, volevo soltanto uscire da quell’incubo. L’acqua del seminterrato aveva un odore tremendo di plastica fusa e benzina. Quando abbiamo raggiunto il canale siamo riusciti a vedere la luce all’esterno. Le grate però ci impedivano di uscire. Erano abbastanza grandi perché potessimo passarci in mezzo, ma le sbarre di ferro con cui erano costruite erano decisamente troppo spesse per poter essere piegate a mani nude.
“E adesso?”.
Lui non ci ha nemmeno fatto caso. Ha soltanto detto: “Ok”. Poi ha battuto con le mani aperte su una delle grate. Si è staccata dalla bocca del canale di scolo finendo all’esterno, come se fosse stata di cartone.
“Lo sai dove siamo?”
“Si credo di sì. La tua macchina è parcheggiata a circa due isolati da questo canale”
“Ok, ora ti porto fuori di qui”.
Si è tolto il giubbotto di pelle e me lo ha lanciato addosso, poi mi ha preso in braccio e mi ha caricata su una spalla, si è arrampicato sulla parete dell’argine cercando di non farmi cadere. Quando abbiamo raggiunto il ciglio della strada sopra di noi si è ripreso il giubbotto e mi ha lanciato le chiavi del suo fuoristrada.
“Portalo da “O”, devo riprendere quei tizi prima che se la squaglino”
“Non puoi tornare in quel casino, l’incendio avrà attirato l’attenzione degli sbirri, non credi?”
“Vai, ci rivediamo lì”.
Avrei voluto avere più tempo per spiegargli quanto fosse stupido a comportarsi in quel modo, ma non mi ha dato retta. È sparito in mezzo ai vicoli dirigendosi dritto verso la colonna di fumo che si stava alzando dal magazzino.
- È pieno di polizia. Non posso avvicinarmi di più. Not Fond 404 –
- La pietra? Anarchy –
- Sparita. Not Found 404 –
- Cerca di riprendere almeno quell’idiota. Anarchy –
- Il ciccione? Not Founf 404 –
- Ha un volo prenotato tra un paio d’ore. Non deve arrivarci. Prendi quel coglione e fatti aiutare a riprenderlo. Della donna me ne occupo io. Anarchy –
- Hanno anche quella ragazza, se le succede qualcosa ti fa a pezzi. Not Found 404 –
- Ormai non è più un problema. Anarchy -
FINAL REEL, RAINING BLOOD
Sulla strada appena oltre il canale, ho trovato la tizia del SUV nero. Quando mi sono avvicinato ha fatto per aprire lo sportello dalla parte del guidatore. Prima che fosse salita in macchina le ho messo una mano sulla spalla.
“Non ti offendere, ma non riesco a salire in macchina se non sono io a guidare. Mi rende troppo nervoso e poi uno di questi non l’ho mai guidato”
“Allora muoviti”.
Poi ha fatto il giro dell’auto mostrandomi il dito medio. Nello stereo aveva un album degli Overkill, appena ho messo in moto sul display è passato il titolo del pezzo, Elimination.
“Davvero azzeccato”. Prima di uscire dalla città le ho mostrato un SUV bianco nello specchietto.
“Cercano anche loro quel tizio”
“Che cosa avrebbe di tanto speciale quel ciccione?”
“Codici, il codice sorgente con cui viene criptato il segnale delle parabole”
“E a che accidenti servono le parabole?”
“Controllo”
“…wow”.
Il SUV bianco si teneva a distanza. Ho ridotto la velocità per lasciarlo avvicinare e mi sono acceso un sigaro alla menta.
“Che accidenti stai facendo?”
“Ma spiegami una cosa, davvero avete paura di questi stronzi?”
“Ti ho chiesto che stai facendo, così ci raggiunge”
“Vediamo se fanno sul serio, qui a pochi metri c’è una rotonda”.
Ho mollato l’acceleratore, il SUV si è avvicinato al paraurti posteriore dell’Hummer con gli abbaglianti accesi. Prima che potesse sbatterci contro ho pestato a tavoletta e ho fatto salire il cambio sequenziale mentre facevo saltare la cenere dal sigaro con il pollice fuori del finestrino abbassato. La distanza tra le due macchine si è allungata come un elastico. Prima della rotonda ho frenato di colpo, il SUV bianco ci è quasi venuto addosso, si è dovuto spostare nella corsia opposta per allungare la frenata. Nell’altro senso stava arrivando un camion carico di bombole del gas. Lo hanno schivato per un soffio. Ho imboccato la rotonda in piena accelerazione aspirando una lunga boccata dal sigaro, ho saltato tutte le uscite, un secondo dopo sono arrivato dietro il SUV. L’ho speronato sul lato destro, le gomme hanno cominciato a slittare sull’asfalto alzando una nuvola di fumo. Il bumper dell’Hummer era piantato nel loro paraurti posteriore.
“Te l’avevo detto, questi sono solo degli stronzi”.
Ho spinto di nuovo a tavoletta, l’Hummer ha sollevato il muso schiacciando il SUV bianco contro la decorazione floreale al centro della rotonda. Quando i due mezzi si sono fermati sono sceso spingendo lo sportello con il piede. Il tizio dal lato del guidatore stava per scendere, era accecato dal sangue che scendeva copiosamente dalla fronte. Gli ho sbattuto lo sportello del SUV sulla faccia prima che potesse mettere i piedi a terra. Poi l’ho riaperto e l’ho richiuso un’altra volta fino a sfondargli il cranio. L’altro tizio stava per saltarmi addosso cercando di aiutarlo. La coda del serpente a sonagli si è agitata nell’aria ancora. Ho visto l’altro tizio sparire risucchiato dal finestrino sull’altro lato. Not Found 404 lo aveva afferrato per il colletto della giacca appena in tempo. Sono passato dall’altro lato e gli ho afferrato la testa tra le mani. Poi ho cominciato a colpirlo con il palmo della mano aperto, sentivo le ossa della sua testa andare in frantumi una ad una.
“Dove l’avete nascosta? Allora testa di cazzo? Dov’è?”.
L’ho afferrato per il colletto della camicia per avvicinarlo, senza che me ne accorgessi la mano è affondata nel suo petto come se fosse stato di gelatina. Sentivo il suo cuore pulsare tra le dita.
“Lascialo! Idiota! Ormai l’hai ammazzato! Leviamoci di qui!”.
Ho colpito ancora il suo viso, il collo si è spezzato piegandosi da un lato. Quando l’ho lasciato andare mi sono accorto di stringere ancora in una mano il suo cuore.
“Ti ho detto che dobbiamo filare brutto idiota! Guarda che hai fatto!”
“Ok leviamoci di qui”.
Ho inserito la trazione integrale per disincagliare l’Hummer dalle lamiere, prima che arrivasse gente siamo spariti in mezzo ai vicoli. Un parcheggio sotterraneo, sono sbucato dall’altra parte, puntando dritto verso la strada per la tangenziale. Le prime sirene si sono avvicinate dalla direzione opposta.
“Hai fatto proprio un bel casino! Lucy si incazzerà come una belva! Che cazzo ti sei messo in testa? Vuoi giocare al giustiziere?”
“Ma che ne so, non farla tanto lunga, erano solo due stronzi. E poi io devo salvare Olivia”
“Sei un idiota, aveva ragione Nadia”
“Pensa che oggi non ho ancora mangiato gli spinaci”
“E’ inutile che fai tanto casino”
“Che vuoi dire?”
“Voglio dire che è inutile, è troppo tardi. L’hanno ammazzata”
“Stronzate. Mi prendi per il culo”
“Ti dico che è morta. Ok? E’ finita! Ha fatto una cazzata e ci ha rimesso le penne. Dobbiamo beccare il tipo prima che se la squagli”.
Mi ha costretto a puntare verso l’aeroporto, ma non c’è stato verso. Voli internazionali. L’aereo del tizio a cui stava dietro Lucy ci è passato sopra la testa prima che potessimo arrivarci.
“Cazzo, sei uno stupido. Se non avessi perso tutto quel tempo l’avremmo beccato”.
Ho accostato e sono sceso per guardarlo mentre spariva all’orizzonte. Poi mi sono appoggiato all’Hummer e ho acceso un sigaro, l’ultimo. Ho soffiato una boccata di fumo verso l’alto. Not Found 404 è venuta vicino a me mentre guardavo ancora il cielo. Gli aerei in fase di atterraggio passavano bassissimi sopra le nostre teste, coprendo ogni suono.
“Mi hai preso per il culo. Voglio sapere dove si trova”
“No, non vuoi saperlo”.
Mi ha passato un braccio intorno ai fianchi e si è appoggiata con la fronte alla mia spalla.
“Non vuoi saperlo”.
Ho lasciato passare qualche giorno prima di tornare nel deserto. Lucy mi aspettava nella piramide con Nadia. Stava osservando una pianura innevata attraverso il pozzo. La tigre gigantesca che avevo visto la prima volta era accovacciata alla base di una specie di trono di pietra.
“Dovresti aver capito chi sono ormai”
“Sì, credo di sì”
“Molti mi adorano, altri mi hanno dato la caccia e perseguitata per secoli. A volte sono stata venerata come una stella. In effetti potrei sopravvivere nello spazio vuoto anche se questo mondo non esistesse. Tra quelli che mi danno la caccia ci sono persone che sono riuscite a strapparmi dei segreti. Li usano per tenermi rinchiusa. Vorrei soltanto tornare a casa, ma non posso farlo da sola”
“Secondo Andrej Tarkovskij, non devi mai chiedere l’aiuto di nessuno se sei in grado di fare una cosa da solo.”
“Vedi quella tigre? Dall’altra parte una donna vive in simbiosi con la sua mente. Lei non capisce gli istinti della tigre, così come la tigre non comprende i suoi sentimenti per lei”.
“Significa anche che se chiedi l’aiuto di qualcuno ne hai veramente bisogno”.
Nadia si è avvicinata a lei, le ha strofinato il muso contro le gambe prima di accovacciarsi ai suoi piedi.
Dopo Lucy ha ricominciato a parlare.
“Perché non usi quello che sai fare per ottenere quello che vuoi?”
“Trattenere il desiderio è piacevole quasi quanto soddisfarlo”
“Lo sai quello che vuoi? Lo hai già ottenuto?”
“Forse sì. D’altra parte, non puoi dire che una cosa ti appartiene se non sei in grado di difenderla”
“La tua vita non ti appartiene più di quanto ti appartenga quest’isola. Quella L. M. si è lasciata travolgere dalla situazione”
“Che cosa c’entra la ragazza in tutto questo?”
“Era solo un vettore”.
È venuta verso di me e ha appoggiato il suo corpo nudo al mio. Il serpente corallo che mi aveva mostrato al nostro primo incontro si è annodato intorno al collo, passando velocemente dalla sua spalla alla mia. Appena mi ha conficcato i denti nella pelle, mi sono trovato nel mezzo della distesa innevata. Il freddo era inconcepibile. Ho camminato fino a raggiungere il limite della pianura, mi sono fermato soltanto di fronte ad un gigantesco blocco di ghiaccio. Attraverso il suo bagliore azzurro ho visto la storia di Lucy dall’inizio, come se si trattasse di un racconto illustrato. Ho appoggiato la mano alla lastra di ghiaccio, l’immagine sfocata di Lucy si è avvicinata dall’altro lato e ha appoggiato la sua. Quando il serpente corallo ha allentato la presa ho sentito un forte bruciore intorno al collo. Mi aveva lasciato un altro tatuaggio imprimendo le sue spire sulla pelle.
“Sai cosa significa vero?”
“A volte un’illusione è più credibile della realtà. Più autentica”
“Le manchi. Noi non centriamo con quella ragazza”
“Sto per andare in vacanza. Non contate su di me per la prossima consegna”
“Che cosa hai visto oltre il ghiaccio?”
“Un fiore. Una margherita, un bellissimo fiore, non ha odore ma il suo bianco intenso può essere incredibilmente bello nella sua semplicità”
“La mia consegna è sparita”
Si è allontanata rivolgendomi un ultimo sguardo prima di scomparire nell’oscurità dietro al trono. In mano mi aveva messo una carta da gioco.
Regina di fiori
FADE IN FADE OUT, BIANCO E NERO
È stato strano tornare con C_Ca. Ormai era diventata quasi una fidanzata. In qualche modo eravamo in grado di comunicare anche quando restavamo separati per lungo tempo. Siamo lontani e distanti, allo stesso tempo siamo una cosa sola, mi ha detto mentre facevamo l’amore in un capannone abbandonato. Quando le sono venuto dentro è scoppiato un temporale, la pioggia batteva sulla tettoia di lamiera facendo un chiasso infernale.
“La balena ha ricominciato ad immergersi”
“Lo so. Lucy ti è riconoscente. Ti ha lasciato un messaggio tatuato sulla schiena di Jennifer. La prossima volta che vi incontrerete ti darà la tua ricompensa”
“E magari si farà un altro sorso del mio sangue…”
“Tesoro, è solo un piccolo prezzo da pagare. Tutte le cose ne hanno uno”
“E già, bella mia. E già”.
