Le ossessioni

di
genere
sadomaso

Sta per accadere, è solo questione di dettagli; quello che doveva essere fatto l’hai fatto, oramai è inutile recriminare.
Ti guardi nello specchio petite Bianca, e riconosci di essere stata ridicola, oltre che distratta. I passi lungo le scale non ti lasciano scampo: Benoît sta scendendo al piano di sotto dopo aver chiesto il consenso di tua madre; e ti troverà lì nel piccolo bagno, dove ti aveva ordinato di attenderlo.
Al principio non avevi capito nulla, non avevi compreso il motivo per cui ti avesse obbligata a recarti lì dentro, per rimanerci da sola, reclusa per un tempo quasi interminabile.
Avevi trascurato il fatto che vi era una ragione ben precisa; un gioco apparentemente stupido che si era tramutato in uno sbaglio grave: non era la prima volta che ciò accade petite Bianca.
C’è un momento in cui gli adulti riconoscono che una misura è satura: per te quel momento è arrivato; non ti sono bastati i quindici anni per evitarlo. E adesso verrai punita.
L’uomo di tua madre sta per farlo proprio in quest’istante, è solo questione di dettagli oramai. Tra poco ripenserai profondamente a ciò che hai fatto, stanne certa: lo farai con la vergogna di una ragazzina ridicola e distratta che si guarda nello specchio. È giunto il momento di piangere.

Primo episodio

Il primo fidanzato di Hélène si chiamava Bernard Lacasse, il suo cognome lei lo ricordava a malapena. Bernard è stato il primo fidanzato di Hélène, non certo il suo primo uomo: la verginità, infatti, sua sorella l’aveva già perduta per bene, oramai da ben due anni; per mano d’un cuoco romeno di nome Adrian, molto più grande di lei. Era accaduto durante il breve periodo trascorso da Hélène a studiare in Italia.
Lei era gelosa ma non voleva dirlo: Bernard era stato un suo odiato compagno al liceo, ed aveva incontrato sua sorella per puro caso, senza al principio notarla; era successo durante una festa. Era stato così strano per una ragazzotta di ventun anni, innamorarsi di un imbranato diciottenne, impacciato ed alle primissime armi: ma così erano andate le cose.
Sua sorella Hélène era grossa, molto più di lei che era semplicemente piccola e sgraziata; avevano entrambe uno strano fisico, leggermente a forma di pera. Le due erano cresciute vivendo assieme alla madre, una vivace professionista quarantaquattrenne da tempo separata; l’architetto Eric Pérez, di Bianca affezionato genitore, era stato costretto ad andarsene per aver abusato della loro cameriera non più di sette anni addietro. Quella loro casa aveva visto troppe cose tristi e penose accadere nel corso degli anni.
Adesso vi era entrato anche Bernard, quel giovane fidanzatino non propriamente innamorato di Hélène, ma semplicemente irretito dalla sua inaspettata e grassa generosità: lei lo aveva iniziato ai primi piaceri del sesso con qualche imbarazzo, insegnandogli dapprima il buon uso delle dita, per poi finalmente superare l’ostacolo con molta paura. Lo avevano fatto appena tre volte nel corso dei primi due mesi, ma non certo senza buona soddisfazione: alla ragazzotta era piaciuto moltissimo, affondare nella cantina delle biciclette mentre lui la tratteneva salda per i fianchi.
Benché egli fosse un ragazzino non troppo alto e piuttosto dinoccolato, era riuscito a domarla bene, con quel suo culone da elefantessa. Avevano profanato quella rimessa buia e polverosa, sporcandone la parete in modo sconcio.
Hélène lo avrebbe finalmente presentato a sua madre, in un frugale sabato di fine maggio; mentre si apprestava a farlo, sua sorella era gelosa da morire, la invidiava profondamente per il fatto di esserle davvero inferiore in tutto. Non appena vide il suo odiato compagno di classe entrare nella casa, ignorandola in maniera plateale fino quasi al punto di non salutarla, capì che avrebbe desiderato veramente di fargliela pagare. Sarebbe andata a finire molto male.

Secondo episodio

Era la prima volta che Hélène presentava un ragazzo a sua madre; la signora Dominique Houllier aveva continuato a sorvegliarla controllando tutte le sue mosse, dopo la fine precoce della sua esperienza di studio in Italia: non si fidava affatto di lei, sapeva che Hélène era distratta, a tratti persino imprudente e perennemente in balia delle persone.
Bernard Lacasse sembrava quasi un bambino rispetto a lei, appariva fin troppo giovane per poterne essere il fidanzato.
Si ritrovarono in piedi nella veranda, e l’atto della presentazione avvenne in modo formale e leggermente imbarazzato; la signora Dominique dovette richiamare Bianca ordinandole di scendere, mentre anche Benoît si unì loro, nel tentativo di far credere a Bernard che la loro fosse una vera famiglia, idilliaca e normale. Ovviamente non poteva immaginare ciò che Bianca avrebbe messo in scena nei loro confronti, di lì a poco.
Avvolta in un maglioncino di colore rosso, in tinta perfetta con la sua poltrona, infasciava le cosce sotto una morbida gonna di delicato verde rame, leggermente stretta ai lati. Perennemente sciatta e trascurata, Bianca quel giorno teneva i capelli neri legati in una specie di cipolla; al contrario di sua sorella che sedeva di fronte, esibendo un ampio sorriso dentro ad un’elegante camicia bianca di seta, con i suoi capelli altrettanto scuri, lisci e profumati. Bernard le teneva la mano, mentre la grassa domestica di nome Mabel, serviva loro il tè con i pasticcini.
L’album delle vecchie fotografie era uno dei motivi di svago più frequenti in quella casa: gli scatti terminavano intorno alla metà del decennio passato, quando Benoît era entrato in pista, unendosi alla madre. Hélène rivide le immagini dell’ultima sua festa di compleanno, quella delle proprie quattordici candeline, scattate proprio lì in quel luogo, nell’ampia veranda in cui si trovavano adesso a sedere.
A vedere quelle foto, Bianca prese la parola con un ghigno beffardo, provocandola in modo odioso: “Forse potresti raccontare a Bernard come è andata a finire, quella festa?”.
“Non credo che interessi a Bernard, sono passati quasi otto anni da allora” intervenne la signora Dominique, porgendo loro il vassoio con i pasticcini; Hélène si era già alquanto innervosita, il semplice ricordo di quella festa la faceva infatti sussultare e tremare.
“Non ci sono foto con mio padre quel giorno”, aggiunse Bianca con fare insistito; “era troppo impegnato a dartele”.
“Basta Bianca, taci!” ululò sua madre volgendosi verso di lei con fare rapido e assertivo, e quella ristette in silenzio. Poi per ammorbidire un poco la situazione, la signora Dominique si rivolse al giovane fidanzato di Hélène domandando: “Come vi siete incontrati con mia figlia? Lei andava già all’Università immagino…”. Bernard era un tipo di poche parole, e prendendo nuovamente la mano della ragazzotta che era seduta accanto, rispose: “È accaduto ad una festa… Bianca non stava bene ed Hélène è venuta a prenderla, eravamo in casa con alcuni compagni di classe”.
“Questo non lo sapevo” sottolineò la signora Dominique con aria estremamente piccata; nessuna delle due figliole evidentemente, le aveva detto la verità in quella circostanza. “Aveva forse bevuto troppo vino?” aggiunse Hélène senza guardare Bianca, ricambiando la sua iniziale provocazione.
“Forse eri tu ad essere ubriaca, altrimenti non si capirebbe come mai, dopo un’ora gli hai chiesto il contatto…”.
“Basta Bianca, se continui così …giuro che proprio tu, le prendi stasera” la interruppe bruscamente sua madre.
Bianca decise, tuttavia, di insistere nella sua protervia irritante e sfacciata: “Altrimenti non si spiega che cosa hai trovato in lui: pesa metà di te…”, sentenziò ridendo. La signora Dominique a quel punto si alzò spazientita.
“Puoi venire per favore di là? Bianca si sta comportando in modo strano…” furono le parole che la madre rivolse a Benoît, il quale si era quasi subito allontanato da loro, dopo aver portato nella veranda l’album con le fotografie.
Hélène adesso aveva preso nuovamente a sfogliarlo, raccontando aneddoti della loro infanzia che sua sorella nemmeno ricordava; descrisse con cura una scena, in cui da piccola Bianca s’era fatta la pipì completamente di sotto, mentre erano in vacanza presso un lago con la famiglia.
Sua sorella incassò lo scherzo solamente per un istante, per poi replicare di nuovo, lasciandoli stavolta completamente attoniti: “A Bernard piace vedere le ragazze pisciare… puoi pisciargli addosso come ho fatto io”.
“Ma che idiozie vai dicendo?” intervenne il suo compagno di liceo in modo scomposto: per quasi tutto il tempo egli era rimasto in garbato silenzio ad ascoltarle; ma adesso anche lui reagiva malamente alla battuta, fissando Bianca con sguardo visibilmente adirato.
“A scuola tutti voi maschi volevate vederci pisciare, ci spiavate nel bagno… ed allora io una volta mi sono girata…”.
“Ah mon dieu, era due anni fa ed io ero un vero imbecille” arrossì Bernard, colto in flagrante e senza alcun alibi; Hélène a sua volta lo fissò meravigliata, mentre Benoît s’era posto silenziosamente nell’ingresso ad ascoltarli.
“Uno alla volta entravano nel bagno vero?”, riprese la sorella senza contenersi, “…e poi dalla serratura guardavano dentro… era così evidente; c’era poi anche chi, come te, s’infilava la mano lì dentro …nei pantaloni, sporcaccione”.
“Basta Bianca, non insistere” le intimò il suo compagno di liceo. “Quella volta mi sono girata di spalle e poi t’ho aperto la porta in faccia… ti ho schizzato tutto, è stato buffo quando sei tornato in classe …nessuno capiva come mai, tu fossi così pallido”. Benoît ascoltava il racconto incredulo, mentre la sua figliastra continuava a ridere, in modo esagerato e beffardo.
“Le hai visto la cosina allora?” domandò Hélène leggermente infastidita verso Bernard; era forse la prima volta da quando s’erano conosciuti, che quegli le dava una qualsivoglia ragione, per poterlo redarguire in modo serio e motivato.
“Era troppo piccola, non ho intravisto nulla lo giuro”.
“Tu eri troppo piccolo… non si notava niente nei pantaloni” replicò Bianca disponendosi le mani sugli occhi, come a voler scimmiottare il gesto di un binocolo.
“Zitta stupida!”.
“Devi fare qualcosa per lei… devi fermarla, non si controlla… la senti, cosa va dicendo?” sussurrò la signora Dominique nell’orecchio del suo compagno, con aria trafelata e preoccupata. Li aveva ascoltati anche lei, mentre era in piedi nel corridoio. “Intendi qui …proprio davanti a tutti loro?” rispose lui a bassissima voce, alludendo chiaramente ad una possibile paternale alla figliastra, in modo pubblico.
“Falli uscire, mandali di là nel salone…”.

Le risate idiote di Bianca furono interrotte bruscamente dall’ingresso nella veranda di Benoît: “Credo proprio che sia il caso di smetterla adesso… Hélène e Bernard, vi spiacerebbe lasciarci un attimo da soli?”; un’aria scura scese repentinamente su tutti loro, si capiva benissimo come quel gioco avesse tracimato oltre il limite di ogni ragionevolezza. La signora Dominique attese che i due fidanzatini uscissero dalla veranda spostandosi nel salone, prima di serrare la porta in vetro satinato alle proprie spalle con una mossa secca e decisa. C’erano tantissimi ceffoni, nell’aria, per la sua scelleratissima figliola sempre in cerca di guai.
Hélène si calò stancamente nel divano del salone assieme al suo Bernard, senza parlare; il ricordo della festa di compleanno, quella delle sue quattordici candeline e della mano forte del signor Eric, diveniva per lei in quell’istante, un pensiero vivido e reale: in quel preciso luogo e su quello stesso divano, si era consumata infatti, la sua ingloriosa fine.

Terzo episodio

“Si può sapere cosa diavolo ti è successo oggi?”.
Le urla della madre si comprendevano a malapena, dal salone in cui i due fidanzatini sedevano sul divano imbarazzati; Hélène non aveva ancora superato il primo istante di grandissimo stupore e taceva fissando il vuoto, infastidita dalle rivelazioni della sorella.
Bianca parlava ad alta voce di là nella veranda, non sembrava per nulla intimidita dal fatto che sua madre e Benoît, avevano deciso di trattenerla lì da sola; Hélène poteva udire quel lungo sproloquio e riconoscervi svariate volte, a stento il proprio nome, pronunciato sempre con protervia e rabbia.
“Cosa le faranno?” le domandò Bernard senza girare gli occhi; “Adesso lo vedi” rispose la ragazzotta col capo chino.
La nenia di Bianca veniva ora più spesso interrotta dalla madre, in un alterco sempre più serrato e rabbioso; ad un certo punto si udì la signora Dominique alzare la voce di nuovo, scandendo le parole fino a concludere la propria frase con un plateale e sonoro “stupida”.
Per qualche strana ragione Bianca parve tacitarsi, mentre all’improvviso si prese a udire la voce profondissima di Benoît, con poche e brevi sillabe, ben ponderate e decise. Poi tutto tacque per un istante ed i due fidanzatini si guardarono in volto, visibilmente ansiosi e leggermente preoccupati.

