Momenti piccanti
di
Margie
genere
etero
Momenti piccanti
Ho finito da qualche minuto di tagliare i peperoncini da mettere nell'olio. Voglio, o vogliamo, ottenere quel condimento piccante che tanto piace a mio marito (gli dico talvolta che lo metterebbe anche sui dolci) oltre che a me. Sono sparpagliati su un telo, sopra al tagliere. Rossi e gialli. Li scrollo per qualche secondo. Mi hanno provocato qualche breve lacrima agli occhi. Quindi le gocce sulle mie guance non indicano commozione. Devono essere particolarmente piccanti, pur senza appartenere al vertice della scala di piccantezza. Con la punta della lingua avevo sfiorato un lembo di uno giallo. Rassicurante: mi è sembrato di leccare brace. Li metto in un vasetto di vetro: lo riempiono per un terzo. Mi aspetto a breve che l'olio che sto per versare dentro il vasetto richieda parsimonia nell'uso. Prendo una tavoletta di cioccolata, ne stacco un quadretto e me lo gusto. Non avevo neanche guardato che tipo fosse. Per l'effetto in bocca direi che sia quello al peperoncino. Passo a versare l'olio, poi un altro quadretto di cioccolata m'incuriosisce e mi si dissolve piccantemente nella bocca. Ciò mi spinge a controllare sulla scatola se sia quello al peperoncino. No, è fondente, novanta per cento cacao. Evidentemente l'ho contaminato con le dita. Vado in bagno, sciacquo le mani. Preparo il tè e mi lascio inebriare dal profumo di gelsomino che si diffonde per la cucina. Aggiungo olio nel vasetto (credevate nel tè?). Mi piace quest'olio. Immergo un dito e succhio. Vado in bagno, sollevo la gonna, faccio pipì (mio marito dice sempre che quando noi donne non sappiamo cosa fare, facciamo pipì. Irrispettoso, il soggetto; stronzo, ma per il resto va benissimo così) e passo un foglietto di carta igienica. Questo mi scivola e mi ritrovo con due dita a contatto con la passera. Le allontano subito, ma non riesco a prendere un altro foglietto. Un incendio mi è scoppiato all'ingresso della passera. Mi sembra di esser gonfia come una mongolfiera, lì sotto. Un bruciore folle, che sembra diffondersi in tutto il corpo, ma che in quel preciso punto diventa un coltello che scava nella carne viva, è un grosso cactus che mi penetra. E io cerco di darmi sollievo sfiorandomi di nuovo. Cretina! Balzello come si può soltanto in un cartone animato. Disquisisco elegantemente sul pedigree dei santi che mi vengono in mente, senza scordare sant'Eustorgio, san Farone, san Foca (è maschio; fosse femmina sarebbe santa Fica), santa Mildburga e santa Trofimena (Se per sfida o per dubbio pensate che siano inventati, controllate pure: esistono tutti). Per fortuna mio marito è assente. Se invece fosse qui riderebbe mitragliandomi di stupide battutine beffarde. Il bastardo (in un altro momento le sue battute mi farebbero ridere a crepapelle). Intanto mi seggo sul bidet e faccio scorrere l'acqua. È piuttosto calda e non lenisce per nulla. Giro il rubinetto e il massaggio diventa più efficace diventando fresco. Penso con forte rimpianto a quando, in montagna, mi sono lavata i denti con l'acqua che scendeva da un piccolo nevaio. Genialmente mi tocco di nuovo la figa, come per lenire un po' il disagio. Disagio? Mi prude e brucia che mi scorticherei con intensa attività ungulare. Sudo, anche se tremo per il prurito. Trascorrono i minuti senza che quasi nulla cambi. Poi, esaurite le sorgenti del Nilo (ovvero inaridita la disponibilità dell'acquedotto), sento che le spiacevoli sensazioni stanno attenuandosi. Però sto ansimando, sono sudata, rabbrividisco. Mi sembra di non poter fare nulla. Sono priva di forze, più che se avessi fatto sesso per diverse ore senza pausa. Sta' a vedere che mi prende la voglia, adesso. Riuscirò a sostenerla? Mi lavo un'altra volta le mani, a lungo. Vado coricarmi, voglio stendermi un po'. Sarebbe saggio che, preventivamente, mi legassi le mani dietro la schiena per evitare tocchi che potrebbero rinfocolare il prurito. Fra poco sentirò il rumore della sua macchina che viene parcheggiata. Me ne sto sul letto a cosce spalancate. È sempre piacevole farsi trovare pronte, no? Preferirei mettermi a pecora, è vero, ma così intanto mi rilasso. Mi concentro sul tenere le mani lontane dal corpo. Mi controllo le dita leccandole a lungo. Sulla lingua non percepisco nessun sentore di piccantezza. Posso? Mi sfioro con delicata prudenza. Intanto sento il rumore dell'auto, il suo passo (di mio marito, non della macchina) sulle scale. È raro che mi trovi così, di solito mi metto a novanta o a pecora. La sua, quando entra nella camera, è quindi un'espressione meravigliata. Gli spiego, gli racconto. Si mette a ridere, ride sempre più. Insensibile! Mi sbeffeggia. Mi offendo, o almeno mi atteggio ad offesa. Mi sfotte pesantemente. Adesso sono proprio offesa, anche se lui s'è tolto i calzoni e il suo uccello promette bene. Chiudo le gambe, mi alzo. Lui ride e mi fa cadere sul letto. L'immagine del suo uccello è però più seducente di quanto non sia irritante il suo atteggiamento. Cedo su tutto il fronte. Mi faccio scopare, invoco più impegno, più energia da parte sua. Vengo ignominiosamente.
