Alessandra e geova 1
di
Nuovo Eliseo91
genere
incesti
CAPITOLO 1
Era mattina. L'ennesima mattina. Una vita costruita sullo scandirsi noioso e imperturbabile dei “driiin” della sveglia.
Alessandra si era svegliata come ogni maledetta mattina. Anche quella mattina.
Cos'è “la mattina” se non un apostrofo rosa tra le parole “cazzo” e “buonanotte”?
Svegliarsi la mattina, il più grande incubo dell'umanità.
Un'inculata bestiale, un incontro sadomaso tra le braccia di Morfeo e il caffè della prima colazione.
Di quante cazzo di mattine era composta l'esistenza?
Quante altre “mila” volte avrebbe dovuto svegliarsi prima di capire che era stata veramente una grande fregatura quella di essere stata messa al mondo?
Ogni mattina era uguale a quella precedente e quella precedente era uguale a quella precedente ancora. Come in quel film con Bill Murray dove ogni giorno tendeva a ripetersi all'infinito...
“Un loop temporale del cazzo” - pensava Alessandra.
La vita in se è un loop temporale del cazzo, la vita è inutile, è il ripetersi all'infinito di gesti senza alcun valore. La sua vita era all'insegna dell'inutilità.
Una giovane vita in gabbia.
Il seme della gioventù bruciato prima ancora di esplodere in tutto il suo splendore.
Questi erano i pensieri mattutini, le voglie di una ragazza contro un mondo senza identità.
Odiava la mattina, odiava profondamente tutte quelle noiose mattine che da vent'anni vedeva e sentiva chiuderle la vita in una scatola. Era diventata per lei un'ossessione. La stessa parola, “mattina”, racchiudeva in sé tutte le cose peggiori che la vita potesse riservare. Alessandra, poco più di vent'anni, una vita già segnata e decisa, non da se stessa, ma dai propri genitori.
Quella “mattina” non era diversa dalle altre.
Suo padre l'aveva svegliata, presto, come ogni domenica. Bisognava andare in adunanza, fare quegli odiosi sorrisi di circostanza e mostrarsi profondamente interessati alla parola di Dio. I suoi genitori erano molto severi, ligi come pochi in quella religione, in più il padre essendo un pastore della comunità doveva dare buon esempio e costringeva ad una vita integerrima e monastica l'intera famiglia. Da bambina aveva paura di pronunciare quelle tre paroline, “testimoni di geova”. La gente si allontanava spaventata prima ancora che proferissero parola. Crescendo quei termini le avevano messo meno angoscia ma comunque le avevano indirizzato la vita verso percorsi ben precisi. Percorsi che odiava profondamente. Erano strade senza via d'uscita. Senza una via d'uscita razionale. Ma cosa c'era di realmente razionale in quella vita?
Si nasceva, si viveva, si moriva. Non tutto necessariamente in quest'ordine.
Per Alessandra la vita era composta da quelle quattro mura che delimitavano la sua stanza e dalle quattro mura che la ingabbiavano due o tre volte alla settimana in quella che veniva chiamata Sala del regno. Una gabbia protettiva, non una gabbia dorata. Una gabbia è sempre una gabbia. Come un animale allo zoo o come un uccellino.
Vent'anni, tutta una vita da vivere e ancora tante delusioni da vedersi cadere addosso come una violenta tempesta in mare aperto.
Suo padre l'aveva fatta svegliare presto. Era ancora tremendamente assonnata quando aveva aperto gli occhi. Nemmeno il tempo di riconciliare l'animo con il cinguettare degli usignoli che già bisognava pensare all'adunanza. Quanto odiava andare in adunanza. Era come settimanalmente passare davanti ad un plotone d'esecuzione.
“Pum” - e simulava con le dita della mano il gesto della pistola portata alla tempia.
Dopo aver fatto colazione, Alessandra si lavò per bene i capelli, si mise il vestito bello della domenica e seguì i genitori in macchina, pronta per sorbirsi le maledette due ore di adunanza.
Le ragazze della sua età passavano il sabato sera a divertirsi con le amiche e con i ragazzi, magari andavano al cinema, mangiavano una pizza, andavano a concludere la serata in qualche pub. Le sue coetanee “del mondo” lo facevano. Tutti i sabato sera. Benedetti sabati del mondo. Lei aveva passato il sabato sera a prepararsi la “Torre di guardia” con i genitori. Una rottura di coglioni colossale. Tutti i sabato sera la stessa identica storia. Invitavano qualche famiglia di fratelli a casa, si mangiava una pizza oppure sua madre si metteva ai fornelli e preparava qualche manicaretto, poi dopo una bella cenetta tutti insieme ci si metteva attorno al tavolo del soggiorno e ci si preparava la rivista per il giorno dopo. Quanto odiava quei “sabati”. Quasi quanto odiasse le “mattine”. Quasi quanto odiasse le “domeniche mattina”.
Le ragazze normali passavano il sabato sera a divertirsi, lei a far già vita da “vecchia”. Le altre ragazze, quelle “del mondo”, quelle “fortunate”scopavano già da quando i primi pruriti adolescenziali si erano fatti insistenti. Alessandra a malapena trovava il coraggio di accarezzarsi le parti intime quando si faceva la doccia, altro che scopare. Già un bacio, nel mondo dei testimoni di geova era una grossa trasgressione. Un pensiero “erotico” che balenava in testa era parificato ad un grosso peccato. Impurità le chiamavano. A lei mancava un rapporto stretto e quotidiano con quella magica parola: impurità. Le ragazze normali, quelle a cui avrebbe voluto somigliare avevano probabilmente passato il sabato notte col proprio fidanzato a far l'amore e si sarebbero svegliate a mezzogiorno la domenica seguente, non come lei che alle sette del mattino doveva essere in piedi, quasi fosse destinata ad un perenne addestramento militare.
Erano Testimoni di Geova. Sfiga più grande non poteva capitarle nella vita. Poteva nascere atea, figlia di comunisti, figlia di tossicodipendenti, figlia di narcotrafficanti, di gente che viveva sotto i ponti e non aveva nemmeno il denaro per mettere insieme il pranzo con la cena. E invece era nata in una famiglia di testimoni di geova.
Nascere in Italia, vivere gli anni del “tutto sfrenato”, del “tutto all'eccesso” in una famiglia che ancora pretendeva di seguire i precetti scritti millenni prima era praticamente una condanna a morte. E Alessandra si sentiva una condannata a morte.
Per una ragazza di vent'anni, nel pieno del proprio sviluppo ormonale, fisico e sessuale era una grossa limitazione. In pratica le si imponeva di “non vivere” secondo i propri vent'anni. Questo turbava e annientava la già debole personalità di Alessandra. Aveva avuto una adolescenza difficile, sempre guardata a vista da mamma e papà. Difficile scoprire “l'altro sesso”, impossibile fare quelle prime esperienze che formano il carattere di una persona, che la modellano verso l'età adulta. Solo qualche volta era riuscita a trasgredire, violando di nascosto le regole ferree della comunità. Qualche sigaretta, qualche bacio rubato in stazione a dei compagni di classe.
