I sandali
di
Margie
genere
feticismo
Sono sandali mostruosamente volgari. Mi stimolano voglie indecenti soltanto a vederli. Quando li uso, soprattutto se mi vedo, mi spingono a stati di eccitazione rimarchevoli. Ricordo bene quella volta che li acquistammo: il negozio, la commessa, il nostro rientro per comprare un paio di scarpe per lui dopo aver compiuto quell'acquisto. Li avevamo visti in vetrina. Gli ho detto che me li vedevo indosso per farmi sbattere da lui, a novanta. Testualmente, senza eufemismi o mezzi termini, indicando come e dove: ho riassunto il quanto con un “da mezzanotte a mezzanotte, senza pausa pranzo”. Lui mi ha stretto a sé, da dietro, mi ha baciata sul collo, approvando, “Lo si vede dai capezzoli”. Per me è tuttora quasi poetico indossarli. Già di per sé, essere messa a novanta e chiavata; ma con quei sandali... esiste soltanto la devastazione! Mi sovviene con un sorriso l'espressione della commessa, col viso arrossito, vedendomi la passera quando ho divaricato distrattamente le cosce, ma solo per un attimo. Mi vien da ridere quando, nel tornare dentro l'abbiamo vista parlare di me col suo collega, con l'espressione tipica di chi sparla, simulando grande confidenza, fra il ridicolo e la condanna. Di solito è voce dell'invidia. Siamo tornati in albergo, li ho calzati una volta saliti in ascensore, ho invitato esplicitamente il mio compagno a mettermi le mani addosso. In camera gli sono saltata sopra e non so per che fortunata causa non gli abbia strappato via il cazzo con la figa.
È invidia ora lo sguardo di quel tizio con un pizzo interessante sul mento. Uno sguardo che ostenta biasimo per la sua bella compagna, riccia, elegante. Bella, sì, ma con l'aria da cubetto di ghiaccio. Non lo dico perché mi guarda con un certo disprezzo, come a dire “Ma guarda che puttana! Perché non se ne sta al suo posto, in un bordello di bassa lega?”
Be', non le do torto. Per una vestita come me non è proibito entrare in chiesa: è proibito passare a meno di cento metri da una chiesa. Ma sono vestita così non per suscitare invidie o gelosie, desideri o istinti rapaci. È che mi eccita, perché mi eccita mostrarmi e pensare che mio marito mi vorrebbe proprio molto succinta. Questo eccita lui (non che ne abbia tanto bisogno, per la verità, ma tutto contribuisce) e tanto basta per dispormi al peggio. O al meglio, dipende dal punto di vista. Dal mio è indubitabilmente il meglio.
Anche quelle due signore con l'aria da menopausa s'illuminano di critica caustica mentre mi squadrano da capo a piedi. La loro espressione mi fa sorridere la passera. E quando la mia passera sorride mi sembra che mi domandi “dov'è un androne, un angolo buio dove ricevere ciò che mi merito, di cui ho bisogno? Basta un attimo per svuotarmi dell'orgasmo che mi riempie, mi soffoca. Ridatemi il respiro...” nonostante sia di fianco a mio marito, ho l'impressione che le andrebbe anche di passare per le grinfie del duo muriatico. Ah, so bene come ridurle alla ragione! Sono soltanto in due, che ci vuole? Sono due anche quei due ammassi di muscoli temibili e ridicoli che mi spogliano con lo sguardo promettendomi piaceri che so già di poter trovare al mio fianco ma almeno decuplicati. Mi chiedo se siano più grossi quei muscoli o la loro arroganza e presunzione. Sono caratteristiche difficili da usare, queste: si eccede sempre e si fa perdere gran parte dell'effetto. Si cade nel ridicolo. Intanto mio marito mi stringe a sé, quasi a delimitare un territorio che non vorrei violato da loro due. Mi bacia, a tradimento. Mi sembra che tutto il mondo stia giocando con me come un gatto col topo. E la mia topa gradisce, si offre. Camminiamo così per quest'elegante via del centro storico, in mezzo a mostri d'ipocrisia, fra muri al di là dei quali si ripete il rito eterno del piacere. Un rito che inesorabilmente si perpetua, quotidiano, immancabile. Sui tacchi estremi di questi sandali mi ci aggregherei senza attendere che siamo rientrati. A novanta. Vedo noi due riflessi dalla vetrina di una pasticceria. Lui sportivo, io vestita da me, al limite del limite. Ma è per quella piccola parte in basso, quel paio di sandali, che mi sfugge un mugolio, che mi si accendono le liquide fiamme del bisogno. È forse per farmi godere dell'effetto che provoco che mi stringe a sé da dietro aggiornandomi sul grado di tensione del suo uccello? Oppure per far sì che la mia passera sbavi oscenamente in mezzo alla gente? Vorrei essere incatenata per meglio resistere al desiderio di piegarmi in mezzo all'andirivieni dei passanti ostentando la mia capacità di infischiarmi di qualsiasi limite. Così, invece, mi diventa difficile rintuzzare gli attacchi di voglia. “Riportami in albergo, amore, se ritieni che fottermi qui sia sconveniente”. Non l'ho detto. L'ho letto sulla mia faccia mentre guardavo una vetrina d'inutile biancheria intima sexy. Mica faccio la spogliarellista di lusso. Per me è inutile: mi bastano questi sandali per offrire ogni libertà.
