Non so il suo nome.

di
genere
dominazione

Plinc Plinc.

Il ridicolo suono della notifica. Un brivido.
Non ci siamo mai visti. Non sappiamo i reciproci nomi.
Abbiamo iniziato a scambiarci messaggi in un gruppo, messaggi ammiccanti, ma non espliciti.
Poi siamo passati in privato. E i messaggi sono diventati subito molto diretti.
E quel suo essere diretto, quasi rude e sbrigativo a volte, mi è sempre piaciuto molto.
Non ci sono stati convenevoli. Non c’è mai stato posto per faccine, baci col cuore o senza cuore, né per la buonanotte e il buongiorno. Solo quasi ordini.
Ordini di lui, che è l’uomo. Che io eseguo con un brivido ogni volta.
Un brivido che mi scende dalla nuca lungo la spina dorsale e finisce là, sciogliendomi dentro in un mare caldo.
Aveva iniziato con un semplice “voglio vedere il tuo seno”. A cui io avevo obbedito, inviandogli una foto del mio minuto, ma aggraziato seno. Non avevo voluto, e non avrei nemmeno potuto, nascondere la turgidità dei miei piccoli capezzoli scuri. Che si erano induriti istantaneamente pensando che, dall’altra parte dello schermo, c’era un uomo che mi stava guardando e che, probabilmente, aveva voglia di toccare quei miei capezzoli, o magari leccarli e mordicchiarli piano. E poi forte.
Era esattamente così. Me l’aveva confermato lui stesso qualche secondo dopo aver visualizzato la foto. “Dio mio, cosa farei… vorrei stringerli tra due dita, sentirli pulsare tra i miei polpastrelli e poi iniziare a leccarli, sentendoli caldi e duri.”
Ho molte volte cercato di immaginare come potrebbe essere d’aspetto. Mi importa poco, in realtà. Sono sempre stata attratta per prima cosa da altre doti. Un uomo può conquistarmi, e farmi eccitare fin quasi all’orgasmo, soltanto usando le parole. Ma usandole bene. Mi piacciono gli uomini che hanno ironia e cultura, quelli che sanno prendere in giro una donna ed essere poi estremamente seri e arguti. Chissà perché, dal modo di scrivere o di parlare di un uomo, dipende l’immagine che mi faccio di lui.
Lui me lo immagino sulla cinquantina, qualche capello grigio, barba curata, ma di tre giorni. Sorriso devastante, voce calda e maschile. Chissà se è davvero così.
Ho visto in foto qualche parte del suo corpo, ma mai il viso, né sentito la sua voce. Ho visto le sue mani, forti, le sue spalle larghe, la pelle di quella tonalità calda che non si sa se dipende dalle origini o dal sole. Non ci sono addominali scolpiti, ma ci sono muscoli avvolti da uno strato morbido. Non so niente di più di questo. Ma so che tutto questo mi piace.
Il gioco si è poi fatto sempre più spinto. Un sottile gioco di dominazione a distanza che ci tiene tutti e due incollati al display del cellulare e del PC. Non solo a notte fonda, quando lui omaggia la mia femminilità con lunghi e intensi piaceri solitari, ma anche durante il giorno, inserendosi come una piccola scossa tra le attività della vita di tutti i giorni. Così, mentre sono seduta alla scrivania dello studio medico in cui lavoro, alle volte tutti i pazienti in attesa mi vedono arrossire. Poi mi alzo, vado alla toilette, o sul terrazzo, ed eseguo la richiesta che lui mi ha mandato. E torno poi con le gote leggermente arrossate e il dito un po’ umido alla scrivania, mi liscio leggermente la stoffa stropicciata della gonna lungo le cosce e poi mi siedo, riprendendo il lavoro come niente fosse. Senza che nessuno dei presenti possa immaginare che mi sono appena seduta sul lavandino del bagno a gambe divaricate, per inviargli un video in cui faccio uno spettacolo per lui. Funziona così. Lui ordina, e io devo eseguire.