Una buona punizione deve avvenire subito, nell’immediata sequela del comportamento errato, e nel suo luogo, per poter essere utile

Si udì finalmente dalla veranda, il suono fragoroso di uno sculaccione, seguito da un timido vagito di bambina.
Si udì nuovamente la voce di Benoît, per un solo istante; e di nuovo lo stesso identico schiocco, ancor più forte e preciso.
Poi presero a susseguirsi tantissimi botti sordi, rovesciati da Benoît senza alcuna sosta, sul retro della gonna della ragazzina, costretta sulla poltrona in posizione girata.
La madre era in piedi di lato e la redarguiva di continuo, mentre Benoît la tratteneva per i fianchi. Gli scapaccioni si alternavano alla voce secca e stridula della signora Houllier.

Sta succendendo proprio come era successo a te Hélène: le stanno facendo il sederone tutto rosso come un melone, per castigo

Il melone rosso caldo era la poco simpatica locuzione, adoperata spesso dal precedente uomo di sua madre, quando intendeva minacciarla o anche semplicemente redarguirla; l’aveva adoperata con lei svariate volte.
Hélène stringeva le mani e vibrava penosamente ad ogni schiocco che udiva provenire dalla veranda: era emozionata in modo del tutto vergognoso ed inopinato; ad un certo punto, in preda ad una strana ed assurda forma di trasporto, afferrò la mano di Bernard; e se la trascinò sulla gonna, precisamente sopra il grembo tutto morbido e rotondo.
Nel frattempo, Bianca aveva preso a mugolare e a piangere in modo insistito e penoso; i due fidanzatini non potevano immaginare, come gli schiocchi più fragorosi dipendessero dal semplice fatto, che Benoît le avesse adesso inaspettatamente sollevata tutta la gonna. Scoprendo un piccolo paio di ridicole mutandine, di colore viola; era stato a quel punto costretto ad abbassarle, lasciandole sospese in mezzo all’inguine, dal momento che erano completamente larghe e sbracate: del tutto scomode per poterla battere.
La mano di Bernard si era infilata in mezzo alle cosce di Hélène, rivelando come lei fosse bagnata di sotto, al punto da poterne avvertirne l’umore al semplice tatto. La ragazzotta spinse le dita di lui in modo affannato e vergognoso, facendo in modo che egli la costringesse con tutto il tessuto fino a schiuderle persino la vagina nascosta dentro lo slip.
Dalla veranda proveniva oramai, solamente una sequenza ininterrotta di tonfi, inferti con impietosa regolarità sui glutei pallidi e del tutto indifesi di Bianca; il pianto si arrestava solamente quando la mano di Benoît la faceva schioccare più forte, per poi riprendere dopo il suo vagito, come una litania senza sosta. La madre contemplava la punizione soddisfatta.
Hélène trascinò Bernard nel piccolo bagno, mentre dalla veranda i colpi proseguivano ininterrotti; si chiuse la porta alle spalle, stava letteralmente impazzendo.
Adesso le botte erano veramente arrivate al culmine, Hélène immaginava Bianca, e rivedeva sé stessa otto anni addietro.
Si piegò in avanti facendo in modo che anche Bernard la liberasse, scoprendole la vagina in modo rapido e scomposto; poi lo spinse a penetrarla con due dita, e quegli la assecondò incredulo e leggermente trafelato. Uno spruzzo improvviso di liquido bianco lo indusse ad allontanare la mano dal sedere di lei, gonfio e tremolante. Non capiva cosa mai fosse successo, ma la sciagurata Hélène aveva appena goduto, in modo sommesso ed insano, senza voler riconoscere nemmeno a sé stessa la triste e semplice ragione.
Nel frattempo, la porta a vetri della veranda era stata nuovamente aperta ed il frastuono delle botte si era del tutto spento; la signora Houllier e Benoît erano adesso in piedi con le braccia conserte attorno alla povera ragazzina punita.
Invitarono i due fidanzatini ad entrare, proprio mentre quelli riprendevano posto sul loro divano, lievemente scapigliati e completamente impacciati; Hélène era scossa ed emozionata mentre Bernard adesso la fissava in volto con un misto di complicità e di sottile compassione. Non gli era piaciuto affatto, venire a conoscenza delle sue inesorabili ossessioni.
Contemplarono la petite Bianca ridotta nella stessa posizione del castigo, con il sedere tutto di fuori, e ne rimasero tristemente sorpresi e meravigliati. Disposta così come i due adulti l’avevano costretta, prima di punirla: in ginocchio di spalle sulla poltrona, ella sospirava umiliata. Aveva ancora la gonna tutta sollevata e le mutandine completamente scese; il povero sedere mollo, tutto ricoperto di un alone rossastro, le bruciava in modo insopportabile e visibilmente doloroso.
Era stata finalmente messa a tacere.

Quarto episodio

Bernard possedeva due biciclette di cui una apparteneva al padre; le aveva riposte in una specie di rimessa sotto il cortile del proprio palazzo, assieme a tante altre.
Era il ventidue di maggio, una domenica piena di sole, ed Hélène era passata a prenderlo a casa col tram. Aveva appena conosciuto suo padre, senza venirgli tuttavia ufficialmente introdotta; e come spesso accade alle ragazzotte giovani come lei, l’era venuta improvvisamente tanta voglia di farlo, in quel luogo ed in quel preciso istante; per il semplice gusto insano di poter trasgredire in una situazione del tutto inopinata, in presenza di un adulto. Le sarebbe rimasta dentro per tutto il tempo, fino all’epilogo.
Con il solerte aiuto del padre, Bernard prese le due biciclette, risalendo la rampa della rimessa, con Hélène che adesso li seguiva tutta quanta accaldata; poi i due fidanzatini furono finalmente lasciati da soli, nel piazzale antistante il giardino: Bernard dovette aiutare la sua ragazza a montare sulla propria bicicletta, mentre lui avrebbe al contempo montato quella più grande ed elegante, appartenente a suo padre.
Hélène aveva seguito il suo consiglio, ed indossava quel pomeriggio una più comoda tuta di color celeste, al posto della sua solita gonna; lui la sostenne lungo i fianchi mentre ella si disponeva bene, e si ritrovò dinanzi tutto quel didietro enorme e sproporzionato, mentre Hélène si piegava di lato, per potersi finalmente accomodare sul sellino della bici.
Le piaceva il sederone della sua ragazza, benché fosse davvero tutto grosso e deforme; lo fissava da dietro, mentre ella in bicicletta lo precedeva, con le gambe leggermente larghe e le scarpe da ginnastica che sfioravano l’erba del giardino. Hélène schiamazzava tutto il tempo, felice come una bambinona mai cresciuta, proprio mentre lui la seguiva, fissandole ossessivamente quel sederone rotondo.
Una strana voluttà stava prendendo possesso del suo lui, mentre egli la guardava in quel punto: era una voglia latente e perversa, quella di poterle stringere quel culo e trattenerlo nelle sue mani, per poterlo successivamente gonfiare come un pallone, infilandolo come una pompa della bicicletta. Era forse la prima volta che Bernard provava un simile impulso.
“Non mi dici niente…?” si volse Hélène ridendo, con i capelli neri che le ricoprivano quasi del tutto gli occhi, rivelando un sorriso soave e leggero. Bernard la baciò con un cenno della mano riprendendo poi subito ad inseguirla con la bicicletta.
La ragazzotta non aveva idea di come quegli la andasse fissando; così involontariamente assunse una posizione ancor più inarcata, lasciando intuire il semplice fatto di indossare sotto la tuta, una succinta mutandina assai sottile; si poteva scorgere il segno in cima, il filo teso che la stringeva giù dai fianchi infilandosi gentilmente nel mezzo.
“Vedi se mi prendi…” gli disse sorridendo, mentre inarcandosi ancor di più, ella prendeva il largo con la sua bici. Bernard decise proprio in quell’istante, che avrebbe voluto dare respiro ai suoi pensieri più sordidi nei confronti di lei, ignara. Aumentò il passo e dopo pochi istanti la raggiunse senza alcuna fatica.
Lei volle insistere nel proprio gioco, e riprese a pedalare provocandolo: “Sei troppo lento oggi, non riuscirai a prendermi…”.
Insisteva nel proprio gioco, senza rendersi conto dell’effetto che gli andava causando: Bernard sentiva adesso il pene crescergli in modo informe e leggermente innaturale. Per qualche strana ragione, anch’egli decise di replicare provocandola in un modo altrettanto scherzoso, urlandole alle spalle: “Tu intanto scappa… che non appena ti raggiungo, sono sculaccioni”.
Hélène adesso correva trattenendo il fiato, aveva smesso persino di pensare. Bernard non sapeva ancora nulla di lei e dei suoi trascorsi, ma l’aveva saputa provocare nella maniera che lei non avrebbe nemmeno potuto lontanamente immaginare. Non si era nemmeno resa conto, di quanto tempo era già passato, il sole caldo era ancora alto nel cielo e lui adesso l’affiancava, scortandola in modo gentile.
Discesero la rampa che portava giù verso la rimessa, con Hélène che era completamente sudata; Bernard la precedeva dentro quel luogo pieno di penombra, dove si intravedeva unicamente la luce proveniente da alcune piccole finestre, aperte in cima all’altezza del livello della strada.
Un leggero alone di timidezza lo tratteneva ancora, mentre egli infilava l’elegante bicicletta del padre con la ruota dentro alla propria rastrelliera; Hélène nel frattempo non parlava, aveva il cuore che le batteva forte nel petto, mentre attendeva il proprio turno, in piedi con il manubrio della bicicletta che ella aveva montato, ben saldo tra le mani.
Sono sculaccioni.
Bernard non aveva chiaramente modo di dare seguito a quella ridicola minaccia nei confronti di lei; la ragazzotta intanto taceva con il ventre che le tremava.
I loro occhi si incrociarono inevitabilmente, mentre adesso entrambi tenevano le mani sul manubrio della sua bici; quest’ultima cadde in terra scivolando rovinosamente di lato, proprio mentre Bernard improvvidamente si girava per allungare le mani verso i suoi seni, sorprendendola.
“Cosa mi fai …sei …sei impazzito…” sussurrò Hélène senza rendersi conto dell’inutile senso delle proprie parole. “Non lo vuoi anche tu? È tutto il tempo oggi che mi mostri il sedere …e adesso non lo vuoi?”.
Non l’aveva mai approcciata in quel modo fino ad allora, e la ragazzotta non riuscì pertanto a trattenere un lieve cenno di paura, mentre lui fissandola negli occhi le infilava una mano dentro l’elastico della tuta; le aveva già afferrato uno dei due glutei di sotto, freddi e rigonfi, e lo stringeva.
Con l’altra mano la uncinò in mezzo alle cosce sul davanti, ed Hélène a quel punto fu quasi costretta a piegarsi, facendo in modo che Bernard potesse agevolmente farla ruotare muovendole i fianchi. L’aveva già praticamente soggiogata.
“È tutto il tempo oggi…” ripeté deciso. “Oooo…”.
La tuta le fu scesa in meno di un secondo, lasciandola incredula ed esposta contro la parete, nella penombra di quel polveroso e squallido ripostiglio; lo slippino bianco s’intravedeva a malapena, in mezzo ai due glutei enormi di lei, pallidi e ridicolmente scoperti in modo sconcio.
Bernard fece cenno di volerla denudare, ed Hélène a quel punto sentì tutto il mondo crollarle addosso; senza voltarsi mosse la mano, fino a raggiungere a tentoni i pantaloni di lui, avvertendo l’inequivocabile massa del pene eretto, nel mezzo. Era già alquanto duro e la ragazzotta se ne accorse.
Sono sculaccioni.
Con il sedere bianco completamente liberato e scoperto, udì il rumore della cintura del suo ragazzo aprirsi alle proprie spalle. Poi ristette con il cuore in gola, aveva il fiato sospeso e tremava sulle gambe, nell’attesa di venire posseduta da lui.
Bernard andava masturbandosi mentre la guardava; il pene del ragazzo era improvvisamente diventato una proboscide tornita e ricurva nella sua mano, che veloce lo maneggiava.
Finalmente si mosse di sotto piegando lievemente le ginocchia, dietro i glutei di Hélène; era stato piuttosto complicato prenderla le prime volte, ma quel giorno ella appariva assai disposta ad ospitarlo, in modo ben più caldo ed accogliente rispetto al solito: il pene di Bernard s’infilzò così dal basso come una candela, ascendendo dietro la forma del sedere, violandola attraverso la fenditura bagnata e tremolante della vagina completamente aperta.
Sono sculaccioni.
Hélène adesso allungava le mani, appoggiandosi alla parete sporca ed inarcandosi, mentre lui finalmente la domava, gestendo il movimento del pene in modo rapido e preciso; aveva finalmente imparato a prender bene una donna.
Con le mani le reggeva entrambi i fianchi larghi e rigonfi, ricolmi di morbida cellulite fradicia, mentre con grande fierezza egli continuava ad infilarla, sentendola scivolare lentamente a suon di colpi secchi e decisi.
“Più forte …più …fooo” mugolava lei, mentre intanto colava giù un liquido denso ed umido. Bernard continuava come un ossesso, sembrava davvero incontenibile quel giorno.
“Ti piace vero?” biascicava lui alle sue spalle, mentre Hélène era oramai piegata con la schiena in giù, e muoveva il capo vicino alla parete, ululando come una cagna in calore. “Mi piace il tuo culo …Hélène” la ricambiò Bernard, oramai in preda alle convulsioni incontenibili del piacere; “…lo voglio solo per me, promettimi che sarà mio per tutta la vita”.
I glutei della ragazzotta oscillavano penosamente nelle sue mani, sempre più umidi e bagnati a causa del sudore di lei. Il ricordo del primo orgasmo le sovvenne all’improvviso, per via di quell’umore incontenibile che la travolgeva in tutto quanto il corpo, mentre spalancando la bocca Hélène sprofondava lentamente, in modo doloroso e inesorabile.
Bernard la vide letteralmente vibrare sui piedi, e decise allora di infierire sbattendola, finché lei non si arrestò del tutto, aprendo il palmo delle mani contro la parete. Solo a quel punto, egli estrasse il pene dritto, che era rosso come un budello e tutto rigonfio di vene pulsanti: quel glande rotondo e bagnato era pronto per esplodere come un cannone.
Si avvicinò alla parete di fronte, mentre la ragazzotta lentamente aveva alzato il capo, disposta in maniera goffa di lato, con il sederone bianco tremolante, tutto di fuori.
Hélène lo guardava di nascosto, mentre Bernard stringeva i denti. Rimase inarcata così, con il sedere rivolto verso di lui, mentre con indecenza il suo ragazzo eiaculava copiosamente contro il muro sporco. Per un minuto intero lo vide schizzare senza contenersi, in modo esagerato e nervoso; finché, con fare alquanto sbrigativo, egli non le intimò di ricoprirsi.
Aveva goduto come un animale fottendola nella cantina delle biciclette: nessuno dei due a partire da quel momento, lo avrebbe mai più dimenticato.

