Taccuino di Hélène - L'Editore
di
Hélène Pérez Houllier
genere
sadomaso
Primo episodio
Dopo circa un anno dal loro unico incontro, lo scrittore Frank Van Harmeen incrociò Hélène per puro caso, dalle parti di Rue des Chapeliers: costei già sapeva della precedente relazione fra lui e la sua amica Michelle, ed era al corrente del fatto che non si fossero più visti da tempo.
Le propose di bere un tè lì vicino nei pressi, ed Hélène sciaguratamente accettò di entrare in quell’affollato bistrot: fomentata in modo assai profondo, da un’appassionata discussione letteraria tutta incentrata sugli strani generi prediletti dallo stesso scrittore, ella si lasciò estorcere una sua confessione. Hélène scriveva racconti erotici.
Da quando aveva iniziato a farlo, nove anni addietro, per la prima volta la sua identità di scrittrice veniva svelata; era forse quello il più scellerato errore tra i tanti? O era forse l’indifferibile necessità di venire finalmente allo scoperto?
Pregò Frank di non rivelarlo a nessuno, ma quegli si fece promettere torbidamente in cambio, di poter prendere lettura di tutti quanti i suoi racconti; fu così che la sera stessa del venerdì, la sedicente scrittrice gli girò tutti quanti i suoi lavori, opportunamente ordinati e ben illustrati: erano cinque scritti di circa settanta pagine ciascuno, oltre ad un lungo ed ambizioso volume articolato in quarantotto episodi, in cui raccontava in modo dettagliato la sua adolescenza.
Non passarono nemmeno due giorni, che Frank la chiamò per complimentarsi; pareva sincero ed entusiasta, del resto era esattamente il genere di racconti che egli prediligeva: benché Hélène ricordasse una sua decisa inclinazione verso situazioni ancor più ambigue, egli rivelò che erano piaciuti.
“Tu hai talento signorina Houllier”, le disse citando il suo cognome in modo intenzionalmente formale. “Non devi assolutamente restartene lì nascosta: il mio Editore ha letto alcune righe di Melone rosso caldo, e si è dato disponibile ad incontrarti la settimana prossima. Non è da tutti riuscirci”.
Hélène ristette su due piedi, trafelata. Lavorava sempre presso la sua redazione, non poteva certamente permettersi di venire riconosciuta. Con una buona dose di ingenuità, domandò: “Tu pensi che si possa pubblicare un libro erotico con un nome differente?”.
Erano le cinque del pomeriggio del 27 aprile, Hélène era seduta in una piccola sala d’attesa, davanti alla porta chiusa dell’Editore Jean-Pierre Ridot. Aveva legato i capelli e s’era truccata gli occhi in un modo diverso, nel goffo tentativo di confondere la propria identità; un tailleur grigio la stringeva in modo imbarazzante: aveva scelto d’indossarlo proprio perché era uno di quelli che non adoperava quasi mai quando era in redazione; non le calava addosso troppo bene.
Prima di lei, era stata fatta entrare nell’ufficio dell’Editore, una donna bionda, magra e giovane, che la segretaria aveva accolto con buona confidenza, chiamandola Lucille; al contrario esatto di Hélène, che era invece stata accolta con un tono decisamente più freddo, quasi persino sprezzante.
L’attesa sembrava già interminabile, mentre dall’interno dell’ufficio la voce dell’uomo, poteva essere udita a tratti; egli possedeva un timbro quasi baritonale, mentre della giovane donna che vi era entrata da oramai diversi minuti, non si poteva percepire nemmeno una singola parola.
Hélène sentiva caldo, stava quasi per scoppiare nelle sue calze e nella gonna; tuttavia, non osava sollevarsi dalla propria poltrona: la infastidiva lo sguardo insistito della segretaria seduta di lato; se ne stava tutta compunta, con le mani sulle ginocchia, la borsetta nera sul grembo, e la sua coda di cavallo ben pettinata che ne completava il profilo.
In un dato frangente, si udì la voce dell’Editore aumentare di tono, in modo fermo e graduale; Hélène ristette leggermente incuriosita: provò a concentrarsi per capire che cosa quegli andasse dicendo, mentre la sua ospite continuava apparentemente a tacere. Era probabile che quegli si fosse avvicinato leggermente alla porta, dal momento che improvvisamente la curiosissima Hélène, poté finalmente comprendere una sua precisa frase: “Questo! …questo tu ti devi ricordare! Lo vedi bene? Guardalo… ancora…”.
Poi apparentemente egli si allontanò dalla porta tornando al proprio posto; lo si intuiva dal fatto che le parole dell’Editore risultavano adesso, nuovamente difficili da comprendere.
Dopo un po’, iniziarono ad alternarsi ad alcuni silenzi; Hélène dedusse che fosse adesso la giovane donna a parlare, e ad un certo punto quel silenzio fu talmente prolungato, da concludere che quella stesse probabilmente leggendo qualcosa: cinque buoni minuti trascorsi in quella maniera.
Un rumore ovattato ma forte, seguito da un sospiro, ruppe quel prolungato incantesimo; Hélène trasalì, che cosa mai era stato quel tonfo? Poi riprese subito la voce dell’Editore, per altrettanti cinque lunghissimi minuti.
Hélène aveva compulsivamente accavallato le gambe, dopo avere sussultato goffa sulla poltrona. Che cosa mai era stato quel tonfo? La segretaria aveva udito a sua volta, ma era sembrata piuttosto incuriosita dalla reazione di Hélène.
“Si prepari, adesso tocca a lei” le disse dopo soli due minuti; “…si alzi” insistette. Hélène si sollevò leggermente a fatica, era decisamente tesa in quell’istante, con le gambe che le tremavano. Ma si sforzò parecchio per ricomporsi.
Finalmente la porta dell’ufficio si aprì, e la prima a comparirle dinanzi, fu proprio la giovane donna bionda; si era voltata a salutare in modo formale, e sembrava leggermente rossa in viso. Teneva in mano una spessa cartella piena di documenti, che evidentemente ella non possedeva, quando in precedenza vi aveva fatto il suo ingresso: erano leggermente stropicciati e del tutto disordinati, come se fossero stati ammucchiati lì dentro in modo a dir poco frettoloso; non doveva essere materiale di particolare valore, rifletté Hélène tenendo il viso basso.
“Venga avanti signorina Houllier”; l’Editore la chiamava. Hélène attese che l’altra donna uscisse, e non sembrava per nulla soddisfatta, pareva quasi sul punto di scoppiare in lacrime; quindi mosse un passo dentro la stanza e finalmente vide il volto di Jean-Pierre Ridot. Notò subito la sigaretta accesa, un dettaglio che rivelava come minimo, una mancanza di rispetto per lei; possedeva una piccola barba e un paio di occhiali con la montatura blu, un taglio di capelli ordinato con la riga di lato ed uno sguardo torvo e severo.
Hélène avanzò leggermente impacciata, tutta stretta nel suo tailleur grigio; mentre egli rimase seduto al suo posto, senza venirle incontro, porgendole semplicemente una mano.
Secondo episodio
Era stata messa alla prova.
Hélène avrebbe dovuto scrivere un racconto non lungo più di mille parole, entro il tempo di una sola settimana.
Si mise subito al lavoro con solerzia, anche se in onestà, ella non s’era sentita per nulla a proprio agio nella circostanza di quel primissimo colloquio: un monologo durato poco meno di dieci minuti, in cui quegli l’aveva solo istruita e ben indirizzata, dandole precise indicazioni, senza un reale ed oggettivo confronto.
L’Editore l’aveva trattata con grande sufficienza, quasi come se ella fosse stata solo, una semplice dilettante; ed in fondo Hélène lo era per davvero, una ingenua dilettante. Era l’ultimissima arrivata nel mondo degli scrittori, una aspirante e impreparata esordiente in quel proscenio affollato, pur se con oltre trentatré anni di vita alle spalle.
Il racconto, come tutti gli altri, avrebbe dovuto parlare di lei.
Hélène era normalmente molto lenta nello scrivere; spesso impiegava mesi interi per completare un solo episodio: lavorare sotto pressione non faceva davvero per lei; si ritrovò a svegliarsi presto la mattina, a volte senza la minima ispirazione. L’Editore le aveva suggerito di immedesimarsi il più possibile nel ruolo che egli le aveva attribuito, ed Hélène pedissequamente provava a farlo, per rispetto nei suoi confronti: si ritrovò talvolta a sedere, mezza svestita dai fianchi in giù, nel tentativo di infondere un senso di realtà a quello di inappropriato che ella elaborava. Le aveva detto di dover colare sulla propria nuova opera, una provocazione che la sciagurata aveva interpretato quasi come un ordine.
Ma in realtà, Hélène non possedeva una grande immaginazione. Una buona parte dei suoi scritti dava semplicemente conto, in modo a tratti un po’ marcato, delle sue nude ed inconfessabili verità. Inventare una storia nuova non era affatto semplice per lei, e lo sapeva. Seduta con un solo maglioncino a pelle e le calze autoreggenti bianche tutte strette, ella provava ad immedesimarsi in una torbida vicenda, che non le apparteneva affatto: non avendola mai in realtà nemmeno lontanamente vissuta.
Lo sforzo, tuttavia, aveva prodotto quello che ella riteneva essere un buon risultato. Quindici sole parole in più rispetto al limite massimo, le sarebbero sicuramente state condonate; in compenso il suo racconto era arrivato quasi fino al punto di eccitarla: e quello era il segnale che lei apprezzava. Si era finalmente inumidita senza toccarsi, poteva andare bene.
Con qualche ora d’anticipo rispetto alla rigorosa scadenza che le era stata imposta, Hélène inviò così all’Editore il suo scritto, con il cuore tutto pieno di grande speranza; ma ben presto si rese conto che la risposta tardava ad arrivare.