Adesso ho il cellulare in mano. È arrivato il suo messaggio.
Non lo sentivo da una settimana. Anzi, precisamente sette giorni e nove ore. I suoi messaggi sono per me come ossigeno. Come gocce d’acqua da bere, senza cui non posso più vivere. Gocce che sento sulle labbra semi aperte, scivolare piano, che mi piace assaporare con la punta della lingua…
Ho paura a leggere. Se mi avesse scritto per dirmi addio? O peggio, se mi avesse scritto un messaggio annoiato e banale? Quei messaggi che ti fanno capire che le sue mani, nella sua mente, stanno già stringendo un’altra preda più gustosa di te.
Deglutisco forte. I battiti accelerano, come sempre quando sto per leggere qualcosa di lui, il mio corpo risponde a comando con un’agitazione mista ad eccitazione inevitabile. Un suo semplice “ciao” mi scuote in mezzo alle gambe e sulla punta dei seni.

Mi faccio coraggio, respiro forte e scorro col dito sullo schermo del telefono. Leggo il suo messaggio. “Stasera ci vediamo.”
Lui non chiede. Lui afferma e ordina. Pretende.
Le mie mani tremano, le mie ginocchia anche. Tant’è che devo sedermi. “Dove e quando.”
Visualizza subito, stranamente. E risponde immediatamente. Alle dieci. E invia un punto preciso di Google Maps. “Ci sono delle istruzioni da seguire” aggiunge. Ok, gli rispondo col cuore sempre più in gola. “Devi dirmi che macchina hai. Colore, modello, numero di targa. Arriverai, spegnerai il motore. Allora aspetterai un mio messaggio che ti dirà di uscire e come farlo.” Ma… “Non esiste nessun ma. Devi fare così. L’unica cosa che devi sapere, è che stasera sfogherò su di te tutto il desiderio che ho accumulato in questi mesi. Sarò un animale. E ti voglio animale. Docile e remissiva. Pronta a tutto. Zitta. Ma ti farò godere come mai nella tua vita.”
Sento uno schianto in fondo al petto, il diaframma che preme su stomaco e polmoni, mi manca l’aria. Stringo istintivamente le gambe, nell’incavo dell’inguine è tutto umido e caldo. L’idea di vederlo mi annienta. Ho perso la testa. Ho poche ore per prepararmi, per essere perfetta e bellissima per lui. Per non deluderlo. Per farlo godere come si merita dopo tutti questi mesi di attesa.
Mi faccio una bella doccia calda. Lascio scorrere l’acqua sulla pelle liscia e perfettamente depilata del mio corpo. Sono così turbata dall’idea dei vederlo, che faccio fatica a trattenere le mani che vorrebbero indugiare più del dovuto sul seno e fra le gambe. Sciacquo via la schiuma dal corpo, esco e mi avvolgo nell’accappatoio rosa.
Salgo le scale per raggiungere la camera da letto e mi fermo davanti al grande armadio.
Devo decidere cosa indossare. Non me l’ha detto. Non mi ha ordinato come essere perfetta per lui.
Le sue intenzioni sbrigative e animalesche mi fanno escludere pantaloni e capi di abbigliamento troppo complicati da slacciare. Passo in rassegna le grucce dove sono appese le mie gonne. Ne scelgo una, corta, a pieghette. Voglio che, appena scesa dall’auto, veda per prima cosa le mie lunghe gambe. Tacchi? Tacchi per forza. Dodici centimetri. Dodici centimetri che mi fanno ondeggiare quando cammino piano.
Cosa indossare sopra la gonnellina? Maglia a collo alto? Camicetta? Scelgo una camicetta leggera, facile da sbottonare, lascio aperti i primi tre bottoni in alto che lasciano intuire la leggera sagoma del mio seno.
Il dilemma. L’intimo.
Apro il cassetto e passo in rassegna tutte le mie “armi” migliori. Culotte, slip di pizzo, perizoma sottilissimo o… niente.
Voi che dite? Cosa dovrei scegliere?