“Non hai ancora capito che cosa è successo con quella tipa, vero?”
“Crediamo solo a quello che vogliamo credere, è questo il punto. Come dice Edgar Allan Poe: la natura umana è una palude, per alcuni possiede un fascino morboso irresistibile. Se ci pensi bene, comunque, resta pur sempre una palude”.
Abbiamo continuato a guardare il temporale abbracciati sul portone del capannone. Per tutto il tempo non ha fatto altro che baciarmi sul collo accarezzandomi i capelli.
“Io però sono reale".
FIN
Ci siamo incontrati all’interno della frequenza di un orologio a pendolo che scandiva la mezzanotte.
“Dove stanno andando tutte queste persone?”
“Non ne ho idea”
- Quando andiamo a scopare? C. A. –
- Certo che hai una bella faccia di culo. Potresti stare seduto sulla sedia a testa in giù. C_Ca. –
- Che? C. A. –
- Mi hai lasciata sola tutta la settimana. C_Ca. –
- Però ho pensato spesso alla tua passera C. A. –
- Beh, non lo so. Vediamo più avanti. C_Ca –
- Perché? Adesso che hai da fare? C. A. -
- Niente. C_Ca. –
- Si certo. Che stai disegnando? C. A. –
- Il profilo di una donna senza testa, tenuta a pecorina dalle mani di E.T. C_Ca. –
“Che cos’è questa roba?”
“Cathy Ménard. Ci credi? Non troverai mai più un porno con una trama così complessa. Ci sono persino delle riprese all’esterno.”
“Non quella, non fare sempre il cretino. Queste foto qui”
“Hanno detto che volevano provare il labirinto”
Si è alzata gli occhiali a specchio sulla testa.
“Ma gli avete spiegato perché lo chiamano labirinto?”
Da una delle stanze un colpo di frusta ha risposto alla sua domanda. Non ha avuto il tempo di ricominciare a parlare, un urlo seguito da altre frustate le ha fatto perdere la concentrazione. Guardava nella direzione delle frustate con la bocca socchiusa. Si è abbassata lentamente gli occhiali.
“Chi è il tizio con E. B. come si sono conosciuti?”
“Sono sposati. Io devo andare in un posto zuccherino. Bye right”
“…right, right”.
Non le avevo detto proprio tutto sui due tizi nel labirinto. La donna era stata da “O” diverse volte, la classica doppia vita divisa tra perversioni mal celate e normalità. Ormai ero sicuro che l’aspetto apparentemente innocuo non fosse altro che un’elaborata strategia di sopravvivenza. Un espediente con cui nascondere la vera natura della sua personalità morbosamente attratta dalle torture psicologiche. Non era molto diversa da una pianta carnivora che attira gli insetti con i suoi colori sgargianti soltanto per intrappolarli. Il marito invece era poco più che una comparsa, le serviva per ricreare le condizioni adatte a dar sfogo alle sue ossessioni. Per il momento preferivo evitarli, volevo rivedere Marina. Ero sicuro che stesse cercando di fare in modo che la protagonista del suo racconto la facesse franca, anche se ancora non ci era riuscita. Mi aspettava in cima alla scogliera sotto la quercia. Non doveva ricordarsi molto del suo sogno sull’isola, era rimasta in coma per due settimane dopo un’overdose di cocaina. Erano riusciti a riportarla indietro per miracolo. Io stesso sapevo di ricordare alcuni aspetti di quella dimensione surreale, soltanto nel sogno. Ricordavo sempre l’isola, la donna del glicine riusciva a comparirmi davanti agli occhi anche quando ero soltanto assorto o sovrappensiero, ogni volta che succedeva, la luce del giorno diventava sempre più fastidiosa. Mi sono massaggiato il collo e ho continuato verso casa.
Una volta solo, sono stato nel cinema dell’isola. Fumavo guardando pezzi di vecchi film a caso. Lo schermo è rimasto nero per qualche secondo, ed è iniziata una lunga sequenza di paesaggi. La maggior parte erano foreste e deserti. Ai piedi di una piramide una donna mi chiamava con lo sguardo, un intenso profumo di glicine ha avvolto la sala come se facesse parte delle immagini proiettate. Subito dopo mi sono trovato di fronte a lei. Siamo entrati all’ interno della piramide salendo verso la cima. Raggiunto l’ultimo livello ci siamo fermati al centro di una specie di terrazzo. Un cubo di pietra si è sollevato dal pavimento, quindi il vertice si è staccato dalla base di qualche metro restando sospeso nell’aria. Guardavamo all’esterno sotto di noi, attraverso l’apertura lasciata dal cubo.
“Che cos’è questo posto?”
“La nascita dei Balcani”
Due giganti addormentati giacevano sotto la superficie del mare. Abbiamo sorvolato templi diroccati e città sconosciute, l’apertura lasciata dal cubo continuava a muoversi come uno squarcio sul tempo. Un’enorme tigre è uscita dall’oscurità alle spalle della donna e si è seduta al suo fianco. Mentre l’accarezzava sentivo il suo respiro affannoso, incuriosito dalla mia presenza.
“Guarda. Una sola di quelle frequenze, potrebbe farti esplodere le sinapsi in meno di un secondo”
Ha indicato con lo sguardo un groviglio di cavi elettrici nell’apertura. Si estendeva intrecciandosi fino a raggiungere un’antenna parabolica posizionata sulla cima di una collina.
“Sai come funziona?”
“Nessun dispositivo scannerizza il transito dei flussi. Sono come gli scambi ferroviari. Quando gli elettroni decadono si apre. Sei mai stato dentro uno di quelli?”
“Sono pieni di interferenze. Lascia stare, è come rovistare nei rifiuti. Dopo un po’ ti fa venire il mal di testa”.
Ho percorso lo spettro luminoso attraverso lo spazio che mi separava dal corpo. Marlene Dietrich fumava pensierosa sul treno diretto a Shangai. Mi sono alzato e sono tornato indietro.
Più tardi sono uscito per andare da “O”. Una ragazza mi aspettava appoggiata contro il Patrol. Non l’avevo mai vista prima, mi sono avvicinato chiedendomi come avesse fatto a non farsi arrestare per atti osceni, visto il vestito quasi trasparente che indossava. Il disegno nero ricamato nascondeva a malapena i capezzoli. Era agganciato ad un collare di cuoio da un anello d’acciaio. Un braccio disteso lungo il fianco, con l’altra mano si tormentava le labbra. Il trucco molto pesante sugli occhi impediva di decifrare la sua espressione sfumando i lineamenti del viso. Pensavo di salire in macchina e partire facendo finta di niente, ma era proprio sul lato del guidatore. Sono rimasto con le mani sui fianchi a guardarla mentre continuava a tenere gli occhi bassi. Senza dire una parola ha fatto il giro del Patrol e si è fermata dal lato del passeggero. Sono salito intenzionato a mettere in moto e ad andarmene, quando ho notato due mollette fermacapelli colorate, una verde l’altra azzurra. Le tenevano la fronte libera dalla frangetta. Con una mano aveva afferrato l’orlo del vestito sollevandolo leggermente per mostrarmi la fica completamente rasata. Ho alzato la sicura e ho spinto lo sportello.
“Non mettere la cintura”.
Le ho passato una mano dietro la nuca. Prima di cacciarsi il cazzo in gola mi ha detto: “Non faccio che masturbarmi, non ne potevo più di restare a guardarvi dentro quel tornado”.
“Come sai del tornado?”
Invece di rispondere, si è alzata aggrappandosi allo schienale per farsi scopare da dietro. Quando siamo arrivati sull’isola tropicale l’ho trovata sdraiata al centro di un ruscello, poco distante dalla casa sulla spiaggia. Una treccia di fiori usciva dalla sua bocca sbocciando man mano che si allargava lungo il corso d’acqua. Ho imboccato il sentiero nel bosco e mi sono diretto verso l’oratorio abbandonato. Al suo interno un branco di leonesse riposava all’ombra degli alberi. Alcune mi stavano osservando mentre mi avvicinavo al tornado, accovacciate sulle nicchie delle archi-travi. Una di loro si era sdraiata sulla soglia del varco.
“Devi scendere con quella ragazza nel pozzo al centro della piramide. Lei non può farlo, l’antenna che hai visto non la lascerebbe proseguire di un passo una volta entrata lì dentro”.
Mentre la leonessa parlava nella mia mente, davanti agli occhi mi è passata l’immagine della donna nella piramide: camminava in mezzo al deserto coperta da un velo nero, seguendo la direzione della luna. Le ho posato una mano sulla testa, lei ha ruggito minacciosa, ma si è fatta accarezzare.
“Mi chiamo Nadia”.
REEL ONE, SINAPSI
Sono tornato a cercare la ragazza che avevo incontrato appoggiata al Patrol. Era riuscita a trovare il cinema all’aperto. Si stava masturbando seduta nella prima fila guardando un film sado-maso.
“Hai voglia di leccarmela?”
Le ho sollevato le gambe per le caviglie e ho iniziato a scoparla. Si è aggrappata al seggiolino, cercava di guardarmi negli occhi, ma le pupille le si giravano verso l’alto. Aveva la fica strettissima, mi stava mandando al manicomio. Mi sono messo le sue gambe sulle spalle prima di venirle in faccia. Aveva il vestito arrotolato sopra la pancia. Mentre raccoglieva lo sperma dalle guance per leccarlo mi ha detto: “Lavami la faccia”
Si è inginocchiata per succhiare il cazzo, lo ha massaggiato con il palmo della mano aperta e l’ho accontentata. Dopo abbiamo guardato il film ancora per un po’.
“Come ti chiami? Io mi chiamo Lau…”
“Non dirmelo, è meglio. Dimmi solo l’iniziale”
“Perché?”
“Preferisco non saperlo”
“…Elle.”
Stavo sfiorando il collare di cuoio con un dito.
“Vieni Elle, dobbiamo andare”.
Ho infilato l’indice nell’anello d’acciaio e l’ho tirato verso l’alto per farla alzare in piedi.
“Lo sai che hai proprio un bel nome, Elle?”. Lo schermo è diventato nero, il film si è interrotto bruscamente per lasciare spazio ad un’immagine di Elle. Si spazzolava i capelli nuda di fronte allo specchio. Li aveva portati tutti su un lato. Ha afferrato una lametta da barba, tenendola stretta tra indice e pollice. Scintillava in primo piano sotto le luci del bagno. Una pioggia di ciocche di capelli neri è caduta sul bianco intenso della ceramica. Ha lanciato la lametta nel lavandino e si è chinata in avanti verso lo specchio. Le unghie coperte di smalto bianco trasparente creavano un contrasto molto piacevole con il nero corvino dei suoi capelli, mentre passava le dita sulla tempia rasata a zero. Ha stretto il collare intorno al collo e si è voltata verso la tigre alle sue spalle. Ci siamo incamminati verso una stanza buia tenendoci per mano, la donna della piramide ci osservava dall’alto seduta sul bordo del pozzo.
“Che cos’è questo suono? Sembra il ronzio dei cavi dell’alta tensione”
“Non farci caso, concentrati sul suono solo quando vuoi tornare indietro”
Si è messa in bocca un bavaglio di metallo e ha continuato a parlarmi con la mente.
“Perché non ti togli mai questo giubbotto di pelle? Non ti ho mai visto nudo neanche quando vi spiavo all’interno del tornado”
Non le ho risposto e ho continuato a camminare. Stavamo percorrendo un lungo corridoio, una passerella di metallo all’interno di un cunicolo. Le pareti erano coperte di cavi elettrici, si muovevano come serpenti al nostro passaggio. I tacchi degli stivaletti di Elle facevano rimbombare i suoi passi nella penombra. Sotto di noi una gigantesca tubatura di ferro si snodava nell’oscurità seguendo la passerella su cui stavamo camminando.
“Mi sono accorta che i riflessi della luce sull’acciaio riescono a farmi saltare nel tempo. A volte pochi minuti, in qualche occasione, se sono molto forti, anche diversi giorni. Ho capito che si trattava dei riflessi del metallo mentre ti guardavo scopare con la tua amica. Quella che porta sempre gli occhiali a specchio”
“Per questo ti piace tanto il ferro chirurgico”
“Non vedo l’ora di farmela”
“Anch’io”.
Siamo sbucati in una stanza quadrata dai muri altissimi. Sulla parete di fronte a noi era stata dipinta un’immagine di Osiride, ai suoi piedi pendevano delle catene, le manette alle loro estremità erano aperte. L’aria impregnata da un fortissimo profumo di glicine.
“Tu sai cosa ci facciamo qui?”
“Una consegna”
Mi sono avvicinato e ho frugato tra i suoi capelli sulla nuca. Ho estratto un lungo spillo con la testa nera. Era conficcato tra la scatola cranica e le vertebre. Lei mi ha guardato con gli occhi sbarrati.
“Non so a cosa le serva. Non farti troppe domande su quella tipa. A volte ci chiede di fare delle consegne come questa. Da quello che ho capito sono come messaggi nella bottiglia abbandonati nel corso del tempo. Credo sia naufragata qui moltissimi anni fa”.