È mattina. La mia vendetta sta per colpire. Scendo in cucina e mi preparo una tartina molto piccante. “Amore, ho una voglia folle di farti un pompino”, gli dico col tono più eccitato e sensuale che riesco a simulare nell'arrivare da lui. Eh, sì, devo occultare il mio imminente atto proditorio. Si fa trovare sul letto, con l'uccello bello grosso e teso. È un'immagine quasi romantica. Cerco di non farmi rapire da sentimenti buonisti, perché se non dovessi perpetrare la mia vendetta non riuscirei a non prendermi nella passera l'uccello del paradiso. Dev'essere vendetta, e vendetta sia! Al primo passaggio di lingua emette un urlo. Sono veloce e riesco a passare la lingua altre due volte sul suo uccellone. Si divincola, mi scaraventa via. Dentro di me sto ridendo come una pazza. Il metodo empirico è stato molto più efficace di quello razionale. Adesso è sul bidè; è lui a far scorrere l'acqua fredda imprecando con una fantasia degna del più pindarico degli scrittori. Quando gli sarà passata... sento una goccia scivolarmi dalla passera sulla coscia. Forse sarà opportuno anche prepararmi col gel per la sodomia: non arriverebbe a bruciarmi come la passera ieri, ma sarebbero momenti, quelli iniziali, che lascerebbero un sottofondo importante e fastidioso per tutta la giornata.
Ho finito da qualche minuto di tagliare i peperoncini da mettere nell'olio. Voglio, o vogliamo, ottenere quel condimento piccante che tanto piace a mio marito (gli dico talvolta che lo metterebbe anche sui dolci) oltre che a me. Sono sparpagliati su un telo, sopra al tagliere. Rossi e gialli. Li scrollo per qualche secondo. Mi hanno provocato qualche breve lacrima agli occhi. Quindi le gocce sulle mie guance non indicano commozione. Devono essere particolarmente piccanti, pur senza appartenere al vertice della scala di piccantezza. Con la punta della lingua avevo sfiorato un lembo di uno giallo. Rassicurante: mi è sembrato di leccare brace. Li metto in un vasetto di vetro: lo riempiono per un terzo. Mi aspetto a breve che l'olio che sto per versare dentro il vasetto richieda parsimonia nell'uso. Prendo una tavoletta di cioccolata, ne stacco un quadretto e me lo gusto. Non avevo neanche guardato che tipo fosse. Per l'effetto in bocca direi che sia quello al peperoncino. Passo a versare l'olio, poi un altro quadretto di cioccolata m'incuriosisce e mi si dissolve piccantemente nella bocca. Ciò mi spinge a controllare sulla scatola se sia quello al peperoncino. No, è fondente, novanta per cento cacao. Evidentemente l'ho contaminato con le dita. Vado in bagno, sciacquo le mani. Preparo il tè e mi lascio inebriare dal profumo di gelsomino che si diffonde per la cucina. Aggiungo olio nel vasetto (credevate nel tè?). Mi piace quest'olio. Immergo un dito e succhio. Vado in bagno, sollevo la gonna, faccio pipì (mio marito dice sempre che quando noi donne non sappiamo cosa fare, facciamo pipì. Irrispettoso, il soggetto; stronzo, ma per il resto va benissimo così) e passo un foglietto di carta igienica. Questo mi scivola e mi ritrovo con due dita a contatto con la passera. Le allontano subito, ma non riesco a prendere un altro foglietto. Un incendio mi è scoppiato all'ingresso della passera. Mi sembra di esser gonfia come una mongolfiera, lì sotto. Un bruciore folle, che sembra diffondersi in tutto il corpo, ma che in quel preciso punto diventa un coltello che scava nella carne viva, è un grosso cactus che mi penetra. E io cerco di darmi sollievo sfiorandomi di nuovo. Cretina! Balzello come si può soltanto in un cartone animato. Disquisisco elegantemente sul pedigree dei santi che mi vengono in mente, senza scordare sant'Eustorgio, san Farone, san Foca (è maschio; fosse femmina sarebbe santa Fica), santa Mildburga e santa Trofimena (Se per sfida o per dubbio pensate che siano inventati, controllate pure: esistono