Niente. Non indosserò niente. Perché niente, a quel punto, dovrà intromettersi tra il mio corpo e la sua voglia del mio corpo. Scenderò dall’auto e la sua mano incontrerà soltanto la stoffa leggera della gonna. E sotto la mia pelle, bollente.
Sono quasi pronta. Eyeliner nero e mascara, per far risaltare gli occhi, quando lo guarderò dal basso in alto.
Vorrei il rossetto rosso, ma preferisco di no. Non voglio lasciare tracce.
Tacchi, of course. Dodici centimetri, quei dodici centimetri che mi fanno camminare ondeggiando.
Sono pronta. Un ultimo sguardo davanti allo specchio dell’ingresso, borsetta, chiavi. E parto nella notte.
Arrivo nel punto indicato nel messaggio, il parcheggio nel piano seminterrato di un centro commerciale alla periferia della città. Seguo le istruzioni. Parcheggio e prendo il cellulare in mano.
Dopo qualche secondo arriva il suo messaggio. “Scendi dall’auto. Chiudi la portiera. Girati e appoggiati con le mani al finestrino, il viso rivolto all’auto. Non devi girarti. Mai. Non devi parlare.”
Eseguo gli ordini alla lettera. In giro non c’è nessuno. Solo io, la mia auto rossa e un’auto nera dietro di me.
Sento dei passi avvicinarsi da dietro. Il respiro aumenta. I passi sempre più vicino. Vicinissimi. Poi si fermano a pochi centimetri da me. Sento calore. Sento il suo calore. Il calore del suo corpo a tre millimetri dal mio. Trattengo a stento la voglia incontenibile di girarmi e guardarlo finalmente in faccia. Ma so che non posso farlo, o rovinerei tutto.
E poi accade. Sento il suo corpo aderire al mio. Su ogni centimetro della pelle. Sento il suo respiro caldo sul mio collo, appena sotto l’orecchio. Poi sento una mano scivolare lungo il mio corpo, risalire, e passare davanti, sotto il collo, sulla mascella. L’altra mano intanto procede in direzione opposta. Solleva la stoffa della gonna, la sento calda sul gluteo, la sento soffermarsi un attimo per saggiarne la consistenza. Poi scende e si infila in mezzo alle gambe. “Niente. Lo sapevo che saresti stata brava.” Il suo dito è dentro di me in un attimo. “E sei tutta bagnata. Sei proprio brava.”
Sono percorsa da brividi. Sento le sue mani su di me e dentro di me. Forti, intense. Il suo corpo premuto al mio. Vorrei parlare, ma non posso. Il suo dito è arrivato dritto al punto che mi fa godere. Come se avesse esattamente saputo. Sento la punta del medio premere internamente, stimolando quel punto che sta quasi per farmi esplodere in un orgasmo. “Oh mio dio…” mi scappa dalla bocca in un soffio trattenuto. Lui si ferma. Toglie il dito, la mano scende dalla mascella sul collo, mi stringe forte, in uno strattone: “Zitta, ho detto.” Lo sento armeggiare con l’altra mano. Non sapere cosa mi aspetta, non vedere il suo viso, il suo completo dominio di me mi fanno tremare le ginocchia, che quasi cedono. Porta il dito davanti al mio viso e mi ordina di leccarlo per bene. Lo faccio. Quando il suo dito è ben bagnato di saliva, lo sento scendere, in mezzo alle natiche. L’altra mano sempre fissa sul mio collo, in una stretta che non mi lascia quasi respirare. Sento allora il suo dito penetrare lentamente, ma decisamente, in quel forellino stretto. Lo sento fermarsi in fondo, muoversi, poi se ne aggiunge un altro. Riesco solo a gemere. Ogni volta che emetto un suono, la sua mano stringe il collo, per ricordarmi che devo tacere. Sono tre dita. E mi piace.
Il suo viso si accosta al mio, sento la sua pelle irruvidita dalla barba sulla mia. Il suo profumo di uomo e animale. “Adesso fai la brava.” Una mano mi afferra forte il fianco, l’altra sul collo. Il suo membro, duro ed eretto, entra in un solo affondo. E lì, con un urlo soffocato dalla stretta della sua mano, ho il mio primo orgasmo.