Quinto episodio

Hélène si fissava nello specchio con i capelli lisci e scuri ben pettinati.
Guardò la propria mano e vide il piccolo anello che Bernard le aveva appena regalato; non doveva essere un oggetto di grande valore, ma le piaceva il fatto di tenerlo addosso: la faceva sentire adulta e matura, come una donna.
Hélène aveva ventun anni e mezzo, un’età in cui una ragazzina si illude di avere già imparato tutto. Sua madre aveva notato l’anello ed aveva iniziato a stordirla con le sue paturnie: provando a capire da lei, se ella avesse già per caso compiuto il fatto irreparabile. La timida figliola le aveva lasciato intendere di no, ma era del tutto evidente come andasse mentendo. Lo avevano già fatto ben due volte.
In quel periodo Hélène frequentava la facoltà di Letteratura a Liegi; dopo il fallimento della sua precedente esperienza di studio in Italia, aveva finalmente trovato la sua vocazione, ed anelava adesso a poter divenire una scrittrice. Da bambina aveva sognato di diventare una ballerina, una cantante, poi una pittrice, ed infine persino un’affermata avvocatessa; forse solamente questa volta, la direzione che la ragazzotta aveva intrapreso, sembrava essere quella giusta.
Hélène si fissava nello specchio, mentre sua madre di lato la catechizzava: aveva due piccoli occhietti neri ed una voce piuttosto anonima, con la quale ella replicava sempre in modo sommesso, con poche e superficiali parole di circostanza; il resto lo faceva il suo corpo burroso e rotondo, di cui la ragazzotta ancor oggi si vergognava.
Quel corpo era già stato abbondantemente usato e violato, durante il breve periodo trascorso dalla sciagurata Hélène in Italia; in modo vario e da certi personaggi tutt’altro che garbati o ineccepibili; sarebbe rimasto per molti anni, alla stregua di un suo vergognosissimo ed inconfessabile segreto.
Adesso era arrivato per lei, il tempo dell’amore; il suo Bernard le aveva anche scritto una breve dedica, recapitata assieme all’anello, in cui la lodava per averlo iniziato al sesso; lo faceva con parole semplici e non del tutto discrete.

Per la mia ragazza dei sogni,
Sei tu che mi hai cercato, sono io che to ho colta. Ho trovato dentro di te il piacere, il caldo di una stanza col camino, l’umido di una cantina, in mezzo alle tue gambe. E adesso che ti ho presa, sei mia.
Grazie per esserti offerta col tuo corpo, adesso sarai mia per sempre. Con tanta voglia e passione, in questo istante ti penso e godo

Come ogni ragazzo, Bernard si masturbava spesso.
Lo faceva anche più volte al giorno, ma alla sua ragazza egli l’aveva ripetutamente negato. A lei invece, non dispiaceva affatto di poterlo masturbare, anche se neppure la scellerata Hélène lo avrebbe mai confessato, per decenza e pudore.
Le piaceva vederlo crescere nella sua mano, poi lentamente gonfiarsi, ed infine, inesorabilmente esplodere; non amava troppo l’odore dello sperma, ma le piaceva vederlo schizzare tutto quanto di fuori, a fiotti. Si sentiva spesso come una sgualdrina mentre lo faceva, ma la eccitava tantissimo vederlo impazzire a causa sua; avevano fatto sesso solamente in due casi, ma in compenso lei lo aveva già masturbato per una decina di volte, in svariate situazioni e circostanze del tutto impreviste; tra cui anche il bagno pubblico di un Café.
Hélène era più grande di lui, e le sue amiche la prendevano in giro per questo. Era stata la sua nave scuola, lo aveva iniziato lentamente al piacere, in modo decisamente sconcio oltre che goffo, e di questo un poco ella si vergognava.
Sua madre la interrogava davanti allo specchio e si domandava per quanto tempo ancora, Hélène e Bernard sarebbero rimasti insieme; non immaginava nemmeno, che quella loro ridicola storia avrebbe a malapena resistito per una sola estate: sarebbe stata infranta subito per mano di un’altra ragazzina molto più bella ed intelligente di lei.
Una bambolina fiamminga di nome Karin, giovanissima e dai lineamenti deliziosi, l’avrebbe agevolmente spodestata e ridicolizzata; allontanandola dal suo Bernard senza che quegli fosse riuscito a cogliere fino in fondo, il significato delle sue inesorabili, vergognosissime ossessioni.

Sesto episodio

“Devi solamente guardarmi e stare calmo” sussurrò Hélène mentre lentamente ella si sbottonava il collo della camicetta.
Faceva freddo e fuori pioveva da ore, in quell’oramai lontano sabato di fine inverno. Il suo ragazzo era stato decisamente inelegante e frettoloso con lei, pochi istanti dopo che essi avevano varcato, trafelati la soglia di quella casa: trovandola completamente vuota e silenziosa, così come previsto; l’aveva smanacciata in modo irruento e goffo, provando a sollevarle persino la gonna, ed aprendosi subito la cintura dei pantaloni senza che tantomeno lei glielo chiedesse. Le aveva intravisto tutte le mutande sotto alle calze lucide e trasparenti; come agevolmente avrebbe potuto intuire dalle sue forme, notò senza esitazione come la sua ragazza, possedesse un sederone bello grosso: un gran bel culotto pieno di cellulite, tutto chiuso impacchettato di sotto.
Fu proprio quella l’espressione non troppo garbata, che egli adoperò per esprimere il proprio stupore, ed in un certo senso, un timido apprezzamento: “…hai un gran bel culotto”.
Era da quasi due anni che Hélène non veniva approcciata; l’ultima volta che ciò era accaduto, ella si trovava ancora in Italia: era stata una circostanza tutta quanta da dimenticare.
Sotto la camicetta ella indossava una canottierina nera al posto del reggiseno; la gonna beige era corta e stretta come quella di una hostess. Si mossero nei pressi della camera da letto, trascinati dal puro istinto, senza mai guardarsi in volto.
La ragazzotta lo seguiva; ma quando fu giunta nei pressi del letto, vi montò docilmente sopra senza aspettarlo; era un invito fin troppo esplicito a rompere l’argine della paura.
Bernard non sapeva come aprirle la cerniera della gonna; decise una volta ancora, di provare a sollevarla, scoprendole interamente le calze trasparenti, completamente strette intorno al sedere di lei; la larga mutandina scura lasciava la parte bassa dei glutei lievemente libera e scoperta.
Hélène si volse di scatto, aveva ancora le scarpette nere addosso e si sentiva imbalsamata nella morsa delle sue calze; si sedette sul letto frettolosamente, invitando il suo ragazzo a sfilarsi di dosso la canottiera: capì in quell’istante, che anche egli alla pari di lei, si vergognava del proprio corpo.
Liberata dalle proprie scarpette nere, Hélène s’era nel frattempo sfilata via le calze, rimanendo seduta sul letto con i capelli spettinati. Aprì la cerniera della gonna, e se la fece lentamente scivolare tutta quanta attorno ai fianchi larghi, sorridendogli in modo lievemente imbarazzato.
Bernard le montò sopra piegandosi in ginocchio, a pochi centimetri da lei, e finalmente Hélène gli mise una mano dentro allo slip, sentendo il pene che era completamente chiuso e molle; non aveva alcun pudore nel farlo.
Lo estrasse vedendolo penzolare, e poi prese lentamente a carezzarlo, nel tentativo di eccitarlo e di vincere la sua timidezza; Bernard le aveva al contempo liberato i morbidi seni bianchi, abbassandole le spalline, per poi stringerli nervosamente tra le proprie mani, senza alcuna grazia.
“Cosa ti prende… non ti piace tanto” biascicò languidamente lei, mentre inutilmente ella lo carezzava con la mano.
Non c’era verso di gonfiarlo, la grossa mutanda di Hélène era presto tornata al suo posto, nascondendo nuovamente il monte di Venere che ella aveva assai generosamente esposto: fu così che dopo poco più di venti minuti, la ragazzotta si ritrovò seduta sul bordo del letto, triste e delusa. Bernard le contemplava la schiena piegata, tacendo con i pugni chiusi, serrati dalla rabbia; sentiva che non era ancora finita.

“Tirati di nuovo giù le mutande, voglio vederti ancora”.
Hélène obbedì per l’ultima volta, inarcandosi in silenzio e liberando così, il proprio sederone gigantesco, bianco come il latte e completamente nudo; poi si risedette sui propri glutei senza fiatare, attendendo che quegli la fissasse di nuovo.

“Come si chiama il ragazzo della festa? è stato gentile…”

Il pene di Bernard era piccolo, ma questa volta ben saldo nella mano di lui che lo stringeva; Hélène non capiva più, se fosse opportuno o meno farlo, ma poi lo vide e realizzò che avrebbe dovuto sottostare nuovamente alla prova. Lentamente salì carponi sulle proprie ginocchia, e gattonando sul letto con tutto il corpo goffo e tremolante, lo sovrastò completamente; fino a sentirlo in basso, ben presente in mezzo alle cosce leggermente schiuse.
Lo afferrò, facendo in modo di subentrare alla mano di Bernard; era caldo e bagnato mentre ella lo stringeva.

“Sono in tanti col suo stesso cognome, mi aiuti a trovarlo?”

Hélène si sedette sopra, e finalmente sentì il glande rotondo che la schiudeva, lentamente ma in modo deciso; mosse la mano sulla vagina, sfiorando il cosino bagnato e sentendo che veniva trascinata con forza, tirata in fondo al burrone; così mosse i fianchi per piegarsi meglio, e accompagnare la sua caduta, con tutta quanta la mole del proprio corpo. Un oggetto così piccolo la teneva sotto giogo completamente, una ragazza di quasi sessanta chili puntellata e destinata a venire abusata e penetrata da un ragazzino; quegli le strinse i glutei con le mani, sollevandoglieli sconciamente assieme alla canottierina tutto attorno ai fianchi, fino a cingerle completamente la vita morbida e completamente rigonfia. La ragazzotta, infilata gli stava seduta sopra, era finalmente sua.

“Pensi che si meraviglierà se gli chiedo l’amicizia?”

