Il Ranch
di
Koss
genere
sadomaso
Tre mesi, solo tre mesi per portare le attività del ranch a regime e portare le puledre in una nuova dimensione: quella di considerarsi capi di bestiame e animali da monta.
Tre mesi dopo l’arrivo del primo carico, in un giorno qualsiasi, nel deserto del Kalahari.
Miss Margareth stava sferzando le natiche di Bobbi, la sua puledra, spingendola al massimo. La pungolava sui fianchi con gli speroni e la frustava sulle ampie natiche. Cavalcare una stupenda puledra come Bobbi era sublime. Bobbi sbuffava e sbavava sul morso di cuoio, il cuore le stava scoppiando e il seno ansava come un mantice, ma ce la stava mettendo tutta, voleva far contenta la sua padroncina. Tanto che sentiva a malapena le frustate e gli speroni che si piantavano sui fianchi. I suoi sentimenti verso la Padrona erano contrastanti e incomprensibili, a volte la odiava e a volte la adorava, era una donna innegabilmente dominante, degna di ammirazione, ma lei non si sentiva una sottomessa, neanche dopo quei mesi di angherie. Era costretta ad essere sottomessa e a vivere come un animale. Allo stesso tempo era orgogliosa di essere diventata la migliore puledra del ranch. Un rompicapo da perderci la testa, incomprensibile.
Miss Margareth stava inseguendo un’antilope, la voleva. L’antilope era molto più veloce della puledra, ma lei aveva un vantaggio, di fronte all’antilope c’era un crepaccio che l’ostacolava, l’antilope doveva girarsi su un lato e scapare di là, la puledra arrivava in diagonale. Per qualche secondo l’avrebbe avuta a tiro, poi se l’antilope fosse uscita dal campo di tiro se ne sarebbe andata. Margareth fece perno con il piede sulla staffa di destra e, mentre si librava agilmente nell’aria, prese in mano il fucile che portava a tracolla. Fino a qualche mese prima non aveva mai usato un’arma, ma in quei mesi Mohamed le aveva insegnato e lei, da allieva coscienziosa e diligente, si era molto esercitata. I piedi arrivarono a terra mentre Bobbi le sfrecciava davanti, andando a fermarsi una decina di metri più in là. Margareth rimase perfettamente in equilibrio e prese la mira. Sparò e centrò l’animale sul collo. L’antilope fece ancora due passi e stramazzò al suolo. Margareth saltò in aria per la gioia e gridò felice. Con calma si avvicinò alla sua puledra, la prese per le briglie e s’incamminò verso l’antilope. Era uno splendido esemplare di un giovane maschio, la sua carne doveva essere tenera e dolce. Se Bobbi fosse stata una puledra vera non ci sarebbero stati problemi. Ma Bobbi era solo una ponygirl, non ce l’avrebbe mai fatta a trasportare l’antilope. Con il satellitare chiamò il ranch e ordinò di mandare un carro, intanto si prese cura della sua splendida giumenta. Margareth era molto eccitata, aveva finalmente ucciso una preda, la caccia si era conclusa bene, ma Bobbi non era facile da trattare. Ancora, dopo tre mesi, quando la Mistress la accarezzava lei scartava e si irrigidiva. Ma quel giorno sembrava meno bisbetica del solito e accettò di buon grado le carezze della sua Padrona. Margareth le parlò come faceva di solito, non direttamente, ma come se pensasse. – Sei stata brava Bobbi. Sei stata veloce. Senza di te non l’avrei presa – le sorrise e ne approfittò. Bobbi si mise in ascolto, quelle parole la inorgoglirono e si rilassò. La puledra era forte, ma anche molto bella, aveva i fianchi ampi e un corpo atletico, molto piacevole al tatto, anzi, deliziosa. Margareth provò a metterle la mano tra le cosce e tirarla per gli anellini delle grandi labbra. La Padrona ebbe la netta sensazione che si stesse sciogliendo, la fica si inumidì, i capezzoli divennero ritti, Bobbi trattenne a stento un gemito, ma poi, quando la carezza si fece più intima, la puledra scartò e si irrigidì. Come sempre la rifiutò e Margareth, ancora una volta delusa, non fece niente per costringerla. La voleva, ma Bobbi la doveva accettare, non l’avrebbe mai forzata, era l’unica puledra, la sua, che non avrebbe mai costretto ad accettarla. Intanto il carro stava arrivando. Lo guidava S2, una serva delle stalle molto bella, nera, con due occhi da cerbiatta e un culo ampio e magnifico. Si sarebbe sfogata con lei. Le ordinò di mettersi a novanta gradi, con le mani appoggiate al carretto e la prese con lo strap on dandole due belle pacche sulle ampie natiche e strizzandole il generoso seno. Margareth era eccitata e arrabbiata con Bobbi e, avendo deciso che sulla puledra non avrebbe mai infierito, si lasciò andare con la serva. Al contrario di Bobbi la serva accettò con piacere le attenzioni della sua Padrona, anche le più rudi e manesche. Mugolò per tutto il tempo facendo di tutto per compiacerla. Miss Margareth era un’autorità nel ranch e poi era piacevole sottostare ai suoi desideri. Bobbi, per tutto il tempo, le guardò con disapprovazione. Per Margareth la puledra era incomprensibile, non si concedeva, ma era gelosa, chiaramente.
Tre mesi dopo l’arrivo del primo carico, in un giorno qualsiasi, nel deserto del Kalahari.
Le serve delle stalle, come ogni mattina, vennero svegliate alle cinque. Le urla e il berciare di un giovane guardiano, che aveva aperto il grande portone del capanno, le incalzava a muoversi. Le serve erano state rinchiuse lì dentro la sera prima, come ogni sera, intorno alle ventuno, dopo essere state contate. Erano una quindicina, tutte abbastanza giovani, non più di trenta anni, di tutte le razze, dormivano insieme in giacigli disposti sui tre lati del capanno. Erano belle, ai trapper che le avevano catturate era stato detto che le donne che dovevano catturare dovevano essere tutte belle, giovani e appetitose, ma tra le serve di stalla erano finite le meno belle, come tra le puledre erano finite le più forti. Il capanno era privo di finestre, ma con tanti abbaini, irraggiungibili, sul tetto, a tre metri di altezza, per far penetrare un po’ di luce e di aria.
Il tempo di aprire il portone, di sentire le prime grida, e le serve erano già in piedi che si stavano vestendo dei loro miseri abiti. Le pigre e le dormiglione, dopo le prime frustate dei primi giorni, erano diventate le più rapide di tutte. Indossavano degli stivaletti di cuoio, fondamentali per il loro lavoro, per il resto dei cenci di cotone o strisce di cuoio che le coprivano alla bell’e meglio, ma erano pulite, ogni sera, prima di cena, facevano la doccia con le puledre che avevano in custodia. Appena vestite correvano fuori dalla porta, dove c’era un grosso cesto di vimini, da cui prendevano il loro frustino che, la sera prima, entrando nel capanno, avevano lì depositato. Le serve avevano il diritto di usare quel frustino solo per farsi ubbidire dalle puledre che si ribellavano quando esercitavano le loro funzioni: vestirle, lavarle, portarle a bere e mangiare... O per difendersi da qualche puledra particolarmente bizzosa. Le serve interpretavano questi limiti liberamente, ma se esageravano e qualche guardiano se ne accorgeva potevano diventare, a loro volta, bersaglio della frusta. La serve, teoricamente, non potevano neanche abusare delle puledre, in particolare non potevano abusarle sessualmente, ma anche in questo caso se ne approfittavano. Il luogo preferito di questi abusi erano le docce, dove quasi mai c’era un guardiano a controllarle, oppure quando venivano mandate con un carro a sbrigare delle commissioni, anche in quel caso era difficile che un guardiano le potesse cogliere sul fatto. Erano cose che si sapevano, ma non importava a nessuno e le puledre non erano in grado di protestare, subivano. Le serve venivano punite solo se colte in fallo e se la serva era compiacente, con i guardiani che la beccavano, spesso la facevano franca. Non sempre, il guardiano non aveva bisogno che la serva fosse compiacente se la voleva prendere, anzi, a volte aveva piacere nel punire la serva, a volte si inventava qualche mancanza della serva per poterlo fare. Era un gioco di sottomissione e di potere dagli esiti sempre imprevedibili e mai scontati, era tutto molto arbitrario e l’arbitrio era dalla parte del più forte e del potere. La serva aveva più potere della puledra e il guardiano più potere della serva, tutto sommato alle serve non conveniva rischiare, ne approfittavano solo quando era poco probabile che venissero scoperte.
Nel ranch iniziava un’altra giornata di duro lavoro. Le serve delle stalle erano le prime che si svegliavano, per tutti gli altri c’era più tempo per dormire, seguivano le puledre e le altre schiave, poi i guardiani, gli artigiani ed infine i capi. Alle otto il ranch era in piena attività, tutti avevano i loro compiti da svolgere. Gli ospiti del ranch, i soci e i loro ospiti, i veri padroni, non avevano orari, si svegliavano quando volevano e facevano quello che volevano.
Le serve, come quasi tutti gli altri, erano lì da tre mesi ed avevano perfettamente appreso la routine della vita in quel luogo. Nel ranch loro svolgevano un lavoro fondamentale, anche se, nel ranch, loro, erano le ultime ruote del carro. Persino le puledre venivano trattate meglio di loro, ma senza di loro quel posto non poteva funzionare, così come senza le puledre quel luogo non avrebbe avuto senso.
Uscirono fuori, nel fresco dell’alba, alcune corsero alle latrine, tutte si lavarono il viso e le mani, altre si misero a cucinare focaccine e pezzi di carne, tè e dolcetti. Fecero colazione con calma, si gustarono quel poco tempo a loro disposizione, quindi si avviarono verso le stalle. Da quel momento tutto divenne frenetico.