Ultimamente, con la maggiore età aveva trovato qualche lavoretto per mantenersi i piccoli vizi, la pizza con le amiche, la ricarica del telefonino. C'era un ragazzo che le piaceva. Un ragazzo “del mondo”. Un ragazzo che sembrava interessato a lei. Era alto, palestrato, un fisico attraente, uno sguardo malandrino. Alessandra aveva capito subito che questo ragazzo provava interesse per lei. Quel tipo di interesse. Quell'interesse che nasce con lo scambiarsi il numero di telefono e finisce col trovarsi l'uno dentro l'altra, tanti gemiti e tanti liquidi corporei addosso. Quel tipo di interesse che non avrebbe mai potuto sperimentare perché era vietato dalle regole della comunità. Il sesso era contemplato solo tra persone sposate. Questo richiedeva geova ai propri adoratori. Alessandra non avrebbe comunque mai potuto frequentare quel ragazzo. Le regole della comunità non lo permettevano. Non avrebbe dovuto averlo nemmeno come amico, figuriamoci se avrebbe potuto “presentarlo” ai propri genitori o ai fratelli della sala del regno come una persona con cui stava uscendo. Nel suo piccolo mondo fatto di “casa”, “sala” e “predicazione” le uniche frequentazioni con l'altro sesso consentite erano da rivolgersi esclusivamente a “fratelli”, quindi a persone già dedicate a geova e alla sua organizzazione. Un ragazzo “del mondo” era da escludersi a priori. Sarebbe stata una cattiva compagnia, si sa, i ragazzi al di fuori della loro comunità cercavano solo una cosa: il sesso!
Il sesso! Quella magica parola. Quella magica parola che ancora non aveva messo radici nel suo vocabolario.
Quanto avrebbe voluto trovarsi la sera con le amiche, davanti ad un bel bicchiere di birra e pronunciare quelle frasi “scioccanti” come: “Ragazze, ieri sera ho fatto sesso!”.
“Ho fatto sesso!” - Una frase del genere risultava ancora pudica e generosa verso gli insegnamenti ricevuti sin dalla tenera età.
“Ho scopato” - questa si come frase rendeva più l'idea di quel che avrebbe voluto provare.
Un paio di volte aveva avuto la tentazione di toccarsi la sotto, sotto le mutande. Le sue amiche e compagne di scuole lo facevano. Lei ovviamente non poteva. Non che non volesse, anzi, la tentazione era sempre stata forte. Non poteva perché la masturbazione era da considerarsi un grave peccato. Si poteva anche essere allontanati dalla comunità se si confessava un peccato simile. La paura di essere scoperta a masturbarsi o di sentirsi poi costretta a confessare questa grave colpa le aveva sempre frenato gli istinti sul nascere.
Le sue agili dita ogni tanto avevano attraversato il confine tra il pizzo delle mutandine e i primi peli pubici che le disegnavano una bella inesplorata giovane fighetta profumata. Si bloccavano però sul più bello, quando poco prima di infilarsi nella carne tremolante le apparivano le decine di moniti ricevuti dal podio e indirizzati a tutti i giovani delle congregazioni.
La pratica della masturbazione era severamente vietata. Come tutte le pratiche sessuali erano da fuggire.
Con sua madre e suo padre non poteva parlare di certi argomenti considerati tabù.
L'unica volta che avevano parlato di sesso in famiglia era stata umiliante e l'avevano messa a disagio.
Non avevano parlato di “sesso”. Avevano parlato di tutto ciò che lei doveva “non fare”. Le avevano inculcato le direttive dell'organizzazione sin dalla tenera età. Con l'età adolescenziale e poi col raggiungimento dell'età matura erano passati allo step 2.0 delle direttive. Quelle che riguardavano la sfera sessuale di una persona.
Avevano preso pari pari le frasi trovate nelle riviste che studiavano. Avevano buttato giù su un foglio tutte le regole che doveva rispettare, in pratica era una lista della spesa sulle pratiche a cui non doveva nemmeno avvicinarsi.
Non poteva praticare:
Sesso orale
Sesso anale
Bestialità
Masturbare genitali altrui
Autoerotismo
Guardare Film Porno
Omosessualità
Le sue compagne di scuola alle superiori facevano ben altro, erano molto esperte riguardo il sesso, era lei quella “rimasta indietro”. Diventata maggiorenne poi lo spazio infinito del sesso regalava ulteriori emozioni, ulteriori pratiche, ulteriori dettagliate conoscenze. Per tutte le ragazze e i ragazzi che conducevano una vita normale ovviamente. Non per Alessandra, non per chi era nella stessa condizione di Alessandra. Se già un mezzo bacio con la lingua era da considerarsi azione “meritevole di riprensione” il praticare solo una di quelle cose che le avevano insegnato a non fare era condannarsi seduta stante alla “disassociazione” e alla distruzione eterna. Anzi immediata.
“Che poi” - pensava Alessandra - “La tentazione di praticare il sesso orale o il sesso anale poteva anche esserci in un giovane o in una giovane. Ma la bestialità proprio no. Quale persona sana di mente avrebbe avuto il coraggio di farsi una scopata con un animale?”
Le pesava la propria inesperienza, le pesava la propria “verginità”. Verginità per dovere e non per piacere. Era sempre stata l'ultima, sempre relegata in fondo al carro della compagnia, che poi, i suoi genitori le impedivano spesso e volentieri di frequentare i “non Testimoni di Geova”. Era la strada diretta che conduceva al peccato, dicevano i suoi. Quelli “del mondo” pensavano e facevano tutte quelle schifezze che allontanavano le persone da Dio, e loro da buoni “proseliti” di questa anacronistica religione credevano ciecamente a quegli insegnamenti. Così Alessandra aveva passato l'adolescenza ad essere presa per il culo dai compagni di classe perché ritenuta strana; ed era una grave ingiustizia non poter vivere la propria crescita come tutte le altre ragazze. Alessandra era pure una bella ragazzina da adolescente, ai ragazzi non dispiaceva. Aveva un bel viso conturbante, degli splendidi capelli corvini, un fisico mozzafiato. Più di una volta si era sentita gli occhi dei ragazzi addosso e più di una volta si era sentita i commenti e le frasi sconce che alcuni le rivolgevano. Un po' la turbavano e un po' la elettrizzavano. Essere il sogno erotico o il pensiero fisso di un ragazzo non doveva essere poi così male. Era segno di “potere”.
Il “potere” che poteva esercitare quella cosa pelosa in mezzo alle gambe, quella cosa pelosa che ancora nessun maschietto aveva provato. Quella “cosa pelosa” che Alessandra aspettava ardentemente di poter utilizzare il più presto possibile, per poter esercitare il suo potere sui maschietti. Ora che era una donna, che aveva superato indenne gli anni difficili della pubertà e della adolescenza aveva davanti a sé una vita costellata o di privazioni, se avesse continuato a seguire i Testimoni di Geova, o di grandi soddisfazioni se avesse dato libero sfogo ai propri sentimenti, ai propri istinti sessuali.
Anche i fratelli della sua età se la mangiavano con gli occhi. Spiritualità e voglia di figa andavano di pari passo per i giovani virgulti della congregazione. Non passava inosservata Alessandra e lei faceva di tutto per non passare inosservata. Quando poteva si metteva un abitino un filo più succinto, una gonna un filo più corta, una scollatura un poco più seducente. In assemblea o al congresso estivo aveva stuoli di ammiratori che le facevano la corte. Lei sorrideva beota un po' a tutti, in attesa che una stramaledetta anima gemella si presentasse al suo cospetto promettendole amore eterno. Le sarebbe bastata una scopata nei parcheggi, ma doveva mantenere un certo aplomb familiare, bisognava rimanere sul “romantico-teocratico”. Cosa c'era poi di romantico nello sposarsi con un testimone di geova e promettersi una vita intera piena di adunanze e predicazione ancora dovevano spiegarlo.