Aveva capito subito che Hélène ci stava, e che aveva tanta voglia di farlo; finalmente ella gli stava seduta sopra, come una grossa elefantessa con il suo sederone, godendo in modo discreto con la bocca socchiusa ed i capelli sudati.
Le liberò i seni abbassandole nuovamente le spalline, vedendoli rimbalzare completamente di fuori; le strinse i capezzoli rotondi facendola nuovamente sussultare.

“Mi ha risposto …mi ha detto che anche io gli sono simpatica”

La ragazzotta si mosse per liberarlo un istante prima di sprofondare, per la paura di combinare un grande pasticcio; gli disse che l’avrebbe fatto venire in bagno se solamente lui l’avesse voluto. Ma egli noncurante, in quel preciso istante prese ad esplodere tutto di fuori, godendo con tutti i denti spalancati, bagnando i seni morbidi e bianchi di lei; la inondò in maniera oltraggiosa di sperma, e non osò nemmeno baciarla, per come le aveva ridotto il collo e il viso.
Le strinse nuovamente i glutei con vigore e soddisfazione, sorridendole con complicità, e dicendole che era stata brava.

“Forse domani andremo a casa sua dopo il cinema”

Il pene di Bernard era piccolo e del tutto sgonfio, ma Hélène lo afferrò nuovamente avvicinandone l’estremità alla propria vagina, ancora dilatata ed umida; poi prese lentamente a toccarsi con due dita, torturandosi il clitoride; lui la incitava carezzandole i seni, finché la ragazzotta non sprofondò completamente dinanzi ai suoi occhi, scuotendo tutto il corpo bagnato e molle, ed ansimando in modo prolungato e penoso. Troppo tempo era trascorso, dall’ultima sua volta, ed in quell’istante ella si sentì improvvisamente liberata.

Settimo episodio

Ecco quello che stava per accaderle.
Bianca si sentì trasportata indietro, non capiva perché era finita così anche stavolta, ma era scellerata ed ingenua.
Il battesimo del cuginetto si sarebbe svolto in una lontana chiesa alla periferia di Liegi.
Si erano preparate in fretta per andare a comperare alcuni fiori, che avrebbero portato in omaggio alla madre del bambino. Era la sorella più giovane di Benoît, una donna di nome Claire, con cui le due sorelline Houllier, s’erano spesso intrattenute durante le ripetute ricorrenze famigliari.
Bianca era lievemente ingrassata in quel periodo, ed aveva i capelli tinti di un biondo castano piuttosto insignificante; il completino bianco cenere, che sua madre le aveva comperato per la cerimonia, le andava già visibilmente stretto; era un elegante vestito intero completamente sprovvisto di cerniera, sopra il quale ella avrebbe indossato una giacchetta con le spalline rinforzate, precisamente del medesimo colore.
Hélène l’accompagnava fasciata in un elegante tailleur blu, di quelli che ella aveva adoperato spesso durante gli esami all’Università, ed imbracciava una borsetta di pelle scura.
Mancava meno di un’ora all’inizio della cerimonia, e la signora Houllier aveva già iniziato ad agitarsi, per il loro inatteso e prolungato ritardo; Benoît, nel frattempo, andava cercando le chiavi della rimessa, che erano insolitamente sparite dal loro cassetto, nel piccolo mobile a mezzaluna dell’ingresso.
“Si può sapere dove diavolo siete finite tutte e due? Mancano solo cinquanta minuti e voi …a passeggiare?” le redarguì urlando mentre entrambe varcavano la soglia di casa schiamazzando come due oche; Hélène tratteneva tra le braccia un bellissimo mazzo di fiori e rideva, mentre la madre muovendosi alle sue spalle, le mollò un leggero scapaccione facendola subito tacere ed incupire.
Ma il vero pasticcio doveva ancora materializzarsi; Benoît si aggirava in tutti gli angoli della casa cercando le sue chiavi, rovistando nervosamente in tutti i cassetti e nelle tasche dei propri vestiti, fino anche all’armadio della camera da letto.
La sorellina più piccola sulle prime non capiva, che cosa l’uomo di sua madre andasse cercando in maniera così doviziosa ed insistita; passarono diversi minuti prima che lei iniziasse a comprendere, il rovinoso incastro delle cose.
“Avete idea di dove siano finite quelle stupide chiavi? …stiamo facendo tardissimo ragazzine…” farneticava la signora Houllier in piedi nel corridoio; mancava sempre meno tempo ed il luogo della cerimonia era assai lontano.
Anche Hélène si era messa scrupolosamente a cercarle, mentre Bianca era salita al piano di sopra senza parlare; aveva irrimediabilmente compreso, d’aver combinato un nuovo, grosso disastro: prelevando di nascosto quelle chiavi, per poter nascondere nella rimessa le vecchie cianfrusaglie di sua sorella, ovviamente a completa insaputa di quest’ultima.
Adesso Bianca cercava quelle piccole chiavi, tutta quanta trafelata all’interno della propria camera da letto, senza sapere dove, improvvidamente ella poteva averle mai riposte; mentre dal piano di sotto già provenivano le urla e gli improperi di sua madre. Sentiva che il peggio stava già per accadere.
“Bianca!”, rimbombò quella voce fuori dalla porta. E poi, senza nemmeno il tempo per pensare: “stupida idiota!”.
Nel corridoio vi era una specie di basso ripostiglio a forma di lungo sedile, ricoperto di vimini con un cuscino nel mezzo.
Benoît salì su al piano di sopra seguito da Hélène, che si era affaticata non poco e che adesso arrancava mestamente, tenendo il capo chino; la situazione si era fatta pesante.
“Mancano trenta minuti e faremo tardi stupida!”, disse la madre a Bianca, fissandola in modo estremamente adirato; “…ma a me non interessa niente: adesso tu prendi le botte!”.
La signora Houllier fece posto a Benoît spostandosi di lato, mentre Hélène ora taceva in un angolo nei pressi delle scale, tenendo sempre il capo abbassato per non guardare.
Il suo uomo si avvicinò a Bianca mentre quella arretrava con aria inebetita; egli brandiva nella mano le chiavi ritrovate all’interno della sua piccola giacca a vento gialla; l’afferrò per un braccio mostrandogliele, senza aggiungere nulla. La figliastra vide quelle chiavi, e con terrore fece cenno di no.
Benoît continuando a tenerla per un braccio, la trascinò nei pressi del piccolo sedile ricoperto di vimini, solamente un breve passetto più avanti; le tirò quel braccio con forza.
Quando l’incauta figliastra fu strattonata, involontariamente allungò le mani affondandole nel cuscino, rivolgendo così fatalmente il dorso del vestito all’uomo di sua madre; la signora Dominique era in piedi di fronte e fissava l’orologio, mentre Hélène taceva di lato respirando a fatica, impaurita.
“Dagliele di santa ragione! Deve imparare …ma a suon di ceffoni, deve imparare… stupida e cretina!”.
In quella situazione chiara e limpida, Benoît scelse la forma più dura e severa per disciplinarla: l’avrebbe punita come si fa con le bambine; con una mano le bloccò la schiena, mentre con l’altra le sollevò il vestitino bianco per non rovinarlo, ribaltandole la gonna e scoprendole pertanto le mutande che erano anch’esse di colore bianco, morbide e delicate.
“Giù quelle mutande …voglio vederla piangere!”.
La povera Bianca comprese fino in fondo ciò che stava per accaderle, solamente nell’istante in cui avvertì la mano di Benoît tenderle l’elastico delle mutandine; poi fu scoperta, senza protezione, con tantissima vergogna. L’elastico le cingeva le cosce mentre lei per la prima volta esibiva il proprio sedere tutto nudo, bianco e pallido, dinanzi all’uomo di sua madre: era già pronta per la fine più rovinosa.
Benoît aprì il braccio e tese la mano; Hélène lo guardava mentre Bianca era interamente esposta al cospetto di lui.
“Ti meriti queste” esclamò con grande decisione, e le sferrò una sculacciata forte e decisa che la fece subito sobbalzare; “…e adesso questa!”, ribatté smanacciandola sul gluteo destro. Poi, subito un terzo sculaccione nel mezzo, che la fece piegare ancor più in avanti con un gridolino contrito e penoso: “Oo ooo… oooh”.
Hélène teneva il capo basso e le mani incrociate sul grembo, mentre udiva lo schiocco forte ed inesorabile degli sculaccioni, sul corpo della povera sorella; avrebbe voluto allontanarsi ma qualcosa la tratteneva immobile sulle gambe.
La mano sinistra di Benoît le stringeva salda la gonna, mentre Bianca non aveva nemmeno la forza di reagire; guardava il cuscino con i denti stretti dal dolore, e sobbalzava in avanti con la testa ad ogni colpo che le veniva inferto. L’uomo di sua madre le mollò uno sculaccione più forte dei precedenti, al punto che la poveretta assunse una posizione orizzontale della schiena, con il volto completamente allineato al didietro; poi fu subito battuta di nuovo, senza pietà, con una scudisciata fortissima.
“Sei contenta così, stupida?” le disse la madre aggiungendo poi: “…ti sei divertita vero? …sbaglio o non è la prima volta che succede?”. La figliola non rispose, mentre intanto la mano destra di Benoît continuava a farle schioccare il sedere in modo ripetuto e dolorosissimo.
Mancavano soli venticinque minuti alla cerimonia, ma il castigo di Bianca non era ancora terminato. La ragazzina piagnucolava con la mano destra aperta sul cuscino, ed il pugno chiuso della mano sinistra; i poveri glutei di lei, venivano scossi in modo ripetuto, rimbalzando di continuo, oramai del tutto arrossati dall’impeto delle botte. Hélène sentiva le gambe tremarle mentre assisteva alla punizione di sua sorella. Sapeva e ricordava bene, in quante altre volte era capitata a lei, la medesima e vergognosa sorte.
“Fammela vedere, quanto l’hai fatto rosso…”, ghinò la madre spostandosi lentamente alle spalle della sciagurata figliola. “Ancora altre dieci, voglio davvero vederla piangere…”.
Tutto tacque mentre Benoît riprese a batterla, con una precisione ed un vigore estremi, nell’intento di trasformare quella punizione, in un ricordo umiliante e fortemente educativo per la propria figliastra. Alternava i due poveri glutei sgonfi e sfatti, trattenendola sempre più forte per la gonna; la poveretta taceva muovendo il capo in avanti, per poi infine esplodere in un pianto dirotto e disperato.
“Va bene così… le hai fatto un bel pallone rosso, adesso possiamo andare… copritelo per bene, stupida!”.
Salirono in macchina e Benoît prese a guidare più veloce che poteva, lungo tutte le strade intorno alla città, mentre le due sorelle sedevano in silenzio sul sedile posteriore; Bianca aveva ancora i capelli scomposti e la gonna stropicciata, non riusciva a nascondere le proprie lacrime, mentre ripensava alla punizione che le era stata appena impartita, con grande rigore. Giunsero alla cerimonia con oltre venti minuti di ritardo, unicamente a causa della sua stupidità.
Hélène imbracciava il bellissimo mazzo di fiori e sapeva di non essere immune alla situazione; Benoît era stato molto severo e forte nel battere sua sorella, cosa mai verificatasi nei suoi confronti: ma al contrario in quell’istante, riaffiorava vivo nella sua testa, l’inesorabile ricordo del suo primo e vergognosissimo, orgasmo. Anch’esso dovuto per paradosso, alla medesima mano forte di Benoît, ma in una forma assai diversa ed inconfessabile: anche se egli non avrebbe mai potuto nemmeno lontanamente immaginarlo.
La ragazzotta assisteva alla cerimonia con la testa completamente persa tra le nuvole. Il frastuono degli sculaccioni, le urla della sorellina, e quella mano dell’uomo di sua madre, la riportarono irrimediabilmente indietro, al ricordo di quel caldo pomeriggio di ben quattro anni fa. Camping de la Lesse, Houyet in Vallonia, 2006.