Il giovane nero che le sorvegliava, quella mattina, ne fermò una. Una bionda sui trenta, longilinea, con due lunghe e tornite cosce, ma anche due tette belle grosse. Era una delle più vecchie, mentre il nero era uno dei più giovani sorveglianti, aveva appena diciotto anni. Lui la spinse contro la parete del capanno e la bionda non si oppose. Rassegnata si inarcò, appoggiò una mano alla parete e con l’altra sollevò la misera gonnellina che la copriva, sotto non portava mutandine. Il nero ce lo aveva già fuori dalla patta, col cazzo umido e turgido accarezzò la fica della bionda e poi la penetrò, prendendola da dietro con un affondo. La bionda uggiolò e dopo qualche istante iniziò a gemere per eccitarlo ancora di più, non le piaceva e voleva levarselo di torno al più presto. Cosa che immancabilmente successe. Il nero grugnì, le strinse le tette spasmodico, la morse sulle spalle e venne. La bionda, seria, lo adulò – sei forte lord, hai un gran cazzo lord. – Il nero sorrise soddisfatto, non si rese neanche conto che lo stava prendendo per il culo, era molto preso dal suo ruolo e dal suo potere. Da quando era lì se le era fatte tutte, ma per quella bionda, più grande delle altre, aveva un debole, se la fotteva quasi ogni giorno. Se non era la mattina lo faceva la sera o durante qualche pausa della giornata. La bionda non era contenta, ma quello era il male minore, l’importante era non prenderle, per fortuna ormai succedeva raramente. Miss Margareth, la governante delle puledre e delle serve di stalla, non lo permetteva se non per validi motivi, però uno dei motivi era proprio quello di rifiutare i favori al guardiano di turno. Il guardiano aveva tutto il diritto di fottersi una serva come quello di scoparsi una puledra. Miss Margareth diceva che era persino educativo per entrambe.
La bionda raggiunse le altre e fece colazione con loro. Una giovane e procace nera, la sua migliore amica, si sedette accanto a lei e le chiese sorridendo e ammiccando - quanto è durato oggi il tuo fidanzato? –
- Al solito, neanche un minuto, è sempre un fulmine, ma la mattina ancora di più. – Risero entrambe.
Alle sei le serve sciamarono dentro la stalla, le puledre erano impazienti, alcune nitrivano per la voglia di uscire – iiihhhhhrriiii. - Stavano dentro i box dal tramonto del giorno precedente e non ne potevano più. Le serve erano rapide ed efficienti, per loro quella era l’ora più impegnativa della giornata. Le puledre dormivano nude, come le serve, nelle notti più fredde si raggomitolavano sotto una coperta, ma succedeva raramente. Appena la serva entrava si giravano dando loro le spalle e incrociavano le braccia dietro la schiena. Avevano imparato ad essere ubbidienti. All’inizio qualcuna si era ribellata, ma dentro lo stallo c’era poco spazio per lottare, anche se le puledre erano nettamente più forti delle serve queste ultime avevano il frustino ed avevano imparato ad usarlo come un manganello. E poi, bastava un grido di allarme perché di serve ne arrivassero altre cinque, tra loro erano molto solidali, a chiunque di loro poteva capitare di avere a che fare con una puledra ribelle. Nei casi peggiori arrivava anche qualche guardiano e per la puledra era la fine. Le punizioni erano implacabili e molto severe. La frusta era lo strumento preferito, ma anche la bacchetta, e alcuni preferivano usare le mani, pugni e schiaffi, dovunque. Quindi le ribellioni finirono presto. Infine, una volta che alla puledra venivano immobilizzate le braccia per loro era impossibile lottare e c’erano ben altri mezzi di costrizione che potevano essere applicati sulle giumente.
Le puledre avevano le braccia libere solo quando erano chiuse dentro il loro stallo. Infatti, la prima cosa che la serva faceva era prendere da un gancio un guanto lungo tra i trenta e i cinquanta centimetri, dipendeva dalla taglia della puledra, e infilarlo nelle braccia protese, poi, con lacci di cuoio, stringeva in alto e chiudeva. Durante la giornata la puledra poteva indossare altri tipi di finimenti, dipendeva dal lavoro che era chiamata a svolgere o dai capricci del suo padrone del momento, ma Miss Margareth aveva stabilito che, la mattina, per accelerare le operazioni, quello era il modo più veloce. La puledra, dentro il suo stallo, aveva, appesi a dei ganci, molte versioni di finimenti, così come una ragazza normale ha tanti vestiti nel suo armadio. L’operazione successiva era far loro indossare i calzari. Stivaletti, senza tacco, con la foggia dello zoccolo e che sulla pianta avevano un ferro di cavallo. La puledra sollevava un piede e lo stivaletto di cuoio, rivestito all’interno di morbida lana, scivolava dentro in un attimo, il primo e poi il secondo. La lana interna impediva ai piedi di piagarsi, assorbiva gli urti e teneva caldo il piede. Anche in questo caso bisognava stringere bene i lacci. Pure il tipo di stivale durante la giornata, sempre per gli stessi motivi, poteva essere sostituito con un altro. Il tutto avveniva in tre o quattro minuti, un quarto d’ora perché tutte le puledre fossero inguantate e calzate. Man mano che erano pronte uscivano nel grande corridoio della stalla e iniziavano a scalpicciare sul posto impazienti, mentre le serve passavano alla prossima. Le puledre si disponevano davanti al cancello del proprio box e aspettavano, frementi con le gambe leggermente divaricate, il petto in fuori, i muscoli tesi, lo sguardo sperso nel vuoto. Come dei soldatini.
A quel punto arrivava Miss Margareth, la loro Padrona, che senza fretta, guardandole ad una ad una, le passava in rassegna percorrendo il lungo corridoio a passi lenti e misurati. Ormai la Mistress le conosceva tutte, conosceva i loro difetti ed i loro pregi e sapeva come prenderle. Le puledre, quando lo sguardo della Mistress si posava su di loro, rabbrividivano di piacere e di paura. Era severa e non le sfuggiva niente, ma non era cattiva, se la puledra si comportava bene. Se la Mistress notava qualcosa fuori posto, ad esempio una cinghia lenta, le bastava lo sguardo a far scattare una serva per rimediare. Se quell’errore si ripeteva Miss Margareth era implacabile, la serva veniva punita severamente. Una cinghia messa male poteva piagare la pelle della pony e renderla inutilizzabile per giorni, questo non doveva assolutamente accadere.
Margareth era una Mistress, minuta, mora e affascinante. In quei mesi aveva acquisito un’autorevolezza che lei sapeva di possedere, ma non fino a quel punto, lì dentro ormai la consideravano più che una regina, una dea. Tutte le puledre e le serve la ammiravano e la temevano.
La mattina indossava pantaloni di tela, quel giorno neri, stivali anch’essi neri e sopra una camicia abbottonata fino al collo, quel giorno bianca. In mano teneva un corto frustino con cui ogni tanto colpiva l’altra mano o, in modo più temibile, faceva sibilare nell’aria. Era giovane, ma in quel luogo era la regina, aveva un potere smisurato, poteva fare quello che voleva. Dietro di lei veniva un gigante nero, il suo vice e capo dei guardiani delle stalle. Le serve lo chiamavano Mandingo, quando lo vedevano rabbrividivano e si bagnavano. A dire la verità non erano le sole, era l’effetto che Luis faceva su tutte le donne. Anche Mandingo se le era fatte quasi tutte, ma, al contrario del giovane guardiano, lui era desiderato ed ambito. Se posava lo sguardo su una serva questa non vedeva l’ora di servirlo, ne guadagnava in reputazione e protezione, oltre che in piacere. Molte puledre, se ne avevano l’occasione, si strusciavano su di lui o richiedevano sfacciatamente attenzione spingendogli il muso sull’ampio petto o su una spalla. Le puledre potevano essere così sfrontate, erano animali, alle serve invece non era concesso offrirsi, se non erano richieste.
Le puledre erano circa venticinque per fila e fremevano. Alle puledre era proibito incrociare lo sguardo della Padrona come di chiunque, anche delle serve. Le puledre guardavano fisse in avanti, l’alto collare, verde o rosso che fosse, imponeva loro di mantenere lo sguardo fisso. Ma mentre la Padrona passava sbirciavano con la coda degli occhi, erano in soggezione, cercavano di captare il suo umore e i suoi desideri. Piano piano avevano imparato a compiacerla ed erano contente quando potevano servirla o ricevevano solo qualche carezza.
A volte Margareth si fermava di fronte ad una delle sue pony e l’accarezzava, era un segno di benevolenza che le puledre anelavano. Poteva essere un buffetto sulla guancia o una carezza intima sul seno o tra le cosce. Margareth sorrideva mentre le toccava e loro gemevano, a volte le penetrava e ritraeva un dito bagnato con il quale poi le penetrava tra le labbra. Per il piacere alcune si piegavano sulle ginocchia, lei le riconduceva all’ordine tirando l’anello di uno dei capezzoli.
Quella mattina si fermò di fronte a Lela e l’accarezzò sul seno, era una gran bella giumenta, soda e allo stesso tempo morbida, molto elegante. Il seno si gonfiò e la giumenta lo spinse in fuori, i capezzoli si inturgidirono e Lela si illanguidì. Margareth sorrise e la tastò tra le cosce. La giumenta rimase immobile, ma un brivido di piacere attraversò il suo splendido corpo, era una delle più anziane tra quelle giovani pony, aveva ventotto anni, ma correva splendidamente, aveva il collare rosso. Margareth la penetrò con le dita e la trovò bagnata, le stropicciò il clitoride e la giumenta gemette. Lela arrossì, tutti la stavano guardando mentre si offriva come una vacca alla Padrona. Molte erano invidiose di quelle attenzioni, molte delle altre puledre e anche delle serve avrebbero voluto essere al suo posto. Lela arrossiva perché nonostante fossero passati molti mesi da quando era arrivata lì era ancora una puledra molto pudica, ma non le importava, aveva bisogno di essere coccolata.
– Domani arriva il tuo padrone – le sussurrò e la giumenta non poté fare a meno di agitarsi, gli zoccoli rimasero fermi sulla terra battuta del corridoio, gli occhi continuarono a fissare la parete di fronte, ma tutto il corpo della giumenta vibrò di piacere e le venne la pelle d’oca. Margareth le diede un’altra carezza tra le cosce e la giumenta mugolò un’ultima volta. Margareth le sorrise e andò avanti.