Annuiva con la testa.
“Continuiamo?”
“Ok”
Si è ammanettata alle catene per scopare.
“Così possiamo uscire da questo posto, nel deserto…prima nella fica”.
L’ho accontentata di nuovo. Aveva il corpo magrissimo, riuscivo a sentire le costole anche attraverso i guanti. Le mura della stanza si sono dissolte, come un sipario che si alza all’improvviso. All’esterno era notte fonda, le nostre ombre si sono allungate sotto la luce della luna. Del tempio di Osiride erano rimasti solo alcuni ruderi. Si è aggrappata alle catene, tenendo la testa piegata verso il basso. Le ho liberato i polsi dalle manette e l’ho fatta girare per farle succhiare il cazzo. Alcuni germogli di Edera nera sono spuntati dalla sabbia, salendo rapidamente lungo la parete. A quella velocità avrebbero ricoperto i resti del tempio nel giro di pochi minuti. Gli occhi di una donna si sono aperti lentamente tra le foglie e sono subito svaniti indicando un varco attraverso le rovine. Siamo usciti dal tempio per riprendere a camminare.
Sulla sabbia erano ancora visibili delle orme, si perdevano tra le dune oltre l’oscurità. Le abbiamo seguite fino ad un’oasi disseccata in mezzo al deserto. Un albero spoglio vicino ad un gruppo di rocce e una grossa chiazza di sabbia umida e scura. Elle si è appoggiata con la schiena all’albero. Mi ha sfilato lo spillo dal colletto del giubbotto per conficcarselo nell’occhio destro, tenendo la testa nera tra l’anulare e il medio. Attraverso le sue dita l’acqua zampillava gocciolando sulla sabbia. In pochi istanti è diventata un piccolo ruscello. Scorreva tra le rocce insinuandosi in mezzo a due enormi massi al limite dell’oasi. Piante irriconoscibili si sono alzate dal terreno arido seguendo il suo percorso.
“Continuiamo?”
“Ok”
“Come sei riuscita a ricordarti del tornado?”
“Nadia. Mi ha raccontato un sogno che avevo fatto, ma di cui non ricordavo niente. Era di fronte a me, la sentivo nella mia testa. Mentre parlava però ero sicura stesse mentendo”
“Eri già stata sull’isola?”
“No, ma quando mi sono ricordata del tornado ho iniziato a vedervi. La vostra immagine si sovrappone ai miei pensieri. Senza preavviso appare nitida nella mia mente, come se fosse in grado di sovrascrivere l’immaginazione
“Ti sbagli, non è così che funziona è l’esatto contrario”
“Aspetta, deve essere qui sotto”
Non capivo il motivo per cui si fosse fermata. Si è inginocchiata a terra e ha cominciato a scavare con le mani nella sabbia. A pochi centimetri di profondità era stata sepolta una fune rossa, identica a quella che avevo visto dalla scogliera con Marina. Ne ha dissotterrato qualche metro, il resto si è liberato da solo alzando una nuvola di polvere fino a perdersi dietro le dune.
“Forse ci riporterà sull’isola”
“Continuiamo?”
“Ok”
“L’amore non corrisposto?”
“E’ come stare seduti sul trono di un regno in rovina”.
Abbiamo proseguito fino a raggiungere l’estremità della fune rossa. Era legata intorno ai polsi di una donna inginocchiata al centro di una meridiana, tra le dune. Portava una benda sugli occhi. Elle ha sciolto i polsi e le ha messo delle rose nere tra i capelli, io ho slegato la benda. Il viso coperto di sabbia si è rigato di lacrime blu, scendevano inzuppando il vestito dello stesso colore della fune.
“L’amore corrisposto?”
“Ancora peggio. Hai mai incontrato un bivio?”
“No”
“Continuiamo?”
“Ok”.
Le stelle stavano cedendo alla luce rossa dell’alba. Superate le dune siamo scesi lungo una pista battuta. Il relitto di una grande nave da crociera proiettava la sua ombra sulla strada quasi rettilinea. La chiglia coricata su un fianco attraversata da lunghe macchie di ruggine metteva Elle in agitazione.
“Non ti sembra paradossale indicare la più potente forma di energia mai scoperta con una parola che significa: indivisibile. Nonostante questa energia provenga dalla frammentazione della materia?”
“Dovremo superare una frequenza molto alta, cerca di ricordarti il silenzio del deserto che abbiamo attraversato”
“Ok”
“A me sembra più bizzarra l’assonanza della parola materia con la parola mater”.
La pista si interrompeva di fronte ad una recinzione metallica. Una rete di acciaio alta più di due metri, sormontata dal filo spinato. Si estendeva a perdita d’occhio intorno a noi impedendoci di proseguire. Ai suoi piedi abbiamo trovato una ragazza nuda, il viso era in parte nascosto dai capelli. Aveva un plug con una pietra verde smeraldo infilato nel culo, le mani affondavano nella sabbia mentre ondeggiava lentamente i fianchi come se si trattasse di un invito. Dall’altro lato della rete metallica, un’altra donna le parlava attraverso un velo nero annodato dietro la nuca aspettando che ci avvicinassimo.
“Lucy?”
“Intendi la donna all’interno della piramide?”
“Aveva con sé la tigre?”
“Ci ha condotto qui”
“Non potrete tornare dalla galleria che avete attraversato all’inizio, è completamente allagata. Dovrete trovare un altro passaggio. Cercate di non ascoltare il suono dell’alta tensione”
Alle sue spalle un traliccio di ferro emergeva da un groviglio di cavi. La cima era sormontata da un proiettore simile a quello di un faro. La sua luce blu si accendeva e spegneva intermittente trasmettendo un segnale morse in una direzione ben precisa verso il deserto. Elle si è avvicinata alla rete appoggiando l’occhio in cui era ancora conficcato lo spillo nero ad una delle sue aperture, in modo che la donna dall’altro lato potesse sfilarlo. Estratto lo spillo l’occhio è tornato normale.
“Potete divertirvi con lei fino a che non sarà di nuovo buio”.
Elle non ha perso tempo, ha messo il suo collare alla ragazza a terra e ha infilato un dito in uno degli anelli d’acciaio trascinandola come un cane disobbediente. L’ha fatta bere dalla fica, strattonando il collare ogni volta che cercava di tirarsi indietro con la bocca piena.
“Due persone ti aspettano in un labirinto. Hanno perso il controllo, a volte vorrebbero ucciderti. In altri momenti pensano che tu possa ancora servirgli”
“Li ho portati io nel labirinto, non ne usciranno mai”
“Che cosa c’era scritto sul biglietto che hai mandato a quella ragazza tedesca?”
“Una poesia di Poe, Israfael”.
Sono rimasto a guardarla scomparire nella foschia intorno alla base della torre. Poi mi sono messo a scopare la fica della ragazza sdraiata sopra Elle. Si stavano leccando, la lingua di Elle passava sul cazzo mentre lo spingevo dentro. Volevo sfilarmi i guanti per toccarle la pelle anche se sapevo che mi avrebbe fatto venire un forte mal di testa. Il dorso muscoloso della sua schiena era irresistibile.
“La tua amica è buonissima”. Le ha appoggiato una guancia sulla pancia e si è messa a ridere.
“Sborrami in bocca per favore”.
Ho accontentato anche lei.
Siamo tornati sull’isola seguendo la recinzione metallica. Elle era seduta di fianco a me nel cinema all’aperto, la ragazza incontrata nel deserto dormiva con la testa appoggiata sulla spalla di Marina, vicino a noi.
“Chi sono quei due nel labirinto?”
“Li ho visti là fuori, sul fondo dell’oceano.”
“Pensavo volessi andare da loro”
Continuava a parlare fissando Tyrone Power sullo schermo, intento ad organizzare il rapimento di Lady Denby.
“Quoth the Raven, nevermore”
“Ho sognato di essere un’altra persona. Quando mi sono svegliata, per un attimo ho avuto la sensazione che entrambe fossimo reali”
“Hai terminato il tuo racconto, riesce a squagliarsela?”
“Credo di sì. Ho provato a rileggerlo, ma non sono riuscita a capire che cosa voglia dire. A volte mi dà l’impressione che non significhi niente”
“Guarda questo. Lo chiamo l’Ammiratore segreto. Qualcuno le lancia dei fiori, lei ne ha preso uno con la bocca. Dietro c’è un uomo, è lui a lanciarle i fiori. L’espressione della donna però lascia intendere che non ne conosca la provenienza. Sai come si intitola veramente? Il filo rosso. L’hanno esposto per strada senza nemmeno il nome dell’autore. Più tardi hanno aggiunto questa scritta con una targhetta: “Che cosa cucino? Non lo so, l’importante è che cucini”.
“Ho fatto dei sogni”
“L’hai vista?”. Mi sono svegliato prima che potesse rispondere.
HIGH ENERGY PROTONS
“Questa?”
“Una cosa semplice”
“Cioè?”
“Disallineate”
“Hai uno strano modo di leggere la realtà”
“A dopo”
“Ok”
JAM SESSION, REPLICATORI
Ho di nuovo incontrato E. B. sull’isola, se ne stava seduta sui talloni sotto la luce della luna. Guardava verso il mare. Aveva i capelli lunghissimi legati con la coda, molto più lunghi dell’ultima volta in cui l’avevo vista da “O” nella stanza del pavone. Sul viso indossava una maschera verde. La sua ostinazione nel volersi nascondere il volto sembrava quasi un paradosso. In molte occasioni aveva dato prova di essere in possesso di una bizzarra capacità: era in grado di farsi dimenticare dalle persone a suo piacimento. Io stesso stentavo a ricordare il suo aspetto, ogni volta che me la ritrovavo davanti mi rendevo conto di come il suo viso fosse completamente diverso da quello che ricordavo. Per questo motivo ormai ero convinto che la sua fissazione per la maschera fosse più che altro un feticcio, una questione puramente estetica. Le ho infilato un dito in bocca e l’ho fatto roteare intorno alla lingua. Lei è scoppiata a ridere e mi è venuta voglia di scoparla. L’ho spinta indietro per leccargliela. Ha aperto le gambe e si è appoggiata a terra con i gomiti.
Doveva essere appena stata in acqua, la pelle era molto salata. Volevo farla venire in fretta, l’ho baciata intorno alla fica e sulle gambe. Stava per dirmi qualcosa, ma le parole si sono spente sulle labbra quando le ho infilato una mano dentro, fino al polso. Ha piegato la testa all’indietro un secondo prima di raggiungere l’orgasmo.
“Come hai fatto a ricordarti di me?”
“Non ne ho idea, è successo per caso”
“Questa volta non ricorderai niente”
“E’ stato divertente umiliarti in quel modo”
“Sei stato tu a parlarmi della fortuna e di come cogliere le occasioni”
Le onde sulla spiaggia hanno spinto a riva un pedone degli scacchi, è rimasto incastrato in una bottiglia rotta piantata nella sabbia. Si è abbassata la maschera, ma ha voltato la testa da un’altra parte.
“Qualche giorno fa ho fatto un sogno stranissimo. Ero su questa spiaggia, stavo leggendo qualcosa su una pergamena, o forse si trattava di un disegno. Indossavo un vestito nero. Sono rimasta a lungo a guardare la pergamena, fino a che non ha fatto giorno. Poi ho tolto il vestito e mi sono sdraiata a terra. Nonostante fosse pieno giorno si vedeva la luna enorme e bassissima nel cielo, subito dopo ero in piedi e tenevo qualcosa appoggiato sopra la testa, la tenevo ferma con una mano, come in quella storia, hai presente? Come se stessi facendo da bersaglio”
“Non è mai troppo tardi, l’allegato trentanove”
“Cosa faresti se non riuscissi più a svegliarmi?”
“Cammina lungo il viale di cipressi. Il suono dei tuoi passi sulla ghiaia ti farà eccitare. Sospesa nel vuoto di fronte a te vedrai una piramide, una sfera nera si metterà tra te e la piramide. Tu non fare caso alla sfera, continua a camminare fino a raggiungere la piramide. Ti sveglierai nel tuo letto, andrai a prendere qualcosa da bere in frigo e tornerai a dormire come se niente fosse”
“Non devo guardare la sfera? E quella balena che si vede in mare aperto? Sono rimasta ore a fissarla, la sua immersione non si ferma mai, è interminabile, una lentezza infinita”
“Forse è lì da sempre. Tu però non guardare la sfera ok? Stai alla larga dalla sfera”
“Hai capito quello che cercavo di dirti con il rosso e il nero?”
“Si, ho capito”
“Quando ci ho pensato mi è piaciuto. Non avevo mai provato un orgasmo così forte. Allora? Cosa rispondi?”
“Come vuoi”
“Vengo venerdì. Adesso possiamo scopare o non ne hai voglia?”