Fu a metà della “Torre di Guardia”, mentre il padre spiegava all'uditorio un passaggio biblico piuttosto ostico, che avvenne il fattaccio. Si alzò dalla sedia cercando di fare meno rumore possibile, sorrise gioiosamente a tutte le vecchiette sedute dietro lei e raggiunse a brevi falcate il bagno posto all'ingresso della Sala del Regno. Marco era lì, a fare l'usciere, come lei era annoiato a morte dalla vita che i genitori l'avevano costretto a fare. Si scambiarono uno sguardo, uno sguardo ingenuo e complice allo stesso tempo. Fuori dalle grandi vetrate dell'ingresso il sole sembrava illuminarli come due divi del cinema. Alessandra non aveva mai fatto caso a quanto fosse carino Marco. Si, forse era un po' timido e taciturno, ma sotto quel bel completo grigio si potevano intravedere i muscoli potenti di un atletico ventenne.
Marco pensava spesso ad Alessandra. A casa, da solo, quando nessuno poteva vederlo o sentirlo. Prendeva allora in mano il cazzo e iniziava a masturbarsi venendo puntualmente tra le proprie mani. Quanto avrebbe voluto fare lo stesso ma con Alessandra accanto. Non potevano, le ferree regole dei TdG non contemplavano il sesso prima del matrimonio come attività da poter fare. E loro, per sua somma sfortuna erano capitati in quella assurda religione senza aver avuto possibilità di scegliere. Ci erano nati e non potevano andarsene, i genitori erano ferventi TdG e nessuno di loro avrebbe accettato una vita diversa per i figli. Erano legati a questa religione per la vita. Schiavi di un “credo” al quale non credevano e che facevano finta di seguire, per non perdere tutto quello che avevano guadagnato fino a quel momento: amicizie, parenti, compagnie.
Alessandra era in bagno già da un paio di minuti. Dietro le pesanti porte a vetri che dividevano l'ingresso dalla sala principale si sentiva il vociare dell'oratore che spiegava ogni paragrafo della “torre di guardia” con dovizia di particolari. Tutti noiosi, tutta roba vecchia trita e ritrita. Informazioni inutili e dannose, buone solo per convincere la gente a buttare nel cesso la propria esistenza. Infatti la sala del regno, anzi le sale del regno di tutto il mondo erano popolate solo da “vecchietti” o persone che nate nella “verità” non avevano potuto far altro che stare in questa comunità. Il rischio di perdere tutto era troppo grande. Una comoda bugia era sempre comunque meglio dell'ostracismo e di una vita isolati dai propri cari o amici.
Nessuno poteva vederli, tutti i fratelli erano impegnati ad alzare la mano e a commentare, le porte erano chiuse, nessuno avrebbe mai sospettato nulla. Quella domenica poi mancavano diversi fratelli quindi l'unico “usciere” di ruolo era Marco, che presiedeva il suo ruolo con poca voglia proprio li all'ingresso della sala del regno.
Marco si fece coraggio ed entrò nel bagno. Alessandra era appoggiata alla porta di uno dei bagni interni come se lo stesse aspettando appositamente. I suoi lunghi capelli nero corvino erano ancora più belli che nei suoi sogni, quei sogni in cui lei gli sbatteva la figa in faccia e gli chiedeva di leccare quei bei peletti morbidi e setolosi.
Marco chiuse la porta dietro se, attento a non fare alcun rumore. Alessandra si avvicinò e portandosi il dito alla bocca fece il gesto del silenzio. Aveva un buon profumo, il profumo di carne giovane, quel profumo di dolcezza e castità che tanto piaceva ai giovani maschietti delle congregazioni. Aveva veramente un bel corpicino sensuale. I capelli lunghi cascavano lucenti sulle spalle e contornavano un viso angelico, raffinato. Era la classica ragazza “da sborrarle in faccia”, questo pensavano di lei i ragazzi ai tempi delle superiori, questo pensavano i maschietti che la incontravano per strada o con cui lavorava ora che era più grande. Anche i fratelli nella loro finta ingenuità pensavano quello. La bellezza del viso di Alessandra attirava seghe e voglia di sporcarle il viso di sborra.
Nei sogni di Marco, le loro avventure sessuali finivano sempre con lei inginocchiata che dopo un bel bocchino si faceva venire copiosamente sul viso. Marco sognava di poter sborrare sul viso di Alessandra e di averla li, sotto di se, coi capelli sporchi che colavano sperma per terra, sui vestiti.
Erano ormai viso contro viso. Marco sentiva il respiro alla menta della bocca di lei. Quanto avrebbe voluto che il suo cazzo fosse al posto di quella caramella alla menta. Lo voleva, lo voleva da tempo. L'avrebbe fatto finalmente. Era nella sua bocca lei lo annusava, ad occhi chiusi, sfiorandogli prima la giacca, poi la camicia, poi la cintura. Marco sentiva l'eccitazione salire fin su nel suo corpo. Il suo cazzo stava diventando sempre più duro e lei se ne accorse. Cresceva a dismisura, non riuscendo più a contenersi dentro l'involucro dei pantaloni. Quel cazzo era come un animale in gabbia e necessitava acquistare libertà. La libertà che voleva quel cazzo era altra però, non voleva la libertà di stare da solo ma voleva finire in un'altra gabbia, più umida, più porca, più seducente. Quella gabbia senza sbarre era la figa di Alessandra. Ma anche la bocca di Alessandra andava benissimo. L'importante era poter entrare nel corpo umido e sexy di quella giovane “sorella”.
Le piaceva quel gioco e continuava a toccargli i vestiti, se lo accarezzava tutto, con dolce ambiguità. Le piaceva sentire l'eccitazione scorrere potente nel corpo di lui. Le piaceva poter dominare gli istinti sessuali di quel ragazzo.
Lui prese la mano di lei e la mise all'altezza sul suo cazzo, lei non sembrava volerla ritirare anzi, con un sorriso malizioso continuava a fissarlo e pian piano gli toccava il cazzo. Era la prima volta che in pratica stava facendo una sega a qualcuno. Che emozione. Finalmente si sentiva “donna” e non solo una “femmina”.
Alessandra era terribilmente eccitata, sentiva quel grosso cazzo pulsare sotto le mani. Come tutte le brave ragazze Testimoni di geova non aveva mai fatto sesso, nemmeno una carezza aveva mai rivolto a un maschio. Il cazzo era una nuova eccitante scoperta.