Hélène rientrò nel piccolo appartamento che divideva con la sorellina, con la coda tra le gambe, mentre poteva avvertire una sensazione assurda e totalmente vergognosa: perché mai avrebbe voluto che Benoît si arrabbiasse con lei, fino al punto di rompergli intenzionalmente la lenza della canna da pesca? Sentiva i pantaloni della tuta che le scoppiavano, e la mutandina che le costringeva l’inguine in una maniera insopportabile; si mosse verso il bagno in preda ad una grandissima confusione.
Si rivolse verso lo specchio, con la piccola camicetta bianca tutta abbottonata sul davanti e lo sguardo perso nel vuoto: immaginava quelle mani, robuste e pesanti, che la trascinavano, come una stupida bambolotta di gomma.
Perché lo aveva fatto? Hélène si rese conto di quanto fosse assurdo quello che ella provava: aprì la porta del bagno alle proprie spalle e vide lo sgabellino in legno disposto accanto al letto, e la luce tenue soffusa tutt’intorno.
Lì si sarebbe forse consumata la sua fine; quello sgabellino era il posto giusto perché l’uomo di sua madre, qualora avesse deciso di punirla, lo facesse: lo osservò, ed in quell’istante percepì nettamente quel brivido caldo e penoso lungo tutta la schiena, in un fremito prolungato; si schiuse la camicetta sul davanti, il sudore iniziava a soffocarla.
Poi si abbassò i pantaloni della tuta, tanto quanto bastava, per liberarle l’inguine lasciandola immobile nelle sue mutandine bianche di leggerissimo cotone, ferma davanti allo specchio.
Prese ad immaginare la mano di Benoît che la spingeva lungo la schiena, e si fletté in avanti verso il lavandino; poi afferrò l’elastico delle mutandine, e se le abbassò lentamente. Ebbe un insano istinto di paura, e si ricompose per un solo istante; dopodiché le tirò giù tutte assieme, stavolta con un gesto secco e preciso, come se intendesse togliere a sé stessa qualsiasi possibilità di scampo: le mutandine bianche si adagiarono laddove già la tuta era scesa, di poco sotto l’inguine caldo e completamente fradicio di sudore.
Si volse di spalle e vide nello specchio, quel sederone bianco pallido, tutto molle e rigonfio di cellulite: fu in quel preciso momento, che tutto quanto precipitò; era quel sederone bianco l’oggetto di tutte quante le sue nefandezze, quello che Benoît avrebbe punito per farle espiare tutte le sue colpe.
Chiuse gli occhi, e sentì come lo schiocco di una mano: era l’uomo di sua madre, che la stava sculacciando.
La tratteneva lungo la schiena, e con la mano libera le faceva schioccare il sederone molle, dandole finalmente quello di cui lei aveva estremo bisogno: la stava castigando ed umiliando, come una bambina stupida senza cervello.
Aprì la mensola a fatica, cercando una spazzola o qualsiasi oggetto, che avesse potuto causarle davvero quel tipo di dolore; ma presto la richiuse non trovando nulla che potesse farle del male: quel sederone le sarebbe rimasto suo malgrado tutto pallido e intonso. Si volse tuttavia una volta ancora per rimirarlo, sembrava quasi un volto triste.
Hélène avvertì in quel momento una spinta forte dentro l’utero, un flusso caldo di liquidi che le ribolliva dentro e che piano piano, scendeva verso la vagina: non aveva alcuna idea, di cosa le stesse per accadere.
Ma riprese a pensare a Benoît, abbandonando qualsiasi resistenza e qualsiasi tipo di vergogna: era sempre in piedi di lato, e le ordinava di guardare sé stessa dentro lo specchio, mentre egli la puniva. Le diceva di concentrarsi sul proprio volto, di osservare in quale modo ella cambiava espressione, nell’istante in cui la sua mano la batteva.
Spalancò la bocca, e sentì la vagina schiudersi in modo penoso, qualcosa di mai provato prima d’allora: finalmente mosse la mano destra, nel tentativo di fermare quel qualcosa di assurdo, che era giunto sul punto di tracimare; le due dita più grandi si fecero strada timidamente in mezzo alla peluria completamente fradicia, e sfiorarono il luogo da cui tutto quel brivido pareva affiorare: allontanò frettolosamente la mano, e in quell’istante tutto ciò che le ribolliva dentro, prese a muoversi verso l’inguine in un fiume di sensazioni impossibili da descrivere; non fece in tempo a rassettarsi che già le scendeva lungo le cosce, inondandole la bianca mutandina che era rimasta sospesa di sotto.

Adesso Hélène assisteva alla cerimonia con la testa completamente persa tra le nuvole; avrebbe voluto far finta di niente ma era impossibile trattenersi, quell’emozione la sovrastava e la trascinava, fino anche a bagnarla di sotto alla gonna in maniera squallida e vergognosa.
La povera Bianca, in piedi accanto a lei con il sedere ancora mollo e dolorante, continuò a rimanere cupa e silente per tutto quanto il tempo; la mano di Benoît lei l’aveva provata per davvero, fino a pochi minuti prima: aveva preso botte da lui e non era stata per nulla affatto, un’esperienza piacevole.
La mano sinistra di Benoît le stringeva salda la gonna, mentre Bianca non aveva nemmeno la forza di reagire; guardava il cuscino con i denti stretti dal dolore, e sobbalzava in avanti con la testa ad ogni colpo che le veniva inferto. L’uomo di sua madre le mollò uno sculaccione più forte dei precedenti, al punto che la poveretta assunse una posizione orizzontale della schiena, con il volto completamente allineato al didietro; poi fu subito battuta di nuovo, senza pietà, con una scudisciata fortissima.

Ottavo episodio

Sarebbe crollata poco dopo, seduta sulla tazza del bagno.
La povera Hélène aveva oramai ineluttabilmente compreso, di non essere affatto una ragazza normale.
Nessuna delle sue amiche si sarebbe mai eccitata per quello che eccitava lei: si sarebbero piuttosto vergognate al semplice pensiero, facendo di tutto per nasconderne le tracce.
Invece lei era diventata crescendo, una scelleratissima e sventurata, culona; non poteva affatto evitarlo: ci cascava sempre, ogni volta con mani e piedi, sempre di più.
Aveva provato molto fastidio a venire disciplinata da sua madre; la seconda volta perfino da ragazza maggiorenne, subito dopo il proprio ritorno in Belgio. Ma s’era trattato piuttosto di sensazioni assai più vivide e contrastanti, nell’atto invece, di venire castigata dagli uomini.
Essere una culona significa provare piacere nel vergognarsi, fino all’atto umiliante più estremo: desiderare di venire esposta ed annichilita in modo pubblico e plateale.
Almeno questo era il significato che lei attribuiva a quello sciagurato epiteto, decisamente infamante, che l’era stato affibbiato senza pietà fin dai lontani tempi della scuola; le sue amiche avevano preso a chiamarla così, subito dopo aver assistito al triste epilogo della sua festa di compleanno.
Hélène non aveva ancora avuto un fidanzato, quando ritornò a casa in Belgio dopo i quasi dieci mesi trascorsi in Italia.
Aveva perduto la sua verginità, e s’era poi compromessa, in modo sconcio e vergognoso, persino con l’assai anziano proprietario del locale: del quale ella era stata, una giovane imprudente e molto succube, cameriera; lasciandosi spesso abusare da lui in maniera inopinata e dolorosa, senza tuttavia mai concedersi, dal momento che egli era impotente.
Sua madre aveva scoperto che Hélène era andata a vivere in un appartamento, rinunciando alla retta della propria residenza già pagata, per il solo gusto insano di potersi divertire con altre ragazze; senza per giunta riuscire nemmeno, a superare alcun esame. Non le aveva detto nulla, e la signora Houllier non tollerava affatto le bugie.
La ragazzotta aveva trascorso i suoi ultimi quattro mesi, sapendo quindi, che sarebbe stata presto castigata; varcare la soglia della dimora accompagnata da quella certezza, era il destino che l’aveva accompagnata. Sarebbe stata probabilmente l’ultima volta; non certo la prima nella sua vita, in presenza di qualche ignaro ed incuriosito spettatore.

Nono episodio

“Non mi sono affatto dimenticata… che devi essere punita”.
La ragazzotta taceva con il capo chino, con l’unica magra consolazione, che Benoît non fosse presente in casa.
“Devi essere punita per avermi detto un’infinità di stupide frottole …mi hai preso in giro dicendomi che studiavi, e poi che cosa hai ottenuto? Solamente tanti soldi buttati… e non voglio nemmeno sapere, che cos’altro hai combinato lì”.
La paternale della signora Houllier andava avanti da svariati minuti, in quel caldo pomeriggio di luglio, nell’ampia veranda assolata in cui madre e figlia sedevano su lati opposti: Hélène con la sua camicetta bianca ed una stretta gonna nera, disposta di fronte alla madre che continuava a catechizzarla, senza alcun cenno di ripensamento.
La loro domestica si era allontanata mentre Bianca adesso s’intratteneva alla televisione: la sorellina aveva solamente quindici anni, era stata proprio lei a rivelare alla madre tutte le inutili bugie di Hélène; sommando tanti piccoli segreti che quella aveva imprudentemente confidato, durante le precedenti vacanze. Piccoli segreti, assolutamente mal riposti.
Erano passate a malapena tre ore dal rientro in casa di Hélène, ed un persistente caldo afoso avvolgeva sempre la veranda, illuminata dal sole attraverso la finestra aperta.

“Mamma, ho imparato tanto e non lo farò più…”.

“C’è evidentemente qualcosa che devi ancora imparare: il rispetto!” ribatté la madre, con aria estremamente piccata e severa. Poi aggiunse: “vedi tesoro… pensi che io mi diverta a vederti piangere? Pensi che sia bello per me, che tutti i vicini ti sentano? …ma il problema è che, a quanto pare, tu impari solamente così: è da anni che lo diciamo, tu devi sentire le botte in quella stupida testa”.

“Ma io ho diciannove anni mamma…”.

“Cosa vuoi che mi interessi? Pensi allora di essere forse, adulta? Ti rendi almeno conto delle stupidaggini che fai?”.
Poi girandosi di lato, ella sollevò la mano in modo assertivo: “Lo vedi quel davanzale? Inizia a piegarti lì, e guarda bene di farti conoscere… oggi c’è tantissima gente in strada…”

“Che cosa vuoi dire mamma?”

“Che oggi ti osserveranno veramente in tanti …mentre le prendi” chiosò lei in modo ultimativo, vedendo Hélène dinanzi a lei, ammutolire e sprofondare nel silenzio più cupo.
Poi si alzò improvvisamente in piedi, ed afferrò la figliola per un braccio; Hélène reagì in modo goffo e scomposto con un sospiro “noooo mamma”, ma presto fu soggiogata e trascinata a strattoni, fin nei pressi del davanzale. La finestra era tutta aperta spalancata, e fuori si rimirava dall’alto il grande giardino, con il viavai colorito di tantissima gente ignara; erano solamente al secondo piano e si potevano udire benissimo i loro schiamazzi.
“Aspettami qui… piegata… guarda bene le persone lì di fuori: tra poco saranno proprio loro… ad ammirare te”.
Uscì dalla veranda chiudendone la porta; poi la riaprì immediatamente. “…ho detto piegata …obbedisci stupida!”; la ragazzotta si era infatti allontanata dalla finestra, al punto che la signora Dominique ritornò subito sui propri passi, camminando ad ampie falcate; e si fece presto obbedire, con le maniere cattive, lasciando la povera Hélène appoggiata al davanzale con i gomiti allineati e la gonna nera tutta rivolta verso l’interno. Era già il principio del suo castigo.
Passarono pochi istanti, e la sfortunata ragazzotta adesso tremava tutta, consapevole che a distanza di oltre cinque anni, sua madre era nuovamente in procinto di umiliarla.
Sentì la porta alle sue spalle aprirsi, e lo schiocco di un oggetto apparentemente di gomma, approssimarsi a lei. Era una semplice ciabatta nera, stretta nella mano di sua madre.

“Cosa vuoi farmi mamma…”.

“Tira su la gonna, obbedisci”.
“Qui no mamma… ti prego”; la signora Houllier, spazientita, si mosse alle sue spalle e con un gesto assai deciso, le ribaltò tutta la gonna nera lungo la schiena. Scoprendole l’enorme didietro, ancora avvolto dentro ad una candida mutandina.
Poi senza alcuna compassione per lei, mosse le mani attorno ai fianchi appena liberati dalla gonna, e ne afferrò per bene l’elastico. Le tirò giù quella mutandina in modo perentorio, lasciandola tristemente sospesa all’altezza dell’inguine.
Poi riprese a battersi la ciabatta nera sul dorso della mano.

“No mamma… mi vergogno ti prego…”.

“Ti dovresti vergognare per quello che hai fatto… e di questa specie di pallone tu, ti dovresti vergognare!” le rispose lei, spostandosi leggermente di lato; poi con un braccio le cinse il fianco, costringendola ed esporsi in avanti, a gambe strette.
Arrivò subito il primo colpo di ciabatta, forte e deciso.

“Oooo”

Dal giardino, un giovane africano si volse improvvisamente a guardarla; lo squittìo della povera Hélène l’aveva leggermente sorpreso, mentre egli era seduto tutto solo, su una piccola panchina in fondo a destra, intento a leggere.

Pum! “Ooh…”

Che cosa mai le stavano facendo? È mai possibile che fosse proprio così come sembrava? Il giovane col suo libro non aveva mai assistito a fatti simili in vita sua; mentre in quella triste casa, il tonfo delle botte, era rimbombato assai spesso.
La signora Dominique impugnò meglio la ciabatta, e le sferrò due colpi decisi sul sedere tutto mollo, vedendolo sballottarsi in modo ridicolo e penoso; Hélène stavolta trattenne un gridolino in gola, aveva capito che quel giovane si era già sciaguratamente accorto di lei, e così a fatica tacque.