“No, però non ho nemmeno voglia di svegliarmi”
“Metto la giarrettiera, prima di suonare alla porta mi tolgo il vestito e resto solo con le calze e gli stivali di pelle”
“Sei una masochista, ti piace essere sottomessa. In questo modo ti sembra di avere il controllo sulle persone”
“E per questo motivo ti faccio schifo?”
“Perché vuoi ricominciare? Ci è mancato poco. Ti ho già lasciata andare”
“Sei un rincoglionito. Perché non riesco più a farne a meno, ormai è il nostro gioco. Lo capisci?
Metti l’uniforme da SS e i guanti”
“E’ per questo che indossi sempre quella maschera? Speri che qualcuno prima o poi te la faccia saltare via davanti a tutti?”
“Ho paura che tu non abbia capito”
“Non ci vedremo mai più”
“Tequila bum! Bum! E pompini”
“Andata”.
R.E.M. RISVEGLIO
Da quando avevo attraversato il deserto con Elle la realtà in cui mi trovavo da sveglio vacillava sempre più spesso, alterata da allucinazioni continue. I mesi successivi sono trascorsi rapidamente, ero stato completamente assorbito dal lavoro. Poi ho incontrato una ragazza. Le avevo mandato una mail di contatto per un cliente dopo un’occhiata veloce al suo profilo su internet, ma non avevo ottenuto nessuna risposta. Avevo continuato ancora per un po’ a scartabellare tra gli archivi online senza concludere niente e alla fine avevo lasciato perdere. La mattina seguente sono uscito per comprarmi un pacchetto di sigari alla menta. In macchina mi sono accorto di non avere contanti, avevo passato giorni tappato in casa trascurando tutto e le monete sparse nel portaoggetti non erano abbastanza per i sigari. Ho dato una seconda occhiata, ma soltanto per rassegnarmi a tirare fuori dalla tasca la moneta portafortuna. A malincuore l’ho messa sul bancone insieme alle altre restando a guardare malinconico la statua di Marco Aurelio su una delle facce. Aspettavo che la tizia del negozio le raccogliesse e mettesse al loro posto il mio pacchetto di sigari. Invece è rimasta a guardarmi in silenzio, come se fosse stata messa in pausa, paralizzata da una dilatazione improvvisa del tempo. Subito dopo le luci si sono abbassate mettendosi a tremolare, lo spazio si è deformato.
“Verrai investito da un segnale fortissimo”.
Una pressione sulla nuca come se qualcuno mi stesse fissando intensamente mi ha costretto a guardare alle mie spalle. Sono stato attraversato dall’immagine di un serpente a sonagli, una frustata improvvisa simile ad una scarica elettrica. Agitava la coda acciambellato sulla sabbia. In un istante è svanito per lasciare il posto ad una donna con i capelli ricci ferma sulla porta. Aveva addosso uno strano profumo, un vestito aderente nero coperto di glitter rosso scuro e occhiali da sole. Una mano era appoggiata su un fianco, l’altra indicava verso il basso con l’indice disteso. Prima che potessi trovare una spiegazione razionale alle sue parole, la tizia del negozio ha messo i sigari sul bancone e le luci sono tornate normali.
“Sono questi?”.
Ho afferrato il pacchetto e sono uscito cercando di schivare la donna sulla porta. Quando le sono passato di fianco ha aggiunto: “Not Found 404”.
Appena uscito, mi sono trovato di fronte un Hummer nero con i vetri oscurati, era in sosta sul marciapiede con il motore acceso. Targa svizzera. Ho cercato di convincermi a non pensarci, sicuramente si trattava solo di una coincidenza, ma non sono comunque riuscito a respingere il pensiero che mi stava martellando nella testa: “Cazzi enormi in arrivo”. Una volta a casa ho aperto la posta, tra i messaggi non letti c’era la risposta alla mail di contatto.
- Potrebbe darmi qualche dettaglio in più sul lavoro da fare? L.M. –
- Possiamo incontrarci per parlarne? Cerco un tecnico per un cliente. Mi serve un sopralluogo. I. B. –
- Si certo. L. M. –
La notte prima di incontrarla sono uscito in giardino a fumare sotto la luce della luna piena. Le ombre tra gli alberi erano intrecciate in un amplesso. Ho pensato all’oratorio abbandonato, la luna attraversava il cielo rapidamente seguendo l’arco della struttura rimasta ancora in piedi, subito dopo l’ala di un angelo nero la oscurava completamente.
Mi sono presentato all’appuntamento convinto che non ne avrei cavato un ragno dal buco. Era incredibilmente giovane, completamente nel pallone, impacciata al punto da far tenerezza. Non sono riuscito a dirle nemmeno la metà delle cose che avrei dovuto dirle. Il proprietario dal canto suo non prometteva niente di buono, sembrava una speculazione immobiliare lontano un chilometro. Diceva di aver avuto il mio numero da un’agenzia che in realtà non avevo mai sentito nominare. Durante la telefonata una vocina nella mia testa mi aveva messo in guardia pregandomi di rifiutare, invece avevo accettato. Come se non bastasse pioveva a dirotto.
Abbiamo dato un’occhiata rapida alla casa, per tutto il tempo non sono riuscito a toglierle gli occhi dal culo. Cercavo di non farglielo capire, ma non ero affatto sicuro di esserci riuscito. Non parlava gran che, sembrava palesemente in imbarazzo. Siamo rimasti sempre insieme, a parte quando ci hanno fatto vedere la soffitta. Lei era rimasta di sotto insieme al proprietario e il suo socio. Niente di insolito, ho semplicemente pensato che non avesse voglia di riempirsi di ragnatele, in effetti era piuttosto sudicia. Dal tetto malandato filtrava la luce esterna, sul pavimento si erano formate delle grosse chiazze scure in corrispondenza delle aperture da cui filtrava la pioggia. Completamente vuota, a parte una pila di vecchi romanzi western accatastati uno sull’altro contro il muro, non c’era altro. Prima di scendere ho notato un paio di ganci avvitati alle travi, sembravano del tutto inutili. Più tardi siamo stati insieme anche in un altro posto, un negozio di abbigliamento in fase di restyling, sempre per lo stesso tizio. Il magazzino era pieno di manichini, figure indefinite avvolte dal buio dell’edificio sprovvisto di corrente. Appena soli ha cambiato atteggiamento, sembrava un’altra persona. Le sagome di quei corpi di plastica ammassati devono aver fatto scattare qualcosa, le difese del pensiero razionale sono crollate sotto i colpi dell’attrazione fisica. Ho sentito un tam-tam assordante all’altezza delle tempie, il senso dei suoi discorsi si è perso nel vuoto stemperato dalla visione di corpi nudi attorcigliati. Si fingeva scostante, in realtà era più che altro seccata perché ancora non avevo preso l’iniziativa nonostante le sue intenzioni fossero chiare. L’ho spinta in uno degli spogliatoi con lo specchio e le ho infilato le mani nei jeans abbassandoli alle caviglie, non avevo prestato attenzione ad una sola delle parole che aveva pronunciato fino a quel momento, avevo soltanto cercato di assecondarla fino a quando non ero stato sicuro che non potesse più tirarsi indietro e filarsela. Non mi sono nemmeno preoccupato di considerare il vantaggio pratico nell’abbassarle in quel modo i jeans e in effetti non ci siamo affatto trovati in una posizione favorevole per scopare. Volevo che la sua fica fosse finalmente libera da quella prigione di stoffa.
“E allora? Che ti prende? Le mani addosso no, hai capito?”.
L’ho messa seduta sul seggiolino e le ho spinto il cazzo in bocca fino in fondo. Avevo fatto bene a non credere alle sue proteste, lo stava succhiando fermandosi di tanto in tanto per passarselo sulle labbra e leccarlo. Volevo spogliarla completamente in modo che fosse più semplice farmela sul seggiolino dello spogliatoio, ma lei non si era lasciata distrarre e mi aveva spinto via le mani dalla camicetta. Poi mi ha guardato negli occhi e ha borbottato: “Ti faccio un pompino che vedi”. Sentivo la lingua calda muoversi intorno al cazzo mentre le schizzava in bocca. Prima di lasciare il magazzino siamo rimasti a parlare chiusi nello spogliatoio.
“Il tuo sperma è dolcissimo, sa di gelsi. Non provo quasi mai sensazioni come queste, erano secoli che non pensavo al sapore dei gelsi”.
“Che ne pensi di questo posto?”.
Ha scostato leggermente la tendina dello spogliatoio.
“Mi fa impressione. Ma dove hai trovato quel tipo? Hai visto che razza di nome? Johnny Lazzari, ti sembra possibile?”
“No, è un nome d’arte. Da quello che ho capito da giovane era una specie di attore. A me sembra solo un pallone gonfiato. Tu comunque non fidarti di nessuno. Se succede qualcosa dillo a me”
“E il suo socio?”
“Jimmy L’Amour, ti rendi conto?”
“Individuo maturo. Non pensavo ci fosse ancora qualcuno con abbastanza coraggio da andarsene in giro con dei pantaloni a zampa di elefante come quelli”.
“E la camicia rosa?”
Si è rilassata e mi ha appoggiato le mani sulle gambe, lasciando andare la tendina.
“Sei uno strano tipo”
“Perché?”
“Sembri una di quelle giornate nuvolose in cui esce il sole poco prima che faccia buio”.
Si è inginocchiata di spalle sul seggiolino e me la sono fatta di nuovo. Quando siamo usciti dal magazzino la pioggia si era fermata. Davanti al Patrol abbiamo trovato l’Hummer nero fermo in doppia fila. La vernice metallizzata e la mascherina di acciaio scintillavano sotto i lampioni accesi. Appena ci siamo avvicinati ha messo in moto ed è partito facendo inversione, gli abbaglianti ci hanno investito costringendoci a distogliere lo sguardo. Per un attimo sono comunque riuscito a vedere una bionda con gli occhiali da sole oltre il finestrino mezzo abbassato dal lato del passeggero. Sotto il tergicristallo abbiamo trovato un biglietto, diceva: “Non è morto ciò che in eterno può attendere”.
“Che succede?”
“Niente”
“Che cazzo dici? Cos’è questa storia del biglietto?”
“Lovecraft, è un classico. Tu comunque non fare niente. E soprattutto stai alla larga dal proprietario”.
Siamo saliti in macchina e abbiamo cambiato discorso.
Dopo ho incontrato Nadia nell’oratorio fatiscente. Era in compagnia di una ragazza albina, capelli bianchi cortissimi pettinati con la riga da una parte e un anello di acciaio nel sopracciglio. La stava massaggiando sotto il collo aspettando appoggiata sulla soglia del varco che conduce nel tornado.
“Devi restare con quella ragazza ha bisogno del tuo aiuto. Le persone a cui fa riferimento non sono quello che crede. O forse non riesce a vederle per quello che sono”
“Ha un bellissimo viso, è sveglia, è stato piacevole stare con lei ne avevo bisogno”
“Dovrai portarla da Lucy, forse è in grado di trovare un varco nella recinzione”
“Secondo te in estate indossa pantaloncini di jeans?”
“Devi ascoltarmi, è molto importante”
“Non prendermi per il culo, quelle svitate che c’entrano? Che ci fanno qui?”
La ragazza albina si è inginocchiata di fronte a me per succhiarmelo. Sono rimasto a fissarla negli occhi chiarissimi e inespressivi anche mentre le venivo in bocca. L’ha succhiato più forte tenendo lo sperma sulla lingua, poi l’ha lasciato lentamente colare sul mento, le labbra si sono distese in un sorriso compiaciuto.
“Fai la tua parte e andrà tutto liscio”.
Nelle settimane successive sono rimasto sull’isola da solo. Passavo la maggior parte del tempo nel cinema a fumare sigari e guardare film porno. In qualche occasione Pasticcina è venuta a cercarmi per scuotermi senza successo dal mio torpore.
“Vuoi chiavare?”
“Non rompere, adesso non mi va di fare niente”
“Non capisco che ti è preso”
“Secondo Werner Herzog i film porno conservano il piacere dell’immagine in movimento che avevano i primi film muti”
“Frocio… fa come vuoi segaiolo”.
Ho ingaggiato di nuovo quella ragazza per lavoro. Non era passato molto tempo da quando eravamo stati nel magazzino pieno di manichini. Nadia mi aveva lasciato una chiave di sale per lei, la tenevo in un cassetto della scrivania aspettando il momento giusto per dargliela, anche se non avevo ancora deciso come. Probabilmente il modo migliore sarebbe stato infilarla nella sua borsa di nascosto, senza dirle niente. Soltanto avevo paura che potesse romperla inavvertitamente ancora prima di capire cosa fosse.
Avevamo appuntamento di fronte alla casa in cui ci eravamo visti la prima volta, una vecchia villa abbandonata circondata da un parco enorme invaso dai rovi. La facciata gialla era in gran parte rovinata dalla muffa e coperta di graffiti. Cercavo di fare lo spiritoso per sondare il suo umore, anche se lei sembrava completamente concentrata sul lavoro, o forse si stava semplicemente difendendo fingendosi distante. Si teneva aggrappata alla borsa con gli strumenti di misura evitando di incrociare il mio sguardo il più possibile.