È invidia ora lo sguardo di quel tizio con un pizzo interessante sul mento. Uno sguardo che ostenta biasimo per la sua bella compagna, riccia, elegante. Bella, sì, ma con l'aria da cubetto di ghiaccio. Non lo dico perché mi guarda con un certo disprezzo, come a dire “Ma guarda che puttana! Perché non se ne sta al suo posto, in un bordello di bassa lega?”
Be', non le do torto. Per una vestita come me non è proibito entrare in chiesa: è proibito passare a meno di cento metri da una chiesa. Ma sono vestita così non per suscitare invidie o gelosie, desideri o istinti rapaci. È che mi eccita, perché mi eccita mostrarmi e pensare che mio marito mi vorrebbe proprio molto succinta. Questo eccita lui (non che ne abbia tanto bisogno, per la verità, ma tutto contribuisce) e tanto basta per dispormi al peggio. O al meglio, dipende dal punto di vista. Dal mio è indubitabilmente il meglio.
Anche quelle due signore con l'aria da menopausa s'illuminano di critica caustica mentre mi squadrano da capo a piedi. La loro espressione mi fa sorridere la passera. E quando la mia passera sorride mi sembra che mi domandi “dov'è un androne, un angolo buio dove ricevere ciò che mi merito, di cui ho bisogno? Basta un attimo per svuotarmi dell'orgasmo che mi riempie, mi soffoca. Ridatemi il respiro...” nonostante sia di fianco a mio marito, ho l'impressione che le andrebbe anche di passare per le grinfie del duo muriatico. Ah, so bene come ridurle alla ragione! Sono soltanto in due, che ci vuole? Sono due anche quei due ammassi di muscoli temibili e ridicoli che mi spogliano con lo sguardo promettendomi piaceri che so già di poter trovare al mio fianco ma almeno decuplicati. Mi chiedo se siano più grossi quei muscoli o la loro arroganza e presunzione. Sono caratteristiche difficili da usare, queste: si eccede sempre e si fa perdere gran parte dell'effetto. Si cade nel ridicolo. Intanto mio marito mi stringe a sé, quasi a delimitare un territorio che non vorrei violato da loro due. Mi bacia, a tradimento. Mi sembra che tutto il mondo stia giocando con me come un gatto col topo. E la mia topa gradisce, si offre. Camminiamo così per quest'elegante via del centro storico, in mezzo a mostri d'ipocrisia, fra muri al di là dei quali si ripete il rito eterno del piacere. Un rito che inesorabilmente si perpetua, quotidiano, immancabile. Sui tacchi estremi di questi sandali mi ci aggregherei senza attendere che siamo rientrati. A novanta. Vedo noi due riflessi dalla vetrina di una pasticceria. Lui sportivo, io vestita da me, al limite del limite. Ma è per quella piccola parte in basso, quel paio di sandali, che mi sfugge un mugolio, che mi si accendono le liquide fiamme del bisogno. È forse per farmi godere dell'effetto che provoco che mi stringe a sé da dietro aggiornandomi sul grado di tensione del suo uccello? Oppure per far sì che la mia passera sbavi oscenamente in mezzo alla gente? Vorrei essere incatenata per meglio resistere al desiderio di piegarmi in mezzo all'andirivieni dei passanti ostentando la mia capacità di infischiarmi di qualsiasi limite. Così, invece, mi diventa difficile rintuzzare gli attacchi di voglia. “Riportami in albergo, amore, se ritieni che fottermi qui sia sconveniente”. Non l'ho detto. L'ho letto sulla mia faccia mentre guardavo una vetrina d'inutile biancheria intima sexy. Mica faccio la spogliarellista di lusso. Per me è inutile: mi bastano questi sandali per offrire ogni libertà.
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