Cadorna, stazione di Cadorna (capitolo 21)

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21 – Il bacio rubato

Recuperata la macchina, Silvia rimase a lungo seduta immobile, le mani al volante, la mente a riavvolgere il film di quella giornata pazzesca. “Dio mio, Piero” si lasciò sfuggire qualche minuto dopo, quando lo sguardo le cadde sull’orologio. Mezzanotte era passata da un pezzo e il suo Padrone - non so neppure il suo nome si ritrovò a pensare con un mezzo sorriso – nella brevissima telefonata con aveva promesso a suo marito che per le 23 sarebbe tornata a casa. Accese il telefono, che immediatamente iniziò a lampeggiare mentre una lunga serie tra messaggi e chiamate fatte scorrevano sul display. “Sto arrivando a casa” si limitò lei a scrivere sbrigativamente al cellulare di Piero, senza brigarsi di leggere tutti i messaggi. Guidava assorta per le strade deserte di una Milano che custodiva chissà quali segreti, senza fretta, preparandosi al ritorno a casa e all’incredibile storia da raccontare a Piero. “Sarà arrabbiato? Sorpreso? Eccitato?”. Silvia conosceva suo marito da una vita, eppure questa volta non sapeva come avrebbe reagito. Perché un conto è parlare, immaginare, sognare, un altro fare il passo decisivo, trasformare qualcosa di immaginario in realtà concreta, tangibile. Qualcosa che da quale momento sarebbe stato impossibile cancellare, rimuovere dalle proprie vite. Eppure Silvia non era pentita della sua decisione, anzi, sapeva che se si fosse trovata davanti alla stessa scelta, telefonare o cancellare quel numero che fino a qualche ora prima apparteneva a un totale sconosciuto, si sarebbe comportata esattamente allo stesso modo.

Quanto ai due poliziotti, poi, una parte di se stessa gridava che avrebbe dovuto denunciarli, correre alla prima stazione di polizia e raccontare quello che le avevano fatto. Sul suo corpo c’erano ancora le tracce del loro piacere, e al di là del motivo che aveva scatenato tutto, il suo abbigliamento indecente per una professionista, moglie e madre, alla fine erano stati loro ad avere abusato di lei, sfruttando il loro ruolo pubblico. Eppure, un’altra parte della sua mente diceva che no, non lo avrebbe fatto, che se era vero che loro si erano approfittati di lei, anche lei, a suo modo, lo aveva fatto per togliersi quelle voglie che l’incontro con il suo Padrone (la P restava maiuscola nella sua testa) aveva scatenato, senza poterle soddisfare. “Puzzi di sborra, come una puttana di strada” si disse a voce alta mentre si avvicinava a casa. Con la lingua si contornò le labbra, il sapore un po’ salato a ricordarle gli avvenimenti di poco prima. Incredibilmente, si stupì di sentirsi ancora eccitata. “Cosa mi sta succedendo?” si domandò Silvia. Che calda, focosa, disinibita, lo era sempre stata. Ma così… “A volte si chiude una porta e si apre un portone” le venne in mente il proverbio. Anche se in questo caso, ad aprirsi erano state piuttosto le sue gambe.

Fortunatamente trovò parcheggio non lontano dalla porta del suo condominio, a quell’ora meno gente la vedeva e meglio sarebbe stato. Soprattutto se fosse stato qualcuno di conosciuto. Tirò fuori le chiavi dalla borsetta e aveva appena fatto scattare la serratura, quando alle sue spalle sentì l’abituale zampettare felpato di Nathan, seguito da Francesco, reduci dalla solita passeggiata notturna. “No, cazzo! No!” Silvia maledisse in silenzio l’apparizione dei due. “C…ciao Francesco” lo salutò in modo imbarazzato. “Per fortuna non può vedermi” ringraziò la sua fortuna che, tra i tanti, fosse toccato proprio al ragazzo non vedente sorprenderla al ritorno a casa. “Ah, sei tu Silvia, ciao. Scusa non ti avevo riconosciuta” rispose gentile come sempre Francesco. “E come potresti, povero ragazzo, visto che non mi vedi” gli rispose in silenzio. “Torni a casa tardi, stasera” buttò lì Francesco mentre i due aspettavano l’ascensore. Nathan, nel frattempo, si era sistemato tra loro e annusava le gambe di Silvia. “Sì, sì – indugiò lei -. Abbiamo del lavoro da consegnare e…abbiamo finito tardissimo, ecco” si inventò la prima bugia che le venne in mente, con un tono peraltro alquanto poco credibile. “Già” si limito a rispondere Francesco.

All’arrivo dell’ascensore, Silvia entrò per prima poi, una volta chiusa la porta, iniziò la lenta salita verso il suo piano. “Silvia… se vuoi passare da me, prima di entrare in casa” le disse un po’ titubante Francesco. “Ti serve qualcosa? Hai bisogno?” rispose Silvia, mentre Nathan, attirato dall’odore, aveva iniziato a leccarle i piedi. “No, no, per nulla. È solo che…ecco, non ti avevo riconosciuto perché questa sera il tuo non è il solito odore. Scusa se sono brutale ma…puzzi di sperma. Non so a che riunione tu sia stata, ma se non vuoi che Piero se ne accorga, puoi venire a ripulirti da me”. Il volto di Silvia diventò di mille colori, che per sua sfortuna Francesco poteva solo immaginare. “No… no, non è come tu pensi, cioè – farfugliò Silvia -. Comunque, non grazie, apprezzo molto il tuo gesto, ma non è necessario”. Nel frattempo, Nathan aumentava il ritmo delle leccate ai piedi, cosa che provocava un misto tra solletico e fastidio a Silvia, che con calma cercava di distrarre, senza peraltro riuscirci, il cane lupo. “Su, lascia che almeno si diverta un poco anche lui” le disse Francesco, proprio mentre con un piccolo colpo l’ascensore si fermò al piano. In quei pochi secondi prima che le porte si aprissero, Francesco sollevò una mano verso il volto di Silvia che, una sfinge, non oppose resistenza. Le dita percorsero le sue linee delicatamente. “Ho sempre immaginato che tu fossi bella” le disse quasi sussurrando. Poi, prima di uscire, si avvicinò a lei e la baciò, altrettanto delicatamente sulle labbra. Silvia, colta di sorpresa, si ritrovò a rispondere, le lingue che per un breve attimo si unirono. “Grazie” le disse Francesco. Per poi aggiungere: “Sì, sai decisamente di sperma. Buonanotte Silvia”. E strappando Nathan alla sua esplorazione dei piedi, si diresse verso il proprio appartamento. Silvia, le chiavi in mano, stava per infilarle nella serratura quando la porta si aprì. “Ciao Piero…”.
scritto il
2019-09-01
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