“Guarda”. Mi sono avvicinato camminando al suo fianco e ho incrociato la mia ombra con la sua. “Le nostre ombre convergono, è un segno del destino. Forse significa che desideriamo la stessa cosa”
“Ma se le hai incrociate di proposito”
“Però sarebbe potuto succedere anche per caso”.
“Sei davvero uno strano tipo”.
Ho aperto il lucchetto, sfilando la catena del portoncino di legno. Appena ho spinto l’anta verso l’interno un gatto grigio è scivolato fuori sbucando da dietro la porta. Lei lo ha fermato con un piede spingendolo di nuovo dentro.
“Ottimi riflessi, secondo me comunque puoi lasciarlo uscire. Deve essere entrato da qualche finestra rotta”.
Lo ha preso in braccio con una mano e si è sbottonata la camicetta nascondendo il viso dietro il gatto.
“Volevi scopare, per questo mi hai portata qui?”
“No, è davvero per un lavoro. Anche se non ho fatto altro che pensare a te da quando ci siamo visti l’altra volta. La cosa strana è che non riesco mai a immaginare il tuo viso. Ogni volta che ci provo, si dissolve appena alzi gli occhi”.
Si è massaggiata una mano, al medio della sinistra aveva messo uno strano anello con una pietra ocra.
“Secondo te che significa?”.
Non le ho risposto, avevo l’impressione che la domanda mirasse a qualcos’altro. Ha lasciato andare il gatto e si è sfilata la camicia. Poi si è sbottonata i jeans strappati sul ginocchio e li ha abbassati fino alle caviglie insieme alle mutandine rosse. Voltandosi di spalle mi ha appoggiato le mani sui fianchi.
“Ottima presa”.
“Anch’io avevo voglia di vederti di nuovo, anche se pensavo di non piacerti affatto. Non si tratta solo di sesso però. Ho davvero bisogno di questo lavoro”.
“Ci sto bene con te. Non sono riuscito a pensare ad altro per giorni”.
L’ho baciata sul collo e le sono venuto dentro.
Sono di nuovo rimasto intrappolato in una bolla di torpore e apatia, ciondolavo per casa bevendo liquori di sottomarca e ascoltando i Black Sabbath a tutto volume. Non avevo dubbi sul fatto che la voce di Ozzy Osbourne fosse un’altra cosa rispetto a quella di Dio. Non c’era paragone, avevano tenuto il nome del gruppo, ma era solo una formalità, in realtà facevano una musica completamente diversa.
- Speravo mi chiamassi, sei sparito di punto in bianco. L. M.–
- Stavo per farlo. Non volevo spaventarti standoti sempre addosso. C. A. –
- Tutto a posto per quel lavoro? L. M. -
- Si, sei riuscita a farti un’idea
dei costi per iniziare? C. A. –
- Tremila euro. Circa. L. M.–
- Quando arrivano ti mando un messaggio, così puoi iniziare. C. A. –
- Facciamo un altro sopralluogo la prossima settimana? L. M. –
- Ok, evitiamo il lunedì però. C. A. –
- Non puoi di lunedì? L. M. –
- Non è che non posso, è solo che il lunedì mi porta sfortuna. Se possibile preferisco evitarlo. C. A. –
- Ok, cercherò di evitare il lunedì. L. M. –
- Hai un porta fortuna? C. A. –
- No, perché? Non ci credo a queste cose. L. M. -
- Non metterti nei guai C. A. –
- Lo so quello che devo fare L. M. –
- Non voglio finire in Costa Rica a bere Rhum al cocco e suonare l’ukulele. Non fidarti di nessuno. Vengo a prenderti io. C. A. -
- Si certo, lo so dove vuoi arrivare. L. M. –
- Li tanto ci arriviamo comunque, dico sul serio. C. A. –
- Ok…in bocca. L. M. –
- Ti ho detto che è una cosa seria, arrivo. Ti mando un messaggio quando sono dalle tue parti. C. A. –
- Io, comunque pensavo li avessi già i soldi. Lo facciamo davvero il lavoro? L. M.–
- No, ho speso tutto in occhiali da sole. Non preoccuparti lo facciamo. C. A. –
- …potrei venire io da te. L. M. –
- Dici? C. A. –
- Ma sì, perché no? L. M. -
- Non lo so, potrebbe non essere il posto più accogliente del mondo. C. A. –
- Ma figurati…ci vediamo più tardi. L M. –
- …ok. C. A. –
I fari di un mini-SUV bianco hanno illuminato la finestra sul retro. Ho sentito il rumore sommesso del motore spegnersi, dopo qualche istante lo sportello si è chiuso. Sono andato ad aspettare sulla porta d’ingresso. Stavo per andarle incontro pensando che non riuscisse a trovare la scala per scendere dal parcheggio verso la casa, in effetti era completamente coperta di foglie secche e rovi, non era poi così facile trovarla. Appena mi sono mosso è sbucata da dietro l’angolo della casa. Teneva un vestito leggero sopra la spalla nuda. A parte gli stivali di pelle non aveva altro addosso. Alle sue spalle le luci del giardino davano forma ai rami degli alberi, le labbra verde scuro di una donna mi suggerivano di scoparla subito senza perdere tempo, si muovevano sotto il vento tiepido assumendo una fisionomia stranamente familiare. Ho abbassato gli occhiali scuri, ma non sono riuscito ad ignorare i corpi avvinghiati di cui era coperto il prato. Le ho messo una mano tra le gambe e ho infilato le dita nella fica. Rasata, calda e fradicia. Ho appoggiato l’altra sui fianchi e l’ho spinta verso il basso. Si è seduta di fronte a me allargando le gambe, mi ha tirato fuori il cazzo e si è messa a succhiarlo subito. Passava la lingua sotto leccando velocemente.
“Pensavi che non facessi sul serio?”
Non ho risposto, siamo entrati in casa e ci siamo fermati sul pianerottolo senza parlare. L. M. si è guardata intorno incredula.
“Cazzo, vivi come uno zingaro”.
Da quando stavo da solo non avevo più tempo ne voglia di prendermi cura della casa, era un vero porcile. Il pavimento coperto di chiazze di calce, i muri sporchi e sbiaditi. Non c’erano mobili a parte un grosso tavolo di ciliegio che usavo come scrivania. Sopra avevo montato il computer usando come schermo una tv da quarantotto pollici a schermo piatto. Il letto, il frigorifero e una cucina malandata. Il primo piano era vuoto, arredato soltanto da polvere e ragnatele. Siamo passati di fianco allo schermo senza fare caso al porno che stavo guardando prima che arrivasse. Una tipa stava urlando a pecorina mentre la pompavano e le venivano in faccia. L’audio era a zero, rimpiazzato dalla voce di Ozzy Osbourne che cantava Killing yourself to live. Dirigendosi verso il letto ha passato l’indice sulla copertina di pelle di una biografia di Cartouche appoggiata sul bordo della scrivania. Si è seduta ed è rimasta a guardare il porno massaggiandosi lentamente la fica. Ho tirato fuori una bottiglia di vodka ghiacciata dal freezer e l’ho presa per una gamba afferrandola sotto il ginocchio. Le ho passato la bottiglia tra le gambe, poi ho versato un po’ di vodka sulla coscia. Mi sono messo a leccarla scivolando verso la fica. Lei si è appoggiata al letto affondando i gomiti nel cuscino, poi ha piegato la testa all’indietro. Non so come, è riuscita a trovare da qualche parte di fianco al letto i guanti da motociclista e un paio di occhiali da sole Route 66 con le lenti viola e la montatura di gomma nera. Ha infilato i guanti e si è messa gli occhiali. Voleva che le leccassi la fica.
You think I'm crazy and baby I know that it's true
Si è aggrappata al colletto del giubbotto per farmi sdraiare sul letto e mi ha immobilizzato le braccia salendoci sopra con le ginocchia.
“Porti il giubbotto di pelle anche in casa?”
“E già”
“E gli occhiali scuri?”
“Mi servono per pensare, anche se ormai non funzionano gran che. Devo cambiarli sempre più spesso”
“Senti, ma da dove sei uscito?”
“Dal Paese delle Meraviglie”
Ha spostato le ginocchia liberandomi le braccia in modo che potessi metterle le mani sul culo. Quando si è seduta sulla mia faccia ho cominciato a leccargliela.
I don't know if I'm up or down Whether black is white or blue is brown
“Te l’ho già detto che sei un tipo strano”
“Più unico che raro bella mia”.
Nel cuore della notte mi sono svegliato dopo aver fatto un sogno stranissimo che non riuscivo a ricordare. Mi era rimasta soltanto l’immagine di un pavimento di linoleum marrone.
L. M. dormiva rannicchiata in posizione fetale, appoggiata alla mia schiena. Nel sonno ha borbottato: “Doveva essere tequila…”. Sul momento non ci ho fatto caso, ho ricollegato le sue parole al sogno con E. B. soltanto quando è andato tutto a puttane.
La luce della luna filtrava attraverso le inferriate della finestra, riflettendosi sulla bottiglia quasi vuota appoggiata sul pavimento. Ho richiuso gli occhi per cercarla sull’isola, ma sono riuscito soltanto a trovare Pasticcina. Sulla spiaggia un gruppo di persone guardava verso il mare, se ne stavano seduti intorno ad un fuoco come se fossero stati in attesa di qualcosa per molto tempo.
“Ormai non ci speravo più”
“Dovevo sistemare delle cose per il lavoro, ma che cavolo ci fanno qui tutte quelle persone comunque?”
Non capivo perché la facesse tanto lunga, aveva le lacrime agli occhi.
“Sono stato via solo qualche settimana in fondo, non è la fine del mondo
È passato quasi un anno dall’ultima volta che ti ho visto, sei diventato scemo? Non lo vedi? Ha messo fuori la testa”
La balena a largo aveva completato l’immersione, ora inarcava il dorso alzando la testa verso il cielo. Sono rimasto a fissarla per qualche secondo, la lentezza con cui si sollevava dall’acqua non era cambiata.
“Me lo spieghi che cazzo significa?”
“Non lo so. Forse è la fine del mondo”.
Una ragazza con la frangetta mi si è avvicinata sorridendo. Indossava una tuta blu con un numero cucito sul petto, non so per quale motivo, ma ho pensato che si trattasse di una tuta da carcerati. A giudicare dall’aspetto poteva avere al massimo quindici, sedici anni. Oltre al numero sulla tuta c’era anche una scritta: electron-media.
“Siamo riuscite a passare. Le mie amiche hanno bisogno di riposarsi”. Dietro di lei un gruppo di donne con la stessa divisa aspettava che facesse un cenno con la mano per farsi avanti.
“Lei ha bisogno di un letto per dormire”. Ha spinto verso di me una ragazza con i capelli pettinati con la riga da una parte. I capelli le coprivano un occhio. Poi mi ha offerto dei dolci alla panna, li ho presi anche se ancora non capivo cosa stesse succedendo e ci siamo incamminati verso la casa nel bosco. Ho fatto vedere le camere da letto al primo piano e sono tornato da lei. Aveva appoggiato la scatola con i dolci a terra e si era sbottonata la tuta, era ovvio che volesse scopare. Sulle braccia le avevano tatuato la stessa scritta con il numero della tuta.
“Non ti sembra di esagerare?”.
Ha riso imbarazzata e si è seduta sul pavimento. A quel punto mi sono messo vicino a lei e abbiamo mangiato i dolci alla panna. Sotto l’ultimo rimasto ho trovato un biglietto: “Rinato? Natasha”.
Volevo urlare: FANCULO, ma avevo ancora la bocca piena, sono soltanto riuscito a emettere dei suoni incomprensibili sputacchiando panna ovunque.
“Ha detto che è molto importante, se la sono filata tenendosi la consegna. Il varco da cui siamo scappate si è subito richiuso, le stanno cercando. Natasha dice che…”
“Fanculo! Cazzo! Vaffanculo!”
“…non se la caveranno”.
Dopo sono tornato da Pasticcina.
“C’è qualcosa che non quadra, devo vedere Lucy nel tornado”
“Che avete fatto lì dentro?” Indicava la camera in cui stava dormendo la ragazza dei dolci.
“Niente, che dovevamo fare?”
“Vaffanculo, sei un bastardo”
“Ma non abbiamo fatto niente ti ho detto. Abbiamo solo mangiato i dolci alla panna. Secondo te cosa avremmo dovuto fare?”
“Voglio venire con te”
“No, è meglio se ci vado da solo. Aspettami da “O”, non ci vorrà molto”. Le ho alzato la maglietta e le ho abbassato i jeans per scopare.
“Che figlio di puttana che sei”
“Sbrigati, prima che la ragazza che sta dormendo con me si svegli e se ne vada”
“Che cosa state combinando di così importante?”
“Te l’ho detto è un lavoro. Devo darle una cosa, un portafortuna di Lucy”
“E’ per lei che l’altra volta non hai voluto scopare?”
“Si, forse…non lo so”
“E la balena?”
“Effetti collaterali credo”.