Ci vollero ben cinque giorni, nei quali la poveretta aveva già nel suo intimo, tratto le inevitabili conclusioni del proprio fallimento; Hélène oscillava sempre tra l’entusiasmo più insensato e la delusione più amara. Prima di ricevere l’oramai inattesa ed insperata risposta: la segretaria la convocava per il giorno dodici di maggio; le intimava massima puntualità, sottolineando i numerosi impegni nell’agenda di Jean-Pierre Ridot.
Hélène accolse l’invito con un misto di euforia e di timore; il messaggio non lasciava trapelare nulla circa il possibile giudizio sulla sua opera: quello l’avrebbe ricevuto direttamente di prima mano.
Dovette cambiarsi d’abito, nella toilette al piano terra della sua redazione, ed indossò il medesimo tailleur grigio della volta precedente. L’unica differenza, a distanza di un paio di settimane, era il fatto di non dover indossare più le calze. Legò i capelli e si truccò gli occhi e le sopracciglia: avrebbe forse ricevuto la tanto attesa proposta, di pubblicare un suo libro? Non stava nella pelle, e mentre saliva le scale con lieve imbarazzo nella sede dell’ufficio dell’Editore, la sciagurata realizzava di essere eccitata e gonfia come un pallone.
La segretaria le aprì la porta fissando il grande orologio a pendolo sulla parete; la invitò ad appendere il suo soprabito, ed infine le disse che poteva accomodarsi direttamente nell’ufficio dell’Editore; era fortunata che quegli fosse libero.
La stessa segretaria ne favorì l’ingresso, invitandola ad agire con una certa fretta, esortandola con deferenza: e questa volta Hélène trovò Jean-Pierre Ridot in piedi; fumava nei pressi della sua libreria, ed aveva disposto sul tavolo una discreta pila di volumi, tutti quanti di grosse dimensioni.
“Prego, si accomodi” le disse, senza tradire alcuna sfumatura nel tono della sua voce; la sciagurata si sedette mentre lui rimase in piedi alla sua sinistra, senza occupare il posto vuoto dall’altro lato della scrivania. Hélène non capiva perché l’Editore non tornasse a sedersi, era tesa; quegli appoggiò un ultimo libro in cima alla pila, un atlante geografico, il mattone più voluminoso di tutti. “Ogni proporzione, merita il suo adeguato spessore…” recitò con un tratto di voce quasi sarcastico; Hélène non capì che cosa egli intendesse dirle con quella battuta.
Poi spense la sigaretta in un posacenere, e finalmente prese a parlarle del suo racconto; ma non nei termini che la poveretta avrebbe sperato: “Mi scusi signorina, le pare questo un racconto erotico? …e dove sarebbe secondo lei, il suo tanto velato erotismo? Pensa davvero che qualcuno possa eccitarsi per le sue paturnie cerebrali ed inutili?”. Hélène abbassò la testa; dopo un solo minuto, già aveva compreso d’aver fallito la sua prima, e forse unica opportunità; ma quegli non si limitò alla sua premessa: “Lei non ha messo nulla di sé in questo racconto, è una spettatrice assente e distratta, indifferente rispetto alla sua stessa sorte”.
La stava letteralmente demolendo. Hélène avrebbe già voluto porre fine a quella specie di umiliante disamina: “Lei deve vibrare, deve gocciolare, deve scoppiare…” aggiunse l’uomo; solo a quel punto Hélène iniziò a comprendere, ciò che quegli intendeva veramente dirle fin dal principio, con quelle ambigue istruzioni che le aveva dato. Ma era chiaramente, oramai troppo tardi per rimediare.
“Non mi resta che concludere anche stavolta che, ogni proporzione, merita il suo adeguato spessore…” ribadì l’Editore, e a quel punto afferrò nuovamente con due mani, quel voluminosissimo atlante geografico. “Lo guardi bene, signorina; lei conosce il mondo?”. La scellerata ancora una volta non riusciva a seguirlo, per cui, pur di non dire cose senza alcun senso, ella scelse di non replicare affatto.
“E’ il più pregiato volume di geografia che esista; lei, signorina Houllier …lei lo conosce, il mondo?”; Hélène fece cenno di no con la testa, ma adesso aveva paura.
“Sono certo che invece lei lo conosca molto bene; non è forse un grosso mappamondo… quel coso enorme che lei nasconde sotto alla gonna, lì dietro?”. “Cosa …cosa vuole dire…?” balbettò Hélène, che adesso provava una sensazione nuova e completamente urticante: aveva capito che l’Editore voleva umiliarla, ma ancora non immaginava come.
“Mi mostri il mappamondo signorina, io le darò una lezione di geografia …e poi le insegnerò come si scrive, obbedisca”.
Hélène adesso tremava tutta; aveva capito di essere giunta ad un bivio, ma riteneva ancora di potersi rifiutare. “Perché deve finire sempre così…” pensava, mentre già immaginava che la sua reticenza le sarebbe costata il fallimento.
Tuttavia, l’Editore fu rapido e deciso nell’afferrarle un braccio, sollevandola in piedi, vedendola dondolare sulle sue scarpette; per poi indicarle con la mano sinistra la superficie libera della sua scrivania. “Pancia in giù, mappamondo di fuori!”. Lei non voleva, il suo tailleur le scoppiava addosso.
“Pancia in giù e mappamondo di fuori! Lei è fortunata perché io ho molta pazienza e non dovrei averne con una dilettante come lei… forza! Fuori quella specie di pallone!”.
“Non… non voglio…” sussurrò Hélène, mentre improvvisamente sentiva un trasporto nuovo e strano travolgerla dalla testa ai piedi, con le sue scarpette nere e lucide che docilmente aveva girato verso la scrivania; quell’atlante geografico avrà avuto forse, quasi mille pagine.
Terzo episodio
La sala d'attesa non era più vuota come al principio.
Un elegante signore con il bastone, accompagnato da un eccentrico uomo di circa trent'anni più giovane, erano seduti ad aspettare.
Lo schiocco fragoroso proveniente dall'ufficio dell'Editore, li colse entrambi di sorpresa. Fu la segretaria a sdrammatizzare, sottolineando: “L’avevo capito fin dall’inizio guardandola, che anche questa finiva così… sono tutte così stupide…”.
Hélène aveva abbassato il capo, mentre l’Editore era in piedi alle sue spalle; quegli depose il grosso atlante geografico dinanzi al viso della poveretta, aprendone una pagina a caso, nel mezzo. “La legga!” le ordinò; e mentre Hélène con grande fatica, iniziava balbettando, a scandire un poco interessante capoverso dedicato ai prodotti agricoli del sudamerica, Jean-Pierre Ridot le cingeva con entrambe le mani, l’orlo della gonna da dietro. “Continui a leggere!” ribadì; era probabile che da fuori lo si potesse persino udire.
Fu lento e delicato nel sollevarglielo, finché finalmente non emerse il didietro enorme di lei, fasciato dentro ad una tenera mutandina bianca; senza alcuna apparente emozione, l’Editore le rovesciò la gonna sulla schiena, ribaltandola sopra la giacchetta grigia del medesimo colore; poi le disse offendendola: “Non è molto diverso dal didietro di una scrofa”, per infine concludere: “…queste qui, adesso le togliamo”. A quel punto, con un gesto secco e deciso, cogliendo la povera Hélène di grande sorpresa, le abbassò la mutandina lasciandola tutta scesa all’altezza dell’inguine.
“Forza con quell’atlante! Continui a leggere!”; Hélène era già annichilita, ma riprese a recitare come un automa, mentre Jean-Pierre Ridot alle sue spalle, si era acceso una sigaretta e le guardava in modo insistito, la forma sconcia del sedere.
“Favorisca il volume, signorina Houllier…” le disse dopo circa cinque minuti, interrompendola bruscamente.
Hélène obbedì, e voltandosi per un solo istante, con uno sguardo torbido e perso, gli porse con entrambe le mani, il grossissimo libro; pesava quasi due chili.
L’Editore comprese che la donna non era del tutto nuova a quel tipo di situazione, per via della traccia umida che aveva negli occhi; sembrava ansiosa e timorosa. Egli afferrò l’oggetto e le ordinò di disporsi con entrambe le mani aperte sul tavolo. “Lei dovrà scrivere in questa posizione, con il mappamondo tutto di fuori, come adesso” e le scaraventò tutta la mole del gigantesco volume, sul sedere enorme, sentendolo schioccare in un modo esagerato e penoso.
La poveretta ululò, e nella sala d’attesa i due uomini si guardarono meravigliati.
La segretaria non nascose un sorriso ironico e desolato, e fece loro un cenno con entrambe le mani, come a voler indicare la bruttissima fine che attendeva la sconosciuta e malcapitata, aspirante scrittrice da strapazzo. Istruita a forza di botte.
“Sempre così!” ribadì Jean-Pierre Ridot; e brandendo quasi a fatica il pesante oggetto, lo rovesciò per la seconda volta, sulla superficie sfatta e rotonda del didietro di lei. “Oooh…”.
Oramai era palesemente chiaro a tutti, quello che stava accadendo dietro alla porta chiusa di quell’ufficio.
L’uomo più anziano ricevette una telefonata, e si distolse dall’ascolto di quei tonfi imbarazzanti, che oramai avevano preso a susseguirsi in modo continuo ed impietoso; si rivolse al suo interlocutore, parlando una lingua diversa dal francese, e salutandolo in modo cordiale: “Sono da Jean-Pierre, ma adesso credo che lui sia impegnato… sì, ti richiamiamo dopo… sì, sì, sono con Frank, Frank Van Harmeen…”. Gli schiocchi del libro continuavano a susseguirsi, senza alcuna soluzione di continuità; lo scrittore olandese ignaro, non poteva nemmeno immaginarlo, che fosse stata in fondo tutta quanta colpa sua. “Oooooh…”.
Quarto episodio
La porta dell’ufficio si aprì, dopo che la voce debordante dell’uomo, vi era rimbombata dentro per dieci minuti, senza alcun accenno di replica; Hélène comparve sull’uscio, livida ed umiliata, ed era rossissima in volto. La gonna pareva scoppiarle addosso, si vedeva benissimo che era stata rassettata di fretta. Le sue ginocchia erano rotonde e bianche.