Aprirono la porta di uno dei bagni interni, entrarono e senza far rumore chiusero il mondo dietro loro. Fuori da quel bagno c'era tutto quello che li aveva limitati nel corso della vita. Quel mondo del cazzo in cui era “peccato” fare un “pensiero sconcio”. Un mondo nel quale avevano più rispetto per chi era accusato di pedofilia rispetto a chi da giovane qual'era non riusciva a contenere gli impeti sessuali tipici dell'età. Tanti giovani erano stati disassociati perché avevano scopato. Molti loro coetanei e coetanee avevano dovuto abbandonare amici e famiglia per aver fatto sesso prima del matrimonio. Come si poteva resistere, a poco più di vent'anni, al richiamo naturale del sesso? In compenso già da tempo si vociferava che ci fossero molti fratelli accusati di cose veramente schifose come la pedofilia e nessuno nella congregazione e nell'organizzazione aveva mosso un dito. Quello era un peccato, quello era un reato. Violentare dei bambini inermi era una cosa che faceva rabbrividire non due ragazzi che consenzienti decidevano di scopare. Alessandra era a conoscenza delle porcate che a livello internazionale stavano facendo i Testimoni. Internet ne parlava da anni, le cause di risarcimento a favore delle vittime di abusi sessuali da parte di membri dei Testimoni erano ormai all'ordine del giorno.
Si baciarono, un lungo bacio silenzioso, non dovevano far rumore altrimenti se li avessero scoperti sai che scandalo. Quella era la cosa probabilmente più porcellinosa mai accaduta in una sala del regno, o questo pensavano i due ragazzi.
Alessandra si inginocchiò, stando attenta a non farsi male, lo spazio era comunque angusto. Le sue manine ingenue in un attimo diventarono espertissime. Aveva vent'anni, certe cose doveva per forza saperle fare. La natura le aveva messe nel suo DNA.
Slacciò la cintura del vestito di Marco e tirò fuori l'uccello con la mano destra. Non aveva mai visto un cazzo e quello era così grosso, così lucido, tutto lì davanti ai suoi occhi. Chiuse gli occhi e iniziò ad annusarlo tutto con candida curiosità. Passò la punta del suo nasino delicato su tutta la lunghezza del pene di Marco, era così soffice al tatto, così delicato all'olfatto. Arrivò ad annusarlo fino a dove il cazzo terminava in due palle gonfie e pelose.
"Che odore strano e invitante, l'odore del peccato" pensò. Marco le prese la testa e la avvicinò sempre più al suo cazzo, lei avrebbe voluto legarsi i capelli ma non c'era tempo.
Iniziò a succhiare dolcemente il cazzo di Marco, prima infilandone un pezzetto in bocca e poi tutto fino a farselo arrivare in gola. Sentiva i conati di vomiti e la pressione delle mani di Marco sulla sua testa.
Ormai non potevano più tirarsi indietro, li avrebbero disassociati se li avessero scoperti e quindi era meglio godersi il momento fino in fondo.
Succhiava forte lei e ansimava lui. Marco non avrebbe resistito ancora molto, quel pompino magistrale lo stava facendo venire. Era anche molto meglio di come se l'era immaginato. Alessandra succhiava veramente con gusto, ogni tanto tirava fuori la lingua e leccava il cazzo di Marco come se fosse un cono gelato. Lo tirava su in alto con la mano e passava la lingua lungo tutto il cazzo del ragazzo. Sentiva la potenza di quell'uccello che stava per esplodere in tutta la sua carica naturale di sborra ed eccitazione.
Lui avrebbe voluto venirle in faccia, sui capelli, imbrattarle il vestitino ma poi che imbarazzo sarebbe stato per lei tornare a sedersi in mezzo agli altri ricoperta del suo sperma. Decise allora di venirle in bocca, senza avvisarla, si, quella era la soluzione migliore. Ed era una delle immagini che gli scorrevano in testa, a casa, mentre masturbandosi sognava di Alessandra.
Alessandra succhiava, succhiava forte e più succhiava e più le piaceva. Le piaceva sentire le mani di lui comandarle la testa e tenerla lì a fargli il più bello e godurioso dei pompini. Quando la sborra calda le attraversò la gola fu un momento di estasi assoluta per entrambi.
Si sentiva finalmente realizzata. Il suo primo incontro con un cazzo era finito con un bellissimo ingoio.
Si alzò, si pulì la bocca con la mano e guardando Marco si sentì una donna, una donna vera.
Finalmente si era realizzata, un po' in ritardo rispetto alle ragazze della sua età ma ci era arrivata pure lei al primo fatidico pompino. Ora la strada sarebbe stata solo in discesa.
D'ora in avanti avrebbe succhiato cazzi e non fatto la pioniera.
Far pompini dava molta più soddisfazione a se stessa e al prossimo rispetto alla predicazione.
L'ideale, pensava Alessandra, sarebbe stato far pompini in predicazione anziché distribuire quello cazzo di riviste noiose.
Le persone sarebbero state molto più felici e avrebbero apprezzato di più i testimoni di geova, ne era sicura.
Con un saluto silenzioso si lasciarono dietro le spalle il bagno del peccato, lui tornò alla sua posizione di guardia come usciere e lei dopo essersi sistemata un po' allo specchio e riassettata la gonna rientrò in sala e andò a sedersi vicino a sua madre.
Ti sei persa una bella spiegazione, dov'eri Alessandra - chiese sua madre.
Avrebbe voluto risponderle ma l'avrebbe profondamente ferita e turbata se le avesse raccontato come aveva spompinato Marco nei bagni della sala del regno.
Seguì distrattamente la conclusione dell'adunanza.
Non aveva più la testa per pensare a quelle cazzate. Non aveva più la testa per seguire le noiose spiegazioni su cose accadute millenni prima. Cosa le importava di Mosè, di Levitico, di Esodo, di Giosuè o cose del genere quando tra i pensieri aveva solo e solamente la sua prima emozionante esperienza sessuale. Incompleta ma già soddisfacente.
Il cantico e la preghiera conclusiva passarono inosservati agli occhi di Alessandra.
Guardava fissa nel vuoto, con un leggero sorriso disegnato agli angoli delle labbra.
Quelle sue belle labbra che finalmente avevano assaporato il gusto tanto ardito e tanto ambito dello sperma maschile.
Dopo anni di “mattine”, “adunanze” e “domeniche”, per la prima volta Alessandra era contente di aver partecipato ad una adunanza.
Per la prima volta aveva realmente sentito un brivido.
Un brivido caldo, umido e appiccicoso.
E non arrivava dall'alto dei cieli quel brivido ma dal basso di un pantalone slacciato nei bagni di una sala del regno.
Il brivido del peccato era entrato in lei. Dalla porta principale.
Finita l'adunanza tornarono a casa, ma prima di mettersi a tavola coi genitori, Alessandra andò in bagno, si guardò allo specchio e vide quanta bellezza il suo viso riusciva a sprigionare.
Aveva proprio quella “faccia da sborra” che dicevano ai tempi i suoi compagni di classe delle superiori. Si rendeva conto di aver davvero un bel corpo che ispirava sesso e un viso che eccitava seduta stante ogni rappresentante del genere umano maschile.
Si cercò in bocca il sapore dello sperma di Marco, lo trovò e volle tenersi quel momento tutto per se. Si ripromise di succhiarglielo di nuovo la domenica successiva... E dopo, e dopo ancora... Quello era il suo progetto per il futuro. Esplorare quanto più possibile la natura umana del sesso in tutte le sue enormi sfaccettature. Si toccò in mezzo alle gambe, aveva bisogno di sentire quelle emozioni ancora nella sua passera. Con Marco si era bagnata a sentire il contatto col pisello. Le mutandine erano ancora umide dei propri umori. Con le dita cerco la fessura sotto i peli e si fece un bel ditalino e venne ancora, appoggiata al lavandino del bagno.
La voce di sua madre la chiamava per il pranzo.
“Che palle” - pensò.
