Mentre i figli dormono
di
Mister Pink
genere
tradimenti
PROLOGO
La proposta gliel’aveva fatta già al primo incontro, tra una leccata e l’altra a quel cazzo che le era piaciuto subito. Accucciata sul sedile anteriore dell’auto, il culo contro il finestrino, la saliva che adornava l’asta, lo aveva guardato fisso negli occhi con quella faccia spesso da prendere a sberle incorniciata da occhialini che la facevano tanto assomigliare alla professoressa porca che ti saresti voluto scopare al liceo, e gli aveva detto a bruciapelo: “Voglio che tu venga a dormire una notte a casa mia”. La risposta era arrivata accompagnata da una risata: “Certo, così poi tuo marito, i tuoi figli, o tutti e quattro assieme ci ammazzano entrambi”. Ma Eva non aveva desistito: “Ho detto che dormirai a casa mia, nel mio letto. Diventerà il nostro letto”. E si era ributtata sul cazzo, facendoselo sprofondare fino in gola.
La notte fu squarciata dai fari di una macchina che aveva imboccato quella strada di campagna che portava a casa sua. Nell’auto di lui protetta dagli sguardi dagli alberi e da una staccionata, Eva aveva rialzato per un attimo la testa. “Quello è mio figlio che torna a casa”. E poi, alzando ancora un po’ la voce. “Ciao amore, la mamma torna subito, finisco di fare un pompino e poi vengo, non ti preoccupare”. E si era tuffata ancora una volta sul cazzo, accelerando il ritmo. Pochi istanti dopo, per la seconda volta in pochi minuti, lui era venuto ancora.
LA NOTTE
“Sei proprio sicura?” lui le chiese per l’ennesima volta. “Sicurissima. Ti aspetto” la risposta definitiva. Era quasi mezzanotte quando lui parcheggiò nel centro del paese, davanti alla scuola dove al mattino dopo Eva, come una brava mamma, avrebbe accompagnato i figli a scuola. “Chissà quante insospettabili come lei incroci ogni giorni mentre cammini per la strada, fai la coda in un negozio, o incontri in un ufficio. Donne sulla cui fedeltà non avresti sospetti e che invece quando l’occasione si presenta…” pensò lui alzando gli occhi verso la luna quasi piena. Pochi minuti dopo una macchina si fermò accanto alla sua. Il tragitto fino a casa fu breve. “Aspetta, devo pisciare, visto che non potrò farlo dopo” la fece fermare lungo un campo. Poco dopo parcheggiavano la macchina nel portico davanti a casa. “Un attimo che vado a controllare che siano tutti a letto” Eva si raccomandò scivolando fuori dalla macchina. Passarono un paio di minuti poi, facendo slalom tra i due cani tenuti a bada dalla loro padrona, entrò in quella casa che gli aveva raccontato tante volte nei suoi racconti e che finalmente diventava reale: la cucina con la stufa, il salotto con quel gran tavolo dove lui aveva promesso che l’avrebbe scopata, le scale che portavano al piano di sopra dove c’erano le camere.
“Sshhh mi raccomando”. Salì con il cuore in gola, la mano in quella di lei che al buio lo guidava. Sul piccolo corridoio del primo piano si aprivano 5 porte, la stanza da letto di Eva, quelle dei tre figli, il bagno. Come due ladri si intrufolarono nella camera, pochi istanti e i vestiti erano già per terra. “Guarda qui, avevi paura di venire, ma il tuo cazzo è di un’opinione differente” gli sussurrò Eva con un tono divertito. “Zitta che ti sentono” le spinse la testa, fino a che il cazzo sparì del tutto nella sua bocca.