“Il suo scritto è deludente signorina… ritenti solo quando avrà nuovamente studiato, la geografia… e rammenti in che posizione tenere il mappamondo …mentre lavora…”; le parole ambigue ed oltraggiose dell’Editore furono udite per intero, ed i due uomini si guardarono in viso stupiti, mentre Hélène girava mestamente il capo: era orribilmente imbarazzata.
Frank sulle prime non la riconobbe; incrociò i suoi occhi con indifferenza, per poi subito abbassarli e rialzarli in un tratto istintivo di sorpresa: “Hélène Houllier! …ma …allora eri tu con lui? …ti ha istruita?”. La poveretta non sapeva che da fuori si fosse potuto origliare tutto quanto. Nascose lo stupore dietro ad un finto sorriso, e stringendo le spalle, con vergogna rispose: “L’Editore… veramente lui mi ha bocciata… mi ha detto di riprovare solo quando studierò la geografia…”. Immaginava che l’avessero udito, mentre quegli frettolosamente la liquidava con quelle brevi e paradossali battute insensate: non si rendeva conto di quanto tutto ciò risultasse umiliante e ridicolo per lei.
L’uomo con il bastone si alzò in piedi con un certo impaccio, aveva un foulard al collo e un paio di occhiali con due lenti ovali molto spesse; guardò Hélène da cima a fondo con aria tersa, ed infine prese la parola in modo formale: “Signorina, lei trasuda calore, i suoi sensi di femminilità sono certo sopiti… dietro al suo stesso sguardo torbido e perduto… Dimentichi subito di essere stata istruita così severamente oggi: questo di sicuro le servirà. Si abbandoni alla forza delle nude emozioni, e vedrà che la sua scrittura migliorerà: giorno dopo giorno. Non demorda subito, signorina…”.
Hélène fu assai turbata nell’udire il riferimento a ciò che le era accaduto; comprese con tristezza, come la parola istruita possedesse un ben preciso significato all’interno di quell’ambiente. “La signorina Houllier scrive molto bene, sono stato io a consigliarla” disse Frank all’uomo più anziano. Quegli ignorò il suo commento; si mosse zoppicando, fin dentro all’ufficio dell’Editore, ed Hélène udì accidentalmente la voce baritonale di costui, che lo accoglieva in maniera cordiale: con un tono ben differente rispetto a quello duro ed assertivo adoperato con lei.
“Dimentichi subito di essere stata istruita così severamente oggi: questo di sicuro le servirà”.
L’uomo col bastone era stato il pigmalione di Frank e, forse, anche qualcosa di più: un severo padrino nei confronti del più giovane scrittore, che a lui s’era completamente affidato durante la propria iniziazione, letteraria e non solo; si chiamava Gustav Verhouten e benché fosse olandese di nascita, scriveva tutte quante le sue opere in lingua tedesca.
Storie di sadismo, ambientate sempre in un passato oscuro.
Chiese all’Editore di poter visionare il lavoro della donna obesa che era uscita dal suo studio, con l’intento di trarre l’ispirazione per un personaggio del suo nuovo libro: c’era qualcosa in lei che l’aveva colpito. “Mi è sembrata una vittima segnata: come la cameriera innocente Erika, che in luogo del suo crudele padrone, viene giudicata colpevole e quindi seviziata; è la nuova storia che io ho in mente…”.
“Tu sei veramente un genio perverso… io …non ci avrei mai nemmeno pensato: ma quella cicciona è semplicemente perfetta per te…” rispose Jean-Pierre Ridot, mentre si puliva le lenti degli occhiali; alludendo alla povera Hélène in modo veramente irrispettoso: “…Dovevi vederla, che scrofa…”.
L’Editore conosceva Gustav da oltre dieci anni: e così, su due piedi e senza alcuno scrupolo né minimo riserbo, gli espose una proposta veramente irriferibile: “Ti servirò quella scrofa su un piatto d’argento… in cambio dell’esclusiva per il tuo libro: la adescherò promettendo di usare qualche cianfrusaglia in cambio, e tu mi darai l’esclusiva”. “Ma, al netto dei diritti per la Francia e per…” replicò l’anziano scrittore, porgendo in avanti la mano. Il patto era siglato.
Il giovane Frank non disse né fece nulla per dissuaderli; era decisamente succube di quei due uomini, ai quali egli doveva il proprio discreto successo letterario. Ma in cuor suo avvertiva un crescente senso di rimorso verso Hélène: le intenzioni dei due uomini nei suoi confronti, erano orribilmente chiare. Giudicata colpevole e seviziata.
Quella storia sarebbe finita malissimo e lui lo sapeva.
Quinto episodio
Mademoiselle Houllier, le scrivo per conto dell’Editore Jean-Pierre Ridot.
Non avendo più ricevuto alcun riscontro da parte sua, l’Editore ha ritenuto di contattarla con una differente proposta: di lei è stata tuttavia apprezzata la pronta sottomissione, l’umiltà e la capacità di mettersi a servizio nella scrittura; più che le sue opere, è stata apprezzata la sua indole: si vorrebbe pertanto coinvolgerla come indiretta protagonista nel nuovo libro dello scrittore Gustav Verhouten. Tutto quello che lei dovrà fare, è partecipare ad alcune sessioni di approfondimento sul lavoro di costui, alla presenza di Jean-Pierre e del menzionato scrittore. Occorre che lei autorizzi l’impiego dei suoi testi nel contesto dell’opera citata, alcuni stralci potrebbero venire utilizzati con esplicita menzione del suo nome d’arte, che verrà opportunamente disposto. Le imponiamo per il momento, di attenersi alla massima riservatezza. Rsvp, grazie.
Partecipare ad alcune sessioni di approfondimento.
La sciagurata non capiva quale fosse l’intento dell’Editore, nel coinvolgerla passivamente alla preparazione di un libro, che non fosse il suo; tuttavia, la curiosità la spinse a cercare su internet più notizie possibili, relativamente all’anziano scrittore che l’aveva persino approcciata, nell’anticamera di Jean-Pierre Ridot: in quel loro primo, breve e casuale incontro, nel quale lui l’aveva caldamente incoraggiata.
Fu assai colpita dall’ambientazione delle sue opere, tutte collocate in un tetro e non meglio precisato periodo, a cavallo del medioevo: erano storie di estrema perversione, spesso caratterizzate da finali tragici e persino sanguinari.
Hélène avrebbe voluto chiedere consiglio a Frank Van Harmeen, ma le era stata imposta massima riservatezza; l’imbarazzo provato la volta precedente nei suoi confronti, l’aveva oltremodo bloccata dal parlargli. Così come ella, s’era improvvisamente persino bloccata nell’arte dello scrivere, dopo avere subito quell’umiliante trattamento.
Hélène tergiversava, nutrendo in cuor suo un vivo timore.
In quel periodo, era legata ad un uomo italiano che ella avrebbe incontrato a Bruxelles in men di due sole settimane; tutto la sciagurata avrebbe desiderato, fuorché mettersi nei guai seri, a pochissimi giorni dal suo arrivo in città.
Ma il pomeriggio del ventitré di maggio, la donna ricevette un nuovo lungo messaggio: vergato stavolta dall’Editore Jean-Pierre Ridot in persona, con tanto di firma.
Lei, signorina Houllier, assai evidentemente non ha alcuna idea di chi sia, Gustav Verhouten: egli è un vate nell’ambito della scrittura erotica, paragonabile forse unicamente a De Sade. Potrebbe vedere pubblicati alcuni suoi stralci in un libretto che distribuiremo assieme al suo. Ne sarà una viva protagonista.
Potrebbe divenire la prima scrittice del suo genere, a possedere un ruolo nell’opera di un ben più noto scrittore: una circostanza di rara tensione emotiva senza precedenti.
Ma se lei rifiuta questa nostra proposta, può dimenticarsi una volta per tutte, di poter lavorare: tutte le porte dell’editoria le saranno serrate dinanzi, Hélène Houllier resterà per sempre una dilettante.
Ci pensi signorina Houllier, e risponda alla mia segretaria quando finalmente avrà mosso il culo. Entro settantadue ore.
Mancavano soli due giorni all’arrivo in città, dell’uomo con cui ella era legata. Un’irriconoscibile Hélène, si truccava gli occhi e le sopracciglia dentro il bagno del piano terra, nella sua solita redazione: era attesa dai due uomini alle sei, nello studio dell’anziano scrittore olandese che viveva a Marolles.
Ancora una volta aveva indossato il suo tailleur più stretto, con una camicetta bianca chiusa fino al collo, e due scarpe eleganti col tacco basso; anche quel giorno aveva legato i capelli in una sobria coda di cavallo, composta e ordinata.
Frank l’avrebbe accompagnata, era l’unica concessione che ella aveva ottenuto; la passò a prendere con una vecchia Citroën, una macchina da artista squattrinato. Il giovane le aprì lo sportello con uno sguardo perso, pareva quasi imbarazzato per quanto la donna s’apprestava a fare: l’ambiente della scrittura ispirata al sadismo, era forse uno dei luoghi più pericolosi in cui muovere i propri passi, per una dilettante facilmente adescabile come lei.
Hélène aveva mosso il culo, eseguendo ancora una volta, gli ordini del suo stimato Editore: ma probabilmente in questa circostanza, ella se ne sarebbe assai amaramente pentita.
Sesto episodio
“Il suo nome da oggi è Erika Coppel. E… ri… ka… Coppel, di Bamberg, Baviera: le piace? Pubblicheremo anche i suoi stralci con questo preciso pseudonimo”.
Seduta su una sedia in legno, a lato di un tavolo rettangolare, Hélène sentiva molto caldo, l’ambiente era chiuso e rarefatto; si era tolta la giacca rimanendo nella sua camicetta bianca: l’odore del fumo della pipa del padrone di casa, si mescolava a quello insopportabile del legno degli antichi arredi.
“…Non lo so… è strano” replicò lei a bassa voce.