Le serve, a due a due, iniziarono a lavorarsele. Ogni coppia di serve aveva un secchio pieno di un grasso vegetale, chiaro e profumato, che il veterinario faceva preparare per quello scopo. Una serva davanti e una dietro ad ogni puledra. Si ungevano le mani nel secchio e poi iniziavano a spalmarlo sul corpo delle giumente. Quella di dietro partiva dal collo e quindi passava alle spalle, scendeva sulla schiena e arrivava alle natiche senza trascurare la piega tra di esse, poi scendeva sulle cosce e finiva sui polpacci. Quella davanti lo spalmava anche sul viso, facendo attenzione agli occhi, poi dalle spalle al seno, dove si soffermava giocando con gli anellini che le puledre portavano ai capezzoli. Non era raro sentire qualche puledra gemere mentre veniva massaggiata sul seno. Poi scendevano sulla pancia e sulla fica e anche qui molte gorgogliavano di piacere. Pure qui, le serve trovavano degli anellini con cui giocare. Le serve penetravano, alcune puledre accentuavano lo scostamento delle cosce per facilitare il compito. Infine passavano sulle cosce e giù fino alle ginocchia e fino a dove arrivavano gli stivaletti. Lela si era ricomposta, un conto erano le carezze di Miss Margareth ed un altro quelle delle serve. Lei era una puledra con il collare rosso, aveva e doveva avere un contegno, ma non tutte erano come lei, molte puledre, più prosaiche, apprezzavano anche le carezze più intime delle serve.
Gli anellini nei genitali, nei capezzoli e al naso non avevano solo lo scopo di adornare le giumente, ma, soprattutto all’inizio, servivano come mezzi di costrizione, per costringerle a fare quello che i padroni, ma anche le serve, desideravano. Bastava tirare e la puledra doveva seguire e ubbidire.
Le puledre erano costantemente eccitate, forse Chen, in quel grasso mischiava anche erbe afrodisiache, il cinese era pieno di risorse, pensava Margareth, mentre le passava in rassegna. L’eccitazione e i bollori, durante il giorno si calmavano, ma solo perché le puledre lavoravano, correvano, sudavano e tutto quel movimento produceva endorfine, ma la sera e la notte l’eccitazione sessuale riprendeva, la mattina le giumente smaniavano, era uno dei motivi per cui non vedevano l’ora di mettersi a correre.
La bionda e la nera formosa lavoravano in coppia, la loro puledra preferita era una giapponese, era una puledra importante, perché era stata scelta niente poco di meno che come puledra personale dal Presidente del ranch. Come tutte le puledre, la giapponese era tonica, ma aveva un corpo di burro, con le tette grandi e cremose. Le dita della bionda e della nera si immergevano con soddisfazione nel mammellume e la giapponese uggiolava come una cucciola. La massaggiavano e si divertivano ad eccitarla, alle due svampite che fosse la pony personale del Presidente non importava più di tanto. La troia, a loro, sembrava che ci stesse e questo le faceva stare tranquille. Infatti, la puledra anche se cercava di trattenersi, ogni tanto veniva sbrodolando tra le mani delle serve. Rischiavano, lo sapevano, ma la giapponese era irresistibile. Il massaggio durava pochi minuti, bisognava correre, c’era tanto da fare, ma loro due sapevano stimolarla e a volte vedevano che si piegava sulle ginocchia, soprattutto quando la bionda se la lavorava davanti, sulle tette, e la nera la penetrava nella fica da dietro. La giapponese mugolava per tutto il tempo e si contorceva cercando di non muoversi mentre le due serve ridacchiavano. Margareth osservava e faceva finta di non vedere, interveniva solo, ed erano guai, se la puledra si vedeva imporre quelle attenzioni, ma la giapponese le gradiva e tutto sommato le serve facevano bene a soddisfarla, durante il giorno sarebbe stata meglio.
Le serve più brave, ma lo stavano diventando tutte, facevano penetrare le dita nei muscoli, sempre più duri, delle puledre, li scioglievano e tonificavano, facendo distendere i nervi. Quel grasso aveva il compito di proteggere la pelle delle puledre dal vento e dal sole, visto che stavano quasi tutto il giorno praticamente nude all’aperto. Per le puledre era una formula magica, le faceva stare bene, era la loro droga mattutina.
Le ponygirl erano state degradate a livello di bestiame, ma in quel luogo avevano un grande valore, tutto girava intorno a loro e quelle che erano entrate nel loro ruolo, e dopo un po’ di tempo succedeva a tutte, lo sentivano. Sentivano che erano diventate importanti. Alcune erano imponenti, svettavano su quegli stivaletti, con quelle basi esagerate, che erano i loro zoccoli, erano eleganti nel portamento e nella postura, erano piene di sé. In pochi mesi erano passate dall’essere state delle reiette, dei buchi dentro cui sfogarsi a oggetti, perché tali rimanevano, di grande valore. Mostravano con orgoglio i loro corpi forti, lucidi, scintillanti, attrattivi e spettacolari. Ciò riguardava soprattutto quelle con il collare rosso, le pony che nessuno poteva toccare perché erano proprietà personale di persone importanti. Erano le pony dei capi, in particolare quelle di Miss Margareth, di Mr. Chen e di qualche socio come Mr. Johnson, il Presidente, di Miss Lorna e di Mr. Kim. Queste puledre credevano di essere delle principesse, incedevano nei corridoi delle stalle e sgroppavano nel paddock o correvano sulla pista come se il mondo fosse il loro. Aver tolto loro la possibilità di parlare rendeva sia il loro corpo che il loro viso, in particolare i loro occhi, più espressivi. Le serve, ma anche i guardiani non osavano maltrattarle. Anche qualcuna con il collare verde, le puledre della comunità, si credeva importante. Sicuramente lo erano per le serve, meno per i guardiani che infatti le prendevano quando volevano e fottendole cercavano di sottometterle ed umiliarle per la loro presunzione, senza però riuscirci mai del tutto e per molto tempo.
Dopo che erano state unte a dovere, le puledre rientravano nei loro box per completare la vestizione, poco più che delle strisce di cuoio per mantenere il seno alto e fermo e adornare le natiche lasciando i buchi scoperti. Con questa operazione si perdeva un’altra mezzoretta, poi uscivano all’aperto, bevevano e mangiavano a volontà, quindi venivano portate nel paddock dove sgroppavano e socializzavano con le altre puledre, si annusavano e qualche volta si leccavano l’una con l’altra, correvano insieme e saltavano.
Accanto alla stalla delle ponygirl c’era la stalla dei cavalli veri e propri. Ce ne erano una dozzina ed erano accuditi dai guardiani che li usavano per controllare il territorio circostante il ranch ed i confini. Anche se spesso i guardiani usavano le stesse ponygirl per quel lavoro, montavano su un calesse trainato da una o due pony e giravano per il vasto territorio appartenente al ranch, ma i cavalli davano loro la possibilità di essere più veloci e rapidi ed erano utili nell’eventualità di una caccia alle stesse ponygirl, non era mai successo veramente che una ponygirl scappasse, ma a volte i guardiani si divertivano in simulazioni fatte per gioco.
Miss Margareth osservava, vedeva tutto e pensava a quanto era stato rapido trasformare quelle ragazze, molte di buona famiglia, alcune irreprensibili, in puledre, che come animali di compagnia si facevano accarezzare e toccare dappertutto, anche intimamente, da perfetti sconosciuti. Ragazze, alcune pudiche, regredite allo stato animale che ormai vivevano praticamente nude e con il seno e i genitali sempre in mostra. Non era normale, ma era avvenuto in pochi mesi. Ragazze che fino a qualche mese fa, prima di concedere solo un bacio, volevano essere corteggiate a lungo, ora erano trasformate in ponygirl e venivano sessualmente usate da chiunque ne avesse voglia, in qualsiasi momento. Ora si offrivano a chi le voleva prontamente e senza opporsi. Rapido, ma non facile, c’era voluto molto lavoro, molte punizioni e molto addestramento.
Per le serve, durante la giornata, ci potevano essere molte altre incombenze da svolgere, ma il lavoro più duro era quello del mattino. La prossima fatica sarebbe venuta la sera, quando le puledre sarebbero rientrate nei loro alloggiamenti.
La bionda disse alla più giovane nera e formosa. – Mandingo ti ha guardata e sorrideva. Ti è piaciuto quando ti ha fottuto? Lo vorrei provare anch’io. –
La nera sorrise con nostalgia. - Quello sì che è un campione, quando mi ha presa mi ha fatto morire per un’ora, ma chi sa se succederà ancora. Comunque se succederà ti raccomanderò. Gli dirò, c’è una troia bionda e bianca che sbava per il tuo cazzone nero. –
Le puledre non rimanevano ad oziare nel paddock a lungo, alcune venivano ritirate dai soci del ranch che le prendevano per il loro divertimento personale, un giro in sulky nel deserto o una corsa sulla pista. Altre, con il collare verde, venivano prese dalle serve che le attaccavano a carri o carretti e le usavano per trasportare merci di qua o di là. Qualche guardiano le prendeva per fare un giro di sorveglianza del ranch in calesse e immancabilmente si faceva anche un altro genere di giro. Tutte le altre dopo aver sgroppato e oziato per un’oretta nel paddock venivano sottoposte ad addestramento ed allenamento. Ai guardiani era stato insegnato cosa dovevano fare, per lo scopo erano stati selezionati i più svegli, Miss Margareth ne aveva cacciati parecchi che aveva giudicato incapaci, ne erano rimasti cinque che avevano imparato e sapevano come muoversi. Lei andava avanti ed indietro in groppa a Bobbi, la sua splendida giumenta, controllava, riprendeva, insegnava. Era paziente, ma anche severa, se qualcuno commetteva lo stesso errore più di una volta usava il frustino, anche sui guardiani, nessuno osava protestare, Mandingo era sempre dietro di lei e la sua sola presenza bastava a dissuadere anche i delinquenti più incalliti. Se invece a sbagliare era la puledra non perdeva mai la pazienza, poteva rimanere con lei anche un’ora per farle vedere come doveva comportarsi, ma se capiva che la pony era riluttante alla lezione allora la portava alla ruota. Lì c’era poco da divertirsi. Era una ruota di pietra gigantesca che serviva per macinare i cereali, molto del nutrimento delle stesse puledre. Era una forma di allenamento per irrobustire le puledre, ma era anche la prima punizione che veniva usata al ranch, tutte le altre erano più dure. La puledra veniva imbracata ad uno dei raggi e doveva trottare per fare girare la ruota, un lavoro pesante, immane e per di più con un guardiano che non lesinava la frusta e che spesso ci prendeva gusto.
Alla ruota ci potevano finire non solo le puledre, ma anche le altre schiave e qualche volta anche dei guardiani che non si comportavano bene.