L. M. si stava vestendo quando mi sono svegliato. Sentivo un macigno sopra la testa per la vodka.
“Aspetta”.
Ho aperto il cassetto in cui tenevo la chiave di sale. Le ho dato due assegni e dei contanti, poi le ho messo in mano la chiave.
“Tienila sempre con te. Non lo so neanche io come si usa, dovrai capirlo da sola”
“Ed è soltanto un portafortuna?”.
Si è di nuovo massaggiata il dito con lo strano anello.
“Sei mai stata su un’isola tropicale?”
“No. Di che parli?”
“Meglio così”
“Senti…”
“Che c’è?”
“Potremmo approfittarne”
“Di cosa?”
“Niente”.
Ho lasciato che sistemasse tutto nella borsa, poi l’ho tirata verso il letto e le sono salito sopra. Aveva un buon profumo sul collo. Rideva con il viso affondato contro il mio petto. Le ho baciato i capelli e l’ho spogliata di nuovo per scopare un’altra volta.
Tornato sull’isola, per prima cosa sono andato a cercare Nadia nell’oratorio.
“Le ho dato la chiave”
“Non lasciarla andare per nessun motivo”
“Non mi piace legarmi alle persone”
“Sei uno sciocco”
“Sto facendo la mia parte”
“Sei più sciocco di quello che sembri. Riporta indietro la consegna. Dovrai attraversare di nuovo il tempo sui frattali. L’uomo che hai incontrato…”
“Perché cazzo non miagoli e non fai le fusa come tutti i gatti del cazzo?”
Appena ho terminato la frase ha ruggito nella mia direzione con tutta la ferocia di cui era capace. Ho sentito il cuore fermarsi e il sangue gelarsi nelle vene. Non avevo dubbi sul fatto che di lì a poco mi avrebbe fatto a pezzi. Invece si è calmata e mi è passata di fianco spingendomi via con il peso del suo corpo.
“Ho sempre pensato che Lucy si fosse sbagliata sul tuo conto”
“Non si è sbagliata. Gatto del cazzo”
Il secondo ruggito mi ha fatto inzuppare la maglietta di sudore. Non sono riuscito a voltarmi e nemmeno a svegliarmi.
“Quello stupido segnale ci sta facendo impazzire tutte. Devi convincerla a restare con te. A quel punto potrete attraversare il deserto. A noi interessa soltanto l’uomo”.
Ho riaperto gli occhi nel primo pomeriggio. La vista della bottiglia di vodka semivuota sul davanzale della finestra mi ha quasi fatto rivoltare lo stomaco di fianco al letto. Sono riuscito a trattenermi soltanto grazie alla vista delle sue mutandine appoggiate sul cuscino di fianco alla mia faccia. Avevano un gradevole profumo di fiori misto all’odore di sesso. Ho appoggiato una guancia contro il tessuto morbido e rosa cercando di concentrarmi sulle sue unghie azzurre che scendevano lungo la mia schiena.
“Completamente partito…cazzo”.
La playlist nello stereo ancora acceso era arrivata fino agli Alice in Chains. La sensazione del culo sodo e muscoloso di L. M. stretto tra le mie dita e il profumo di limone della sua fica, sono tornati a formarsi nella mia mente.
I vetri delle finestre tremavano annunciando un temporale.
I think it’s gonna rain, when I die
Il dorso della balena continuava ad inarcarsi verso l’alto, mentre il suo gigantesco occhio senza sentimenti mi fissava.
Yeah!
Ho preso in mano le mutandine, sul culo aveva lasciato una scritta con il rossetto: dritto sull’obbiettivo come un tomahawk.
Il giorno dopo sono stato nel cinema sull’isola. Jennifer stava guardando per l’ennesima volta Apocalypse Now. Era seduta nella prima fila completamente nuda.
“Certo che sei proprio un coglione. Non ti eri accorto che ti voleva fregare?”. Ha disteso una gamba indicando con l’alluce anellato lo schermo. L. M. si stava accordando con i tizi per cui avremmo dovuto lavorare, prendeva dei soldi in contanti e li metteva nella borsa.
“E a me che mi frega. Mi ha tolto quel coglione dalle palle, non ci ho perso niente”.
“E come farai con Nadia? C’è qualcosa che non mi hai detto, non raccontarmi cazzate”.
Ho preso una moneta dalla tasca, la moneta portafortuna, e l’ho tenuta tra due dita mettendola di fronte agli occhi di Jenny. Marco Aurelio a cavallo.
“Chi è che ha detto: Cristiano, Romano o leone?”.
Ha cercato di sbottonarmi i jeans, ma l’ho spinta indietro dandole un bacio sulla fronte.
“Fatti un esame di coscienza, è così che si comincia quando si diventa froci…io torno da “O” cazzo moscio”.
Ho alzato di nuovo lo sguardo verso lo schermo, i tizi che le avevano dato dei soldi la stavano inculando a turno, uno dei due le era appena venuto in faccia, le lacrime le scendevano lungo le guance mescolandosi con gli schizzi di sperma. Nella scena successiva era stata appesa con una catena ai ganci che avevo visto nella soffitta. Il tizio con i pantaloni a zampa non è stato mai inquadrato, l’altro invece la stava frustando sul culo. Qualche giorno dopo ho provato a chiamarla al telefono, ma non mi ha risposto. Quindi ho deciso di andare da “O”.
Pasticcina stava girando un video con un gruppo di ragazzi che avevano chiesto un fine settimana speciale. Roba pesante, fruste e vibratori. Uno di loro la stava penetrando in bocca, tenendole la testa ferma con due mani. Si è fermato di colpo spingendole il cazzo fino in gola e ha piegato la testa all’indietro. Lei ha emesso un verso strozzato, quando il tizio si è tirato indietro ha aperto la bocca lasciando cadere un fiotto di sperma sul pavimento. Ha tossito violentemente, cercava di liberarsi dei due che la stavano scopando da dietro, ma è scivolata con le ginocchia sul pavimento qualche secondo prima di vomitare. I due ragazzi si sono spostati davanti a lei, l’hanno afferrata per i capelli trascinandola in mezzo al vomito e le hanno pisciato in faccia. Lei ha guardato verso l’alto, pensavo stesse per svenire. Senza che me ne accorgessi C_Ca si è avvicinata alle mie spalle e mi ha abbracciato.
“Sei proprio un pervertito. Lo capirebbe chiunque che sei innamorato come uno scemo. E pure ti diverti a vederla in quelle condizioni”
“Non credere che lei stia soffrendo per questo. Forse è l’orgasmo più violento che ha mai avuto in vita sua”.
“Hai voglia di fare l’amore?”
Ha aperto la mano e mi ha mostrato la chiave di sale che avevo dato a L. M. Appena ho cercato di toccarla si è dissolta.
“L’altra è sparita insieme alla consegna, ero quasi riuscita a trovarla, ma alla fine mi è scappata”
“L’ho lasciata sola soltanto per un attimo”
“Ci sono dei tizi. Con divise come la tua. SS vere intendo”
“Dove?”
“Ti accompagnerà quella tizia. Not Found…”
“…404. L’avevo capito”
“Ormai il video l’abbiamo girato, liberati di quei tizi”
“Ok”.
Elle stava fumando una sigaretta in piedi in fondo alla stanza, quando mi sono tolto il giubbotto e la maglietta ha cominciato a mordersi l’unghia del pollice. Era un’eternità che non restavo completamente a petto nudo. Ho sentito gli occhi della Medusa che avevo tatuata sulla schiena aprirsi lentamente. I serpenti sulla sua testa si stavano muovendo, alcuni cadevano sul pavimento emettendo un suono sordo, come una gelatina che esplode. Mi sono avvicinato a loro e ne ho abbracciati due tenendogli le mani dietro la nuca.
“Ragazzi sapete una cosa? Non è difficile nella vita avere delle occasioni. La cosa veramente difficile è saperle riconoscere”.
Mi hanno guardato con la bocca spalancata, come se fossi stato un alieno piovuto dal cielo in quell’istante. Pasticcina era svenuta sul pavimento in mezzo al vomito. Prima che potessero reagire due vipere del deserto sono scivolate lungo le mie braccia stringendogli il collo. Il terzo era in ginocchio, con le gambe avvolte dai serpenti, lo stavano divorando.
“Siete mai stati in un labirinto?”. La croce rovesciata che portavo al collo è diventata rovente.
- Senti, ho bisogno di vederti. L. M. –
- Ok, che succede? C. A. –
- Niente però voglio parlarti di una cosa. L. M. –
- Ti ho detto ok, ma dimmi che succede, intanto arrivo. C. A. –
- Quel tizio del magazzino. Ha cercato di raggiungermi. Per ora sono riuscita a prendere tempo. L. M. –
- Tutto qui? Me ne occupo io. Sicura che sia solo questo? C. A. –
- No, devo farti vedere una cosa. È questo veramente che mi preoccupa. L. M. –
- Di che si tratta? La chiave? C. A. –
- Ho fatto un sogno. L. M. –
PARADIGMA, DREAM, DREAMER, DREAMEST
Quando mi ha raggiunta sono salita sulla sua macchina cercando di non pensare a niente. Il tizio che avevo visto il giorno prima mi faceva paura, avevo capito che c’era qualcosa di più sotto la storia del magazzino abbandonato, probabilmente quella storia era soltanto un paravento. Lui non sembrava particolarmente preoccupato, ha preso la strada per lasciare la città, uno dei suoi sigari pendeva da un lato della bocca. Aspirava qualche boccata, senza togliere le mani dal volante. Avevo con me la chiavetta usb azzurra che mi aveva lasciato. L’avevo usata per caricare i documenti del magazzino. Quando l’ho messa nel suo portatile però si aperta la riproduzione automatica di un file musicale. Il portatile era collegato allo stereo del fuoristrada, la musica è partita a tutto volume.
“Che accidenti è questa roba?”
“Judas Priest, Electric Eye. Un classico della N. W. O. B. H. M. Non la fanno più musica così. Questo dinamismo nei cambi di ritmo si è sentito solo negli anni ‘80”
“Non fare lo stronzo, qui dovrebbe esserci il progetto di quel tizio, che cazzo significa?”
“Ma non chiedere a me, magari hai preso un virus”
“Mi prendi per il culo, hai visto quella roba o no?”.
“Tu che ne pensi?”
“E’ una truffa bella e buona. Quel tizio è in un bel casino se si viene a sapere. È seduto su una cassa di nitroglicerina. Anni di corruzione, sta per scoppiargli in faccia come una mina”
“Ed è per questo che mi hai fatto venire qui?”
“No, volevo vederti. Credo di essermi innamorata di te”
“Falla finita di raccontare stronzate, che cosa volevi farmi vedere?”
“Ok la pianto, però tu non mollarmi. È ancora più strano della speculazione, mi hanno costretta a prendere una cosa. Una pietra. Lo so che sembra assurdo, è solo una pietra. Subito dopo ho avuto un terribile incubo. E’ una stupidaggine, ok, però…”
“Racconta”.
Sono rimasta a guardarlo senza riuscire a spiccicare una parola. Mi sentivo come se mi avessero appena rivelato l’esistenza degli alieni. Ha continuato a guidare e non mi ha più interrotta. La situazione mi sembrava sempre più irreale. Dopo essere tornata a casa con quella strana pietra mi ero infilata sotto la doccia, mi sentivo esausta. Ero troppo giovane per ritrovarmi in un casino come quello, quel tizio mi aveva convinta a prendere dei soldi per nascondere la sua truffa del cazzo, insieme ci aveva messo una specie di anello dicendo che si trattava di un oggetto di inestimabile valore. Il lavoro consisteva più che altro nel portarlo in un posto fuori città. Mi ero mostrata collaborativa e avevo accettato, pensando di filarmela il più rapidamente possibile non appena mi avessero lasciata andare. Somigliava ad una rosa appassita. L’avevo messo al medio della mano sinistra prima di infilarmi a letto, avevo provato una strana sensazione nel sentirmelo al dito, poi mi ero addormentata e avevo fatto quello strano sogno.
Una stanza con le pareti gialle e una di quelle poltrone di pelle con braccioli di legno. Di fronte a me una scrivania, una porta alle sue spalle. In un angolo della scrivania una lunga piuma arancione, infilata in un calamaio. La porta si apre, non appena mi siedo sulla poltrona, la realtà mi assale, semplice e implacabile. Sono nata sola e sola morirò, almeno questo è quello che penso nel vedere l’ingresso del mio avvocato difensore. Un buffo omuncolo, obeso e goffo come il turbante che indossa come copricapo. Lunghi baffi sottili e arricciati. Si siede mostrandomi i denti bianchi poi si volta subito a osservare la porta.
“Bene! Allora dunque!”.
Si sistema sulla sedia allungando le gambe. I piedi in un paio di scarpe con la punta arricciata, sembra un sultano in miniatura.
“Il suo caso è molto complesso. Sono qui a svolgere le mie funzioni come suo unico difensore. Non vorrà rovinare tutto con il suo caso di coscienza?”.
Mentre parla prende la piuma dal calamaio e si mette a sventolarmela sotto il naso nel gesto di scrivere qualcosa su una specie di pergamena.