I due uomini l’avevano accolta in un elegante appartamento situato al terzo piano di un edificio di valore storico, non lontano dal grande palazzo del tribunale; Gustav possedeva uno studio molto grande pieno di libri, un luogo scuro ed opprimente proprio come quelli dei suoi racconti.
L’anziano scrittore era sposato con una donna del Suriname, che aveva introdotto in casa Hélène mettendola a proprio agio, con l’atteggiamento di una rispettosa governante.
“Vuole conoscere la trama del libro… immagino, signorina Houllier” intervenne l’Editore col consueto tono serioso.
Hélène fece cenno di sì con la testa, ed allora l’anziano scrittore accese una lampada sulla propria scrivania. Prese a leggere un manoscritto, la cui ambientazione era stranamente, sita nel presente e non nel lontano passato.
“Le abbiamo tolto… sette anni e tre giorni” esordì Gustav Verhouten, con un tiepido sorriso. Poi riprese tossendo: “Sua madre Johanna era una prostituta d’alto bordo, adorata dal proprio padrone, ma purtroppo muore di malattia quando lei, Erika, ha soli dodici anni…”.
“Stiamo parlando dell’anno 2009, quello della sua prima vera esperienza, a ben leggere la sua interminabile Storia di Hélène…” irruppe Jean-Pierre Ridot. Ed era vero; Hélène lo aveva raccontato nei suoi scritti, e quell’importante dettaglio non doveva essere sfuggito, all’attenta lettura dell’Editore.
“Lei entra nella casa del suo padrone, lo stesso giorno della sua prima volta, il 19 di febbraio; il padrone sa che lei non ha più nessuno cui affidarsi, così la accoglie in casa con l’intento di metterla a disposizione della sua servitù: tre uomini e cinque donne più grandi di lei. Benché molto giovane, lei avrebbe iniziato a servire fin da subito”.
Divenuta una vera femmina nel mondo reale. Entrata lo stesso giorno, nella casa del padrone in quella trama oscura che si andava dipanando: non certo una semplice coincidenza, e non sarebbe stata che la prima.
“Vuole… fare qualche domanda?”, intervenne nuovamente Ridot, interrompendo così la narrazione della storia.
Hélène sbirciò Frank, che era rimasto fermo in piedi di lato, e quegli le diede cenno di farne almeno una; era impacciata al cospetto di quei due uomini, che avevano architettato tutta quella lunga vicenda, che la riguardava molto da vicino.
“Co… come si chiama, il mio padrone?” chiese timidamente Hélène; come se in cuor suo, ella avesse iniziato ad intuire l’impiastro. L’anziano scrittore attese che a rispondere fosse lo stesso Jean-Pierre Ridot: “Il suo padrone ha quarantanove anni quando tutto ciò accade; il suo nome è Gustav”.
Il silenzio di Hélène fu miseramente esplicito, e fu notato; ma proprio con l’intento di incalzarla, l’Editore riprese subito la parola, chiarendo un aspetto importante: “Da questo momento in avanti, lei signorina si rivolgerà ogni volta a Gustav, chiamandolo esplicitamente proprio così: Padrone. In modo da calarsi meglio nella sua parte; è chiaro, ovvio?”.
La poveretta non osò domandare, se sussistesse o meno l’opzione per lei, di rifiutare quell’inutile gioco; ma sarebbe stato, tutto sommato, nient’altro che un piccolo sforzo in più da compiere: fece pertanto, un timido cenno di sì con la testa.
“Il suo padrone la tratta con rispetto, era molto affezionato a sua madre… e la vede crescere in forza e salute: pingue, più o meno come lei lo è adesso, signorina”. Hélène anche stavolta non disse nulla, ma evidentemente non aveva affatto apprezzato il chiaro riferimento alla forma tondeggiante del proprio corpo; certamente l’altro uomo l’aveva già abbondantemente vessata e derisa, durante il loro precedente incontro; ma stavolta era l’anziano scrittore ad indulgere in tale dettaglio, seppur in modo più lieve e garbato.
“Lei deve ringraziare il proprio padrone, ogni volta che egli completa una precisa frase, signorina …Erika”, aggiunse Ridot, cogliendola stavolta decisamente impreparata. Anche Frank parve meravigliarsi, del modo in cui il suo Editore intendeva far evolvere quella pericolosissima situazione.
“…la vede crescere in forza e salute: pingue, più o meno come lei lo è adesso, signorina”, riprese Gustav Verhouten. Il suo sadico compare fissò Hélène in modo assai torvo, e quella sciaguratamente prese a corrispondergli: “…Grazie, Padrone”; il gioco era diventato esplicito.
Ci fu un nuovo attimo di silenzio, il fumo della pipa era fastidioso, mentre il posacenere nel mezzo al tavolo era già pieno di sigarette spente; la moglie dello scrittore entrò rispettosamente nella libreria, portando con sè un piccolo vassoio di patisserie: ed Hélène fu invitata a prenderne per prima; le gosette erano veramente deliziose e la aspirante scrittrice ne mangiò così un paio, ingozzandosi di fretta.
“Ne prenda quante ne vuole” le disse la moglie dell’uomo, dileguandosi rapidamente e chiudendosi poi la porta alle spalle; era bassa e tonda, con capelli ricci non troppo lunghi.
Gustav Verhouten ricominciò a leggere: “Vi è piuttosto un uomo, il capo della servitù, che non l’ha presa in simpatia; egli ha quasi trent’anni e proviene da Strasburgo”.
“Non ringrazia il suo padrone?” la incalzò Ridot.
Hélène dovette dedurlo dall’origine francese, o forse più semplicemente, per il fatto che era già tutto tristemente scontato in quella ridicola storia; così, fissando il vuoto, ella domandò: “…mi perdoni Padrone, posso chiederle come si chiama il capo della sua… servitù?”.
“Lo sa già signorina… lei conosce già benissimo il suo nome: quell’uomo la disprezza assai…”, rispose Gustav Verhouten. Jean-Pierre Ridot guardò Hélène in modo severo, si erano perfettamente capiti; poi accese una sigaretta senza aggiungere nulla, attendendo che quella povera sciagurata, ossequiosamente ringraziasse per una volta ancora.
Settimo episodio
La trama presentava numerosi salti temporali: si accennava tuttavia ad un primo amore per la diciassettenne Erika, non del tutto ricambiato, da parte di uno stalliere; un chiaro ed ovvio riferimento, ad uno dei suoi racconti che entrambi gli uomini avevano letto, dal titolo Melone rosso caldo.
Era stata scoperta, e con l’ennesimo richiamo anedottico al suo racconto, la giovane Erika veniva punita per la prima volta dal suo padrone; precisamente il giorno cinque d’agosto.
La scena si svolgeva sul sedile posteriore di una macchina, in modo inatteso e del tutto rovinoso. Da lì sarebbe cambiato tutto quanto.
Hélène continuava senza troppa enfasi, a ringraziare l’anziano scrittore in modo meccanico, al termine di ogni sua frase: ma era oramai del tutto evidente, come i due uomini la stessero banalmente raggirando. Quella storia era la sua: tutte le vicende, e persino le date, ricalcavano alla perfezione quanto ella aveva descritto all’interno dei suoi racconti.
Con l’unica eccezione, per niente affatto ovvia, del possibile e drammatico finale. Giudicata colpevole e seviziata.
“Adesso si è introdotta a sufficienza nel suo personaggio… signorina Erika?” chiese l’Editore provocandola in modo beffardo. “Questo finale noi lo dobbiamo ancora scrivere… e lei signorina Erika … adesso ci dovrà aiutare a farlo…” aggiunse guardando l’altro uomo con aria complice.
Erano successi alcuni fatti strani, all’interno della casa in cui la cameriera Erika Coppel, adesso ventiseienne, viveva e lavorava; il capo della servitù aveva quarantadue anni, mentre il suo padrone ne aveva già trascorsi sessantatré.
Fatti strani e decisamente molto gravi.
Una nuova cameriera più giovane, di nome Corinna, era stata sfregiata con una lametta durante il sonno; i sospetti s’erano concentrati nientedimeno che sul suo padrone. Era infatti noto, come la ragazza avesse rigettato alcune sue ambigue avances. E avesse poi lasciato intendere di volersi persino dimettere, ed infine denunciarlo per abuso ed intimidazione. Il criminale gesto aveva forse l’intento di spaventarla e dissuaderla?
Quella giovane cameriera non s’era affatto tirata indietro: la denuncia era piovuta sul capo dell’anziano padrone Gustav, benché non vi fossero precise prove a suo carico, all’infuori di quelle sue esplicite proposte rifiutate.
Lo scrittore all’improvviso si interruppe, ed Hélène ancora una volta in modo servile, lo ringraziò.
Poi aggrappandosi al bastone, egli si alzò in piedi; la trama del suo libro si interrompeva lì. La sciagurata finalmente, non avrebbe più dovuto ossequiarlo: pensava in cuor suo, che adesso si sarebbero accordati per il completamento del lavoro, sarebbe stata lasciata libera di ritornare a casa.
Non le piaceva quella storia: le appariva scontata e banale; Hélène avrebbe sicuramente aggiunto qualche episodio di erotismo più terreno, all’interno della trama. I personaggi disegnati da Verhouten poi, le parevano tutti freddi e distanti, sembravano fantasmi venuti da un lontano passato; la donna sedeva compostamente con le gambe accavallate, attendendo istruzioni da parte dei due uomini.
“Noi sosteniamo che, a deturpare il volto della cameriera Corinna, sia stata proprio lei …signorina Erika”. Le parole dell’Editore la sorpresero completamente, facendola sobbalzare; “…lei lo avrebbe fatto solo per invidia… dal momento che non era più la favorita del suo padrone”. Hélène dovette corrispondere con uno sguardo talmente stupito, che quegli ne parve persino compiaciuto: si alzò anch’egli dalla sedia, mentre Frank Van Harmeen taceva di lato, immobile.
Adesso il gioco si faceva orribilmente chiaro ed esplicito.