Si lavò le mani col sapone, si rinfrescò pure il viso e andò a pranzare coi genitori.
Era mattina. L'ennesima mattina. Una vita costruita sullo scandirsi noioso e imperturbabile dei “driiin” della sveglia.
Alessandra si era svegliata come ogni maledetta mattina. Anche quella mattina.
Cos'è “la mattina” se non un apostrofo rosa tra le parole “cazzo” e “buonanotte”?
Svegliarsi la mattina, il più grande incubo dell'umanità.
Un'inculata bestiale, un incontro sadomaso tra le braccia di Morfeo e il caffè della prima colazione.
Di quante cazzo di mattine era composta l'esistenza?
Quante altre “mila” volte avrebbe dovuto svegliarsi prima di capire che era stata veramente una grande fregatura quella di essere stata messa al mondo?
Ogni mattina era uguale a quella precedente e quella precedente era uguale a quella precedente ancora. Come in quel film con Bill Murray dove ogni giorno tendeva a ripetersi all'infinito...
“Un loop temporale del cazzo” - pensava Alessandra.
La vita in se è un loop temporale del cazzo, la vita è inutile, è il ripetersi all'infinito di gesti senza alcun valore. La sua vita era all'insegna dell'inutilità.
Una giovane vita in gabbia.
Il seme della gioventù bruciato prima ancora di esplodere in tutto il suo splendore.
Questi erano i pensieri mattutini, le voglie di una ragazza contro un mondo senza identità.
Odiava la mattina, odiava profondamente tutte quelle noiose mattine che da vent'anni vedeva e sentiva chiuderle la vita in una scatola. Era diventata per lei un'ossessione. La stessa parola, “mattina”, racchiudeva in sé tutte le cose peggiori che la vita potesse riservare. Alessandra, poco più di vent'anni, una vita già segnata e decisa, non da se stessa, ma dai propri genitori.
Quella “mattina” non era diversa dalle altre.
Suo padre l'aveva svegliata, presto, come ogni domenica. Bisognava andare in adunanza, fare quegli odiosi sorrisi di circostanza e mostrarsi profondamente interessati alla parola di Dio. I suoi genitori erano molto severi, ligi come pochi in quella religione, in più il padre essendo un pastore della comunità doveva dare buon esempio e costringeva ad una vita integerrima e monastica l'intera famiglia. Da bambina aveva paura di pronunciare quelle tre paroline, “testimoni di geova”. La gente si allontanava spaventata prima ancora che proferissero parola. Crescendo quei termini le avevano messo meno angoscia ma comunque le avevano indirizzato la vita verso percorsi ben precisi. Percorsi che odiava profondamente. Erano strade senza via d'uscita. Senza una via d'uscita razionale. Ma cosa c'era di realmente razionale in quella vita?
Si nasceva, si viveva, si moriva. Non tutto necessariamente in quest'ordine.
Per Alessandra la vita era composta da quelle quattro mura che delimitavano la sua stanza e dalle quattro mura che la ingabbiavano due o tre volte alla settimana in quella che veniva chiamata Sala del regno. Una gabbia protettiva, non una gabbia dorata. Una gabbia è sempre una gabbia. Come un animale allo zoo o come un uccellino.
Vent'anni, tutta una vita da vivere e ancora tante delusioni da vedersi cadere addosso come una violenta tempesta in mare aperto.
Suo padre l'aveva fatta svegliare presto. Era ancora tremendamente assonnata quando aveva aperto gli occhi. Nemmeno il tempo di riconciliare l'animo con il cinguettare degli usignoli che già bisognava pensare all'adunanza. Quanto odiava andare in adunanza. Era come settimanalmente passare davanti ad un plotone d'esecuzione.
“Pum” - e simulava con le dita della mano il gesto della pistola portata alla tempia.
Dopo aver fatto colazione, Alessandra si lavò per bene i capelli, si mise il vestito bello della domenica e seguì i genitori in macchina, pronta per sorbirsi le maledette due ore di adunanza.
Le ragazze della sua età passavano il sabato sera a divertirsi con le amiche e con i ragazzi, magari andavano al cinema, mangiavano una pizza, andavano a concludere la serata in qualche pub. Le sue coetanee “del mondo” lo facevano. Tutti i sabato sera. Benedetti sabati del mondo. Lei aveva passato il sabato sera a prepararsi la “Torre di guardia” con i genitori. Una rottura di coglioni colossale. Tutti i sabato sera la stessa identica storia. Invitavano qualche famiglia di fratelli a casa, si mangiava una pizza oppure sua madre si metteva ai fornelli e preparava qualche manicaretto, poi dopo una bella cenetta tutti insieme ci si metteva attorno al tavolo del soggiorno e ci si preparava la rivista per il giorno dopo. Quanto odiava quei “sabati”. Quasi quanto odiasse le “mattine”. Quasi quanto odiasse le “domeniche mattina”.
Le ragazze normali passavano il sabato sera a divertirsi, lei a far già vita da “vecchia”. Le altre ragazze, quelle “del mondo”, quelle “fortunate”scopavano già da quando i primi pruriti adolescenziali si erano fatti insistenti. Alessandra a malapena trovava il coraggio di accarezzarsi le parti intime quando si faceva la doccia, altro che scopare. Già un bacio, nel mondo dei testimoni di geova era una grossa trasgressione. Un pensiero “erotico” che balenava in testa era parificato ad un grosso peccato. Impurità le chiamavano. A lei mancava un rapporto stretto e quotidiano con quella magica parola: impurità. Le ragazze normali, quelle a cui avrebbe voluto somigliare avevano probabilmente passato il sabato notte col proprio fidanzato a far l'amore e si sarebbero svegliate a mezzogiorno la domenica seguente, non come lei che alle sette del mattino doveva essere in piedi, quasi fosse destinata ad un perenne addestramento militare.
Erano Testimoni di Geova. Sfiga più grande non poteva capitarle nella vita. Poteva nascere atea, figlia di comunisti, figlia di tossicodipendenti, figlia di narcotrafficanti, di gente che viveva sotto i ponti e non aveva nemmeno il denaro per mettere insieme il pranzo con la cena. E invece era nata in una famiglia di testimoni di geova.
Nascere in Italia, vivere gli anni del “tutto sfrenato”, del “tutto all'eccesso” in una famiglia che ancora pretendeva di seguire i precetti scritti millenni prima era praticamente una condanna a morte. E Alessandra si sentiva una condannata a morte.
Per una ragazza di vent'anni, nel pieno del proprio sviluppo ormonale, fisico e sessuale era una grossa limitazione. In pratica le si imponeva di “non vivere” secondo i propri vent'anni. Questo turbava e annientava la già debole personalità di Alessandra. Aveva avuto una adolescenza difficile, sempre guardata a vista da mamma e papà. Difficile scoprire “l'altro sesso”, impossibile fare quelle prime esperienze che formano il carattere di una persona, che la modellano verso l'età adulta. Solo qualche volta era riuscita a trasgredire, violando di nascosto le regole ferree della comunità. Qualche sigaretta, qualche bacio rubato in stazione a dei compagni di classe.
