Il "santino" di Lucrezia

di
genere
voyeur

Non leggo il commento, osservo quell'immagine che è alla sua sinistra. Com'è possibile distogliere gli occhi da quella scollatura? Ammetto che non ci riesco. Sarebbe l'immensa bestemmia. Sarebbe come essere indifferenti davanti alla vetrina di Pejrano a Torino o di Majani a Bologna. Anzi, no, mi sono sbagliata. Sarebbe come non sentirsi stimolate ad allungare le mani, a Salisburgo, da una cascata di Mozartkugeln. Be', insomma... e così via, no?
È proprio una scollatura perfetta, studiata come un piatto di un cuoco a tre stelle Michelin e realizzata senza pietà per chi la vede. Non accende semplici sogni, ma cosmici desideri, universale lussuria, travolgente libidine. Guardate la foto di una galassia a spirale: resterete meno affascinati al confronto. Ascoltate l'andante del quartetto “La morte e la Fanciulla”: non riuscirebbe, questo, a colpirvi altrettanto mente e cuore.
Io invece non mi commuovo. Io strabuzzo gli occhi ogni volta che lo vedo. E lo vedo spesso. Strabuzzo questi occhi che impiegano minuti a a correre fra i sogni prima di spostare ancora un po' quel pizzo che concede un'alba di luna, che stimola il fuoco della lussuria. Resto in attesa che la luna emerga vieppiù dal profilo dell'orizzonte. Con una mano sposto quella lieve cortina che con la sua trasparenza permette d'intravvedere una promessa di bellezza, un paradiso di bellezza come una baia della Maddalena. È garantito che la lussuria non troverà ostacoli né freni, che l'entusiasmo sarà un'inezia rispetto al piacere. Lentamente sposto il lembo dei pizzo illuminando nuovi dettagli. La tetta abbronzata appare pian piano in tutto il suo splendore. Il capezzolo sembra chiedere un bacio nel suo protendersi docile e attraente. Gli soffio sopra, lievemente. Mi ripeto, cinque, sei volte, con intensità crescente. Si erge, è teso. Intanto scopro con una carezza lieve l'altra tetta. La reazione mi colpisce positivamente. Mi fermo un attimo. Le ammiro, quelle tette, immagini speculari che raddoppiano la mia libidine. Mi fanno pensare a un paradiso da baciare, da mordere. Il calore delle mie mani si fonde con quello che si sprigiona da loro. Poso le labbra su un capezzolo, sfioro l'altro con le dita. Bacio, poi lo prendo con le labbra e stringo morbidamente. Un agile movimento delle mani di lei mi spoglia. La blocco; voglio io dedicarmi a lei, prima. Voglio dedicarmici finché non l'avrò condotta al punto in cui è la lussuria irrefrenabile a vincere. Non lussuria a buon mercato, bensì quella che sconvolge le budella e il cervello, quella che poi, alla fine e dopo tanto, ti fa sentire in pace. Voglio portarcela lentamente, con un crescendo più coinvolgente del Bolero di Ravel, coi suoi balzi melodici improvvisi e soprattutto inattesi. Voglio far deflagrare di libidine la donna cui appartengono. Bacio, più forte di prima. Le mie labbra aumentano la pressione. Un suo sospiro profondo s'accompagna a una sua carezza. Le ordino di lasciare che sia io a condurre il gioco. Le dico di pensare soltanto a subire le mie mosse, di concentrarsi sul mio desiderio di lei. Di seguire le mie azioni fissandosi su di esse, per subirne meglio, più a fondo e a lungo, l'effetto. Voglio spingerla a smaniare. Voglio che la sua voglia esploda su di me. Apro un po' la bocca, spingo fuori la lingua, lecco quell'areola che risalta più scura su quella pelle calda, morbida e abbronzata. Fa girare la testa, inebria come l'ambrosia. Giro attorno, passo sopra, sfioro, spingo, tiro. Su una tetta gioco con la bocca, sull'altra con una mano. Lei ansima. Prendo il capezzolo fra i denti, do un morso levissimo. Mi beo del suo mugolìo che s'intensifica, che acquista passione e dominio, che cambia ritmo, che si spezza e si ricompone. Penso a quel rigido calore che sprigiona. Penso a quando ci struscerò il mio clitoride; quando con esso schiaccerò quella protuberanza lasciandola poi entrare nella mia passera. Intanto passo ad accarezzare la sua. A giocare con le sue labbra. La farò godere. Assaporo il succo divino che faccio sgorgare bollente, come fosse fresca acqua di sorgente. Godrò della sua goduria. Lo faremo scambievolmente, poi. Ci abbandoneremo alla lussuria, la nostra musa, la nostra dea. Irroreremo il suo altare col nostro piacere. Spingeremo la voluttà a riempire la stanza, la casa. A straripare da porte e finestre. A invadere il mondo. La nostra lussuria trasformerà il pianeta in un'orgia. E quest'orgia toglierà voce alle guerre, trasformerà in piacere il dolore, trasformerà in sorrisi le lacrime. Ma adesso piantami le unghie nella schiena, graffiami, prendi fra i denti i miei piercing, tira, strattona. Fammi male, cioè dammi la forza d'inventarmi nuovi piaceri da donarti, di creare nuove colorazioni che ci conducano alla libidine più sconcia. Traboccherà di lussuria, questa casa, giungerà il nostro piacere ad invadere pianeti lontani...
Guardo ancora quelle tette semivelate. Sospiro: il desiderio è tanto, trabordante. Lo ammetto, considerando le mie tette: desiderio di essere un po' più prosperosa, pur essendo vero che dei due chili che ho aggiunto al mio peso in questi ultimi due anni qualche grammo è andato anche nelle tette.
Mi alzo a scrutare il sole sorgere e pian piano illuminare la stanza. Rilucono sul divano i segni della mia voglia sfrenata e del lavoro delle mie dita con la mia figa bollente, impenitente, sempre pronta a dare una spinta alla voglia, sempre lesta a spingere il punto estremo un passo più in là.
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2022-11-28
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