“Il capo della servitù ha delle prove a suo carico” aggiunse Jean-Pierre Ridot, inforcando nuovamente i suoi occhiali.
“Ma …ma signori, la storia non deve essere ancora scritta?” balbettò Hélène disorientata; quella piega non le piaceva affatto, preludeva ancora una volta, ad una forma ben certa di punizione. L’anziano scrittore s’era fermato a breve distanza e la scrutava, per comprendere le sue reazioni. Le piaceva il fatto che ella si fosse meravigliata, improvvisamente aveva colto in lei, la sua vittima designata.
“Non sarebbe la prima volta, che lei mi delude …infima e miserabile donnetta grassa” esclamò costui.
“…ma …ma …ma come si per…” provò a reagire Hélène, trattenendosi poi subito, per il timore di rovinare tutto; doveva ancora stare al gioco con quei due uomini. “Ringrazi il suo padrone! Gra zie, Pa dro ne …obbedisca!” la incalzò senza tentennamenti Jean-Pierre Ridot.
Ed Hélène lo fece, consegnandosi inconsapevolmente, senza residua dignità: in quell’istante, ella era già diventata Erika Coppel; una improbabile cameriera con tanto di tailleur, lì, in carne ed ossa. E ora accusata di un atto criminoso.
“Non è la prima volta, che mi capita di redarguirla, e di istruirla” aggiunse Gustav Verhouten; “Ricorderà certamente la prima volta che lo feci, sul retro di quella limousine…”.
Ancora una volta quella parola, istruirla, il cui significato era oramai divenuto per lei, alrettanto chiaro ed esplicito.
“Grazie… Padrone…” recitò Hélène in modo sciagurato.
“Fa bene a ringraziarmi… quella volta la videro in tanti. Fu istruita per bene nella macchina, vicino all’ingresso del parco. Non ebbi remora a farlo, come non ne avrò oggi”.
La donna si impose di ringraziarlo per una volta ancora, ma iniziava a provare fastidio, per i continui riferimenti al suo castigo in età giovanile, sul quale l’uomo indulgeva in modo assai pesante ed insistito.
“Con l’unica differenza, che lei oggi è molto più grassa di allora… dovrò tenerne assolutamente conto…”.
Stavolta la scellerata tacque, e vide l’anziano scrittore che, avanzando col suo bastone in modo incerto, schiudeva un cassetto. Trovandovi immediatamente dentro, quello che egli cercava: una fasciona in pelle scura, una cinta alta e spessa, il rimasuglio di quel che doveva esser stato un abito da donna.
Era quello l’attrezzo domestico che egli aveva scelto.
Jean-Pierre Ridot si era spostato di lato, ed Hélène era rimasta da sola, compostamente seduta, con le cosce che le tremavano; aveva deciso ancora una volta, di non volerlo.
“Con l’unica differenza, che lei oggi è molto più grassa di allora… dovrò tenerne assolutamente conto…”.
L’anziano scrittore si mosse al centro della libreria, tirando sempre la sua pipa; la moglie, nel frattempo era compostamente entrata per ritirare il vassoio vuoto. Vide la spessa cintura in pelle nelle mani del marito, e subito filò via abbassando lo sguardo: non immaginava che quella giovane donna potesse prestarsi al gioco, non credeva che ella fosse in fondo poi, così sciaguratamente schiava di tutti loro.
Adesso gli uomini tacevano, l’unico rumore era quello di un orologio a muro, ed ogni tanto il sibilo minaccioso della cintura, sciabolata nel vuoto dalla mano destra leggermente malferma di Gustav Verhouten; adesso toccava ad Hélène, decidere se oltrepassare il limite ultimo della vergogna, dinanzi a tutti loro. Ne andava di mezzo la sua carriera.
“Con l’unica differenza, che lei oggi è molto più grassa di allora… dovrò tenerne assolutamente conto…”.
Ottavo episodio
“La servitù verrà riunita per assistere al castigo della cameriera colpevole”.
L’anziano scrittore era in preda all’ispirazione più fervida; trascinato da una voluttà depravata, aveva ordinato al suo sempre servile Frank, di trascrivere tutto ciò di inappropriato egli immaginava. Era obbligato a farlo.
“La scena si consumerà nella libreria del padrone, dal momento che è il luogo più silenzioso della sua dimora; non si vuole infatti turbare nessuno di quanti possano avvicinarsi nei pressi”. Poi aggiunse: “Tuttavia, vengono invitati ad assistere coloro che sono in casa, senza nessuna eccezione; per alcuni, è dato accesso alla libreria per la prima volta”.
La porta si aprì, ed anche la moglie dell’anziano scrittore vi fece nuovamente ingresso in modo complice e silenzioso; aveva origliato di nascosto, dal corridoio, quelle precise istruzioni di suo marito: immaginava che ciò fosse quello che egli desiderava, di renderla anch’essa partecipe.
L’Editore si era spostato a sinistra e teneva le braccia conserte; sfiorava con la mano la sua piccola barba, mentre nella testa già pregustava la successiva, e ancor più perversa, evoluzione della trama. Frank era poggiato alla scrivania, dal lato opposto rispetto a quello ove inizialmente era stata seduta Hélène, e scriveva tutto in modo meccanico.
Gustav tratteneva la fasciona in pelle con ambedue le mani, mentre in mezzo a tutti loro, oramai da alcuni minuti, una donna piegata in avanti giaceva immobile.
Le avevano ordinato di disporsi in quel modo, con i gomiti allineati sul duro legno, senza dire né fare nulla: e la sciagurata aveva obbedito, immaginando che non sarebbe finita lì. Fissava la parete coi libri dinanzi a sé, e respirava.
“Lei deve rimanere immobile finché non sarà giunto anche l’ultimo dei camerieri ad osservarla”; il risolino dei presenti era del tutto fuori luogo, ed Hélène si sentì sprofondare.
Anche l’ultimo dei camerieri era arrivato. Con tono solenne l’anziano scrittore concluse: “Il capo del personale Jean-Pierre, l’ha colta in flagrante nell’atto criminoso che lei ha operato: chiedo pertanto proprio a lui, in quanto testimone, di procedere sollevandole completamente la veste e scoprendola… prego signor Ridot, quella veste, su…”.
Ancora una volta Hélène sentì le mani dell’Editore afferrarle il tessuto dal basso. E stavolta fu rapido ed essenziale nel tirargliela sopra. Un colpo di tosse dell’anziano scrittore suggellò la scena, mentre Frank per pietà si mise una mano sugli occhi. Non voleva vedere ma dovette farlo.
La donna aveva indossato una mutandina bianca leggermente più succinta per via del caldo; i bordi stondati in cima la lasciavano leggermente libera di sotto. Fu così che le quattro persone lì presenti, colsero immediatamente quei glutei bianchi e lattiginosi, molli e deturpati dalla cellulite, liberi in mezzo alla sala, ed esposti dinanzi ai loro sguardi.
“Lei possiede veramente… le forme di un elefante; non immaginavo che una mia cameriera potesse essere tanto grassa. Prima la castigherò e poi le imporrò una dieta…”.
La fantasia di Gustav era mossa dall’ispirazione, mentre l’Editore se ne stava sempre a un passo dalla poveretta, piegata in avanti; attendeva l’ordine di abbassarle le mutandine, ma a quanto pare l’anziano scrittore non lo desiderava. Avvertiva la pressione salirgli in corpo, temeva che ciò potesse divenire visibile sotto i suoi pantaloni, alla presenza della moglie.
“Il capo del personale, le tratterrà le culotte in modo da scoprirla per intero”. Frank trascrisse anche queste incresciose parole, mentre l’Editore obbedendo a sua volta, afferrò il filino nel mezzo; stringendolo in modo da far sì, che le misere chiappone di Hélène, risultassero ora inesorabilmente scoperte. Le vide oscillare penosamente.
“Signorina Erika, lei è colpevole nei confronti miei e di tutta la servitù; verrà processata e sanzionata nei prossimi mesi, con una detenzione. Quest’oggi lei raccoglie solamente il frutto di ciò di assolutamente turpe e immorale, lei ha compiuto… la sua pena è questa, di venire esposta al ludibrio e alla vergogna…”; Hélène tacque mestamente, senza muovere la testa; stava scoppiando nella sua camicetta bianca del lavoro. Aveva paura.
“Stringa le gambe, abbassi il capo e sollevi le terga!”.
La poveretta obbedì una volta ancora; era pronta in posizione.
Infine, quegli aggiunse: “Ad ogni colpo di cinta che subirà, dovrà ringraziare me e il suo diretto responsabile. Dopo averne aggiornato il conto”.
L’Editore le strinse ancor più la mutandina, facendola irrigidire; ed improvvisamente Hélène fu travolta da una sciabolata fortissima, che schioccò nella libreria in modo fragoroso ed inatteso. Urlò come una disperata, senza rammentare di ringraziare entrambi, scuotendo i fianchi.
Il freddo che aveva sui glutei si era tramutato in un dolore lancinante, dopo quel solo primo colpo, assestato con grande maestria; anche la moglie dell’anziano scrittore aveva sussultato, nel vedere il marito impartirle quella sferzata.
“Ad ogni colpo di cinta che subirà, dovrà ringraziare me e il suo diretto responsabile. Dopo averne aggiornato il conto”, ribadì Gustav Verhouten, e Frank prese nota per una volta ancora.
“Uu… noo …grazie Padrone e grazie …sii …signore”, biascicò Hélène, dopo che fu travolta per la seconda volta. Le chiappone s’erano mosse in modo penoso, curvandosi sotto la spinta inesorabile di quello spesso oggetto in pelle.
“La castigherò e poi le imporrò una dieta… cicciona” insistette lui: e subito la colpì di nuovo, leggermente più in basso, vedendola piegarsi in avanti e stringere le spalle, tutta contrita”. “Du… due duee, gra… grazie …Paa drone…”.