Un nero quarantenne di solito sovrintendeva a quel lavoro, con la frusta era diventato molto raffinato, a volte scommetteva con i suoi colleghi, che spesso si raccoglievano intono alla ruota a guardare, soprattutto quando la malcapitata era particolarmente bella. Gli sfaccendati erano attratti non tanto dalle puledre o dalle serve, quelle le vedevano spesso e più spesso se le fottevano, ma dalle cameriere di Madame Svetlana che in giro si vedevano poco e sempre vestite, anche se scollacciate, ed erano irraggiungibili dai guardiani. Quando però erano punite venivano denudate completamente e chiamate a compiere sforzi a cui non erano abituate. In quelle occasioni il pubblico arrivava sempre numeroso. Il raffinato cultore della frusta scommetteva dove avrebbe colpito la povera disgraziata, ad esempio sul seno destro o sulla fica. Sulla fica era il colpo più difficile, perché il guardiano non solo doveva essere preciso, indirizzando la punta della frusta nel luogo giusto, ma doveva anche saper scegliere perfettamente il tempo. Quando la schiava allungava il passo e lasciava scoperta la vulva per una frazione di secondo.
I guardiani avevano nel ranch un grande potere, potevano usare liberamente le puledre con il collare verde e le schiave con il collare marrone o blu, ma non quelle con il collare rosso o arancione o giallo.
Le puledre tiravano il raggio della ruota con il corpo, le altre schiave spingevano con le braccia, per tutte la frusta era sempre in agguato appena si fermavano per prendere fiato.
La punizione più feroce che venne impartita ad una schiava nei primi tre mesi venne data proprio ad una cameriera. Si chiamava Briana ed era una bionda con due tette magnifiche. Era molto bella, come tutte le schiave assegnate a Madame Svetlana. Il fatto avvenne dopo pochi giorni che era arrivata, per fortuna ancora nessuno dei soci era venuto al ranch. La ragazza in quei pochi giorni era passata di mano in mano tra i capi, gli unici che se la potevano fare. Era ancora apatica e svogliata, quando se la fottevano allargava le gambe e si faceva penetrare senza nessuna partecipazione, non andava bene. I capi pretendevano maggiore entusiasmo se non passione, ma pensavano che sotto le cure di Svetlana, come per le altre, questa dedizione si sarebbe sviluppata. Invece Briana accumulava rabbia, fino a quando, mentre serviva la cena, dopo l’ennesima volta che era stata palpata, non prese un coltello da un tavolo e si avventò sul capo dei capi: Roy. Non si capì mai se ce l’aveva proprio con lui o se lui era stato solo l’ultima goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Briana riuscì solo a scalfire la spalla di Roy, già mentre si avventava, un altro capo, Alex la sgambettò facendole perdere l’equilibrio e Chen, il veterinario, la trattenne tirandola per il vestito. Il colpo, a quel punto, debolissimo andò comunque a segno, ma con pochi danni. Ma al di là del risultato, quanto successo era gravissimo. Un gesto così non era neanche pensabile che accadesse, non poteva passare sotto silenzio e non poteva essere punito blandamente. Dove si sarebbe finiti se una schiava mentre i Padrone cenavano e si rilassavano poteva aggredirli ferendoli o addirittura uccidendoli?
Lo fecero passare, e lo era, come un gesto gravissimo, che non si poteva ripetere e che sarebbe stato punito in modo esemplare. In modo tale da terrorizzare tutte le schiave. Nessuna doveva più osare immaginare che si potesse fare qualcosa del genere. La ragazza passò quarantotto ore in cella, nell’attesa che i capi decidessero come punirla. Furono quarantotto ore in cui nessuno la toccò, ma di puro terrore, l’attesa e le dicerie che sentì raccontare su quello che le volevano fare la fece quasi impazzire. In quelle quarantotto ore solo Chen avvicinò Briana, le mise due anelli ai capezzoli, le schiave normalmente non li portavano, solo le puledre.
Bisognava dare un esempio e lo avrebbero dato, tutte le schiave dovevano assistere. Lavorarono a lungo per preparare il luogo dello spettacolo, si era creata un’attesa esasperante che aveva preso tutti quanti. Soprattutto le schiave assistevano ai preparativi angosciate da quello che stava per avvenire.
All’alba tutto era pronto. Quando il sole era ormai sorto, un carro, trainato da quattro puledre tirate a lucido, scintillanti sotto i raggi del sole, con stupendi finimenti, uscì dal cortile, dietro le stalle dove Briana era stata rinchiusa. Le giumente che trainavano il carro portavano in testa un pennacchio di piume colorate, ed erano riccamente bardate con innumerevoli e lucidi finimenti di cuoio. Sul carro a cui erano state tolte le sponde c’era Briana. La schiava era nuda, con le mani legate, dietro la schiena, ad un palo infisso nella base del carro. Dagli anelli dei capezzoli partivano due lacci di cuoio a cui era appeso un pesante cartello di legno in cui c’era scritto traditrice. Un altro pezzo di legno che usciva dal palo puntava sulle reni della schiava e la costringeva a spingere il bacino in avanti risultando così oscenamente esposta. Infine, un’asta fissata tra le caviglie, obbligava la schiava a tenere le gambe aperte. Ai lati del carro stavano due guardiani. Dietro veniva Miss Margareth in groppa a Bobbi. Dietro di lei, in fila per tre le tremanti schiave della casa. Sembrava un corteo funebre. Infatti le schiave non erano truccate e non avevano indossato i loro soliti vestiti scollacciati ed appariscenti. Sentivano su di loro la colpa di Briana. Seguivano i calessi di tutti i Capi del ranch: Roy, Chen, Mohamed, Mastro Ming, Alex, Svetlana. Il corteo era chiuso dalle serve. Il corteo avanzava lentamente, ai bordi della pista si affollavano i guardiani che scrutavano severamente schiave e serve. Le tette di Briana si erano allungate all’inverosimile e la sua fica rimaneva aperta ed in mostra. La schiava soffriva, ma non piangeva e non invocava pietà. Sapeva che era inutile, ma se non piangeva non poteva impedire al suo corpo di tremare nonostante la giornata fosse già calda. Se le schiave stavano in silenzio non era così per i guardiani, che motteggiavano, deridevano la sventurata e minacciavano le altre che non osavano girare lo sguardo verso chi le insultava. Il carro si diresse verso la pista e la percorse quasi tutta. Ormai il sole era alto e la giornata si preannunciava splendida. Briana gemeva, ma nessuno ci faceva caso. Arrivarono sull’altro lato della pista dove era stato costruito il palco, su cui Briana fu fatta salire. Di lei si sarebbero occupati i due guardiani che l’avevano accompagnata standole di lato. I Capi del ranch si accomodarono su delle panche, le schiave e le serve rimasero in piedi ai lati del palco. Anche quelle che si erano adattate a quella nuova vita erano spaventate, poteva succedere ad ognuna di loro. Tutt’intorno si disposero i guardiani sempre più aggressivi, anche a loro poteva succedere di venire accoltellati da una serva e pure loro manifestavano la loro rabbia.
A Briana era stato levato il cartello ed ora era in piedi con le mani legate dietro la schiena al centro del palco. Nel silenzio più assoluto Roy salì sul palco e diede il suo primo ordine. – Su la testa troia, guarda le altre schiave e i tuoi padroni. – Briana sollevò il viso e non poté trattenere le lacrime. Roy si rivolse alla folla.
– Questa schiava ha tradito la nostra fiducia e ha tentato di uccidermi. Voleva ribellarsi al suo destino. Non c’è crimine più grave. – I guardiani acclamarono entusiasti, mentre le schiave rimasero ammutolite ed annichilite. La schiava avrebbe ricevuto venti sferzate davanti e venti didietro, si cominciava da qui.
Alla frusta si alternarono i due guardiani che l’avevano accompagnata fin lì. Uno dei due era l’artista della frusta. Nessuno di loro risparmiò le membra bianche e delicate della schiava. La lezione impartita alle schiave che assistevano fu tremenda. Briana si era imposta un contegno, ma dopo poche frustate iniziò ad urlare impazzita. Fu segnata sulle cosce, sulle natiche e sulle spalle e quando fu rivoltata ancora sulle cosce e sul seno. Nessuna parte del suo corpo venne risparmiata. L’artista della frusta mirò alla fica per due volte di seguito ed ottenne grida altissime e risate oscene. Ormai Briana sognava di morire per liberarsi da quel fardello di dolore. Quando la flagellazione terminò la schiava fu slegata dal palo cadendo miseramente sul palco, come un sacco. Roy con la punta dello stivale pungolò la schiava su un fianco. – Forza troia, sollevati. – Briana, sofferente in ogni piega del corpo, trovò comunque la forza per sollevare il viso verso il Padrone. La schiava sebbene confusa e perplessa si domandò cosa volesse. – Leccami gli stivali – gli ordinò il padrone. La schiava si domandò perché non la finivano, capì che prima il Padrone voleva degradarla di fronte a tutti. Pensò di rifiutarsi, ma il Padrone incombeva su di lei e la schiava non sapeva come uscire da quella situazione, temeva che la fustigazione riprendesse, quella proprio non poteva sopportarla. Chiuse gli occhi e tirò fuori la lingua. Roy si fece pulire entrambi gli stivali impolverati. Poi si rivolse di nuovo al suo pubblico. – Questa puttana diventerà un monito per tutte. Sarà marchiata a fuoco con il marchio che il ranch riserva alle sue puledre, non su una natica, ma sulla mammella destra, qualunque vestito indosserà non coprirà questa tetta, dovunque andrà, sempre, avrà la mammella destra in mostra, chiunque potrà leggere che la troia è una schiava che ha tentato di tradire, ma che è stata presa e punita. Il ranch è implacabile con chi tradisce. Le schiave lo sappiano. -
I guardiani esultarono a quell’idea, mentre le schiave chinarono la testa rassegnate. Le serve della locanda tremarono in ogni parte e si ripromisero di obbedire sempre e prontamente agli ordini dei Signori, ribellarsi era inutile e le conseguenze erano terribili.
Ming salì sul palco con il ferro arroventato, mise il suo scarpone sulla pancia della schiava ancora riversa sul pavimento, che emise tutto il fiato che aveva in corpo. Ming avvicinò il ferro e le suggerì – ti conviene stare ferma o sarà peggio. – Briana chiuse gli occhi e strinse i denti. Ming affondò il ferro nella sommità della tetta destra, Briana cercò di rimanere immobile, ma un grido animalesco le uscì dalla gola e si sentì a centinaia di metri di distanza.
Per chi mi vuole scrivere in privato: Koss99@hotmail.it
Qui pubblico solo anteprime. I miei racconti completi sono pubblicati su:
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Per la traduzione dei miei racconti in inglese cerco un traduttore o una traduttrice. Se qualcuno si ritiene all'altezza mi scriva: koss99@hotmail.it Riceverà una proposta che penso interessante.