Era una situazione tanto assurda quanto eccitante, il marito di Eva via per un paio di giorni e lui al suo posto nel letto matrimoniale, pochi centimetri di muro neppure troppo spesso a dividerli dai figli. Sufficiente per non avere neppure un’erezione, preda della tensione, o esattamente il contrario. Come infatti succedeva a lui. Le afferrò la testa, sapeva che a lei non piaceva, anima troppo libera anche solo per farsi bloccare nel momento del sesso, ma in quel momento non poteva protestare se non per qualche mugolio ovattato mentre la testa faceva su e giù. Poi la fece stendere nel letto e si gettò con la bocca tra le sue gambe. L’odore della sua figa gli era piaciuto da subito, tenue, delicato, appena appena dolce. Se lui era eccitato, lei era estremamente bagnata, quella notte che tra poche ore avrebbero ricordato come la follia più grande compiuta nella loro vita li aveva resi carichi di desiderio e passione. “Ti voglio dentro”. Più che un desiderio fu un ordine e lui non si fece pregare. Lentamente risalì con la bocca verso la sua bocca, baciandole l’ombelico, mordendo un capezzolo, leccandole il collo, fino a che le loro lingue non si incrociarono. Pochi instanti e il cazzo trovò la strada verso il suo piacere, una figa calda, bagnata, pulsante di desiderio, che lo accolse quasi risucchiandolo al proprio interno. “Aaah”, a Eva scappò un gemito, subito coperto dalla bocca di lui che piano iniziò a muoversi dentro di lei. Sentiva la pelle del cazzo che scivolava a ogni movimento, accarezzandola e amplificandone il piacere, quel cazzo non lunghissimo ma grosso che la riempiva tutto. Il letto cigolò sotto qualche colpo più impietoso. “Cazzo, senti che casino” si preoccupò lui, mentre Eva incurante di tutto continuava a muovere il bacino verso di lui. Non ci volle molto a entrambi per raggiungere il primo orgasmo di quella lunga notte, altri ne seguirono, dandosi piacere in ogni modo possibile, bocca, mani, e poi ancora cazzo a profanare più e più volte quella figa che per quella notte sarebbe stata cosa sua, mentre dalla portafinestra a vetri che dava sul terrazzo – la sua via di fuga nel caso di imprevisti, come nel più scontato dei cliché – la luna giocava con le loro ombre.
Era notte fonda quando si addormentarono uno abbracciato all’altra, la schiena di lei contro il petto di lui, le gambe intrecciate, la sua barbetta a solleticarle la schiena.
p.s. Perché a volte la realtà supera la fantasia
La proposta gliel’aveva fatta già al primo incontro, tra una leccata e l’altra a quel cazzo che le era piaciuto subito. Accucciata sul sedile anteriore dell’auto, il culo contro il finestrino, la saliva che adornava l’asta, lo aveva guardato fisso negli occhi con quella faccia spesso da prendere a sberle incorniciata da occhialini che la facevano tanto assomigliare alla professoressa porca che ti saresti voluto scopare al liceo, e gli aveva detto a bruciapelo: “Voglio che tu venga a dormire una notte a casa mia”. La risposta era arrivata accompagnata da una risata: “Certo, così poi tuo marito, i tuoi figli, o tutti e quattro assieme ci ammazzano entrambi”. Ma Eva non aveva desistito: “Ho detto che dormirai a casa mia, nel mio letto. Diventerà il nostro letto”. E si era ributtata sul cazzo, facendoselo sprofondare fino in gola.
La notte fu squarciata dai fari di una macchina che aveva imboccato quella strada di campagna che portava a casa sua. Nell’auto di lui protetta dagli sguardi dagli alberi e da una staccionata, Eva aveva rialzato per un attimo la testa. “Quello è mio figlio che torna a casa”. E poi, alzando ancora un po’ la voce. “Ciao amore, la mamma torna subito, finisco di fare un pompino e poi vengo, non ti preoccupare”. E si era tuffata ancora una volta sul cazzo, accelerando il ritmo. Pochi istanti dopo, per la seconda volta in pochi minuti, lui era venuto ancora.