“E grazie signore!” urlò Gustav, uscendo per la prima volta dal suo consueto e garbato aplomb, scaraventandole addosso un colpo più duro dei precedenti. Al quale la scellerata Hélène rispose con un guaito penoso ed imbarazzante.
“Lei oltre che grassa, è persino indolente… stringa le gambe!” le ordinò lo scrittore; e trattenendolo dapprima con due mani, liberò per l’ennesima volta tutta la massa di quell’oggetto, scuotendolo sulla carne bianca ed indifesa della poveretta. “Tree… grazie Padrone e grazie si…”.
“Aaaah…”; fu colpita immediatamente in modo virulento, con più forza ancora.
L’anziano scrittore si fermò per un istante, mentre Jean-Pierre era sempre in piedi alle spalle di Hélène, e le tratteneva lo slippino sollevato con severità e rigore. Frank alzò lo sguardo dal foglio, e notò come quest’ultimo esibisse suo malgrado, una mole ferma sotto i pantaloni.
“Il culo di una elefantessa” disse Gustav a bassa voce, e fu udito da tutti fuorché da Hélène, che taceva piegata in avanti. “È pronta?” recitò alle sue spalle; la poveretta biascicò un sì sommesso e delicato; e subito arrivò una nuova scudisciata, forte e precisa, che le fece vibrare la schiena e le scarpette: “Quaaattro ...quattro siiignore e Padrone”.
“Prima padrone… e poi signore” urlò l’anziano scrittore in modo fermo, scandendo una singola sillaba alla volta; “adesso gliene ne darò due di seguito, affinché possa ringraziarci due volte. Prima grazie padrone, poi signore”.
Mantenne la promessa, e le impartì due colpi in rapida sequenza; ai quali la scellerata Hélène rispose correttamente, sebbene riuscisse a malapena a parlare.
Il sederone della donna adesso vibrava penosamente; ambedue i glutei erano segnati di vivo colore rosa, in maniera assai vistosa, e non era ancora che l’inizio. “Andremo avanti fino a ventisei, la sua età… affinché ella impari quanto peggiore sarà il castigo qualora lei trasgredisse di nuovo, negli anni a venire…”.
Frank alzò nuovamente gli occhi, e spiò di profilo la sagoma di quel sederone mollo e vergognoso che oscillava in continuazione; poi lo sguardo cadde nuovamente sul pantalone dell’Editore, gonfio in modo inequivoco lì nel mezzo. Il volto di Hélène era del tutto arrossato.
Fu battuta di nuovo, per tre volte di seguito; la poveretta abbassò la testa aprendo leggermente le caviglie in basso.
“Stringa le gambe e alzi le terga!”.
“Aaaaaah…”.
“Ooooooo”.
Il culone della povera donna iniziava ad arrossarsi in modo imbarazzante, davanti allo sguardo perverso dei due uomini e della curiosissima moglie di Gustav; mai egli aveva alzato un solo dito nei suoi confronti. I loro accordi matrimoniali non lo prevedevano, per sua fortuna.
L’orologio a muro segnava le otto meno un quarto, col suo rumore lento e regolare, alternato agli schiocchi impietosi della cintura che si abbatteva sul culo mollo di Hélène.
“Stringa le gambe e alzi le terga!”.
Era un supplizio senza fine, impartito con crudeltà e grande maestria.
“Ooooooo”.
Nono episodio
Erano arrivati a venti.
Il culone di Hélène aveva assunto il colore vermiglio di un vecchio melograno: giammai la poveretta era stata punita così duramente, per quanto ella fosse avvezza alle botte.
“La… la pre …la scongiuro … fa tanto …tanto male…” ebbe l’ardire di sussurrare, quando oramai il dolore l’aveva già travolta e del tutto annichilita. L’Editore alle sue spalle continuava a tenerle il filino della mutandina sollevato, ed era eretto in modo imbarazzante: aveva veduto le chiappone di quella disperata tingersi dapprima di rosa, poi indurirsi come una scorza d’arancia; ed infine arrossarsi per intero.
Non ottenne alcuna risposta: l’anziano scrittore mollò un paio di colpi a vuoto nel mezzo alla sala, e poi allargò nuovamente il braccio per riprendere il lavoro.
“Aaaaaah!” urlò la donna; era stato ancor più severo nel colpirla. “Non ho sentito…” dissè imperturbabile Gustav.
“Ve …ve… ventuuunoo… signore… pa Padrone…”; oramai la poveretta non riusciva nemmeno più a parlare.
“Che cosa succede con lei… signorina Erika… non riesce più a contare adesso? si è completamente instupidita?” la umiliò lo scrittore; vedendola rassettarsi frettolosamente sulle gambe, nel tentativo di ricomporsi. Ma non fece in tempo, che subito fu battuta di nuovo, con una violenza impressionante.
Decise di ripartire dal venti.
Ma Hélène era completamente obnubilata da quei colpi; sbagliò per altre due volte a contarli correttamente: costringendo l’anziano scrittore a ripartire ancora daccapo.
“Ooooooo”.
Frank non riusciva più a guardarla; la poveretta teneva la testa poggiata al tavolo, la bocca spalancata e la coda di cavallo rovesciata sul davanti; le mani erano aggrappate ai bordi della scrivania, mentre il busto si muoveva leggermente di lato, ad ogni sferzata che subiva.
“Veeenti …tree …grazie Padrone …e gra grazie siiignore…”.
“Ee …veeentiquaaattro”.
“Aaaa… veeeeenticinque…”.
Gustav fece un piccolo passetto in avanti, reggendosi sul bastone, e le impose la mano sinistra aperta, sopra la gonna interamente ribaltata; notò anch’egli, come il suo compare fosse stranamente gonfio sotto ai pantaloni. Di contro, il vecchio scrittore, aveva provato sensazioni purissime di lucida perversione: un vivido, scellerato sadismo crudele; nei confronti di quella donna così tristemente irresponsabile.
“Stringa le gambe, elefantessa!” urlò all’improvviso.
“Aaaaaaaah”.
L’aveva battuta tenendola ferma, facendole ancor più male.
“Che culo orrendo che ha…” chiosò oltraggiandola. Tutto tacque nella sala, lasciando la povera donna in balia dei propri sospiri e delle innumerevoli lacrime che le rigavano il volto arrossato e avvilito.
“Cara, portami il catetere…” disse l’uomo alla moglie.
“No… noo no, cosa vuole… cosa volete fa…” si ridestò improvvisamente Hélène, ricomponendo le idee a fatica, mentre l’Editore imperterrito le reggeva sempre il filino bianco della mutandina, attendendo nuove istruzioni.
“Questo schifo di didietro, adesso dobbiamo sgonfiarlo…” disse con totale freddezza e distacco lo scrittore, vedendo Frank che incredulo, aveva persino smesso di prendere nota.
La moglie si mosse pedissequamente, lasciandoli soli per diversi minuti; tutto tacque nuovamente all’interno della sala, con la povera Hélène sempre piegata in avanti.
Poi la donna rientrò con la solita aria rispettosa, portando con sé lo scellerato attrezzo col tubo flessibile, assieme ad un righello di plastica per misurare.
“Fuori! Fuori quel culo!” ammiccò Gustav verso l’Editore. E quegli afferrando frettolosamente l’elastico delle mutandine di Hélène, dopo averle mollato il filino nel mezzo, gliele tirò giù all’improvviso, vedendola traballare. Gliele lasciò sospese poco sopra le ginocchia. “Noooooooo…”.
Era stata finalmente denudata.
Adesso quel mappamondo, lo stesso che egli aveva più volte vessato e deriso, si offriva livido, tremolante e completamente deturpato dinanzi a tutti i loro occhi: un panorama davvero triste e imbarazzante.
“Cosa vuole… cosa volete fa… farmi” biascicò incredula, con le lacrime agli occhi, la poveretta piegata in avanti. “Aprila! …aprile quel coso informe!” ordinò Gustav, che era divenuto adesso persino volgare, oltreché assai feroce nei modi.
Sentì la punta del catetere infilarsi un poco alla volta; “…noooooo” urlò la sciagurata Hélène, ma presto fu soggiogata ancora in modo completo: le fu infilato dentro per bene. Sentì l’aria passarle nel buchino, non aveva mai provato una sensazione così umiliante e penosa davanti ad altra gente. Fu liberata solo dopo che lo ebbe riempito, un autentico schifo durato minuti.
“Lei Erika non ha nessun decoro né dignita… si deve solo vergognare…”, esclamò l’anziano scrittore alle sue spalle, osservando ancora una volta, il catetere che s’era riempito.
Frank a quel punto provò a prendere le difese della donna, in modo pavido e timoroso: “Signori io credo… credo che per oggi possa bastarle così… non ritenete? È stata istruita in modo sufficiente… io credo…”. Non fu ascoltato.
“Il righello… per favore” riprese Gustav, ignorando completamente quella sua preghiera. La moglie lo porse al marito, il quale fece piuttosto cenno, che ad agire intervenisse adesso l’Editore; era apparentemente appagato, e con calma s’accese nuovamente la pipa, reggendosi faticosamente al proprio bastone. Jean-Pierre Ridot avrebbe a quel punto, dovuto misurarle la larghezza del sedere.
Hélène nell’accorgersene, trasalì: quel righello era rigido e flessibile al tempo stesso, sarebbe stato veramente troppo doloroso per lei, riceverlo dopo tutte quante quelle scudisciate; non disse nulla, pregando in cuor suo, che non fosse quella la loro intenzione. Stava letteralmente scoppiando per il dolore.
“Quarantadue centimetri, scrivi” declamò l’Editore, rivolgendosi a Frank; sotto i pantaloni esibiva una massa ingombrante e turgida: adesso era per davvero, completamente eretto; dopo avere assistito da vicino, alla sevizia del catetere. La povera Hélène non poteva saperlo.
Con la mano destra avvicinò il righello ai glutei caldi e rovinati della donna, mentre con la sinistra ne trattenne l’altra estremità, flettendolo. Poi lo mosse al centro, all’altezza del forellino che era stato appena liberato dal tubo. Sarebbe stato quello, il punto estremo del dolore.
