Cadorna, stazione di Cadorna (capitolo 18)

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dominazione

18 – Scopata



Quello che accadde dopo, Silvia non se lo sarebbe più dimenticata. Il rumore della cerniera alle sue spalle si sovrappose a quella che le sue dita aprirono a pochi centimetri dal proprio volto. Un gesto automatico il suo, ma ormai in quella stanza nulla sembrava più essere mosso dal razionale. Quando sentì qualcosa che sfregava contro le labbra della sua fica, per quanto la posizione glielo consentisse Silvia si inarcò ancor più all’indietro, quasi a formulare un tacito invito, uno scopami adesso che non poteva più essere represso o ritardato. E quando la cerniera dei pantaloni del poliziotto che le stava davanti arrivò a fondo corsa, la sua mano sinistra si infilò all’interno della patta alla ricerca di quel cazzo che ormai voleva assurdamente e assolutamente sentire tra le sue labbra. Le mani che si muovevano febbrili quasi per recuperare ogni attimo perduto, Silvia armeggiò per slacciare la cintura e poi il bottone dei pantaloni, lo sguardo perso verso quei boxer che facevano capolino. Qualche centimetro più su della sua testa, il poliziotto che la sovrastava sorrideva beffardo, mentre le dita continuavano a stringere e strapazzare i suoi capezzoli sempre più turgidi.

“Aaaaaaaaaaaah” la sua voce riempì la sala, mentre alle spalle, con un colpo secco, il poliziotto l’aveva penetrata. Un paio di affondi lenti ma decisi, poi, dopo averla afferrata per i fianchi, iniziò a scoparla con più vigore. Per la sorpresa di quel cazzo nuovo che aveva accomodato dentro di sé, Silvia aveva abbassato la testa, una mano infilata dentro i boxer a stringere quello che sembrava essere un cazzo di tutto rispetto, il corpo che ondeggiava sotto le spinte del cazzo e delle mani che la sorreggevano.

“Che cazzo ti credi, che il mio cazzo sia un punto di sostegno mentre ti fai sbattere?”.

La mano che le artigliò i capelli procurò a Silvia una fitta di dolore, mentre la sua testa veniva riportata verso l’alto fino a trovarsi davanti un cazzo che prometteva di riempirle per bene la bocca.

“Succhia troia, fammi vedere quanto ti piace il mio cazzo” le disse il poliziotto e Silvia fece appena in tempo ad aprire la bocca prima che l’ennesima spinta da dietro le facesse inghiottire una buona fetta del bastone di carne che le si parava di fronte.

Per un minuto buono l’unica colonna sonora dell’ufficio fu rappresentata dai gemiti di Silvia, scopata con ritmo costante dai due poliziotti, che al’unisono si ritraevano per poi tornare a infilarsi nella fica e nella bocca, divertendosi quasi a schiacciare il corpo della donna.

“Questa puttana è fradicia, guarda come cola” la umiliò il poliziotto che la scopava nel mostrare al collega le gocce di piacere che scintillavano sul pavimento. “Ti piace il servizietto che ti stiamo facendo, vero?” le disse dandole un’altra sberla sul culo.

“MMhhhhhhhh” fu la sola risposta possibile, visto che il quel momento il secondo cazzo stava tentando di invaderle la gola.

“Sei proprio una maleducata ­- le pizzicò forte un capezzolo il secondo poliziotto, la cui stretta ferrea dei capelli le impediva di muovere la testa -, da bambina non ti hanno insegnato che non si parla con la bocca piena?”.

Il cazzo che spingeva in gola, la incapacità di respirare, le sculacciate che si alternavano con le spinte sempre più potenti del cazzo che la scopava, Silvia sembrava sull’orlo di impazzire, mentre rivoli di saliva colavano copiosi dalla bocca. Quando finalmente il poliziotto le permise di sollevare la testa, Silvia sembrò un subacqueo uscito troppo in ritardo dall’ultima apnea, con i respiri affannati che si mischiavano a colpi di tosse e alla saliva che le ornava le guance.

Alle sue spalle il poliziotto aveva cambiato leggermente posizione, abbassando si leggermente e attirandola ancor più verso di sé, con il cazzo che a ogni colpo sembrava quasi volerla infilzare. Di fronte, invece, il suo collega si era preso il cazzo alla base e lo usava come una clava per mollarle violenti colpi sul volto, con la saliva che le impiastricciava ancor più la faccia. Ma non appena si fermò, Silvia come un’ossessa tornò all’assalto del cazzo, la lingua che famelica percorreva l’asta, la mano sinistra che accarezzava i coglioni gonfi, la bocca che baciava ogni centimetro di pelle, scendeva fino alle palle, le accoglieva, le risputava, per poi incominciare il percorso inverso verso la cappella sempre più gonfia e grossa. E quando il tragitto fu compiuto, ecco che la lingua andò a cercare il buchino da cui tra poco sapeva che sarebbe uscito il premio alla sua adorazione.

“Mettiamoci più comodi” si dissero i poliziotti e quando un secondo dopo Silvia si ritrovò i buchi liberi le scappò un sospiro quasi di rabbia. Ma fu questione di un attimo, perché dopo avere spostato alcune carte, i poliziotti la fecero sdraiare sulla scrivania.

“E adesso possiamo iniziare a divertirci davvero” le sorrise beffardo il secondo poliziotto, che questa volta si sistemò tra le sue gambe. Il primo invece, dopo averle preso tra le mani i seni, abbassò la testa e prese a leccarle i capezzoli, succhiandoli, mordendoli, tirandoli, mentre Silvia ormai persa nel suo mondo lussurioso gli accarezzava i capelli e la schiena, la testa che girava da una parte all’altra.

“Cosa vuoi troia?” le disse il secondo poliziotto. E quando lei non rispose le diede uno schiaffo tra le gambe. Fu l’attimo del non ritorno. Con un guaito animale Silvia esplose, le gambe iniziarono a tremare incontrollate, mentre il bacino sussultava e spruzzi di piacere bagnavano la mano del poliziotto.

“Falla tacere o tra un po’ qui arriva mezza metropolitana” disse il secondo poliziotto.

E fu così che Silvia si ritrovò in bocca il terzo cazzo della giornata.
scritto il
2019-07-27
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