Ultimamente, con la maggiore età aveva trovato qualche lavoretto per mantenersi i piccoli vizi, la pizza con le amiche, la ricarica del telefonino. C'era un ragazzo che le piaceva. Un ragazzo “del mondo”. Un ragazzo che sembrava interessato a lei. Era alto, palestrato, un fisico attraente, uno sguardo malandrino. Alessandra aveva capito subito che questo ragazzo provava interesse per lei. Quel tipo di interesse. Quell'interesse che nasce con lo scambiarsi il numero di telefono e finisce col trovarsi l'uno dentro l'altra, tanti gemiti e tanti liquidi corporei addosso. Quel tipo di interesse che non avrebbe mai potuto sperimentare perché era vietato dalle regole della comunità. Il sesso era contemplato solo tra persone sposate. Questo richiedeva geova ai propri adoratori. Alessandra non avrebbe comunque mai potuto frequentare quel ragazzo. Le regole della comunità non lo permettevano. Non avrebbe dovuto averlo nemmeno come amico, figuriamoci se avrebbe potuto “presentarlo” ai propri genitori o ai fratelli della sala del regno come una persona con cui stava uscendo. Nel suo piccolo mondo fatto di “casa”, “sala” e “predicazione” le uniche frequentazioni con l'altro sesso consentite erano da rivolgersi esclusivamente a “fratelli”, quindi a persone già dedicate a geova e alla sua organizzazione. Un ragazzo “del mondo” era da escludersi a priori. Sarebbe stata una cattiva compagnia, si sa, i ragazzi al di fuori della loro comunità cercavano solo una cosa: il sesso!
Il sesso! Quella magica parola. Quella magica parola che ancora non aveva messo radici nel suo vocabolario.
Quanto avrebbe voluto trovarsi la sera con le amiche, davanti ad un bel bicchiere di birra e pronunciare quelle frasi “scioccanti” come: “Ragazze, ieri sera ho fatto sesso!”.
“Ho fatto sesso!” - Una frase del genere risultava ancora pudica e generosa verso gli insegnamenti ricevuti sin dalla tenera età.
“Ho scopato” - questa si come frase rendeva più l'idea di quel che avrebbe voluto provare.
Un paio di volte aveva avuto la tentazione di toccarsi la sotto, sotto le mutande. Le sue amiche e compagne di scuole lo facevano. Lei ovviamente non poteva. Non che non volesse, anzi, la tentazione era sempre stata forte. Non poteva perché la masturbazione era da considerarsi un grave peccato. Si poteva anche essere allontanati dalla comunità se si confessava un peccato simile. La paura di essere scoperta a masturbarsi o di sentirsi poi costretta a confessare questa grave colpa le aveva sempre frenato gli istinti sul nascere.
Le sue agili dita ogni tanto avevano attraversato il confine tra il pizzo delle mutandine e i primi peli pubici che le disegnavano una bella inesplorata giovane fighetta profumata. Si bloccavano però sul più bello, quando poco prima di infilarsi nella carne tremolante le apparivano le decine di moniti ricevuti dal podio e indirizzati a tutti i giovani delle congregazioni.
La pratica della masturbazione era severamente vietata. Come tutte le pratiche sessuali erano da fuggire.
Con sua madre e suo padre non poteva parlare di certi argomenti considerati tabù.
L'unica volta che avevano parlato di sesso in famiglia era stata umiliante e l'avevano messa a disagio.
Non avevano parlato di “sesso”. Avevano parlato di tutto ciò che lei doveva “non fare”. Le avevano inculcato le direttive dell'organizzazione sin dalla tenera età. Con l'età adolescenziale e poi col raggiungimento dell'età matura erano passati allo step 2.0 delle direttive. Quelle che riguardavano la sfera sessuale di una persona.
Avevano preso pari pari le frasi trovate nelle riviste che studiavano. Avevano buttato giù su un foglio tutte le regole che doveva rispettare, in pratica era una lista della spesa sulle pratiche a cui non doveva nemmeno avvicinarsi.
Non poteva praticare:
Sesso orale
Sesso anale
Bestialità
Masturbare genitali altrui
Autoerotismo
Guardare Film Porno
Omosessualità
Le sue compagne di scuola alle superiori facevano ben altro, erano molto esperte riguardo il sesso, era lei quella “rimasta indietro”. Diventata maggiorenne poi lo spazio infinito del sesso regalava ulteriori emozioni, ulteriori pratiche, ulteriori dettagliate conoscenze. Per tutte le ragazze e i ragazzi che conducevano una vita normale ovviamente. Non per Alessandra, non per chi era nella stessa condizione di Alessandra. Se già un mezzo bacio con la lingua era da considerarsi azione “meritevole di riprensione” il praticare solo una di quelle cose che le avevano insegnato a non fare era condannarsi seduta stante alla “disassociazione” e alla distruzione eterna. Anzi immediata.
“Che poi” - pensava Alessandra - “La tentazione di praticare il sesso orale o il sesso anale poteva anche esserci in un giovane o in una giovane. Ma la bestialità proprio no. Quale persona sana di mente avrebbe avuto il coraggio di farsi una scopata con un animale?”
Le pesava la propria inesperienza, le pesava la propria “verginità”. Verginità per dovere e non per piacere. Era sempre stata l'ultima, sempre relegata in fondo al carro della compagnia, che poi, i suoi genitori le impedivano spesso e volentieri di frequentare i “non Testimoni di Geova”. Era la strada diretta che conduceva al peccato, dicevano i suoi. Quelli “del mondo” pensavano e facevano tutte quelle schifezze che allontanavano le persone da Dio, e loro da buoni “proseliti” di questa anacronistica religione credevano ciecamente a quegli insegnamenti. Così Alessandra aveva passato l'adolescenza ad essere presa per il culo dai compagni di classe perché ritenuta strana; ed era una grave ingiustizia non poter vivere la propria crescita come tutte le altre ragazze. Alessandra era pure una bella ragazzina da adolescente, ai ragazzi non dispiaceva. Aveva un bel viso conturbante, degli splendidi capelli corvini, un fisico mozzafiato. Più di una volta si era sentita gli occhi dei ragazzi addosso e più di una volta si era sentita i commenti e le frasi sconce che alcuni le rivolgevano. Un po' la turbavano e un po' la elettrizzavano. Essere il sogno erotico o il pensiero fisso di un ragazzo non doveva essere poi così male. Era segno di “potere”.
Il “potere” che poteva esercitare quella cosa pelosa in mezzo alle gambe, quella cosa pelosa che ancora nessun maschietto aveva provato. Quella “cosa pelosa” che Alessandra aspettava ardentemente di poter utilizzare il più presto possibile, per poter esercitare il suo potere sui maschietti. Ora che era una donna, che aveva superato indenne gli anni difficili della pubertà e della adolescenza aveva davanti a sé una vita costellata o di privazioni, se avesse continuato a seguire i Testimoni di Geova, o di grandi soddisfazioni se avesse dato libero sfogo ai propri sentimenti, ai propri istinti sessuali.
Anche i fratelli della sua età se la mangiavano con gli occhi. Spiritualità e voglia di figa andavano di pari passo per i giovani virgulti della congregazione. Non passava inosservata Alessandra e lei faceva di tutto per non passare inosservata. Quando poteva si metteva un abitino un filo più succinto, una gonna un filo più corta, una scollatura un poco più seducente. In assemblea o al congresso estivo aveva stuoli di ammiratori che le facevano la corte. Lei sorrideva beota un po' a tutti, in attesa che una stramaledetta anima gemella si presentasse al suo cospetto promettendole amore eterno. Le sarebbe bastata una scopata nei parcheggi, ma doveva mantenere un certo aplomb familiare, bisognava rimanere sul “romantico-teocratico”. Cosa c'era poi di romantico nello sposarsi con un testimone di geova e promettersi una vita intera piena di adunanze e predicazione ancora dovevano spiegarlo.