Tre mesi dopo l’arrivo del primo carico, in un giorno qualsiasi, nel deserto del Kalahari.
Miss Margareth stava sferzando le natiche di Bobbi, la sua puledra, spingendola al massimo. La pungolava sui fianchi con gli speroni e la frustava sulle ampie natiche. Cavalcare una stupenda puledra come Bobbi era sublime. Bobbi sbuffava e sbavava sul morso di cuoio, il cuore le stava scoppiando e il seno ansava come un mantice, ma ce la stava mettendo tutta, voleva far contenta la sua padroncina. Tanto che sentiva a malapena le frustate e gli speroni che si piantavano sui fianchi. I suoi sentimenti verso la Padrona erano contrastanti e incomprensibili, a volte la odiava e a volte la adorava, era una donna innegabilmente dominante, degna di ammirazione, ma lei non si sentiva una sottomessa, neanche dopo quei mesi di angherie. Era costretta ad essere sottomessa e a vivere come un animale. Allo stesso tempo era orgogliosa di essere diventata la migliore puledra del ranch. Un rompicapo da perderci la testa, incomprensibile.
Miss Margareth stava inseguendo un’antilope, la voleva. L’antilope era molto più veloce della puledra, ma lei aveva un vantaggio, di fronte all’antilope c’era un crepaccio che l’ostacolava, l’antilope doveva girarsi su un lato e scapare di là, la puledra arrivava in diagonale. Per qualche secondo l’avrebbe avuta a tiro, poi se l’antilope fosse uscita dal campo di tiro se ne sarebbe andata. Margareth fece perno con il piede sulla staffa di destra e, mentre si librava agilmente nell’aria, prese in mano il fucile che portava a tracolla. Fino a qualche mese prima non aveva mai usato un’arma, ma in quei mesi Mohamed le aveva insegnato e lei, da allieva coscienziosa e diligente, si era molto esercitata. I piedi arrivarono a terra mentre Bobbi le sfrecciava davanti, andando a fermarsi una decina di metri più in là. Margareth rimase perfettamente in equilibrio e prese la mira. Sparò e centrò l’animale sul collo. L’antilope fece ancora due passi e stramazzò al suolo. Margareth saltò in aria per la gioia e gridò felice. Con calma si avvicinò alla sua puledra, la prese per le briglie e s’incamminò verso l’antilope. Era uno splendido esemplare di un giovane maschio, la sua carne doveva essere tenera e dolce. Se Bobbi fosse stata una puledra vera non ci sarebbero stati problemi. Ma Bobbi era solo una ponygirl, non ce l’avrebbe mai fatta a trasportare l’antilope. Con il satellitare chiamò il ranch e ordinò di mandare un carro, intanto si prese cura della sua splendida giumenta. Margareth era molto eccitata, aveva finalmente ucciso una preda, la caccia si era conclusa bene, ma Bobbi non era facile da trattare. Ancora, dopo tre mesi, quando la Mistress la accarezzava lei scartava e si irrigidiva. Ma quel giorno sembrava meno bisbetica del solito e accettò di buon grado le carezze della sua Padrona. Margareth le parlò come faceva di solito, non direttamente, ma come se pensasse. – Sei stata brava Bobbi. Sei stata veloce. Senza di te non l’avrei presa – le sorrise e ne approfittò. Bobbi si mise in ascolto, quelle parole la inorgoglirono e si rilassò. La puledra era forte, ma anche molto bella, aveva i fianchi ampi e un corpo atletico, molto piacevole al tatto, anzi, deliziosa. Margareth provò a metterle la mano tra le cosce e tirarla per gli anellini delle grandi labbra. La Padrona ebbe la netta sensazione che si stesse sciogliendo, la fica si inumidì, i capezzoli divennero ritti, Bobbi trattenne a stento un gemito, ma poi, quando la carezza si fece più intima, la puledra scartò e si irrigidì. Come sempre la rifiutò e Margareth, ancora una volta delusa, non fece niente per costringerla. La voleva, ma Bobbi la doveva accettare, non l’avrebbe mai forzata, era l’unica puledra, la sua, che non avrebbe mai costretto ad accettarla. Intanto il carro stava arrivando. Lo guidava S2, una serva delle stalle molto bella, nera, con due occhi da cerbiatta e un culo ampio e magnifico. Si sarebbe sfogata con lei. Le ordinò di mettersi a novanta gradi, con le mani appoggiate al carretto e la prese con lo strap on dandole due belle pacche sulle ampie natiche e strizzandole il generoso seno. Margareth era eccitata e arrabbiata con Bobbi e, avendo deciso che sulla puledra non avrebbe mai infierito, si lasciò andare con la serva. Al contrario di Bobbi la serva accettò con piacere le attenzioni della sua Padrona, anche le più rudi e manesche. Mugolò per tutto il tempo facendo di tutto per compiacerla. Miss Margareth era un’autorità nel ranch e poi era piacevole sottostare ai suoi desideri. Bobbi, per tutto il tempo, le guardò con disapprovazione. Per Margareth la puledra era incomprensibile, non si concedeva, ma era gelosa, chiaramente.
Tre mesi dopo l’arrivo del primo carico, in un giorno qualsiasi, nel deserto del Kalahari.
Le serve delle stalle, come ogni mattina, vennero svegliate alle cinque. Le urla e il berciare di un giovane guardiano, che aveva aperto il grande portone del capanno, le incalzava a muoversi. Le serve erano state rinchiuse lì dentro la sera prima, come ogni sera, intorno alle ventuno, dopo essere state contate. Erano una quindicina, tutte abbastanza giovani, non più di trenta anni, di tutte le razze, dormivano insieme in giacigli disposti sui tre lati del capanno. Erano belle, ai trapper che le avevano catturate era stato detto che le donne che dovevano catturare dovevano essere tutte belle, giovani e appetitose, ma tra le serve di stalla erano finite le meno belle, come tra le puledre erano finite le più forti. Il capanno era privo di finestre, ma con tanti abbaini, irraggiungibili, sul tetto, a tre metri di altezza, per far penetrare un po’ di luce e di aria.
Il tempo di aprire il portone, di sentire le prime grida, e le serve erano già in piedi che si stavano vestendo dei loro miseri abiti. Le pigre e le dormiglione, dopo le prime frustate dei primi giorni, erano diventate le più rapide di tutte. Indossavano degli stivaletti di cuoio, fondamentali per il loro lavoro, per il resto dei cenci di cotone o strisce di cuoio che le coprivano alla bell’e meglio, ma erano pulite, ogni sera, prima di cena, facevano la doccia con le puledre che avevano in custodia. Appena vestite correvano fuori dalla porta, dove c’era un grosso cesto di vimini, da cui prendevano il loro frustino che, la sera prima, entrando nel capanno, avevano lì depositato. Le serve avevano il diritto di usare quel frustino solo per farsi ubbidire dalle puledre che si ribellavano quando esercitavano le loro funzioni: vestirle, lavarle, portarle a bere e mangiare... O per difendersi da qualche puledra particolarmente bizzosa. Le serve interpretavano questi limiti liberamente, ma se esageravano e qualche guardiano se ne accorgeva potevano diventare, a loro volta, bersaglio della frusta. La serve, teoricamente, non potevano neanche abusare delle puledre, in particolare non potevano abusarle sessualmente, ma anche in questo caso se ne approfittavano. Il luogo preferito di questi abusi erano le docce, dove quasi mai c’era un guardiano a controllarle, oppure quando venivano mandate con un carro a sbrigare delle commissioni, anche in quel caso era difficile che un guardiano le potesse cogliere sul fatto. Erano cose che si sapevano, ma non importava a nessuno e le puledre non erano in grado di protestare, subivano. Le serve venivano punite solo se colte in fallo e se la serva era compiacente, con i guardiani che la beccavano, spesso la facevano franca. Non sempre, il guardiano non aveva bisogno che la serva fosse compiacente se la voleva prendere, anzi, a volte aveva piacere nel punire la serva, a volte si inventava qualche mancanza della serva per poterlo fare. Era un gioco di sottomissione e di potere dagli esiti sempre imprevedibili e mai scontati, era tutto molto arbitrario e l’arbitrio era dalla parte del più forte e del potere. La serva aveva più potere della puledra e il guardiano più potere della serva, tutto sommato alle serve non conveniva rischiare, ne approfittavano solo quando era poco probabile che venissero scoperte.
Nel ranch iniziava un’altra giornata di duro lavoro. Le serve delle stalle erano le prime che si svegliavano, per tutti gli altri c’era più tempo per dormire, seguivano le puledre e le altre schiave, poi i guardiani, gli artigiani ed infine i capi. Alle otto il ranch era in piena attività, tutti avevano i loro compiti da svolgere. Gli ospiti del ranch, i soci e i loro ospiti, i veri padroni, non avevano orari, si svegliavano quando volevano e facevano quello che volevano.
Le serve, come quasi tutti gli altri, erano lì da tre mesi ed avevano perfettamente appreso la routine della vita in quel luogo. Nel ranch loro svolgevano un lavoro fondamentale, anche se, nel ranch, loro, erano le ultime ruote del carro. Persino le puledre venivano trattate meglio di loro, ma senza di loro quel posto non poteva funzionare, così come senza le puledre quel luogo non avrebbe avuto senso.
Uscirono fuori, nel fresco dell’alba, alcune corsero alle latrine, tutte si lavarono il viso e le mani, altre si misero a cucinare focaccine e pezzi di carne, tè e dolcetti. Fecero colazione con calma, si gustarono quel poco tempo a loro disposizione, quindi si avviarono verso le stalle. Da quel momento tutto divenne frenetico.