Pum! Pum!

I due colpi successivi la segnarono per bene, facendola disporre meglio con i pugni stretti in avanti.
Le mutandine le penzolavano sotto il sedere fradicio e scosso; la madre aveva subito notato, come lo strumento che aveva scelto per punirla, fosse estremamente doloroso ed oltremodo efficace: già un paio di bozzi rigonfi andavano a formarsi, sulla pelle morbida dei glutei caldi e arrossati della sciagurata figliola, sempre piegata in avanti a gambe strette.
Le liberò i fianchi lasciandola in balia di sé stessa; mentre anche un anziano signore apparentemente s’era concentrato a guardare, domandandosi con curiosità, che cosa mai dietro a quella finestra aperta al secondo piano, stesse accadendo.

Pum! Pum! “Ooooo…”

Questa volta l’urletto di Hélène fu talmente forte, che l’anziano signore inforcò addirittura il suo paio di piccoli occhiali, ed aggrottò mestamente le ciglia; la povera ragazza comprese che era tutto orribilmente chiaro ed esplicito, alla vista di coloro che occasionalmente la osservavano.
“Fa male vero?” le disse la signora Dominique contemplando i due glutei, piuttosto arrossati, della figliola che tremavano.
“Dillo pure a quelli che ti guardano: sono stata una stupida, bugiarda e disobbediente…” ribadì sorridendo in modo beffardo e provocandola poi, irrispettosamente: “…aggiungi pure: sono una sederona …sono …una se, de, ro na”.

Pum! Pum! “Ooh oooo…”

Hélène non aveva mai provato una simile prostrazione in tutta quanta la sua vita, tratteneva le lacrime per non farsi vedere, ma dentro l’animo era già completamente umiliata ed annichilita; pensò che avrebbe veramente imparato a rigare dritto, a partire da quel giorno, una volta per tutte. Un nuovo colpo all’improvviso la travolse: “Aaaaah…”.

Vide che anche un’elegante signora la osservava: le faceva con la mano un gesto, come ad indicarle che aveva compreso; il significato era più o meno, che fossero meritate, anche se non poteva ovviamente conoscere alcun dettaglio.
Entrò Mabel nella veranda, aveva udito il frastuono delle botte, ma sulle prime era rimasta nascosta per riserbo; adesso ella appariva premurosamente preoccupata. Fu allontanata dalla signora Houllier con un rapido cenno del viso.
Bianca guardava la televisione, un programma di musica ad alto volume e non si sarebbe affatto accorta del caos, a causa del frastuono assordante delle immagini; non sarebbe stato per nulla sbagliato invece, se anche ella avesse veduto tutto quanto: imparando fino a quale età, esistano lezioni così.
“Adesso abbassa la testa”. La madre colpì Hélène con quattro colpi di fila, alternati sui due glutei, vedendola vibrare in avanti, e rimbalzare con tutto il corpo, sospinta dalla massa informe e sconcia del sedere.
Poi prese a carezzare la ciabatta, concentrandosi sulla vista delle sue dirette conseguenze, sempre più tangibili e penose.

“Abbiamo quasi finito per oggi”.
Pum! Pum! Pum!

Hélène non resistette ed esplose in un pianto, mentre alle sue spalle, il didietro brulicava tutto, in un modo insopportabile; adesso dal giardino la fissavano in tanti, due signore andavano addirittura commentando la scena, con apparente sdegno misto ad una certa e non tanto ben nascosta, curiosità.

“Ora ripeti stupida: sono una sederona …una se, de, ro na!”.
Pum! Pum! “Ooooh…”

“se, de, ro na”
Pum! Pum! Pum!

La abbandonò così senza aggiungere nulla, aggrappata alla finestra con le mutandine ancora sospese, ed il didietro grosso e deforme completamente deturpato, che ancora vibrava dopo quella scellerata sequenza di botte. Hélène teneva le gambe rotonde leggermente divaricate e piangeva.
“Non sei più una ragazzina, ma sappi che in questa casa, con me le regole sono queste e funziona così…” sottolineò con voce garbata la madre, nell’istante in cui rientrava a passi felpati dentro la veranda, dopo aver riposto la propria ciabatta. La sciagurata Hélène non si era mossa di lì, travolta dal dolore e dalla vergogna, e piangeva ininterrottamente.
“Copriti quello schifo, non voglio più vederlo” le disse alle spalle con tono leggermente sprezzante la signora Dominique, mentre s’accomodava nuovamente sulla propria poltrona; la sagoma del povero sedere tutto sudato della figliola umiliata, adesso si stagliava immobile e gonfia, nell’area rarefatta in controluce della veranda ben assolata.

Decimo episodio

Da quando sua sorella era partita, Bianca non era più la stessa.
Lei era cresciuta all’ombra di Hélène, perennemente protetta dal fatto di essere la più piccola delle due, di ben quattro anni più giovane; oltre ovviamente ad essere la prima ed unica figliola naturale, del precedente uomo di sua madre.
Costui l’aveva trattata in modo speciale e privilegiato, fin dal principio, e successivamente poi viziata, in modo esagerato e verosimilmente dannoso, a partire dall’istante stesso in cui s’era separato dalla moglie. Bianca riceveva da lui, talvolta anche di nascosto, moderate somme di denaro; ella le adoperava per comperare oggetti futili, che finivano sempre in qualche recondito cassetto nella propria camera da letto.
Agli occhi di sua madre, Bianca era sempre stata una bambina timida, al contrario di Hélène che s’era invece distinta fin da piccola, per vivacità e varietà di interessi.
Ma adesso che sua sorella era partita, qualcosa in lei era cambiato: era come se improvvisamente tutte le attenzioni si fossero concentrate su di lei, e non vi fosse più per lei, alcuna possibilità di nascondersi. La timida Bianca si ritrovava adesso al centro di tutte le premure altrui, perennemente sorvegliata e controllata, nel bel pieno dei suoi quindici anni.
Frequentava il secondo ciclo di liceo e non aveva molti amici; i suoi compagni di classe la ignoravano dal momento che ella era piccola e poco propensa al gioco. Si tratta di un’età in cui molti ragazzi si affacciano alle loro primissime e istruttive esperienze in amore: ma per Bianca non era affatto così, ella osservava ed interiorizzava tutto in modo ossessivo; era come una pentola pronta per esplodere.
E la pentola sarebbe esplosa per davvero, in una lontana mattina di gennaio, durante una lunga giornata di lezioni a scuola, assai difficili ed oltremodo noiose come sempre.
Un piccolo e dinoccolato compagno di classe l’aveva spiata quando lei era entrata in bagno. Lo facevano in tanti, ma colui che l’aveva spiata quel giorno, era di gran lunga il più odiato tra tutti i ragazzi: sarebbe un bel giorno diventato, per una pura ironia del destino, il fidanzato di sua sorella.
Bianca sapeva che quel ragazzo di nome Bernard, si ritrovava in quell’istante tutto piegato nascosto dietro alla porta; erano stati infilati alcuni batuffoli di cotone dentro alla serratura, sprovvista di chiave, ma i ragazzi li avevano di volta in volta sapientemente manomessi: si divertivano moltissimo a guardare le compagne mentre facevano la pipì.
Bianca era una delle meno carine, tra tutte le femmine del liceo; spesso veniva derisa, e Bernard non era certamente stato tra i più teneri nel farlo; in quell’istante quegli la spiava con l’intento di poterla successivamente prendere in giro. La ragazzina era seduta sulla tazza con i jeans stretti, le calze invernali scure e le mutandine bianche tutti calati assieme, poco sopra le ginocchia. Iniziava lentamente a gocciolare, quando udì un risolino beffardo provenire dal bagno.
Si trattenne per un istante, levandosi in piedi con tutte le sue mutandine, le calze e i jeans abbassati; aprì il chiavistello e voltandosi spinse con una suola della scarpetta, la porta.
Bernard vide con paura quella porta spalancarsi: ristette incredulo, dinanzi alla forma sconcia del sedere bianco e schiuso della ragazzina che, come un volto ridicolo, lo dileggiava. La piccola vagina si aprì di nuovo dinanzi a lui, ed egli fu presto così, tutto bagnato.

Bianca indossava spesso la tuta quando era in casa; da quando Hélène era partita, lei s’era impadronita di ogni piccolo spazio, ed aveva cominciato a comportarsi in modo piuttosto strano, compiendo atti inspiegabili; la mattina di un sabato, ad esempio, Benoît aveva trovato lo specchio del proprio bagno completamente imbrattato, con la schiuma da barba che solo egli usava: la scellerata Bianca vi aveva stupidamente provato a disegnare, la forma di un cuore.
Era stata ripresa e redarguita, al punto da causarle persino rabbia e disappunto; esageratamente viziata come lei era.
Non sopportava più sua madre, e così faceva sempre il preciso contrario di quanto la signora Dominique le chiedeva: rifiutandosi di mangiare con loro, per rimanere sempre da sola a guardare la televisione; e successivamente rastrellando di nascosto, qualsivoglia rimasuglio di cibo fosse rimasto a sua disposizione nel frigorifero.

Bernard vide con paura quella porta spalancarsi: ristette incredulo, dinanzi alla forma sconcia del sedere bianco e schiuso della ragazzina che, come un volto ridicolo, lo dileggiava.

Aveva mostrato le proprie intimità a Bernard, con grande sprezzo del pericolo; e da quel momento in avanti, una nuova scellerata consapevolezza l’aveva ingannevolmente pervasa: sembrava davvero che qualsiasi stupidaggine le fosse consentita, e che lei fosse immune da ogni conseguenza.
Non sapeva che Benoît e sua madre andavano tenendo il conto di tutto ciò di strano e sbagliato ella faceva; Bianca aveva visto sua sorella, ma anche la precedente cameriera Floreanne, ricevere sonore e meritate percosse, in svariate occasioni, sempre tristi e dolorose. Ma lei era diversa da tutte le altre, essendo la più piccola ospite in quella casa: ogni mancanza le veniva tacitamente perdonata.
Ma non per sempre, ovviamemente.

La piccola vagina si aprì di nuovo dinanzi a lui, ed egli fu presto così, tutto bagnato.

Per il sabato di carnevale, Benoît l’aveva iscritta ad una competizione di tennis da tavolo: era una tradizione che si rinnovava ogni anno, un torneo molto seguito dai bambini, dal momento che i genitori li accompagnavano, consegnando loro ricchi dolci, in luogo dei più classici premi; il tutto in un grande clima di festa e di sano divertimento.
Anche la signora Houllier avrebbe desiderato che Bianca vi partecipasse, come era accaduto nei due anni trascorsi. Ma la figliola non sapeva giocare con la racchetta, ed in passato s’era sempre annoiata moltissimo in quella circostanza.
Era il venerdì che precedeva il giorno della festa e Benoît l’aveva già iscritta suo malgrado alla competizione; la signora Houllier si trovava in ufficio, mentre Hélène era in Italia: appena fuoriuscita dalla primissima esperienza di sesso della sua vita, sverginata da un cuoco del locale in cui ella lavorava; non era certamente quello un giorno normale neppure per lei, che era in quel momento così lontana.
Bianca non voleva assolutamente partecipare alla competizione di tennis da tavolo; le due racchette erano disposte sul tavolo della veranda, abbandonate in bella vista fuori dalla loro custodia. Prese dall’astuccio un pennarello nero, di quelli indelebili, ritenendo che tutto ciò risultasse persino divertente; vergò compiaciuta, sul dorso di gomma di una delle due racchette, una frase idiota e volgare.

Pour nettoyer tes fesses

Era un invito a adoperare la racchetta in bagno per pulirsi il sedere, o qualcosa di simile; una frase assai poco nobile.
Benoît se ne accorse dopo circa un’ora, nell’istante in cui egli giunse in quel luogo, a predisporre la borsa sportiva per l’indomani; la sua prima reazione fu di sorpresa, non poteva affatto credere che la figliastra avesse potuto davvero, compiere una simile sciocchezza. Poi dopo un solo momento, lo stupore iniziale si risolse in grande rabbia e ferma volontà di riprenderla: quelle racchette erano costate, quasi sessanta euro di sua tasca; non sarebbero mai più state utilizzate.
Bianca udì dalla propria cameretta da letto, la telefonata in cui l’uomo di sua madre inaspettatamente cancellava la sua iscrizione: non immaginava che quegli lo facesse, solo per aver veduto, ciò che lei aveva stoltamente realizzato con quella racchetta; fu persino contenta nell’udire la breve conversazione, in cui veniva assecondato un suo desiderio.