“Dilati queste chiappone!” ordinò con voce stentorea alla povera donna; Hélène non capiva che intenzione egli avesse.
“Dilati quelle stupide chiappone… obbedisca!” ribadì immediatamente. La poveretta non capiva che cosa quegli intendesse farle e ancora una volta non si mosse.
“Noooooo…” ululò, sentendo improvvisamente le mani tremolanti dell’altro uomo più anziano, che adesso le reggevano il culo da dietro, aprendolo imperiosamente.
Due uomini in preda al sadismo più perverso, erano in piedi alle sue spalle; Ridot con il suo righello flesso, a pochi centimetri di distanza, pronto a liberarne l’estremità sinistra tutta tesa. Verhouten leggermente di lato, con le mani malferme che avevano impietosamente afferrato tutta la massa informe di quella specie di pallone completamente sfatto, aprendolo in due con vigore e compiacimento.
Dovette attendere per quasi dieci secondi in quella posizione, retta per bene da quelle mani tremolanti. Prima di udire il sibilo dell’oggetto dietro di lei: le schioccò tutto lo spazio stretto in mezzo ai glutei aperti, battendole la bocca scabrosa e dilatata dell’ano, facendola sussultare e tremare sulle scarpette. Hélène urlò in un modo triste e disperato.
Decimo episodio
Non ci fu nessuno di loro che se lo aspettasse. La trama doveva compiersi con la sevizia del catetere, e con la misurazione finale delle proporzioni del culo della cameriera mediante il righello. Che l’aveva segnata per una volta ancora, chiudendo il cerchio.
L’Editore si aprì invece la cintura: aveva un paio di mutande scure, sotto le quali la massa rigida pareva ormai trattenuta a grande fatica; Gustav Verhouten decise di allontanare la moglie, indicandole la porta e mollandole un leggero colpetto sul didietro per invitarla a filare via, vedendola obbedire ancora una volta. Non poteva guardare.
“È pronta per essere inculata?” domandò l’Editore in modo beffardo; Hélène aveva gocciolato una delicata brina di bianco, dopo essere stata colpita con il righello, e lui l’aveva notata. È mai possibile che ella fosse tanto stupida, da eccitarsi in quelle condizioni così estreme ed umilianti?
“Questo è il trattamento speciale… per tutte le cameriere che lo hanno più largo di quaranta centimetri…”, la derise in modo perfido. “Il mappamondo…” aggiunse oltraggioso.
Sentì due mani che le allargavano nuovamente i glutei, con più fermezza e decisione: e non erano quelle tremolanti dell’anziano scrittore. Anche Frank trasalì nell’attesa che quegli finalmente, estraesse il pene dalle mutande rigonfie.
L’Editore lo fece, tenendo sempre il culo di Hélène dilatato e fermo con una mano.
Undicesimo episodio
L’aveva sprofondata con grande fatica, ma adesso le stava dentro il buchino da diversi minuti, sospingendola.
La povera donna aveva sollevato il busto, dapprima aprendo le mani sul tavolo; poi provando persino a respingerlo, per poi infine avvinghiarsi con una mano a lui.
L’Editore aveva abbassato completamente i pantaloni, e muoveva il bacino avanti e indietro, vibrando il proprio membro dentro la massa informe di quel cuscino orribilmente mollo e arrossato; le mani lo trattenevano con vigore, era gonfio più che mai.
Frank non poteva credere ai propri occhi: Hélène adesso godeva come una vera cagna, dopo essere stata castigata ed umiliata davanti a tutti quanti, per quasi un’ora. Mugolava e sospirava in continuazione, travolta da un mare di liquidi in mezzo alle cosce, senza alcun residuo d’amor proprio e di pudore. Era mai possibile che le piacesse?
Anche l’anziano scrittore pareva scosso nel contemplare la vergognosissima scena; era fermo di lato e teneva lo sguardo fisso sul volto di Hélène, cercando di cogliere ogni sua singola espressione: da dove proveniva quella sciagurata ed irrecuperabile grassona? Non era affatto decente tutto ciò.
La scellerata godeva, puntellata fino in fondo e sospinta avanti e indietro senza pietà; l’Editore alle sue spalle pareva incontenibile, non voleva saperne di fermarsi.
La gonna sollevata e le mutandine abbassate sopra le ginocchia divaricate, completavano la figura imbarazzante di lei; una vera svergognata, alla mercé di tutti coloro che cercavano un culo da battere, o un buchino da sfondare.
La poveretta allargò ancor più le gambe, finché la stretta delicata delle sue piccole mutandine glielo consentiva, piegandosi nuovamente in avanti in modo docile e penoso: sentiva il bastone severo di Jean-Pierre che la martellava fin dentro alla testa. Era sudata e bagnata dappertutto.
Crollò dopo pochi minuti, spalancando la bocca, e infradiciandosi completamente fin giù dentro lo slip proteso nel mezzo: che graziosamente le trattenne diverse gocce di vivida panna provenienti vergognose dalla vagina.
Quando l’Editore se ne accorse, ebbe l’istinto di destarla nuovamente col righello, che era rimasto lì vicino sul tavolo: ma era anch’egli soggiunto, ineluttabilmente, sul limite ultimo del piacere; toccava a lui concludere la scena.
Estrasse con un grande sforzo l’oggetto abnorme dallo sfintere deformato della donna, vedendo quel buchino nero tremare indifeso, senza richiudersi su sé stesso. Ed era bagnato, arrossato in modo indecente, vivido e caldo.
“Oooooo…”.
Hélène aveva tutta la bocca spalancata, quando l’uomo decise di imporle quell’arnese, turgido e irto di vene pulsanti, in cima ai due glutei, nel bel mezzo. Dove l’ombra della gonna grigia rovesciata le ricopriva i fianchi. “Oooh…”.
Lo muoveva avanti e indietro, leggermente a scatti, in cima a quei glutei del tutto deformati ed abusati; la donna sembrava godere ancora in modo scellerato, era scivolata nel fondo di un vortice senza fine; e non voleva più uscirne. “Ooooo…”.
Un colpo, due, e poi infine anche egli, esplose: ricoprendole tutta la gonna di sperma, ululando in modo animale e incontrollato, muovendo avanti e indietro il pene in quel modo oltraggioso ed ossessivo. Chiuse il tutto con uno sculaccione forte e del tutto inatteso, che schioccò nella libreria in modo imbarazzante. “Si rivesta …scrofa”.
Fu con grande imbarazzo che ripresero a parlare: Hélène si era rassettata ma era ancora completamente rossa in viso; Frank era corso in bagno e probabilmente aveva sfogato anch’egli la sua energia nella tazza. Adesso vi sarebbero stati gli accordi per i successivi sviluppi del libro, pensava la povera donna, mentre avvertiva un dolore insopportabile su tutta quanta la superficie rotonda del sedere.
Le imposero tuttavia di ascoltare le loro condizioni, ordinandole di rimanere piegata alla scrivania; non soddisfatti, le intimarono persino di sollevare ancora la gonna. Non poteva star seduta per via del bruciore sui glutei: accettò pertanto l’ennesima umiliazione di buon grado, domandando per quanto a lungo sarebbe durata ancora; sotto la mutandina tutta fradicia, quei poveri glutei le brulicavano di caldo, guastati e rovinati del tutto.
“…nessun decoro né dignita… si deve solo vergognare…”.
Erika Coppel firmò così, in quella posizione, la sua prima pubblicazione erotica; sarebbero stati pochissimi stralci, una decina di pagine allegate al libro, scelte dall’Editore in modo discutibile e per molti versi scriteriato.
L’opera di Gustav Verhouten sarebbe uscita in autunno, con il curioso titolo Das Geschwätz: Le Chiacchiere; con quelle poche pagine attribuite alla scrittrice, a inutile corredo.
La scena della sodomizzazione conclusiva, per suo rispetto, non fu inclusa. Ma nessuno avrebbe potuto immaginare, quanto sacrificio potesse mai essere costato alla povera protagonista, quell’indimenticabile impiastro di fine maggio.
Frank la accompagnò a casa senza dire una sola parola; quella paffutella giornalista conosciuta solamente un anno addietro, mediante il legame comune con l’amica Michelle, si era nella menzionata circostanza, assai interessata al suo strano genere letterario: iniziava con le lettere esse ed emme.
Si era incuriosita, ed avrebbe voluto saperne di più.
Così adesso, quella poveretta sapeva.
Dopo circa un anno dal loro unico incontro, lo scrittore Frank Van Harmeen incrociò Hélène per puro caso, dalle parti di Rue des Chapeliers: costei già sapeva della precedente relazione fra lui e la sua amica Michelle, ed era al corrente del fatto che non si fossero più visti da tempo.
Le propose di bere un tè lì vicino nei pressi, ed Hélène sciaguratamente accettò di entrare in quell’affollato bistrot: fomentata in modo assai profondo, da un’appassionata discussione letteraria tutta incentrata sugli strani generi prediletti dallo stesso scrittore, ella si lasciò estorcere una sua confessione. Hélène scriveva racconti erotici.
Da quando aveva iniziato a farlo, nove anni addietro, per la prima volta la sua identità di scrittrice veniva svelata; era forse quello il più scellerato errore tra i tanti? O era forse l’indifferibile necessità di venire finalmente allo scoperto?
Pregò Frank di non rivelarlo a nessuno, ma quegli si fece promettere torbidamente in cambio, di poter prendere lettura di tutti quanti i suoi racconti; fu così che la sera stessa del venerdì, la sedicente scrittrice gli girò tutti quanti i suoi lavori, opportunamente ordinati e ben illustrati: erano cinque scritti di circa settanta pagine ciascuno, oltre ad un lungo ed ambizioso volume articolato in quarantotto episodi, in cui raccontava in modo dettagliato la sua adolescenza.
Non passarono nemmeno due giorni, che Frank la chiamò per complimentarsi; pareva sincero ed entusiasta, del resto era esattamente il genere di racconti che egli prediligeva: benché Hélène ricordasse una sua decisa inclinazione verso situazioni ancor più ambigue, egli rivelò che erano piaciuti.