Il giovane nero che le sorvegliava, quella mattina, ne fermò una. Una bionda sui trenta, longilinea, con due lunghe e tornite cosce, ma anche due tette belle grosse. Era una delle più vecchie, mentre il nero era uno dei più giovani sorveglianti, aveva appena diciotto anni. Lui la spinse contro la parete del capanno e la bionda non si oppose. Rassegnata si inarcò, appoggiò una mano alla parete e con l’altra sollevò la misera gonnellina che la copriva, sotto non portava mutandine. Il nero ce lo aveva già fuori dalla patta, col cazzo umido e turgido accarezzò la fica della bionda e poi la penetrò, prendendola da dietro con un affondo. La bionda uggiolò e dopo qualche istante iniziò a gemere per eccitarlo ancora di più, non le piaceva e voleva levarselo di torno al più presto. Cosa che immancabilmente successe. Il nero grugnì, le strinse le tette spasmodico, la morse sulle spalle e venne. La bionda, seria, lo adulò – sei forte lord, hai un gran cazzo lord. – Il nero sorrise soddisfatto, non si rese neanche conto che lo stava prendendo per il culo, era molto preso dal suo ruolo e dal suo potere. Da quando era lì se le era fatte tutte, ma per quella bionda, più grande delle altre, aveva un debole, se la fotteva quasi ogni giorno. Se non era la mattina lo faceva la sera o durante qualche pausa della giornata. La bionda non era contenta, ma quello era il male minore, l’importante era non prenderle, per fortuna ormai succedeva raramente. Miss Margareth, la governante delle puledre e delle serve di stalla, non lo permetteva se non per validi motivi, però uno dei motivi era proprio quello di rifiutare i favori al guardiano di turno. Il guardiano aveva tutto il diritto di fottersi una serva come quello di scoparsi una puledra. Miss Margareth diceva che era persino educativo per entrambe.
La bionda raggiunse le altre e fece colazione con loro. Una giovane e procace nera, la sua migliore amica, si sedette accanto a lei e le chiese sorridendo e ammiccando - quanto è durato oggi il tuo fidanzato? –
- Al solito, neanche un minuto, è sempre un fulmine, ma la mattina ancora di più. – Risero entrambe.
Alle sei le serve sciamarono dentro la stalla, le puledre erano impazienti, alcune nitrivano per la voglia di uscire – iiihhhhhrriiii. - Stavano dentro i box dal tramonto del giorno precedente e non ne potevano più. Le serve erano rapide ed efficienti, per loro quella era l’ora più impegnativa della giornata. Le puledre dormivano nude, come le serve, nelle notti più fredde si raggomitolavano sotto una coperta, ma succedeva raramente. Appena la serva entrava si giravano dando loro le spalle e incrociavano le braccia dietro la schiena. Avevano imparato ad essere ubbidienti. All’inizio qualcuna si era ribellata, ma dentro lo stallo c’era poco spazio per lottare, anche se le puledre erano nettamente più forti delle serve queste ultime avevano il frustino ed avevano imparato ad usarlo come un manganello. E poi, bastava un grido di allarme perché di serve ne arrivassero altre cinque, tra loro erano molto solidali, a chiunque di loro poteva capitare di avere a che fare con una puledra ribelle. Nei casi peggiori arrivava anche qualche guardiano e per la puledra era la fine. Le punizioni erano implacabili e molto severe. La frusta era lo strumento preferito, ma anche la bacchetta, e alcuni preferivano usare le mani, pugni e schiaffi, dovunque. Quindi le ribellioni finirono presto. Infine, una volta che alla puledra venivano immobilizzate le braccia per loro era impossibile lottare e c’erano ben altri mezzi di costrizione che potevano essere applicati sulle giumente.
Le puledre avevano le braccia libere solo quando erano chiuse dentro il loro stallo. Infatti, la prima cosa che la serva faceva era prendere da un gancio un guanto lungo tra i trenta e i cinquanta centimetri, dipendeva dalla taglia della puledra, e infilarlo nelle braccia protese, poi, con lacci di cuoio, stringeva in alto e chiudeva. Durante la giornata la puledra poteva indossare altri tipi di finimenti, dipendeva dal lavoro che era chiamata a svolgere o dai capricci del suo padrone del momento, ma Miss Margareth aveva stabilito che, la mattina, per accelerare le operazioni, quello era il modo più veloce. La puledra, dentro il suo stallo, aveva, appesi a dei ganci, molte versioni di finimenti, così come una ragazza normale ha tanti vestiti nel suo armadio. L’operazione successiva era far loro indossare i calzari. Stivaletti, senza tacco, con la foggia dello zoccolo e che sulla pianta avevano un ferro di cavallo. La puledra sollevava un piede e lo stivaletto di cuoio, rivestito all’interno di morbida lana, scivolava dentro in un attimo, il primo e poi il secondo. La lana interna impediva ai piedi di piagarsi, assorbiva gli urti e teneva caldo il piede. Anche in questo caso bisognava stringere bene i lacci. Pure il tipo di stivale durante la giornata, sempre per gli stessi motivi, poteva essere sostituito con un altro. Il tutto avveniva in tre o quattro minuti, un quarto d’ora perché tutte le puledre fossero inguantate e calzate. Man mano che erano pronte uscivano nel grande corridoio della stalla e iniziavano a scalpicciare sul posto impazienti, mentre le serve passavano alla prossima. Le puledre si disponevano davanti al cancello del proprio box e aspettavano, frementi con le gambe leggermente divaricate, il petto in fuori, i muscoli tesi, lo sguardo sperso nel vuoto. Come dei soldatini.
A quel punto arrivava Miss Margareth, la loro Padrona, che senza fretta, guardandole ad una ad una, le passava in rassegna percorrendo il lungo corridoio a passi lenti e misurati. Ormai la Mistress le conosceva tutte, conosceva i loro difetti ed i loro pregi e sapeva come prenderle. Le puledre, quando lo sguardo della Mistress si posava su di loro, rabbrividivano di piacere e di paura. Era severa e non le sfuggiva niente, ma non era cattiva, se la puledra si comportava bene. Se la Mistress notava qualcosa fuori posto, ad esempio una cinghia lenta, le bastava lo sguardo a far scattare una serva per rimediare. Se quell’errore si ripeteva Miss Margareth era implacabile, la serva veniva punita severamente. Una cinghia messa male poteva piagare la pelle della pony e renderla inutilizzabile per giorni, questo non doveva assolutamente accadere.
Margareth era una Mistress, minuta, mora e affascinante. In quei mesi aveva acquisito un’autorevolezza che lei sapeva di possedere, ma non fino a quel punto, lì dentro ormai la consideravano più che una regina, una dea. Tutte le puledre e le serve la ammiravano e la temevano.
La mattina indossava pantaloni di tela, quel giorno neri, stivali anch’essi neri e sopra una camicia abbottonata fino al collo, quel giorno bianca. In mano teneva un corto frustino con cui ogni tanto colpiva l’altra mano o, in modo più temibile, faceva sibilare nell’aria. Era giovane, ma in quel luogo era la regina, aveva un potere smisurato, poteva fare quello che voleva. Dietro di lei veniva un gigante nero, il suo vice e capo dei guardiani delle stalle. Le serve lo chiamavano Mandingo, quando lo vedevano rabbrividivano e si bagnavano. A dire la verità non erano le sole, era l’effetto che Luis faceva su tutte le donne. Anche Mandingo se le era fatte quasi tutte, ma, al contrario del giovane guardiano, lui era desiderato ed ambito. Se posava lo sguardo su una serva questa non vedeva l’ora di servirlo, ne guadagnava in reputazione e protezione, oltre che in piacere. Molte puledre, se ne avevano l’occasione, si strusciavano su di lui o richiedevano sfacciatamente attenzione spingendogli il muso sull’ampio petto o su una spalla. Le puledre potevano essere così sfrontate, erano animali, alle serve invece non era concesso offrirsi, se non erano richieste.
Le puledre erano circa venticinque per fila e fremevano. Alle puledre era proibito incrociare lo sguardo della Padrona come di chiunque, anche delle serve. Le puledre guardavano fisse in avanti, l’alto collare, verde o rosso che fosse, imponeva loro di mantenere lo sguardo fisso. Ma mentre la Padrona passava sbirciavano con la coda degli occhi, erano in soggezione, cercavano di captare il suo umore e i suoi desideri. Piano piano avevano imparato a compiacerla ed erano contente quando potevano servirla o ricevevano solo qualche carezza.
A volte Margareth si fermava di fronte ad una delle sue pony e l’accarezzava, era un segno di benevolenza che le puledre anelavano. Poteva essere un buffetto sulla guancia o una carezza intima sul seno o tra le cosce. Margareth sorrideva mentre le toccava e loro gemevano, a volte le penetrava e ritraeva un dito bagnato con il quale poi le penetrava tra le labbra. Per il piacere alcune si piegavano sulle ginocchia, lei le riconduceva all’ordine tirando l’anello di uno dei capezzoli.
Quella mattina si fermò di fronte a Lela e l’accarezzò sul seno, era una gran bella giumenta, soda e allo stesso tempo morbida, molto elegante. Il seno si gonfiò e la giumenta lo spinse in fuori, i capezzoli si inturgidirono e Lela si illanguidì. Margareth sorrise e la tastò tra le cosce. La giumenta rimase immobile, ma un brivido di piacere attraversò il suo splendido corpo, era una delle più anziane tra quelle giovani pony, aveva ventotto anni, ma correva splendidamente, aveva il collare rosso. Margareth la penetrò con le dita e la trovò bagnata, le stropicciò il clitoride e la giumenta gemette. Lela arrossì, tutti la stavano guardando mentre si offriva come una vacca alla Padrona. Molte erano invidiose di quelle attenzioni, molte delle altre puledre e anche delle serve avrebbero voluto essere al suo posto. Lela arrossiva perché nonostante fossero passati molti mesi da quando era arrivata lì era ancora una puledra molto pudica, ma non le importava, aveva bisogno di essere coccolata.
– Domani arriva il tuo padrone – le sussurrò e la giumenta non poté fare a meno di agitarsi, gli zoccoli rimasero fermi sulla terra battuta del corridoio, gli occhi continuarono a fissare la parete di fronte, ma tutto il corpo della giumenta vibrò di piacere e le venne la pelle d’oca. Margareth le diede un’altra carezza tra le cosce e la giumenta mugolò un’ultima volta. Margareth le sorrise e andò avanti.
Le serve, a due a due, iniziarono a lavorarsele. Ogni coppia di serve aveva un secchio pieno di un grasso vegetale, chiaro e profumato, che il veterinario faceva preparare per quello scopo. Una serva davanti e una dietro ad ogni puledra. Si ungevano le mani nel secchio e poi iniziavano a spalmarlo sul corpo delle giumente. Quella di dietro partiva dal collo e quindi passava alle spalle, scendeva sulla schiena e arrivava alle natiche senza trascurare la piega tra di esse, poi scendeva sulle cosce e finiva sui polpacci. Quella davanti lo spalmava anche sul viso, facendo attenzione agli occhi, poi dalle spalle al seno, dove si soffermava giocando con gli anellini che le puledre portavano ai capezzoli. Non era raro sentire qualche puledra gemere mentre veniva massaggiata sul seno. Poi scendevano sulla pancia e sulla fica e anche qui molte gorgogliavano di piacere. Pure qui, le serve trovavano degli anellini con cui giocare. Le serve penetravano, alcune puledre accentuavano lo scostamento delle cosce per facilitare il compito. Infine passavano sulle cosce e giù fino alle ginocchia e fino a dove arrivavano gli stivaletti. Lela si era ricomposta, un conto erano le carezze di Miss Margareth ed un altro quelle delle serve. Lei era una puledra con il collare rosso, aveva e doveva avere un contegno, ma non tutte erano come lei, molte puledre, più prosaiche, apprezzavano anche le carezze più intime delle serve.