Petite Bianca, tu pensi che tutto ti sia sempre consentito

Benoît era sceso nuovamente al piano di sotto, sembrava irrequieto; meditava girovagando nei pressi del salone. Il disprezzo verso la figliastra l’avrebbe indotto verso qualche particolare forma di castigo nei suoi confronti: un epilogo cui mai egli si sarebbe prestato, nel suo recentissimo passato; ma quel giorno la misura era davvero colma.
Egli concluse che, in ogni caso, la ragazzina avrebbe dovuto lungamente riflettere su quanto di sbagliato ella aveva appena compiuto: quella scellerata scritta era probabilmente impossibile da cancellare, ed ella se ne sarebbe dovuta rendere almeno consapevole, in maniera da non rifarlo più.
Così raccolse la racchetta imbrattata dal tavolo della veranda, e la portò via con sé nel piccolo bagno; chiuse il lavandino riempendolo tutto d’acqua fino al bordo, ed infine vi dispose la racchetta accanto, laddove vi era anche una saponetta, nei pressi d’un piccolo asciugamano di cotone.
Poi chiamò la figliastra a gran voce, invitandola a scendere.

Ricordi petite Bianca, il tuo disegnino sullo specchio del bagno al piano di sopra? Anche stavolta, c’è qualcosa di bello da vedere…

Sulle prime la ragazzina non capì nulla; scese i gradini tenendosi lungo il corrimano, muovendo lentamente nelle proprie ciabatte. Benoît l’attendeva di fronte alla seconda rampa di scale, con il braccio alzato e la mano rivolta verso il bagno. Sembrava davvero poco intenzionato a scherzare.
“Prego, entra qui dentro, troverai una sorpresa. Anche se immagino che tu sappia già… di che sorpresa si tratta vero?”.
Spesso Bianca non parlava nemmeno; infatti, anche questa volta ella non disse nulla, con la solita protervia ed una buona dose di arroganza; entrò nel bagno senza guardare Benoît, e sulle prime non si rese conto di un bel niente.
“Ti chiedo solamente di aspettare qui per qualche minuto …nel frattempo puoi provare a rimediare”.
Chiuse la porta da fuori, lasciandola tutta sola ed interdetta.

Guarda bene petite Bianca, cerca il tesoro

Solamente dopo un paio di minuti, ella vide la racchetta con la propria scritta vergognosa, poggiata accanto al lavandino; sembrava un esplicito invito a fare qualcosa, per provare a ripulirla, ma Bianca sulle prime non lo capì. Rimase in piedi immobile, nei pressi della parete sul fondo, pensando che l’attesa sarebbe stata breve. Ma ancora una volta si sbagliava.

“Ne ha combinata un’altra… una bella scritta col pennarello sulla racchetta: Pour nettoyer… e nemmeno si è resa conto di niente. Ora si trova nel bagno, le ho ordinato di aspettare”.
Benoît parlava col telefono al piano di sopra, mentre la figliastra aveva timidamente provato a lavare la racchetta con il sapone, senza alcun risultato; aveva iniziato lentamente a comprendere, di avere commesso un piccolo errore, forse quello scherzo non era stato tanto divertente.
“Credo dovresti farlo tu, più tardi…” ragionava Benoît in modo chiaro ed esplicito, sul suo conto; il triste destino della ragazzina, in quel momento era già segnato dalle botte.

Una buona punizione deve avvenire subito, nell’immediata sequela del comportamento errato, petite Bianca

Erano passati oltre cinque minuti, e la ragazzina attendeva in piedi in fondo al bagno, con la testa oltremodo confusa; si domandava come mai, l‘uomo di sua madre le avesse ordinato di attenderlo. Sapeva di avere compiuto una stupidaggine, avrebbe probabilmente provato a scusarsi.
Non immaginava nemmeno ciò che stava per accaderle, né sospettava minimamente, che sarebbe stata proprio quella banale e inutile racchetta, a farla piangere disperatamente.
Tacque fissandosi dentro lo specchio; vedendosi nei propri stessi occhi, come inguaribilmente ottusa, oltre che distratta ed imprudente: finché ella non udì finalmente, con il fiato sospeso, alcuni chiari rumori provenire dal piano di sopra.
Benoît stava in quell’istante scendendo da lei, per punirla.

Undicesimo episodio

Sta per accadere, è solo questione di dettagli; quello che doveva essere fatto l’hai fatto, oramai è inutile recriminare.
Ti guardi nello specchio petite Bianca, e riconosci di essere stata ridicola, oltre che distratta. I passi lungo le scale non ti lasciano scampo: Benoît sta scendendo al piano di sotto dopo aver chiesto il consenso di tua madre; e ti troverà lì nel piccolo bagno, dove ti aveva ordinato di attenderlo.
Al principio non avevi capito nulla, non avevi compreso il motivo per cui ti avesse obbligata a recarti lì dentro, per rimanerci da sola, reclusa per un tempo quasi interminabile.
Avevi trascurato il fatto che vi era una ragione ben precisa; un gioco apparentemente stupido che si era tramutato in uno sbaglio grave: non era la prima volta che ciò accade petite Bianca.
C’è un momento in cui gli adulti riconoscono che una misura è satura: per te quel momento è arrivato; non ti sono bastati i quindici anni per evitarlo. E adesso verrai punita.
L’uomo di tua madre sta per farlo proprio in quest’istante, è solo questione di dettagli oramai. Tra poco ripenserai profondamente a ciò che hai fatto, stanne certa: lo farai con la vergogna di una ragazzina ridicola e distratta che si guarda nello specchio. È giunto il momento di piangere.

Dodicesimo episodio

Quando la porta del piccolo bagno si aprì, Bianca aveva oramai compreso, che non si sarebbe trattato di un gioco.
Benoît le apparve subito diverso dal solito, nel modo in cui la guardava; era un uomo di poche parole, e facendole un cenno della mano le intimò subito di avvicinarsi.
La racchetta era stata poggiata da Bianca nel medesimo luogo, ancora leggermente umida e bagnata di sapone; l’uomo di sua madre capì che la scellerata figliastra, aveva inutilmente provato a rimediare al danno, senza riuscirvi.
“Non si cancella… vero?” le disse guardandola negli occhi, con una strana smorfia del viso, ironica e desolata.
“Ho provato a lavarla… ma non si cancella …ti prego…” rispose Bianca con il capo chino, a bassissima voce.
“Vieni qui” le disse l’uomo di sua madre, tenendo la famigerata racchetta ben stretta nella sua mano destra.
La ragazzina si era avvicinata, ma in quell’istante tacque immobile; aveva capito di non avere alcuna possibilità di evitare il castigo, ma non aveva ancora alcuna idea, di come tutto ciò, si potesse rivelare umiliante e doloroso.
Sotto il tessuto leggero e delicato della tuta, ai lati del tratto sottile della sua piccola mutandina nera, già le due tenere guance bianche del didietro, le si serravano raggelate; l’intuito le diceva già, che sarebbe andata a finire in quel modo. C’era davvero tantissima aria di botte.
“Vieni qui” ribadì nuovamente l’uomo di sua madre senza alcuna compassione verso di lei; ed allungando nuovamente il braccio sinistro, spazientito egli la afferrò: Bianca emise un urletto contrito e penoso, mentre tutta quanta sbilanciata in avanti, ella scivolava lentamente nei pressi del lavandino. Benoît brandiva sempre la racchetta nella sua mano destra, vibrandola percettibilmente nell’aria in modo subdolo.
“Giù!” le disse lui, spingendola senza troppo garbo su tutta quanta la schiena, con la mano sinistra appoggiata alla sua strettissima magliettina a pelle, di uno sciatto colore blu scuro; la ragazzina abbassò subito il capo, con la coda dei capelli rigirata sul viso, e fu disposta in posizione prona. Aveva le mani poggiate al lavandino e le guance del viso tutte rosse, mentre lui da dietro continuava a sospingerla.
Una volta che Bianca fu piegata in avanti, l’uomo di sua madre le impose l’intero braccio sinistro attorno alla vita, trattenendola; la poteva in questo modo levare fermamente con il busto, costringendola a tenere sempre l’addome leggermente piegato in su, come un didietro di gallina.

Pour nettoyer tes fesses

“Per pulirsi… che cosa?” chiese ironicamente Benoît alla sciagurata figliastra, disposta in avanti verso lo specchio.
“Non ho sentito!!!” urlò, ed in quell’istante le quattro pareti del piccolo bagno, risuonarono penosamente per la prima volta, con un tonfo ben centrato e fortissimo; ecco le botte.
“Allora! …che cosa ci devi pulire?”; Bianca non si era ancora ripresa dalla violenta scudisciata sul retro della tuta; abbassando ancor di più il capo, sussurrò: “…il …il sedere”.
“Il sedere! …bravissima”, la derise l’uomo di sua madre, e poi stringendola ancor più forte, fece in modo che la scellerata inarcasse meglio la schiena. Le sferrò un colpo fortissimo sul gluteo destro facendola tremare. “Puliamolo allora …questo sedere, con questa bella racchetta… che dici?”.
“…ssì …sì” biascicò la ragazzina annichilita.
Arrivò subito la terza sferzata.
“Io ho pagato sessanta euro… sessanta euro! …dobbiamo pulirlo proprio bene, questo sedere!”; “Oooooh…”.

Le stai prendendo per davvero petite Bianca, ecco le botte

Benoît tacque per un istante, e sollevò ancor meglio il busto della povera ragazzina; poi le fissò con molta attenzione il didietro della tuta. Le poggiò la racchetta nel mezzo, con la sua volgare e deplorevole scritta, rivolta verso l’interno.
Aprì il braccio e le mollò due colpi consecutivi, su entrambi i glutei, prima a destra e poi a sinistra; talmente forti, che si udì uno schiocco molle e penoso, seguito da un urlo di lei.
“Aaaaa…”.
“…fa …fa tanto male…” sussurrò Bianca piagnucolando, mentre con aria dimessa e triste, ella provava timidamente a rassettarsi contro il lavandino.
“Fa meno male… se solamente ti guardi nello specchio… ti servirà ad imparare meglio la lezione” disse Benoît con espressione estremamente seria; poi la batté di nuovo.

Ma riprese a pensare a Benoît, abbandonando qualsiasi resistenza e qualsiasi tipo di vergogna: era sempre in piedi di lato, e le ordinava di guardare sé stessa dentro lo specchio, mentre egli la puniva. Le diceva di concentrarsi sul proprio volto, di osservare in quale modo ella cambiava espressione, nell’istante in cui la sua mano la batteva.

L’uomo della madre adesso aveva iniziato a colpire la figliastra con una fitta sequenza di botte, assestate regolarmente sul povero didietro di lei. Gliene diede più d’una ventina nel corso di un minuto, riducendola in lacrime.
Bianca non sapeva più che cosa ancora le sarebbe potuto accadere, nella sua povera testa sempre più offuscata e obnubilata da quei colpi: sembrava che in quello sfortunato venerdì di febbraio, tutta quanta la sciagura del mondo intero si fosse improvvisamente rigirata contro di lei.
“Giù, di nuovo” le ordinò Benoît, mettendole fretta nell’atto assertivo di spingerla nuovamente lungo la schiena.
Poi le appoggiò la racchetta sul sedere, colpendola in modo blando; aprì nuovamente il braccio, schioccandola poi sul gluteo sinistro con un colpo violentissimo, al quale la poveretta rispose con un gridolino stridulo e penoso.

“Ooooooh…”.

Il didietro di lei, nascosto sotto la tuta, s’era già inesorabilmente deformato, coperto da due lividi rossi ben sparsi in mezzo ad entrambi i glutei; ed era solo l’inizio.
L’uomo di sua madre riprese a batterla, con una sequenza di fitte facendola lentamente sprofondare, nella stretta fortissima del proprio braccio sinistro; infine, si fermò a guardarla, e per la prima volta le liberò la vita. Bianca era talmente avvezza a quella posizione, che rimase con la schiena inarcata ed il didietro tutto sollevato, rigida e ben disciplinata senza volerlo, a causa delle botte.
“Vado a prendere l’altra racchetta, questa qui è tutta fradicia…” disse lui con tono ironico e deciso; egli voleva che la figliastra provasse nuovamente a ripulire quell’oggetto, proprio mentre egli la puniva, nell’intento di rendere quel castigo ancor più umiliante ed istruttivo per lei.
“Prova a lavarla più forte!!!” le ordinò osservandola, mentre gettava con disprezzo quella racchetta, dentro il lavandino ancora pieno d’acqua, sorprendendola con alcuni schizzi; “E non ti muovere di lì…”, aggiunse subito dopo, fermamente.
Bianca sentiva già il sedere scoppiarle sotto la tuta, mentre riprendeva meccanicamente a sfregare quella sciagurata racchetta con il sapone; con la certezza che non sarebbe servito veramente a nulla, e con la consapevolezza che la sua punizione non era nemmeno ancora giunta alla metà.
Benoît aprì nuovamente la porta del bagno; e subito la ragazzina spaventata, riprese a far finta di lavare la propria racchetta, in modo ripetuto ed insensato: l’uomo di sua madre la guardò con un misto di disprezzo e di triste ironia.
“Questa è asciutta… è più dura”, le disse mentre si avvicinava; poi si chinò leggermente alle sue spalle, e mentre la poveretta provava ancora a sfregare la racchetta con disperazione, sorprendendola, egli le abbassò in un sol colpo, tutta quanta la tuta: scoprendole la sottile mutandina ed i due vistosi lividi su entrambi i glutei pallidi e sfatti. Bianca reagì senza nessuna forza, con un urletto “Oooo…”.