tutti). Per fortuna mio marito è assente. Se invece fosse qui riderebbe mitragliandomi di stupide battutine beffarde. Il bastardo (in un altro momento le sue battute mi farebbero ridere a crepapelle). Intanto mi seggo sul bidet e faccio scorrere l'acqua. È piuttosto calda e non lenisce per nulla. Giro il rubinetto e il massaggio diventa più efficace diventando fresco. Penso con forte rimpianto a quando, in montagna, mi sono lavata i denti con l'acqua che scendeva da un piccolo nevaio. Genialmente mi tocco di nuovo la figa, come per lenire un po' il disagio. Disagio? Mi prude e brucia che mi scorticherei con intensa attività ungulare. Sudo, anche se tremo per il prurito. Trascorrono i minuti senza che quasi nulla cambi. Poi, esaurite le sorgenti del Nilo (ovvero inaridita la disponibilità dell'acquedotto), sento che le spiacevoli sensazioni stanno attenuandosi. Però sto ansimando, sono sudata, rabbrividisco. Mi sembra di non poter fare nulla. Sono priva di forze, più che se avessi fatto sesso per diverse ore senza pausa. Sta' a vedere che mi prende la voglia, adesso. Riuscirò a sostenerla? Mi lavo un'altra volta le mani, a lungo. Vado coricarmi, voglio stendermi un po'. Sarebbe saggio che, preventivamente, mi legassi le mani dietro la schiena per evitare tocchi che potrebbero rinfocolare il prurito. Fra poco sentirò il rumore della sua macchina che viene parcheggiata. Me ne sto sul letto a cosce spalancate. È sempre piacevole farsi trovare pronte, no? Preferirei mettermi a pecora, è vero, ma così intanto mi rilasso. Mi concentro sul tenere le mani lontane dal corpo. Mi controllo le dita leccandole a lungo. Sulla lingua non percepisco nessun sentore di piccantezza. Posso? Mi sfioro con delicata prudenza. Intanto sento il rumore dell'auto, il suo passo (di mio marito, non della macchina) sulle scale. È raro che mi trovi così, di solito mi metto a novanta o a pecora. La sua, quando entra nella camera, è quindi un'espressione meravigliata. Gli spiego, gli racconto. Si mette a ridere, ride sempre più. Insensibile! Mi sbeffeggia. Mi offendo, o almeno mi atteggio ad offesa. Mi sfotte pesantemente. Adesso sono proprio offesa, anche se lui s'è tolto i calzoni e il suo uccello promette bene. Chiudo le gambe, mi alzo. Lui ride e mi fa cadere sul letto. L'immagine del suo uccello è però più seducente di quanto non sia irritante il suo atteggiamento. Cedo su tutto il fronte. Mi faccio scopare, invoco più impegno, più energia da parte sua. Vengo ignominiosamente.
È mattina. La mia vendetta sta per colpire. Scendo in cucina e mi preparo una tartina molto piccante. “Amore, ho una voglia folle di farti un pompino”, gli dico col tono più eccitato e sensuale che riesco a simulare nell'arrivare da lui. Eh, sì, devo occultare il mio imminente atto proditorio. Si fa trovare sul letto, con l'uccello bello grosso e teso. È un'immagine quasi romantica. Cerco di non farmi rapire da sentimenti buonisti, perché se non dovessi perpetrare la mia vendetta non riuscirei a non prendermi nella passera l'uccello del paradiso. Dev'essere vendetta, e vendetta sia! Al primo passaggio di lingua emette un urlo. Sono veloce e riesco a passare la lingua altre due volte sul suo uccellone. Si divincola, mi scaraventa via. Dentro di me sto ridendo come una pazza. Il metodo empirico è stato molto più efficace di quello razionale. Adesso è sul bidè; è lui a far scorrere l'acqua fredda imprecando con una fantasia degna del più pindarico degli scrittori. Quando gli sarà passata... sento una goccia scivolarmi dalla passera sulla coscia. Forse sarà opportuno anche prepararmi col gel per la sodomia: non arriverebbe a bruciarmi come la passera ieri, ma sarebbero momenti, quelli iniziali, che lascerebbero un sottofondo importante e fastidioso per tutta la giornata.
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