Fu a metà della “Torre di Guardia”, mentre il padre spiegava all'uditorio un passaggio biblico piuttosto ostico, che avvenne il fattaccio. Si alzò dalla sedia cercando di fare meno rumore possibile, sorrise gioiosamente a tutte le vecchiette sedute dietro lei e raggiunse a brevi falcate il bagno posto all'ingresso della Sala del Regno. Marco era lì, a fare l'usciere, come lei era annoiato a morte dalla vita che i genitori l'avevano costretto a fare. Si scambiarono uno sguardo, uno sguardo ingenuo e complice allo stesso tempo. Fuori dalle grandi vetrate dell'ingresso il sole sembrava illuminarli come due divi del cinema. Alessandra non aveva mai fatto caso a quanto fosse carino Marco. Si, forse era un po' timido e taciturno, ma sotto quel bel completo grigio si potevano intravedere i muscoli potenti di un atletico ventenne.
Marco pensava spesso ad Alessandra. A casa, da solo, quando nessuno poteva vederlo o sentirlo. Prendeva allora in mano il cazzo e iniziava a masturbarsi venendo puntualmente tra le proprie mani. Quanto avrebbe voluto fare lo stesso ma con Alessandra accanto. Non potevano, le ferree regole dei TdG non contemplavano il sesso prima del matrimonio come attività da poter fare. E loro, per sua somma sfortuna erano capitati in quella assurda religione senza aver avuto possibilità di scegliere. Ci erano nati e non potevano andarsene, i genitori erano ferventi TdG e nessuno di loro avrebbe accettato una vita diversa per i figli. Erano legati a questa religione per la vita. Schiavi di un “credo” al quale non credevano e che facevano finta di seguire, per non perdere tutto quello che avevano guadagnato fino a quel momento: amicizie, parenti, compagnie.
Alessandra era in bagno già da un paio di minuti. Dietro le pesanti porte a vetri che dividevano l'ingresso dalla sala principale si sentiva il vociare dell'oratore che spiegava ogni paragrafo della “torre di guardia” con dovizia di particolari. Tutti noiosi, tutta roba vecchia trita e ritrita. Informazioni inutili e dannose, buone solo per convincere la gente a buttare nel cesso la propria esistenza. Infatti la sala del regno, anzi le sale del regno di tutto il mondo erano popolate solo da “vecchietti” o persone che nate nella “verità” non avevano potuto far altro che stare in questa comunità. Il rischio di perdere tutto era troppo grande. Una comoda bugia era sempre comunque meglio dell'ostracismo e di una vita isolati dai propri cari o amici.
Nessuno poteva vederli, tutti i fratelli erano impegnati ad alzare la mano e a commentare, le porte erano chiuse, nessuno avrebbe mai sospettato nulla. Quella domenica poi mancavano diversi fratelli quindi l'unico “usciere” di ruolo era Marco, che presiedeva il suo ruolo con poca voglia proprio li all'ingresso della sala del regno.
Marco si fece coraggio ed entrò nel bagno. Alessandra era appoggiata alla porta di uno dei bagni interni come se lo stesse aspettando appositamente. I suoi lunghi capelli nero corvino erano ancora più belli che nei suoi sogni, quei sogni in cui lei gli sbatteva la figa in faccia e gli chiedeva di leccare quei bei peletti morbidi e setolosi.
Marco chiuse la porta dietro se, attento a non fare alcun rumore. Alessandra si avvicinò e portandosi il dito alla bocca fece il gesto del silenzio. Aveva un buon profumo, il profumo di carne giovane, quel profumo di dolcezza e castità che tanto piaceva ai giovani maschietti delle congregazioni. Aveva veramente un bel corpicino sensuale. I capelli lunghi cascavano lucenti sulle spalle e contornavano un viso angelico, raffinato. Era la classica ragazza “da sborrarle in faccia”, questo pensavano di lei i ragazzi ai tempi delle superiori, questo pensavano i maschietti che la incontravano per strada o con cui lavorava ora che era più grande. Anche i fratelli nella loro finta ingenuità pensavano quello. La bellezza del viso di Alessandra attirava seghe e voglia di sporcarle il viso di sborra.
Nei sogni di Marco, le loro avventure sessuali finivano sempre con lei inginocchiata che dopo un bel bocchino si faceva venire copiosamente sul viso. Marco sognava di poter sborrare sul viso di Alessandra e di averla li, sotto di se, coi capelli sporchi che colavano sperma per terra, sui vestiti.
Erano ormai viso contro viso. Marco sentiva il respiro alla menta della bocca di lei. Quanto avrebbe voluto che il suo cazzo fosse al posto di quella caramella alla menta. Lo voleva, lo voleva da tempo. L'avrebbe fatto finalmente. Era nella sua bocca lei lo annusava, ad occhi chiusi, sfiorandogli prima la giacca, poi la camicia, poi la cintura. Marco sentiva l'eccitazione salire fin su nel suo corpo. Il suo cazzo stava diventando sempre più duro e lei se ne accorse. Cresceva a dismisura, non riuscendo più a contenersi dentro l'involucro dei pantaloni. Quel cazzo era come un animale in gabbia e necessitava acquistare libertà. La libertà che voleva quel cazzo era altra però, non voleva la libertà di stare da solo ma voleva finire in un'altra gabbia, più umida, più porca, più seducente. Quella gabbia senza sbarre era la figa di Alessandra. Ma anche la bocca di Alessandra andava benissimo. L'importante era poter entrare nel corpo umido e sexy di quella giovane “sorella”.
Le piaceva quel gioco e continuava a toccargli i vestiti, se lo accarezzava tutto, con dolce ambiguità. Le piaceva sentire l'eccitazione scorrere potente nel corpo di lui. Le piaceva poter dominare gli istinti sessuali di quel ragazzo.
Lui prese la mano di lei e la mise all'altezza sul suo cazzo, lei non sembrava volerla ritirare anzi, con un sorriso malizioso continuava a fissarlo e pian piano gli toccava il cazzo. Era la prima volta che in pratica stava facendo una sega a qualcuno. Che emozione. Finalmente si sentiva “donna” e non solo una “femmina”.
Alessandra era terribilmente eccitata, sentiva quel grosso cazzo pulsare sotto le mani. Come tutte le brave ragazze Testimoni di geova non aveva mai fatto sesso, nemmeno una carezza aveva mai rivolto a un maschio. Il cazzo era una nuova eccitante scoperta.
Aprirono la porta di uno dei bagni interni, entrarono e senza far rumore chiusero il mondo dietro loro. Fuori da quel bagno c'era tutto quello che li aveva limitati nel corso della vita. Quel mondo del cazzo in cui era “peccato” fare un “pensiero sconcio”. Un mondo nel quale avevano più rispetto per chi era accusato di pedofilia rispetto a chi da giovane qual'era non riusciva a contenere gli impeti sessuali tipici dell'età. Tanti giovani erano stati disassociati perché avevano scopato. Molti loro coetanei e coetanee avevano dovuto abbandonare amici e famiglia per aver fatto sesso prima del matrimonio. Come si poteva resistere, a poco più di vent'anni, al richiamo naturale del sesso? In compenso già da tempo si vociferava che ci fossero molti fratelli accusati di cose veramente schifose come la pedofilia e nessuno nella congregazione e nell'organizzazione aveva mosso un dito. Quello era un peccato, quello era un reato. Violentare dei bambini inermi era una cosa che faceva rabbrividire non due ragazzi che consenzienti decidevano di scopare. Alessandra era a conoscenza delle porcate che a livello internazionale stavano facendo i Testimoni. Internet ne parlava da anni, le cause di risarcimento a favore delle vittime di abusi sessuali da parte di membri dei Testimoni erano ormai all'ordine del giorno.