Gli anellini nei genitali, nei capezzoli e al naso non avevano solo lo scopo di adornare le giumente, ma, soprattutto all’inizio, servivano come mezzi di costrizione, per costringerle a fare quello che i padroni, ma anche le serve, desideravano. Bastava tirare e la puledra doveva seguire e ubbidire.
Le puledre erano costantemente eccitate, forse Chen, in quel grasso mischiava anche erbe afrodisiache, il cinese era pieno di risorse, pensava Margareth, mentre le passava in rassegna. L’eccitazione e i bollori, durante il giorno si calmavano, ma solo perché le puledre lavoravano, correvano, sudavano e tutto quel movimento produceva endorfine, ma la sera e la notte l’eccitazione sessuale riprendeva, la mattina le giumente smaniavano, era uno dei motivi per cui non vedevano l’ora di mettersi a correre.
La bionda e la nera formosa lavoravano in coppia, la loro puledra preferita era una giapponese, era una puledra importante, perché era stata scelta niente poco di meno che come puledra personale dal Presidente del ranch. Come tutte le puledre, la giapponese era tonica, ma aveva un corpo di burro, con le tette grandi e cremose. Le dita della bionda e della nera si immergevano con soddisfazione nel mammellume e la giapponese uggiolava come una cucciola. La massaggiavano e si divertivano ad eccitarla, alle due svampite che fosse la pony personale del Presidente non importava più di tanto. La troia, a loro, sembrava che ci stesse e questo le faceva stare tranquille. Infatti, la puledra anche se cercava di trattenersi, ogni tanto veniva sbrodolando tra le mani delle serve. Rischiavano, lo sapevano, ma la giapponese era irresistibile. Il massaggio durava pochi minuti, bisognava correre, c’era tanto da fare, ma loro due sapevano stimolarla e a volte vedevano che si piegava sulle ginocchia, soprattutto quando la bionda se la lavorava davanti, sulle tette, e la nera la penetrava nella fica da dietro. La giapponese mugolava per tutto il tempo e si contorceva cercando di non muoversi mentre le due serve ridacchiavano. Margareth osservava e faceva finta di non vedere, interveniva solo, ed erano guai, se la puledra si vedeva imporre quelle attenzioni, ma la giapponese le gradiva e tutto sommato le serve facevano bene a soddisfarla, durante il giorno sarebbe stata meglio.
Le serve più brave, ma lo stavano diventando tutte, facevano penetrare le dita nei muscoli, sempre più duri, delle puledre, li scioglievano e tonificavano, facendo distendere i nervi. Quel grasso aveva il compito di proteggere la pelle delle puledre dal vento e dal sole, visto che stavano quasi tutto il giorno praticamente nude all’aperto. Per le puledre era una formula magica, le faceva stare bene, era la loro droga mattutina.
Le ponygirl erano state degradate a livello di bestiame, ma in quel luogo avevano un grande valore, tutto girava intorno a loro e quelle che erano entrate nel loro ruolo, e dopo un po’ di tempo succedeva a tutte, lo sentivano. Sentivano che erano diventate importanti. Alcune erano imponenti, svettavano su quegli stivaletti, con quelle basi esagerate, che erano i loro zoccoli, erano eleganti nel portamento e nella postura, erano piene di sé. In pochi mesi erano passate dall’essere state delle reiette, dei buchi dentro cui sfogarsi a oggetti, perché tali rimanevano, di grande valore. Mostravano con orgoglio i loro corpi forti, lucidi, scintillanti, attrattivi e spettacolari. Ciò riguardava soprattutto quelle con il collare rosso, le pony che nessuno poteva toccare perché erano proprietà personale di persone importanti. Erano le pony dei capi, in particolare quelle di Miss Margareth, di Mr. Chen e di qualche socio come Mr. Johnson, il Presidente, di Miss Lorna e di Mr. Kim. Queste puledre credevano di essere delle principesse, incedevano nei corridoi delle stalle e sgroppavano nel paddock o correvano sulla pista come se il mondo fosse il loro. Aver tolto loro la possibilità di parlare rendeva sia il loro corpo che il loro viso, in particolare i loro occhi, più espressivi. Le serve, ma anche i guardiani non osavano maltrattarle. Anche qualcuna con il collare verde, le puledre della comunità, si credeva importante. Sicuramente lo erano per le serve, meno per i guardiani che infatti le prendevano quando volevano e fottendole cercavano di sottometterle ed umiliarle per la loro presunzione, senza però riuscirci mai del tutto e per molto tempo.
Dopo che erano state unte a dovere, le puledre rientravano nei loro box per completare la vestizione, poco più che delle strisce di cuoio per mantenere il seno alto e fermo e adornare le natiche lasciando i buchi scoperti. Con questa operazione si perdeva un’altra mezzoretta, poi uscivano all’aperto, bevevano e mangiavano a volontà, quindi venivano portate nel paddock dove sgroppavano e socializzavano con le altre puledre, si annusavano e qualche volta si leccavano l’una con l’altra, correvano insieme e saltavano.
Accanto alla stalla delle ponygirl c’era la stalla dei cavalli veri e propri. Ce ne erano una dozzina ed erano accuditi dai guardiani che li usavano per controllare il territorio circostante il ranch ed i confini. Anche se spesso i guardiani usavano le stesse ponygirl per quel lavoro, montavano su un calesse trainato da una o due pony e giravano per il vasto territorio appartenente al ranch, ma i cavalli davano loro la possibilità di essere più veloci e rapidi ed erano utili nell’eventualità di una caccia alle stesse ponygirl, non era mai successo veramente che una ponygirl scappasse, ma a volte i guardiani si divertivano in simulazioni fatte per gioco.
Miss Margareth osservava, vedeva tutto e pensava a quanto era stato rapido trasformare quelle ragazze, molte di buona famiglia, alcune irreprensibili, in puledre, che come animali di compagnia si facevano accarezzare e toccare dappertutto, anche intimamente, da perfetti sconosciuti. Ragazze, alcune pudiche, regredite allo stato animale che ormai vivevano praticamente nude e con il seno e i genitali sempre in mostra. Non era normale, ma era avvenuto in pochi mesi. Ragazze che fino a qualche mese fa, prima di concedere solo un bacio, volevano essere corteggiate a lungo, ora erano trasformate in ponygirl e venivano sessualmente usate da chiunque ne avesse voglia, in qualsiasi momento. Ora si offrivano a chi le voleva prontamente e senza opporsi. Rapido, ma non facile, c’era voluto molto lavoro, molte punizioni e molto addestramento.
Per le serve, durante la giornata, ci potevano essere molte altre incombenze da svolgere, ma il lavoro più duro era quello del mattino. La prossima fatica sarebbe venuta la sera, quando le puledre sarebbero rientrate nei loro alloggiamenti.
La bionda disse alla più giovane nera e formosa. – Mandingo ti ha guardata e sorrideva. Ti è piaciuto quando ti ha fottuto? Lo vorrei provare anch’io. –
La nera sorrise con nostalgia. - Quello sì che è un campione, quando mi ha presa mi ha fatto morire per un’ora, ma chi sa se succederà ancora. Comunque se succederà ti raccomanderò. Gli dirò, c’è una troia bionda e bianca che sbava per il tuo cazzone nero. –
Le puledre non rimanevano ad oziare nel paddock a lungo, alcune venivano ritirate dai soci del ranch che le prendevano per il loro divertimento personale, un giro in sulky nel deserto o una corsa sulla pista. Altre, con il collare verde, venivano prese dalle serve che le attaccavano a carri o carretti e le usavano per trasportare merci di qua o di là. Qualche guardiano le prendeva per fare un giro di sorveglianza del ranch in calesse e immancabilmente si faceva anche un altro genere di giro. Tutte le altre dopo aver sgroppato e oziato per un’oretta nel paddock venivano sottoposte ad addestramento ed allenamento. Ai guardiani era stato insegnato cosa dovevano fare, per lo scopo erano stati selezionati i più svegli, Miss Margareth ne aveva cacciati parecchi che aveva giudicato incapaci, ne erano rimasti cinque che avevano imparato e sapevano come muoversi. Lei andava avanti ed indietro in groppa a Bobbi, la sua splendida giumenta, controllava, riprendeva, insegnava. Era paziente, ma anche severa, se qualcuno commetteva lo stesso errore più di una volta usava il frustino, anche sui guardiani, nessuno osava protestare, Mandingo era sempre dietro di lei e la sua sola presenza bastava a dissuadere anche i delinquenti più incalliti. Se invece a sbagliare era la puledra non perdeva mai la pazienza, poteva rimanere con lei anche un’ora per farle vedere come doveva comportarsi, ma se capiva che la pony era riluttante alla lezione allora la portava alla ruota. Lì c’era poco da divertirsi. Era una ruota di pietra gigantesca che serviva per macinare i cereali, molto del nutrimento delle stesse puledre. Era una forma di allenamento per irrobustire le puledre, ma era anche la prima punizione che veniva usata al ranch, tutte le altre erano più dure. La puledra veniva imbracata ad uno dei raggi e doveva trottare per fare girare la ruota, un lavoro pesante, immane e per di più con un guardiano che non lesinava la frusta e che spesso ci prendeva gusto.
Alla ruota ci potevano finire non solo le puledre, ma anche le altre schiave e qualche volta anche dei guardiani che non si comportavano bene.