LA NOTTE
“Sei proprio sicura?” lui le chiese per l’ennesima volta. “Sicurissima. Ti aspetto” la risposta definitiva. Era quasi mezzanotte quando lui parcheggiò nel centro del paese, davanti alla scuola dove al mattino dopo Eva, come una brava mamma, avrebbe accompagnato i figli a scuola. “Chissà quante insospettabili come lei incroci ogni giorni mentre cammini per la strada, fai la coda in un negozio, o incontri in un ufficio. Donne sulla cui fedeltà non avresti sospetti e che invece quando l’occasione si presenta…” pensò lui alzando gli occhi verso la luna quasi piena. Pochi minuti dopo una macchina si fermò accanto alla sua. Il tragitto fino a casa fu breve. “Aspetta, devo pisciare, visto che non potrò farlo dopo” la fece fermare lungo un campo. Poco dopo parcheggiavano la macchina nel portico davanti a casa. “Un attimo che vado a controllare che siano tutti a letto” Eva si raccomandò scivolando fuori dalla macchina. Passarono un paio di minuti poi, facendo slalom tra i due cani tenuti a bada dalla loro padrona, entrò in quella casa che gli aveva raccontato tante volte nei suoi racconti e che finalmente diventava reale: la cucina con la stufa, il salotto con quel gran tavolo dove lui aveva promesso che l’avrebbe scopata, le scale che portavano al piano di sopra dove c’erano le camere.
“Sshhh mi raccomando”. Salì con il cuore in gola, la mano in quella di lei che al buio lo guidava. Sul piccolo corridoio del primo piano si aprivano 5 porte, la stanza da letto di Eva, quelle dei tre figli, il bagno. Come due ladri si intrufolarono nella camera, pochi istanti e i vestiti erano già per terra. “Guarda qui, avevi paura di venire, ma il tuo cazzo è di un’opinione differente” gli sussurrò Eva con un tono divertito. “Zitta che ti sentono” le spinse la testa, fino a che il cazzo sparì del tutto nella sua bocca.
Era una situazione tanto assurda quanto eccitante, il marito di Eva via per un paio di giorni e lui al suo posto nel letto matrimoniale, pochi centimetri di muro neppure troppo spesso a dividerli dai figli. Sufficiente per non avere neppure un’erezione, preda della tensione, o esattamente il contrario. Come infatti succedeva a lui. Le afferrò la testa, sapeva che a lei non piaceva, anima troppo libera anche solo per farsi bloccare nel momento del sesso, ma in quel momento non poteva protestare se non per qualche mugolio ovattato mentre la testa faceva su e giù. Poi la fece stendere nel letto e si gettò con la bocca tra le sue gambe. L’odore della sua figa gli era piaciuto da subito, tenue, delicato, appena appena dolce. Se lui era eccitato, lei era estremamente bagnata, quella notte che tra poche ore avrebbero ricordato come la follia più grande compiuta nella loro vita li aveva resi carichi di desiderio e passione. “Ti voglio dentro”. Più che un desiderio fu un ordine e lui non si fece pregare. Lentamente risalì con la bocca verso la sua bocca, baciandole l’ombelico, mordendo un capezzolo, leccandole il collo, fino a che le loro lingue non si incrociarono. Pochi instanti e il cazzo trovò la strada verso il suo piacere, una figa calda, bagnata, pulsante di desiderio, che lo accolse quasi risucchiandolo al proprio interno. “Aaah”, a Eva scappò un gemito, subito coperto dalla bocca di lui che piano iniziò a muoversi dentro di lei. Sentiva la pelle del cazzo che scivolava a ogni movimento, accarezzandola e amplificandone il piacere, quel cazzo non lunghissimo ma grosso che la riempiva tutto. Il letto cigolò sotto qualche colpo più impietoso. “Cazzo, senti che casino” si preoccupò lui, mentre Eva incurante di tutto continuava a muovere il bacino verso di lui. Non ci volle molto a entrambi per raggiungere il primo orgasmo di quella lunga notte, altri ne seguirono, dandosi piacere in ogni modo possibile, bocca, mani, e poi ancora cazzo a profanare più e più volte quella figa che per quella notte sarebbe stata cosa sua, mentre dalla portafinestra a vetri che dava sul terrazzo – la sua via di fuga nel caso di imprevisti, come nel più scontato dei cliché – la luna giocava con le loro ombre.
Era notte fonda quando si addormentarono uno abbracciato all’altra, la schiena di lei contro il petto di lui, le gambe intrecciate, la sua barbetta a solleticarle la schiena.
p.s. Perché a volte la realtà supera la fantasia
9
voti
voti
valutazione
3.4
3.4
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Cadorna, stazione di Cadorna (capitolo 21)racconto sucessivo
Cadorna, stazione di cadorna (capitolo 22)
Commenti dei lettori al racconto erotico