“Veniamo a noi, ho visto che ci sono delle gravi infrazioni ai tempi e alla regolarità delle sue funzioni. Questo è vero!”.
Ogni volta che si muove agitando la piuma, le cuciture dei suoi pantaloni si mettono a urlare. Mi fa venire voglia di starnutire. Non riesco a parlargli, penso solo a come uscire da quella assurda situazione in fretta. Penso, si certo come dice lei, basta che finisca.
“Prima di tutto dobbiamo pensare a proteggere gli affari, un incompetente come me non le capiterà mai più. Deve sapere che sono arrivato a ricoprire il mio prestigioso ruolo, dopo una lunga gavetta di imbrogli e sotterfugi. A dire il vero credo che nessuno come me saprebbe esporre peggio il suo caso e metterla nei guai. Sa, mi hanno sempre detto tutti che sono un impostore, ma è mia cura dimostrarle ora che questi maldicenti, non sono neanche arrivati vicino alla verità nel ricoprirmi di insulti. Se solo lei volesse essere così gentile da rendersi conto della situazione. Non è concepibile che lei voglia distinguersi per questa sua fissazione per la coscienza. Lo sappiamo tutti e due che questi sentimenti vanno repressi al loro nascere. Soltanto la finzione è degna di essere considerata, non è forse vero che in questo modo possiamo quindi raggiungere i nostri scopi e fare finalmente tutto ciò che vogliamo?”.
C. A. mi ha fermata prima che potessi finire di raccontare il sogno.
“Ho capito. Prima di commuovermi di fronte al tuo sconvolgente incontro con il Sig. Creosoto che a breve sarebbe esploso, devo informarti che quel SUV che si vede alle nostre spalle sta cercando proprio la pietra di cui mi hai parlato”
“Il sogno comunque continuava così ancora a lungo, non so se significa davvero qualcosa. Che pensi di fare?”
“Ho appena montato un bumper nuovo”
“Il sogno pensi significhi qualcosa?”
“Si, hai bisogno di cercarti un nuovo avvocato. Quello è un idiota”.
Il finale era ancora più incomprensibile. Una tizia entrava nella stanza, accompagnata da una cortina di fumo verde, come quello che si vede ai concerti heavy metal. Indossava un vestito rosso e un paio di occhiali scuri. Prendeva la sedia del tizio buffo per lo schienale e la faceva oscillare sulle gambe. Lui cercava di mantenere l’equilibrio sventolando la piuma nell’aria, ogni volta che si trovava sul punto di cadere me la sventolava sotto il naso fino a farmi starnutire. Prima che mi svegliassi aveva detto questa parola: “Reversus”. Poi l’avvocato era caduto dalla sedia.
C. A. ha tirato una leva di fianco al cambio, poi ha puntato dritto verso una sopraelevata. Il SUV bianco è uscito di colpo dal traffico, seguito da un’altra auto identica. Stavano per affiancarci e costringerci a fermare il fuoristrada. Invece di accelerare, ha mollato di colpo il pedale e si è buttato giù dalla scarpata, una specie di dosso ripido di fianco alla strada principale. Il Patrol ha messo giù il muso ed è andato su di giri. Siamo scesi seguendo l’inclinazione della discesa senza ribaltarci, il fuoristrada di C. A. ha toccato la strada sterrata ai piedi della sopraelevata, rimbalzando sulle gomme anteriori. Loro ci hanno subito seguito imitando la sua manovra, il primo si è capovolto su un fianco, non appena le ruote sono finite sull’erba. L’altro è riuscito per miracolo a schivarlo e a riprendere l’inseguimento. Sotto la sopraelevata il terreno era scivoloso per il fango, puntava continuamente i pilastri di cemento armato dell’autostrada evitandoli all’ultimo momento. Mi sono girata a guardarlo, cercava di nascondere un sorrisetto compiaciuto tirando continuamente boccate al sigaro che stringeva tra i denti.
“Guarda adesso”.
Ha pestato l’acceleratore mandando il Patrol in sovrasterzo proprio davanti ad una colonna di cemento, il SUV dietro di noi ha cercato di aumentare la velocità per non farsi tagliare fuori, ma ha perso il controllo. Gli schizzi di fango sono finiti sul loro parabrezza oscurato, mentre le gomme da palude del Patrol slittavano impazzite. Quando la nuvola di fango si è abbassata era troppo tardi, il SUV non è riuscito ad evitare l’impatto. Il parabrezza è esploso sputando il tizio dal lato del passeggero, il muso era completamente accartocciato contro la colonna. C. A. ha rallentato e ha fatto di nuovo il giro per avvicinarsi al tizio esanime a terra. Ha abbassato il finestrino e gli ha lanciato addosso il mozzicone di sigaro.
“Mio caro, ora dovresti aver capito la differenza tra una trazione integrale ad inserimento meccanico ed una ad inserimento elettronico”.
Poi si è diretto verso quello capovolto.
“Ma che cazzo speravo prendesse fuoco, queste cose succedono solo nei film”.
Ha preso velocità sbattendo con il muso sulla fiancata del SUV proprio mentre i tizi al suo interno stavano per aprire gli sportelli e scivolare fuori. Quello dal lato del passeggero è stato tagliato in due dalla portiera, l’altro è rimasto schiacciato dall’urto contro il muro ai piedi della scarpata. Subito dopo siamo risaliti sulla tangenziale.
“Devo trovarmi un autolavaggio”.
Non ci siamo fermati fino a raggiungere un capannone abbandonato, poco distante dal magazzino del tizio che mi aveva coinvolta in quella storia. C. A. ha lasciato il fuoristrada in una strada secondaria. Dopo ci siamo infilati dentro il magazzino passando dal retro, camminavo al suo fianco, lui mi teneva una mano sulla schiena, mi faceva sentire a mio agio. Non ha più detto niente della pietra. Una tizia con i capelli biondi a caschetto ci aspettava all’interno. Conosceva C. A. lo stava aspettando per qualcosa che riguardava il tizio del magazzino.
“Come cavolo hai fatto a trovarla, non riesco a sentirla, in nessun modo”
“Mi ha cercato lei”
“Ha qualcosa di strano, come se fosse nascosta sotto una specie di interferenza, non riesco a sentire niente da quando si è avvicinata”.
C. A. mi ha preso una mano e l’ha sollevata per mostrarle l’anello con la pietra. Il magazzino era sempre al buio, i manichini ci fissavano con i loro occhi di plastica. Ho fatto caso all’odore di benzina solo dopo.
“Secondo te cosa c’è sotto?”
“Si sono accorti dell’Isola. Qualcuno ha cercato di usarla come via di fuga, l’hanno usata per far passare delle persone”
La bionda sembrava preoccupata, si è avvicinata a C. A. e gli ha accarezzato una guancia.
“Ho visto una donna sulla spiaggia”
“Hai mai incontrato Lucy da sola? Dall’altra parte intendo?”
“Non capisco dove vuoi arrivare”
“Chi credi che sia realmente? Ricordi quando è cominciata questa storia?”
“È strano che tu ne parli adesso. È come se il tempo si fosse appiattito, senza più un inizio e una fine…”.
Quando si è mosso per portarci fuori ci siamo accorti della pozza di carburante sul pavimento. Si era appena messo in bocca un sigaro, la tipa bionda gli ha afferrato il polso.
“Forse non è il momento di fumare”
“Mi fanno incazzare quando mi impediscono di fumare, non riesco a pensare, poi mi ci vogliono delle ore per riuscirci”
“Vediamo di uscire in fretta da questo posto, la consegna l’abbiamo ripresa è tutto a posto”
“Guarda che dico sul serio…”.
Prima che si convincesse a muoversi, le finestre sulla parte alta del magazzino si sono infrante, i tizi che ci stavano dietro le avevano sfondate per rovesciare i fusti di benzina dall’alto, tutte le porte erano sprangate dall’esterno. Abbiamo sentito il motore di un camion in manovra proprio davanti all’ingresso principale.
“Pensi di farcela?”
“Stanno bloccando le porte con i camion, in ogni caso anche se riuscissimo ad uscire li troveremmo pronti ad aspettarci”
“Allora?”.
Ormai il panico si stava impossessando della bionda. Abbiamo provato tutte le uscite senza successo. La benzina entrava anche da sotto le porte. L’ombra di una donna è passata davanti ad una delle finestre rotte, siamo riusciti a vedere la sigaretta che stringeva tra le dita. Per un attimo ho avuto l’impressione che volesse mettere in pratica le intenzioni di C. A. con il tipo del SUV; invece, si è fatta da parte subito dopo. Erano molto più preparati di quello che pensassimo, due uomini con delle torce imbevute di petrolio si sono affacciati dietro di lei. C. A. si seduto sui talloni e ha afferrato la grata di un tombino, poi l’ha scagliata lontano.
“Si vede che proprio che non guardiamo gli stessi film”.
Ha afferrato il bordo di cemento del tombino e ha cominciato a tirare verso l’alto, I tizi alla finestra intanto avevano lanciato le torce all’interno, sono piovuta da ogni parte anche dalle altre finestre.
Digrignando i denti ha continuato a tirare anche quando le fiamme si sono alzate altissime, il calore è diventato subito insopportabile.
“Che cazzo facciamo adesso?”
“Potreste spogliarvi per esempio”
“Non dire cazzate!”
“Non so se funzionerà, però almeno qui sotto non arriverà il fumo tanto facilmente”.
Prima che potessi avvicinarmi a loro, il pavimento si è sollevato. Stava staccando una delle placche di cemento che separavano il magazzino dal seminterrato a mani nude.
“Questo…questo…non è normale…”
“E perché cazzo ti dovrebbe sembrare normale? Ti sembravo normale quando mi hai conosciuto?”.
La placca di cemento era grande abbastanza perché potessimo passarci in mezzo. Ha lasciato andare il pezzo di pavimento e ha spinto giù la bionda. L’abbiamo sentita strillare, il seminterrato era completamente allagato. Però aveva funzionato. Mi ha teso la mano per aiutarmi a scendere, ma le fiamme ormai erano troppo alte. Non sono riuscita a raggiungerlo, poi qualcuno mi ha afferrato per il braccio.
- Hanno trovato la consegna. Elle –
- Non dovete perderla per nessun motivo. SweetRevenge –
- Il fatto è che non c’è più nessun segnale. Elle –
- Nadia li sta cercando, resta nascosta finché non sarà finita. SweetRevenge –
- Le detenute sono passate, il mio stratagemma non gli è piaciuto molto, ma ha funzionato. Anarchy –
- Valli a prendere e sistema quella donna.
Portala da me, voglio anche l’uomo con i codici. SweetRevenge –
“Sbrigati, ormai non possiamo fare più niente”
“Non esiste, non la lascio qui”
“Non ha più quella pietra addosso, deve esserci qualcuno lì sopra. È ancora viva, ma la pietra è sparita”.
Non ne voleva sapere, il magazzino sopra di noi stava crollando, l’incendio era salito fino al tetto. Potevamo sentire i tralicci di metallo piegarsi per il calore e crollare a terra. Mi sono messa strillare, colpendo con i pugni C. A. sulla schiena. Quando ha provato ad arrampicarsi sull’apertura nel soffitto del seminterrato, mi sono aggrappata al collo. Per fortuna non è riuscito a raggiungere il bordo del tombino divelto. Le fiamme avvolgevano ogni cosa.
“Dobbiamo uscire di qui, idiota! Non possiamo farci niente, l’hanno presa quelli lì sopra”.
Cercavo di trascinarlo per il bavero del giubbotto, ha fatto qualche passo verso di me poi si è voltato ancora. Uno dei fusti di benzina è esploso proprio in quel momento. Lo spostamento d’aria ha spinto il fumo verso di noi. Ci siamo coperti il volto con il braccio, per un istante abbiamo avuto l’impressione di vedere la sagoma di L. M. dietro la coltre di fumo, qualcuno la stava trascinando via. C. A. si è voltato ancora verso il magazzino prima di lasciarsi portare via.
L’acqua era alta circa mezzo metro, non riuscivo a vedere niente. Mi sono concentrata sul posto in cui ci trovavamo, riuscivo a vedere il capannone come se mi trovassi al difuori del mio corpo. Poi ho ripreso a camminare, nell’arco di qualche minuto avremmo raggiunto le grate degli scarichi. Si versavano in un canale artificiale che circondava tutta la zona industriale. Non riuscivo a pensare a nulla, volevo soltanto uscire da quell’incubo. L’acqua del seminterrato aveva un odore tremendo di plastica fusa e benzina. Quando abbiamo raggiunto il canale siamo riusciti a vedere la luce all’esterno. Le grate però ci impedivano di uscire. Erano abbastanza grandi perché potessimo passarci in mezzo, ma le sbarre di ferro con cui erano costruite erano decisamente troppo spesse per poter essere piegate a mani nude.
“E adesso?”.