Si baciarono, un lungo bacio silenzioso, non dovevano far rumore altrimenti se li avessero scoperti sai che scandalo. Quella era la cosa probabilmente più porcellinosa mai accaduta in una sala del regno, o questo pensavano i due ragazzi.
Alessandra si inginocchiò, stando attenta a non farsi male, lo spazio era comunque angusto. Le sue manine ingenue in un attimo diventarono espertissime. Aveva vent'anni, certe cose doveva per forza saperle fare. La natura le aveva messe nel suo DNA.
Slacciò la cintura del vestito di Marco e tirò fuori l'uccello con la mano destra. Non aveva mai visto un cazzo e quello era così grosso, così lucido, tutto lì davanti ai suoi occhi. Chiuse gli occhi e iniziò ad annusarlo tutto con candida curiosità. Passò la punta del suo nasino delicato su tutta la lunghezza del pene di Marco, era così soffice al tatto, così delicato all'olfatto. Arrivò ad annusarlo fino a dove il cazzo terminava in due palle gonfie e pelose.
"Che odore strano e invitante, l'odore del peccato" pensò. Marco le prese la testa e la avvicinò sempre più al suo cazzo, lei avrebbe voluto legarsi i capelli ma non c'era tempo.
Iniziò a succhiare dolcemente il cazzo di Marco, prima infilandone un pezzetto in bocca e poi tutto fino a farselo arrivare in gola. Sentiva i conati di vomiti e la pressione delle mani di Marco sulla sua testa.
Ormai non potevano più tirarsi indietro, li avrebbero disassociati se li avessero scoperti e quindi era meglio godersi il momento fino in fondo.
Succhiava forte lei e ansimava lui. Marco non avrebbe resistito ancora molto, quel pompino magistrale lo stava facendo venire. Era anche molto meglio di come se l'era immaginato. Alessandra succhiava veramente con gusto, ogni tanto tirava fuori la lingua e leccava il cazzo di Marco come se fosse un cono gelato. Lo tirava su in alto con la mano e passava la lingua lungo tutto il cazzo del ragazzo. Sentiva la potenza di quell'uccello che stava per esplodere in tutta la sua carica naturale di sborra ed eccitazione.
Lui avrebbe voluto venirle in faccia, sui capelli, imbrattarle il vestitino ma poi che imbarazzo sarebbe stato per lei tornare a sedersi in mezzo agli altri ricoperta del suo sperma. Decise allora di venirle in bocca, senza avvisarla, si, quella era la soluzione migliore. Ed era una delle immagini che gli scorrevano in testa, a casa, mentre masturbandosi sognava di Alessandra.
Alessandra succhiava, succhiava forte e più succhiava e più le piaceva. Le piaceva sentire le mani di lui comandarle la testa e tenerla lì a fargli il più bello e godurioso dei pompini. Quando la sborra calda le attraversò la gola fu un momento di estasi assoluta per entrambi.
Si sentiva finalmente realizzata. Il suo primo incontro con un cazzo era finito con un bellissimo ingoio.
Si alzò, si pulì la bocca con la mano e guardando Marco si sentì una donna, una donna vera.
Finalmente si era realizzata, un po' in ritardo rispetto alle ragazze della sua età ma ci era arrivata pure lei al primo fatidico pompino. Ora la strada sarebbe stata solo in discesa.
D'ora in avanti avrebbe succhiato cazzi e non fatto la pioniera.
Far pompini dava molta più soddisfazione a se stessa e al prossimo rispetto alla predicazione.
L'ideale, pensava Alessandra, sarebbe stato far pompini in predicazione anziché distribuire quello cazzo di riviste noiose.
Le persone sarebbero state molto più felici e avrebbero apprezzato di più i testimoni di geova, ne era sicura.
Con un saluto silenzioso si lasciarono dietro le spalle il bagno del peccato, lui tornò alla sua posizione di guardia come usciere e lei dopo essersi sistemata un po' allo specchio e riassettata la gonna rientrò in sala e andò a sedersi vicino a sua madre.
Ti sei persa una bella spiegazione, dov'eri Alessandra - chiese sua madre.
Avrebbe voluto risponderle ma l'avrebbe profondamente ferita e turbata se le avesse raccontato come aveva spompinato Marco nei bagni della sala del regno.
Seguì distrattamente la conclusione dell'adunanza.
Non aveva più la testa per pensare a quelle cazzate. Non aveva più la testa per seguire le noiose spiegazioni su cose accadute millenni prima. Cosa le importava di Mosè, di Levitico, di Esodo, di Giosuè o cose del genere quando tra i pensieri aveva solo e solamente la sua prima emozionante esperienza sessuale. Incompleta ma già soddisfacente.
Il cantico e la preghiera conclusiva passarono inosservati agli occhi di Alessandra.
Guardava fissa nel vuoto, con un leggero sorriso disegnato agli angoli delle labbra.
Quelle sue belle labbra che finalmente avevano assaporato il gusto tanto ardito e tanto ambito dello sperma maschile.
Dopo anni di “mattine”, “adunanze” e “domeniche”, per la prima volta Alessandra era contente di aver partecipato ad una adunanza.
Per la prima volta aveva realmente sentito un brivido.
Un brivido caldo, umido e appiccicoso.
E non arrivava dall'alto dei cieli quel brivido ma dal basso di un pantalone slacciato nei bagni di una sala del regno.
Il brivido del peccato era entrato in lei. Dalla porta principale.
Finita l'adunanza tornarono a casa, ma prima di mettersi a tavola coi genitori, Alessandra andò in bagno, si guardò allo specchio e vide quanta bellezza il suo viso riusciva a sprigionare.
Aveva proprio quella “faccia da sborra” che dicevano ai tempi i suoi compagni di classe delle superiori. Si rendeva conto di aver davvero un bel corpo che ispirava sesso e un viso che eccitava seduta stante ogni rappresentante del genere umano maschile.
Si cercò in bocca il sapore dello sperma di Marco, lo trovò e volle tenersi quel momento tutto per se. Si ripromise di succhiarglielo di nuovo la domenica successiva... E dopo, e dopo ancora... Quello era il suo progetto per il futuro. Esplorare quanto più possibile la natura umana del sesso in tutte le sue enormi sfaccettature. Si toccò in mezzo alle gambe, aveva bisogno di sentire quelle emozioni ancora nella sua passera. Con Marco si era bagnata a sentire il contatto col pisello. Le mutandine erano ancora umide dei propri umori. Con le dita cerco la fessura sotto i peli e si fece un bel ditalino e venne ancora, appoggiata al lavandino del bagno.
La voce di sua madre la chiamava per il pranzo.
“Che palle” - pensò.
Si lavò le mani col sapone, si rinfrescò pure il viso e andò a pranzare coi genitori.
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