Ho quasi perso la testa. Non ragiono più. Basterebbe girare di poco la mia testa per poterlo vedere. Per poter vedere il viso dell’uomo che mi sta prendendo animalescamente da dietro. Faccio un impercettibile movimento e lui – chissà se se n’è accorto – stringe la presa del collo, e affonda ancora di più in me. “Non provarci. Fai la brava.”
I suoi ordini hanno un effetto esplosivo su di me. Mi eccitano ancora di più. Rivolgo di nuovo lo sguardo in avanti, la fronte sul finestrino e mi godo con un sussulto i suoi colpi successivi. Sono lenti, ritmati, e arrivano fino alla spina dorsale. A ogni colpo un mio gemito. Il prossimo orgasmo che già si sta caricando.
E lui lo sa. Ha quell’istinto che gli permette di capire cosa fare esattamente, come fare in ogni momento la cosa giusta. Le sue mani risalgono lungo la mia schiena, mi prendono i polsi e li sollevano sopra la mia testa, tenendoli stretti per un attimo. Poi le mani scendono sul davanti, e si fermano sui miei seni. Una mano per lato. E – oddio – inizia a stringere i miei capezzoli, già duri fino allo stremo, tra indice e pollice. Lentamente.
Il suo membro sempre perfettamente duro e potente dentro di me. Sento il piacere salire prepotente e inarrestabile, la sua bocca vicino al mio orecchio. “Adesso vieni, da brava. Vieni come sai fare tu. Urla.”
Il mio corpo esegue il suo ordine. L’intenso godimento anale si fonde con quello provocato dalle sue sapienti dita sui miei capezzoli. “Oh sì, brava, la mia troia, vieni adesso!” Il mio corpo è trapassato da una scossa che coinvolge tutte le membra. Urlo forte, fortissimo, senza pensare a qualcuno che ci possa sentire. Le mie urla lo eccitano, perché sento il suo cazzo irrigidirsi e gonfiarsi ancora di più e i suoi colpi che diventano forsennati.
Una sua mano si sposta sulla mia bocca. E preme forte, per soffocare le mie urla. Sento il ritmo aumentare sempre di più, e anche l’intensità. Affonda e si ferma in fondo per una frazione di secondo in cui mi sembra di sentirlo in gola, e poi riprende. Sempre più veloce. Lo sento ansimare, la sua mano ferma sulla mia bocca che mi impedisce di gridare il mio godimento ormai inarrestabile. Inarrestabile come il suo. Sento un fremito, lo sento fermarsi, il suo membro si gonfia per un attimo, e poi un ultimo colpo, lento e profondissimo. E un fiotto caldo dentro il mio corpo, che mi inonda le viscere. Lo sento ansimare, il suo corpo svuotato e caldo appoggiato al mio, la sua mano che molla leggermente la presa, le sue dita che si insinuano nella mia bocca, io che le lecco, per gustare il suo – e il mio – sapore.
Restiamo così per qualche istante che mi sembra lunghissimo. Il suo corpo caldo, il profumo della sua pelle, le sue mani. Poi esce da me, molla la presa e si risistema i pantaloni. Non appena riprende fiato, sento la sua mano sugli occhi. Mentre con una mano mi copre la vista, con l’altra mano mi afferra forte per il collo e mi fa girare. Mi prende la mascella, la stringe facendomi aprire la bocca. E poi sento la sua lingua, sulle mie labbra, e poi che scava nella mia bocca. Rispondo al suo bacio violento con la mia bocca e con i miei denti. Le nostre lingue si dicono molte più cose di quante ce ne siamo mai dette a parole.
Sento l’altra mano scendere, un dito dentro. Come prima nel punto giusto, senza sbagliare di un millimetro. Che mi regala un ultimo, straziante orgasmo.
“Risali in macchina. Non voltarti mai.”
di
scritto il
2022-02-11
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