Lui non ci ha nemmeno fatto caso. Ha soltanto detto: “Ok”. Poi ha battuto con le mani aperte su una delle grate. Si è staccata dalla bocca del canale di scolo finendo all’esterno, come se fosse stata di cartone.
“Lo sai dove siamo?”
“Si credo di sì. La tua macchina è parcheggiata a circa due isolati da questo canale”
“Ok, ora ti porto fuori di qui”.
Si è tolto il giubbotto di pelle e me lo ha lanciato addosso, poi mi ha preso in braccio e mi ha caricata su una spalla, si è arrampicato sulla parete dell’argine cercando di non farmi cadere. Quando abbiamo raggiunto il ciglio della strada sopra di noi si è ripreso il giubbotto e mi ha lanciato le chiavi del suo fuoristrada.
“Portalo da “O”, devo riprendere quei tizi prima che se la squaglino”
“Non puoi tornare in quel casino, l’incendio avrà attirato l’attenzione degli sbirri, non credi?”
“Vai, ci rivediamo lì”.
Avrei voluto avere più tempo per spiegargli quanto fosse stupido a comportarsi in quel modo, ma non mi ha dato retta. È sparito in mezzo ai vicoli dirigendosi dritto verso la colonna di fumo che si stava alzando dal magazzino.
- È pieno di polizia. Non posso avvicinarmi di più. Not Fond 404 –
- La pietra? Anarchy –
- Sparita. Not Found 404 –
- Cerca di riprendere almeno quell’idiota. Anarchy –
- Il ciccione? Not Founf 404 –
- Ha un volo prenotato tra un paio d’ore. Non deve arrivarci. Prendi quel coglione e fatti aiutare a riprenderlo. Della donna me ne occupo io. Anarchy –
- Hanno anche quella ragazza, se le succede qualcosa ti fa a pezzi. Not Found 404 –
- Ormai non è più un problema. Anarchy -
FINAL REEL, RAINING BLOOD
Sulla strada appena oltre il canale, ho trovato la tizia del SUV nero. Quando mi sono avvicinato ha fatto per aprire lo sportello dalla parte del guidatore. Prima che fosse salita in macchina le ho messo una mano sulla spalla.
“Non ti offendere, ma non riesco a salire in macchina se non sono io a guidare. Mi rende troppo nervoso e poi uno di questi non l’ho mai guidato”
“Allora muoviti”.
Poi ha fatto il giro dell’auto mostrandomi il dito medio. Nello stereo aveva un album degli Overkill, appena ho messo in moto sul display è passato il titolo del pezzo, Elimination.
“Davvero azzeccato”. Prima di uscire dalla città le ho mostrato un SUV bianco nello specchietto.
“Cercano anche loro quel tizio”
“Che cosa avrebbe di tanto speciale quel ciccione?”
“Codici, il codice sorgente con cui viene criptato il segnale delle parabole”
“E a che accidenti servono le parabole?”
“Controllo”
“…wow”.
Il SUV bianco si teneva a distanza. Ho ridotto la velocità per lasciarlo avvicinare e mi sono acceso un sigaro alla menta.
“Che accidenti stai facendo?”
“Ma spiegami una cosa, davvero avete paura di questi stronzi?”
“Ti ho chiesto che stai facendo, così ci raggiunge”
“Vediamo se fanno sul serio, qui a pochi metri c’è una rotonda”.
Ho mollato l’acceleratore, il SUV si è avvicinato al paraurti posteriore dell’Hummer con gli abbaglianti accesi. Prima che potesse sbatterci contro ho pestato a tavoletta e ho fatto salire il cambio sequenziale mentre facevo saltare la cenere dal sigaro con il pollice fuori del finestrino abbassato. La distanza tra le due macchine si è allungata come un elastico. Prima della rotonda ho frenato di colpo, il SUV bianco ci è quasi venuto addosso, si è dovuto spostare nella corsia opposta per allungare la frenata. Nell’altro senso stava arrivando un camion carico di bombole del gas. Lo hanno schivato per un soffio. Ho imboccato la rotonda in piena accelerazione aspirando una lunga boccata dal sigaro, ho saltato tutte le uscite, un secondo dopo sono arrivato dietro il SUV. L’ho speronato sul lato destro, le gomme hanno cominciato a slittare sull’asfalto alzando una nuvola di fumo. Il bumper dell’Hummer era piantato nel loro paraurti posteriore.
“Te l’avevo detto, questi sono solo degli stronzi”.
Ho spinto di nuovo a tavoletta, l’Hummer ha sollevato il muso schiacciando il SUV bianco contro la decorazione floreale al centro della rotonda. Quando i due mezzi si sono fermati sono sceso spingendo lo sportello con il piede. Il tizio dal lato del guidatore stava per scendere, era accecato dal sangue che scendeva copiosamente dalla fronte. Gli ho sbattuto lo sportello del SUV sulla faccia prima che potesse mettere i piedi a terra. Poi l’ho riaperto e l’ho richiuso un’altra volta fino a sfondargli il cranio. L’altro tizio stava per saltarmi addosso cercando di aiutarlo. La coda del serpente a sonagli si è agitata nell’aria ancora. Ho visto l’altro tizio sparire risucchiato dal finestrino sull’altro lato. Not Found 404 lo aveva afferrato per il colletto della giacca appena in tempo. Sono passato dall’altro lato e gli ho afferrato la testa tra le mani. Poi ho cominciato a colpirlo con il palmo della mano aperto, sentivo le ossa della sua testa andare in frantumi una ad una.
“Dove l’avete nascosta? Allora testa di cazzo? Dov’è?”.
L’ho afferrato per il colletto della camicia per avvicinarlo, senza che me ne accorgessi la mano è affondata nel suo petto come se fosse stato di gelatina. Sentivo il suo cuore pulsare tra le dita.
“Lascialo! Idiota! Ormai l’hai ammazzato! Leviamoci di qui!”.
Ho colpito ancora il suo viso, il collo si è spezzato piegandosi da un lato. Quando l’ho lasciato andare mi sono accorto di stringere ancora in una mano il suo cuore.
“Ti ho detto che dobbiamo filare brutto idiota! Guarda che hai fatto!”
“Ok leviamoci di qui”.
Ho inserito la trazione integrale per disincagliare l’Hummer dalle lamiere, prima che arrivasse gente siamo spariti in mezzo ai vicoli. Un parcheggio sotterraneo, sono sbucato dall’altra parte, puntando dritto verso la strada per la tangenziale. Le prime sirene si sono avvicinate dalla direzione opposta.
“Hai fatto proprio un bel casino! Lucy si incazzerà come una belva! Che cazzo ti sei messo in testa? Vuoi giocare al giustiziere?”
“Ma che ne so, non farla tanto lunga, erano solo due stronzi. E poi io devo salvare Olivia”
“Sei un idiota, aveva ragione Nadia”
“Pensa che oggi non ho ancora mangiato gli spinaci”
“E’ inutile che fai tanto casino”
“Che vuoi dire?”
“Voglio dire che è inutile, è troppo tardi. L’hanno ammazzata”
“Stronzate. Mi prendi per il culo”
“Ti dico che è morta. Ok? E’ finita! Ha fatto una cazzata e ci ha rimesso le penne. Dobbiamo beccare il tipo prima che se la squagli”.
Mi ha costretto a puntare verso l’aeroporto, ma non c’è stato verso. Voli internazionali. L’aereo del tizio a cui stava dietro Lucy ci è passato sopra la testa prima che potessimo arrivarci.
“Cazzo, sei uno stupido. Se non avessi perso tutto quel tempo l’avremmo beccato”.
Ho accostato e sono sceso per guardarlo mentre spariva all’orizzonte. Poi mi sono appoggiato all’Hummer e ho acceso un sigaro, l’ultimo. Ho soffiato una boccata di fumo verso l’alto. Not Found 404 è venuta vicino a me mentre guardavo ancora il cielo. Gli aerei in fase di atterraggio passavano bassissimi sopra le nostre teste, coprendo ogni suono.
“Mi hai preso per il culo. Voglio sapere dove si trova”
“No, non vuoi saperlo”.
Mi ha passato un braccio intorno ai fianchi e si è appoggiata con la fronte alla mia spalla.
“Non vuoi saperlo”.
Ho lasciato passare qualche giorno prima di tornare nel deserto. Lucy mi aspettava nella piramide con Nadia. Stava osservando una pianura innevata attraverso il pozzo. La tigre gigantesca che avevo visto la prima volta era accovacciata alla base di una specie di trono di pietra.
“Dovresti aver capito chi sono ormai”
“Sì, credo di sì”
“Molti mi adorano, altri mi hanno dato la caccia e perseguitata per secoli. A volte sono stata venerata come una stella. In effetti potrei sopravvivere nello spazio vuoto anche se questo mondo non esistesse. Tra quelli che mi danno la caccia ci sono persone che sono riuscite a strapparmi dei segreti. Li usano per tenermi rinchiusa. Vorrei soltanto tornare a casa, ma non posso farlo da sola”
“Secondo Andrej Tarkovskij, non devi mai chiedere l’aiuto di nessuno se sei in grado di fare una cosa da solo.”
“Vedi quella tigre? Dall’altra parte una donna vive in simbiosi con la sua mente. Lei non capisce gli istinti della tigre, così come la tigre non comprende i suoi sentimenti per lei”.
“Significa anche che se chiedi l’aiuto di qualcuno ne hai veramente bisogno”.
Nadia si è avvicinata a lei, le ha strofinato il muso contro le gambe prima di accovacciarsi ai suoi piedi.
Dopo Lucy ha ricominciato a parlare.
“Perché non usi quello che sai fare per ottenere quello che vuoi?”
“Trattenere il desiderio è piacevole quasi quanto soddisfarlo”
“Lo sai quello che vuoi? Lo hai già ottenuto?”
“Forse sì. D’altra parte, non puoi dire che una cosa ti appartiene se non sei in grado di difenderla”
“La tua vita non ti appartiene più di quanto ti appartenga quest’isola. Quella L. M. si è lasciata travolgere dalla situazione”
“Che cosa c’entra la ragazza in tutto questo?”
“Era solo un vettore”.
È venuta verso di me e ha appoggiato il suo corpo nudo al mio. Il serpente corallo che mi aveva mostrato al nostro primo incontro si è annodato intorno al collo, passando velocemente dalla sua spalla alla mia. Appena mi ha conficcato i denti nella pelle, mi sono trovato nel mezzo della distesa innevata. Il freddo era inconcepibile. Ho camminato fino a raggiungere il limite della pianura, mi sono fermato soltanto di fronte ad un gigantesco blocco di ghiaccio. Attraverso il suo bagliore azzurro ho visto la storia di Lucy dall’inizio, come se si trattasse di un racconto illustrato. Ho appoggiato la mano alla lastra di ghiaccio, l’immagine sfocata di Lucy si è avvicinata dall’altro lato e ha appoggiato la sua. Quando il serpente corallo ha allentato la presa ho sentito un forte bruciore intorno al collo. Mi aveva lasciato un altro tatuaggio imprimendo le sue spire sulla pelle.
“Sai cosa significa vero?”
“A volte un’illusione è più credibile della realtà. Più autentica”
“Le manchi. Noi non centriamo con quella ragazza”
“Sto per andare in vacanza. Non contate su di me per la prossima consegna”
“Che cosa hai visto oltre il ghiaccio?”
“Un fiore. Una margherita, un bellissimo fiore, non ha odore ma il suo bianco intenso può essere incredibilmente bello nella sua semplicità”
“La mia consegna è sparita”
Si è allontanata rivolgendomi un ultimo sguardo prima di scomparire nell’oscurità dietro al trono. In mano mi aveva messo una carta da gioco.
Regina di fiori
FADE IN FADE OUT, BIANCO E NERO
È stato strano tornare con C_Ca. Ormai era diventata quasi una fidanzata. In qualche modo eravamo in grado di comunicare anche quando restavamo separati per lungo tempo. Siamo lontani e distanti, allo stesso tempo siamo una cosa sola, mi ha detto mentre facevamo l’amore in un capannone abbandonato. Quando le sono venuto dentro è scoppiato un temporale, la pioggia batteva sulla tettoia di lamiera facendo un chiasso infernale.
“La balena ha ricominciato ad immergersi”
“Lo so. Lucy ti è riconoscente. Ti ha lasciato un messaggio tatuato sulla schiena di Jennifer. La prossima volta che vi incontrerete ti darà la tua ricompensa”
“E magari si farà un altro sorso del mio sangue…”
“Tesoro, è solo un piccolo prezzo da pagare. Tutte le cose ne hanno uno”
“E già, bella mia. E già”.
“Non hai ancora capito che cosa è successo con quella tipa, vero?”
“Crediamo solo a quello che vogliamo credere, è questo il punto. Come dice Edgar Allan Poe: la natura umana è una palude, per alcuni possiede un fascino morboso irresistibile. Se ci pensi bene, comunque, resta pur sempre una palude”.
Abbiamo continuato a guardare il temporale abbracciati sul portone del capannone. Per tutto il tempo non ha fatto altro che baciarmi sul collo accarezzandomi i capelli.
“Io però sono reale".
FIN
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