La tuta le fu scesa in meno di un secondo, lasciandola incredula ed esposta contro la parete, nella penombra di quel polveroso e squallido ripostiglio; lo slippino bianco s’intravedeva a malapena, in mezzo ai due glutei enormi di lei, pallidi e ridicolmente scoperti in modo sconcio.

Per due volte le fece rimbalzare la racchetta intonsa, decisamente più calda e rigida, sopra il filino sottile della piccola mutandina nera; “Quanto ti guarderai …finalmente imparerai a comportarti…”, le disse Benoît ammiccando esplicitamente ai due vistosi lividi rossi che le deturpavano tutto quanto il didietro. Poi la batté di nuovo con due colpi secchi, che risuonarono con un frastuono sordo in tutta la casa. “Ooooo”.

Ecco petite Bianca, adesso ti sta facendo un “culo così” …

Anche la seconda racchetta finì nel lavandino, insieme alla prima; Bianca fu così lasciata da sola dopo le botte, a riflettere su quanto di scellerato ella aveva compiuto.
La sua tuta leggera era nella realtà, rimasta sempre intatta e serrata rispettosamente al proprio posto, attorno ai fianchi e ai glutei di lei: era stata solamente la sua mente confusa ad immaginarlo, di venire realmente denudata dall’uomo di sua madre. Quegli non lo avrebbe mai fatto, almeno senza l’esplicito consenso della signora Houllier: quella ragazzina era pur sempre la sua figliastra e nulla di più.
Lei s’era sentita come nuda di fronte a lui, mentre egli la batteva in modo assai concitato; stranissimi scherzi della fantasia, in un momento di profonda umiliazione e di dolore.

Un “culo così” è quando lo senti scoppiare tutto, sotto i vestiti …e adesso lo sai anche tu petite Bianca, che cosa vuol veramente dire

Bianca ristette per diversi minuti davanti allo specchio, in lacrime.
Il frastuono delle botte aveva riempito l’aria del piccolo bagno, saturandola di pianto e di sospiri; adesso vi restava il silenzio, unito alla sagoma ricurva, della scellerata ragazzina.
Non era stata denudata, benché ella si fosse vista in quel modo dentro alla propria povera testa, completamente travolta dal dolore e dalla prostrazione; il tessuto leggero era divenuto quasi trasparente per via dei colpi subiti, ed ella poteva così già immaginare le orribili conseguenze, mentre ruotando tristemente il busto, si apprestava ad osservarsi.

Quanto ti guarderai …finalmente imparerai a comportarti…

Si tirò giù la tuta, e non dovette attendere molto, per riconoscervi subito i segni orribili del castigo subito: le inevitabili e vistosissime tracce lasciate dalle botte.
La piccola mutandina non l’aveva certamente aiutata, dal momento che quell’elegante indumento non portava null’altro che una fascia decorata in pizzo, nel bel mezzo del didietro caldo e trasudato; i due glutei erano molli, completamente fradici e ricoperti da un orribile alone rossastro; al centro di entrambi campeggiava un gigantesco livido ovale scuro. Era una vista penosa e imbarazzante, che la povera ragazzina non avrebbe mai più potuto dimenticare.

Povera Bianca, l’hai prese veramente di santa ragione

Salì le scale con i pantaloni della tuta leggermente abbassati, dal momento che i glutei le scoppiavano di calore; si sentiva pesante e sgraziata mentre ella si muoveva goffamente tenendosi le mani sul didietro, come a volerlo nascondere.
Benoît la vide nel corridoio e non le disse nulla, lasciandole intendere che le parole non erano più necessarie, e sperando che la figliastra avesse veramente compreso la lezione.
Giunta in camera da letto, Bianca indossò subito il proprio pigiama, continuando inesorabilmente a piangere e a mugolare per il dolore; avrebbe saltato la cena, di vergogna.

Due sorelline hanno fatto la stessa fine; entrambe sono salite in cima alla rampa di scale, tenendosi i glutei con le mani. È successo a distanza di oltre cinque anni, in circostanze decisamente differenti. Ma il finale è sempre lo stesso.
Entrambe hanno compreso tardi, che cosa significasse realmente il frastuono delle botte: essere punite senza alcuna attenuante, per la prima volta nella loro vita, da un uomo.
Nel caso di Hélène, era stato quello il principio di tutto: la fine dell’adolescenza, oltre che l’inizio di tutte le sue improprie, assai vergognose ed incomprensibili ossessioni.
Nel caso della povera Bianca invece, quello sciagurato pomeriggio segnava per lei, l’inizio di una spirale senza fine.

Le cinse nuovamente la vita, mentre la poveretta ancora insisteva nel tentativo di ripulire quel famigerato oggetto; le disse deridendola: “Brava! …continua a lavarla… abbiamo ancora tanto tempo, almeno fino a domattina…”.
La sollevò leggermente, e poi aprì il braccio, colpendola per ben tre volte di seguito; la ragazzina questa volta non urlò, mentre quei tonfi risuonavano in modo mesto, tutto attorno.
Prese nuovamente la mira, e questa volta le schioccò il sedere in modo assai violento, causandole un dolore immane.
“Ti prego… fa tanto male…” osò implorarlo con il capo piegato in giù, e la coda di cavallo tutta rivolta da un lato.
“Non abbiamo nemmeno iniziato…” rispose l’uomo di sua madre, affondandola nella sua sciagura, in modo determinato ed ossessivo; poi le sollevò la vita con più forza.
Chiunque si fosse trovato nel corridoio, avrebbe udito quella sequenza inesorabile di colpi, interrotti solamente da alcuni scampoli di timidi vagiti, alternati alle ferme minacce di lui.
Dentro il piccolo bagno invece, si andava consumando la vera catastrofe della ragazzina: battuta oramai senza alcuna soluzione di continuità, travolta dal dolore, ella taceva.

Aveva preso le botte per la prima volta nella sua vita; l’inizio di una spirale senza fine.
Nessuno sa quante altre volte Bianca sarebbe stata punita: ma si ritiene che ciò sia accaduto in tutto, per più di venti o addirittura trenta volte; e che forse stia accadendo ancora oggi, quando Bianca è giunta oramai alla soglia dei suoi ventinove anni. Rigorosamente per mano della madre con cui ella vive; come se ella mai, fosse cresciuta nell’età adulta.
Avevano creduto di poterla recuperare. Educare e disciplinare, finché avesse avuto un seppur minimo, senso farlo: ma la situazione non faceva null’altro che peggiorare, trascinandola lungo un declivio scosceso. Ogni volta che Bianca le prendeva, diveniva sempre più scellerata e confusa, compiendo gesti scriteriati spesso incomprensibili.
La signora Houllier con il suo compagno, avevano anche provato ad aumentare la dose, oltre ogni limite: ritenendo che il dolore potesse rivelarsi un buon antidoto per la figliola; osservando infatti come l’umiliazione di per sè, non causasse apparentemente alla scellerata ragazzina alcun effetto.
Averla esposta, dopo il castigo, davanti agli occhi della sorella e del suo odiatissimo compagno di liceo, l’aveva resa persino peggiore: arrogante e sfacciata, in modo urticante.
Sfigurarle il didietro con la cintura, senza risparmiarle neppure le cosce, le aveva causato diversi giorni di lividi, e tantissime ore di pianto disperato; ma la sciagurata n’era emersa ancor più annebbiata e distratta, incapace di cambiare atteggiamento; perennemente impunita.
Con la maggiore età, era giunto anche il tempo dello psicologo e di altre soluzioni per lei; anche se l’unico rimedio serio, parevano essere proprio le sculacciate: ben iterate lungo il calendario, a tratti anche attese e forse, persino desiderate.
Sapeva forse quella sciagurata ragazzina, di meritarsele e di averne profondamente bisogno?
A differenza di sua sorella Hélène, era tuttavia piuttosto probabile, che quei trattamenti non le piacessero affatto.
Riguardo a quest’ultima invece, il destino aveva voluto fare di lei, l’osservatrice muta e non certo indifferente di quei momenti; la sorella maggiore non riusciva ad assistere allo spettacolo ripetuto delle botte, senza cadere in modo altrettanto sciagurato, dentro alle proprie ossessioni.
Avrebbe forse voluto esserci lei, al suo posto? Nemmeno a sé stessa avrebbe mai potuto confessarlo: ma dinanzi al frastuono e alla vista di quel ripetuto impiastro, la sorellastra Hélène riviveva sempre in prima persona la propria triste vicenda: sentiva il fragore della mano o della cintura di Benoît, ed il proprio corpo scuotersi di continuo; come se fosse anch’esso, oggetto delle percosse, in modo assurdo.
Non le piaceva vedere sua sorella ridotta in quel modo; spesso lasciata andare con conseguenze tali, da restarle addosso per intere settimane: una volta anche in vacanza, sotto il costume da bagno.
Pena, invidia, gelosia, rabbia; tutto si risolveva allo stesso modo in quella casa: da un lato, le urla ed il frastuono ininterrotto dei colpi; dall’altro, Hélène col fiato sospeso, travolta ed umiliata anch’essa dalle proprie ossessioni.
Sarebbe andata avanti così per anni, segnando la giovane vita delle due sorelline Houllier e facendo di loro, ciascuna a modo proprio, due sciagurate piccole donne, disperse lungo la propria strada: intrappolate in un labirinto di perversioni senza intravederne davvero mai, il fondo.

Pour nettoyer tes fesses


Domenica 5 ottobre 2003
Hélène viene disciplinata per la prima volta nella sua vita, in occasione della propria festa di compleanno per le quattordici candeline; il marito di sua madre la sculaccia davanti a tutti gli invitati, per aver osato gettare un pregiato bicchiere di cristallo addosso alla sorella. Le tira su la gonna e la batte con la mano.

Martedì 2 dicembre 2003
La cameriera Floreanne viene picchiata dalla signora Dominique con il battipanni, per avere consumato un atto di sesso insieme a Maxime Verret, il fratello di una compagna di scuola di Hélène. È la sua ultima punizione, due mesi prima di divenire maggiorenne.

Giovedì 22 aprile 2004
Hélène prende botte anche dalla madre, disciplinata con il battipanni e successivamente umilitata con una saponetta infilata di forza dentro la bocca; il tutto per il fatto d’essere stata scoperta, tramite il telefono dell'amica Jeanne, in strani giochi dentro l'appartamento del ragazzo di quest'ultima.

Venerdì 20 febbraio 2009
Bianca viene punita da Benoît, battuta pesantemente con una racchetta per tennis da tavolo, sul didietro della tuta; è la stessa racchetta che la figliastra aveva poco prima stupidamente imbrattato, con una scritta offensiva. Viene ridotta malissimo.

Domenica 15 marzo 2009
Hélène subisce un castigo da parte del signor Mariano, proprietario del locale in cui ai tempi ella lavorava, battuta con una paletta da cucina; era stata sospettata di avere preso parte al furto di tremila euro, avvenuto nel locale la sera precedente.

Lunedì 22 giugno 2009
Hélène si reca a casa del signor Mariano, dove viene educata da lui per l'ultima volta, con una pesantissima dose di sculaccioni: punita senza alcun apparente motivo, probabilmente per gioco.

Sabato 18 luglio 2009
Hélène subisce l'ultima lezione di tipo involontario, in tutta quanta la sua vita: viene punita dalla madre, piegata ad un davanzale con una ciabatta, in maniera da essere vista da tutti; castigata per le innumerevoli bugie raccontate durante il periodo di studio in Italia. Ha già diciannove anni.

Domenica 5 settembre 2010
Bianca viene sculacciata da Benoît di fronte alla madre e alla sorella, per aver fatto sparire le chiavi della rimessa in modo ingenuo e scellerato, prima di recarsi ad una cerimonia di battesimo. L’uomo di sua madre le solleva la gonna e le abbassa le mutandine battendola a lungo con la mano aperta.

Sabato 28 maggio 2011
Bianca viene nuovamente punita con gli sculaccioni, dinanzi alla sorella ed al suo fidanzato Bernard, per mano di Benoît e su precisa disposizione della madre; a causa del proprio deplorevole comportamento tenuto nei loro confronti. Viene esposta dinanzi a loro subito dopo le botte, con il sedere interamente scoperto.

Autunno 2011
Bianca viene punita per ben due volte, dall'uomo di sua madre, prima con la mano, e poi con la cintura. Disciplinata a causa dei suoi innumerevoli atti di inspiegabili leggerezza e stupidità. Non sarebbe certamente finita in quel modo, lo sapevano già tutti.
scritto il
2022-04-23
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