Un nero quarantenne di solito sovrintendeva a quel lavoro, con la frusta era diventato molto raffinato, a volte scommetteva con i suoi colleghi, che spesso si raccoglievano intono alla ruota a guardare, soprattutto quando la malcapitata era particolarmente bella. Gli sfaccendati erano attratti non tanto dalle puledre o dalle serve, quelle le vedevano spesso e più spesso se le fottevano, ma dalle cameriere di Madame Svetlana che in giro si vedevano poco e sempre vestite, anche se scollacciate, ed erano irraggiungibili dai guardiani. Quando però erano punite venivano denudate completamente e chiamate a compiere sforzi a cui non erano abituate. In quelle occasioni il pubblico arrivava sempre numeroso. Il raffinato cultore della frusta scommetteva dove avrebbe colpito la povera disgraziata, ad esempio sul seno destro o sulla fica. Sulla fica era il colpo più difficile, perché il guardiano non solo doveva essere preciso, indirizzando la punta della frusta nel luogo giusto, ma doveva anche saper scegliere perfettamente il tempo. Quando la schiava allungava il passo e lasciava scoperta la vulva per una frazione di secondo.
I guardiani avevano nel ranch un grande potere, potevano usare liberamente le puledre con il collare verde e le schiave con il collare marrone o blu, ma non quelle con il collare rosso o arancione o giallo.
Le puledre tiravano il raggio della ruota con il corpo, le altre schiave spingevano con le braccia, per tutte la frusta era sempre in agguato appena si fermavano per prendere fiato.
La punizione più feroce che venne impartita ad una schiava nei primi tre mesi venne data proprio ad una cameriera. Si chiamava Briana ed era una bionda con due tette magnifiche. Era molto bella, come tutte le schiave assegnate a Madame Svetlana. Il fatto avvenne dopo pochi giorni che era arrivata, per fortuna ancora nessuno dei soci era venuto al ranch. La ragazza in quei pochi giorni era passata di mano in mano tra i capi, gli unici che se la potevano fare. Era ancora apatica e svogliata, quando se la fottevano allargava le gambe e si faceva penetrare senza nessuna partecipazione, non andava bene. I capi pretendevano maggiore entusiasmo se non passione, ma pensavano che sotto le cure di Svetlana, come per le altre, questa dedizione si sarebbe sviluppata. Invece Briana accumulava rabbia, fino a quando, mentre serviva la cena, dopo l’ennesima volta che era stata palpata, non prese un coltello da un tavolo e si avventò sul capo dei capi: Roy. Non si capì mai se ce l’aveva proprio con lui o se lui era stato solo l’ultima goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Briana riuscì solo a scalfire la spalla di Roy, già mentre si avventava, un altro capo, Alex la sgambettò facendole perdere l’equilibrio e Chen, il veterinario, la trattenne tirandola per il vestito. Il colpo, a quel punto, debolissimo andò comunque a segno, ma con pochi danni. Ma al di là del risultato, quanto successo era gravissimo. Un gesto così non era neanche pensabile che accadesse, non poteva passare sotto silenzio e non poteva essere punito blandamente. Dove si sarebbe finiti se una schiava mentre i Padrone cenavano e si rilassavano poteva aggredirli ferendoli o addirittura uccidendoli?
Lo fecero passare, e lo era, come un gesto gravissimo, che non si poteva ripetere e che sarebbe stato punito in modo esemplare. In modo tale da terrorizzare tutte le schiave. Nessuna doveva più osare immaginare che si potesse fare qualcosa del genere. La ragazza passò quarantotto ore in cella, nell’attesa che i capi decidessero come punirla. Furono quarantotto ore in cui nessuno la toccò, ma di puro terrore, l’attesa e le dicerie che sentì raccontare su quello che le volevano fare la fece quasi impazzire. In quelle quarantotto ore solo Chen avvicinò Briana, le mise due anelli ai capezzoli, le schiave normalmente non li portavano, solo le puledre.
Bisognava dare un esempio e lo avrebbero dato, tutte le schiave dovevano assistere. Lavorarono a lungo per preparare il luogo dello spettacolo, si era creata un’attesa esasperante che aveva preso tutti quanti. Soprattutto le schiave assistevano ai preparativi angosciate da quello che stava per avvenire.
All’alba tutto era pronto. Quando il sole era ormai sorto, un carro, trainato da quattro puledre tirate a lucido, scintillanti sotto i raggi del sole, con stupendi finimenti, uscì dal cortile, dietro le stalle dove Briana era stata rinchiusa. Le giumente che trainavano il carro portavano in testa un pennacchio di piume colorate, ed erano riccamente bardate con innumerevoli e lucidi finimenti di cuoio. Sul carro a cui erano state tolte le sponde c’era Briana. La schiava era nuda, con le mani legate, dietro la schiena, ad un palo infisso nella base del carro. Dagli anelli dei capezzoli partivano due lacci di cuoio a cui era appeso un pesante cartello di legno in cui c’era scritto traditrice. Un altro pezzo di legno che usciva dal palo puntava sulle reni della schiava e la costringeva a spingere il bacino in avanti risultando così oscenamente esposta. Infine, un’asta fissata tra le caviglie, obbligava la schiava a tenere le gambe aperte. Ai lati del carro stavano due guardiani. Dietro veniva Miss Margareth in groppa a Bobbi. Dietro di lei, in fila per tre le tremanti schiave della casa. Sembrava un corteo funebre. Infatti le schiave non erano truccate e non avevano indossato i loro soliti vestiti scollacciati ed appariscenti. Sentivano su di loro la colpa di Briana. Seguivano i calessi di tutti i Capi del ranch: Roy, Chen, Mohamed, Mastro Ming, Alex, Svetlana. Il corteo era chiuso dalle serve. Il corteo avanzava lentamente, ai bordi della pista si affollavano i guardiani che scrutavano severamente schiave e serve. Le tette di Briana si erano allungate all’inverosimile e la sua fica rimaneva aperta ed in mostra. La schiava soffriva, ma non piangeva e non invocava pietà. Sapeva che era inutile, ma se non piangeva non poteva impedire al suo corpo di tremare nonostante la giornata fosse già calda. Se le schiave stavano in silenzio non era così per i guardiani, che motteggiavano, deridevano la sventurata e minacciavano le altre che non osavano girare lo sguardo verso chi le insultava. Il carro si diresse verso la pista e la percorse quasi tutta. Ormai il sole era alto e la giornata si preannunciava splendida. Briana gemeva, ma nessuno ci faceva caso. Arrivarono sull’altro lato della pista dove era stato costruito il palco, su cui Briana fu fatta salire. Di lei si sarebbero occupati i due guardiani che l’avevano accompagnata standole di lato. I Capi del ranch si accomodarono su delle panche, le schiave e le serve rimasero in piedi ai lati del palco. Anche quelle che si erano adattate a quella nuova vita erano spaventate, poteva succedere ad ognuna di loro. Tutt’intorno si disposero i guardiani sempre più aggressivi, anche a loro poteva succedere di venire accoltellati da una serva e pure loro manifestavano la loro rabbia.
A Briana era stato levato il cartello ed ora era in piedi con le mani legate dietro la schiena al centro del palco. Nel silenzio più assoluto Roy salì sul palco e diede il suo primo ordine. – Su la testa troia, guarda le altre schiave e i tuoi padroni. – Briana sollevò il viso e non poté trattenere le lacrime. Roy si rivolse alla folla.
– Questa schiava ha tradito la nostra fiducia e ha tentato di uccidermi. Voleva ribellarsi al suo destino. Non c’è crimine più grave. – I guardiani acclamarono entusiasti, mentre le schiave rimasero ammutolite ed annichilite. La schiava avrebbe ricevuto venti sferzate davanti e venti didietro, si cominciava da qui.
Alla frusta si alternarono i due guardiani che l’avevano accompagnata fin lì. Uno dei due era l’artista della frusta. Nessuno di loro risparmiò le membra bianche e delicate della schiava. La lezione impartita alle schiave che assistevano fu tremenda. Briana si era imposta un contegno, ma dopo poche frustate iniziò ad urlare impazzita. Fu segnata sulle cosce, sulle natiche e sulle spalle e quando fu rivoltata ancora sulle cosce e sul seno. Nessuna parte del suo corpo venne risparmiata. L’artista della frusta mirò alla fica per due volte di seguito ed ottenne grida altissime e risate oscene. Ormai Briana sognava di morire per liberarsi da quel fardello di dolore. Quando la flagellazione terminò la schiava fu slegata dal palo cadendo miseramente sul palco, come un sacco. Roy con la punta dello stivale pungolò la schiava su un fianco. – Forza troia, sollevati. – Briana, sofferente in ogni piega del corpo, trovò comunque la forza per sollevare il viso verso il Padrone. La schiava sebbene confusa e perplessa si domandò cosa volesse. – Leccami gli stivali – gli ordinò il padrone. La schiava si domandò perché non la finivano, capì che prima il Padrone voleva degradarla di fronte a tutti. Pensò di rifiutarsi, ma il Padrone incombeva su di lei e la schiava non sapeva come uscire da quella situazione, temeva che la fustigazione riprendesse, quella proprio non poteva sopportarla. Chiuse gli occhi e tirò fuori la lingua. Roy si fece pulire entrambi gli stivali impolverati. Poi si rivolse di nuovo al suo pubblico. – Questa puttana diventerà un monito per tutte. Sarà marchiata a fuoco con il marchio che il ranch riserva alle sue puledre, non su una natica, ma sulla mammella destra, qualunque vestito indosserà non coprirà questa tetta, dovunque andrà, sempre, avrà la mammella destra in mostra, chiunque potrà leggere che la troia è una schiava che ha tentato di tradire, ma che è stata presa e punita. Il ranch è implacabile con chi tradisce. Le schiave lo sappiano. -
I guardiani esultarono a quell’idea, mentre le schiave chinarono la testa rassegnate. Le serve della locanda tremarono in ogni parte e si ripromisero di obbedire sempre e prontamente agli ordini dei Signori, ribellarsi era inutile e le conseguenze erano terribili.
Ming salì sul palco con il ferro arroventato, mise il suo scarpone sulla pancia della schiava ancora riversa sul pavimento, che emise tutto il fiato che aveva in corpo. Ming avvicinò il ferro e le suggerì – ti conviene stare ferma o sarà peggio. – Briana chiuse gli occhi e strinse i denti. Ming affondò il ferro nella sommità della tetta destra, Briana cercò di rimanere immobile, ma un grido animalesco le uscì dalla gola e si sentì a centinaia di metri di distanza.
Per chi mi vuole scrivere in privato: Koss99@hotmail.it
Qui pubblico solo anteprime. I miei racconti completi sono pubblicati su:
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Per la traduzione dei miei racconti in inglese cerco un traduttore o una traduttrice. Se qualcuno si ritiene all'altezza mi scriva: koss99@hotmail.it Riceverà una proposta che penso interessante.
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