“Tu hai talento signorina Houllier”, le disse citando il suo cognome in modo intenzionalmente formale. “Non devi assolutamente restartene lì nascosta: il mio Editore ha letto alcune righe di Melone rosso caldo, e si è dato disponibile ad incontrarti la settimana prossima. Non è da tutti riuscirci”.
Hélène ristette su due piedi, trafelata. Lavorava sempre presso la sua redazione, non poteva certamente permettersi di venire riconosciuta. Con una buona dose di ingenuità, domandò: “Tu pensi che si possa pubblicare un libro erotico con un nome differente?”.
Erano le cinque del pomeriggio del 27 aprile, Hélène era seduta in una piccola sala d’attesa, davanti alla porta chiusa dell’Editore Jean-Pierre Ridot. Aveva legato i capelli e s’era truccata gli occhi in un modo diverso, nel goffo tentativo di confondere la propria identità; un tailleur grigio la stringeva in modo imbarazzante: aveva scelto d’indossarlo proprio perché era uno di quelli che non adoperava quasi mai quando era in redazione; non le calava addosso troppo bene.
Prima di lei, era stata fatta entrare nell’ufficio dell’Editore, una donna bionda, magra e giovane, che la segretaria aveva accolto con buona confidenza, chiamandola Lucille; al contrario esatto di Hélène, che era invece stata accolta con un tono decisamente più freddo, quasi persino sprezzante.
L’attesa sembrava già interminabile, mentre dall’interno dell’ufficio la voce dell’uomo, poteva essere udita a tratti; egli possedeva un timbro quasi baritonale, mentre della giovane donna che vi era entrata da oramai diversi minuti, non si poteva percepire nemmeno una singola parola.
Hélène sentiva caldo, stava quasi per scoppiare nelle sue calze e nella gonna; tuttavia, non osava sollevarsi dalla propria poltrona: la infastidiva lo sguardo insistito della segretaria seduta di lato; se ne stava tutta compunta, con le mani sulle ginocchia, la borsetta nera sul grembo, e la sua coda di cavallo ben pettinata che ne completava il profilo.
In un dato frangente, si udì la voce dell’Editore aumentare di tono, in modo fermo e graduale; Hélène ristette leggermente incuriosita: provò a concentrarsi per capire che cosa quegli andasse dicendo, mentre la sua ospite continuava apparentemente a tacere. Era probabile che quegli si fosse avvicinato leggermente alla porta, dal momento che improvvisamente la curiosissima Hélène, poté finalmente comprendere una sua precisa frase: “Questo! …questo tu ti devi ricordare! Lo vedi bene? Guardalo… ancora…”.
Poi apparentemente egli si allontanò dalla porta tornando al proprio posto; lo si intuiva dal fatto che le parole dell’Editore risultavano adesso, nuovamente difficili da comprendere.
Dopo un po’, iniziarono ad alternarsi ad alcuni silenzi; Hélène dedusse che fosse adesso la giovane donna a parlare, e ad un certo punto quel silenzio fu talmente prolungato, da concludere che quella stesse probabilmente leggendo qualcosa: cinque buoni minuti trascorsi in quella maniera.
Un rumore ovattato ma forte, seguito da un sospiro, ruppe quel prolungato incantesimo; Hélène trasalì, che cosa mai era stato quel tonfo? Poi riprese subito la voce dell’Editore, per altrettanti cinque lunghissimi minuti.
Hélène aveva compulsivamente accavallato le gambe, dopo avere sussultato goffa sulla poltrona. Che cosa mai era stato quel tonfo? La segretaria aveva udito a sua volta, ma era sembrata piuttosto incuriosita dalla reazione di Hélène.
“Si prepari, adesso tocca a lei” le disse dopo soli due minuti; “…si alzi” insistette. Hélène si sollevò leggermente a fatica, era decisamente tesa in quell’istante, con le gambe che le tremavano. Ma si sforzò parecchio per ricomporsi.
Finalmente la porta dell’ufficio si aprì, e la prima a comparirle dinanzi, fu proprio la giovane donna bionda; si era voltata a salutare in modo formale, e sembrava leggermente rossa in viso. Teneva in mano una spessa cartella piena di documenti, che evidentemente ella non possedeva, quando in precedenza vi aveva fatto il suo ingresso: erano leggermente stropicciati e del tutto disordinati, come se fossero stati ammucchiati lì dentro in modo a dir poco frettoloso; non doveva essere materiale di particolare valore, rifletté Hélène tenendo il viso basso.
“Venga avanti signorina Houllier”; l’Editore la chiamava. Hélène attese che l’altra donna uscisse, e non sembrava per nulla soddisfatta, pareva quasi sul punto di scoppiare in lacrime; quindi mosse un passo dentro la stanza e finalmente vide il volto di Jean-Pierre Ridot. Notò subito la sigaretta accesa, un dettaglio che rivelava come minimo, una mancanza di rispetto per lei; possedeva una piccola barba e un paio di occhiali con la montatura blu, un taglio di capelli ordinato con la riga di lato ed uno sguardo torvo e severo.
Hélène avanzò leggermente impacciata, tutta stretta nel suo tailleur grigio; mentre egli rimase seduto al suo posto, senza venirle incontro, porgendole semplicemente una mano.
Secondo episodio
Era stata messa alla prova.
Hélène avrebbe dovuto scrivere un racconto non lungo più di mille parole, entro il tempo di una sola settimana.
Si mise subito al lavoro con solerzia, anche se in onestà, ella non s’era sentita per nulla a proprio agio nella circostanza di quel primissimo colloquio: un monologo durato poco meno di dieci minuti, in cui quegli l’aveva solo istruita e ben indirizzata, dandole precise indicazioni, senza un reale ed oggettivo confronto.
L’Editore l’aveva trattata con grande sufficienza, quasi come se ella fosse stata solo, una semplice dilettante; ed in fondo Hélène lo era per davvero, una ingenua dilettante. Era l’ultimissima arrivata nel mondo degli scrittori, una aspirante e impreparata esordiente in quel proscenio affollato, pur se con oltre trentatré anni di vita alle spalle.
Il racconto, come tutti gli altri, avrebbe dovuto parlare di lei.
Hélène era normalmente molto lenta nello scrivere; spesso impiegava mesi interi per completare un solo episodio: lavorare sotto pressione non faceva davvero per lei; si ritrovò a svegliarsi presto la mattina, a volte senza la minima ispirazione. L’Editore le aveva suggerito di immedesimarsi il più possibile nel ruolo che egli le aveva attribuito, ed Hélène pedissequamente provava a farlo, per rispetto nei suoi confronti: si ritrovò talvolta a sedere, mezza svestita dai fianchi in giù, nel tentativo di infondere un senso di realtà a quello di inappropriato che ella elaborava. Le aveva detto di dover colare sulla propria nuova opera, una provocazione che la sciagurata aveva interpretato quasi come un ordine.
Ma in realtà, Hélène non possedeva una grande immaginazione. Una buona parte dei suoi scritti dava semplicemente conto, in modo a tratti un po’ marcato, delle sue nude ed inconfessabili verità. Inventare una storia nuova non era affatto semplice per lei, e lo sapeva. Seduta con un solo maglioncino a pelle e le calze autoreggenti bianche tutte strette, ella provava ad immedesimarsi in una torbida vicenda, che non le apparteneva affatto: non avendola mai in realtà nemmeno lontanamente vissuta.
Lo sforzo, tuttavia, aveva prodotto quello che ella riteneva essere un buon risultato. Quindici sole parole in più rispetto al limite massimo, le sarebbero sicuramente state condonate; in compenso il suo racconto era arrivato quasi fino al punto di eccitarla: e quello era il segnale che lei apprezzava. Si era finalmente inumidita senza toccarsi, poteva andare bene.
Con qualche ora d’anticipo rispetto alla rigorosa scadenza che le era stata imposta, Hélène inviò così all’Editore il suo scritto, con il cuore tutto pieno di grande speranza; ma ben presto si rese conto che la risposta tardava ad arrivare.
Ci vollero ben cinque giorni, nei quali la poveretta aveva già nel suo intimo, tratto le inevitabili conclusioni del proprio fallimento; Hélène oscillava sempre tra l’entusiasmo più insensato e la delusione più amara. Prima di ricevere l’oramai inattesa ed insperata risposta: la segretaria la convocava per il giorno dodici di maggio; le intimava massima puntualità, sottolineando i numerosi impegni nell’agenda di Jean-Pierre Ridot.
Hélène accolse l’invito con un misto di euforia e di timore; il messaggio non lasciava trapelare nulla circa il possibile giudizio sulla sua opera: quello l’avrebbe ricevuto direttamente di prima mano.
Dovette cambiarsi d’abito, nella toilette al piano terra della sua redazione, ed indossò il medesimo tailleur grigio della volta precedente. L’unica differenza, a distanza di un paio di settimane, era il fatto di non dover indossare più le calze. Legò i capelli e si truccò gli occhi e le sopracciglia: avrebbe forse ricevuto la tanto attesa proposta, di pubblicare un suo libro? Non stava nella pelle, e mentre saliva le scale con lieve imbarazzo nella sede dell’ufficio dell’Editore, la sciagurata realizzava di essere eccitata e gonfia come un pallone.
La segretaria le aprì la porta fissando il grande orologio a pendolo sulla parete; la invitò ad appendere il suo soprabito, ed infine le disse che poteva accomodarsi direttamente nell’ufficio dell’Editore; era fortunata che quegli fosse libero.
La stessa segretaria ne favorì l’ingresso, invitandola ad agire con una certa fretta, esortandola con deferenza: e questa volta Hélène trovò Jean-Pierre Ridot in piedi; fumava nei pressi della sua libreria, ed aveva disposto sul tavolo una discreta pila di volumi, tutti quanti di grosse dimensioni.
“Prego, si accomodi” le disse, senza tradire alcuna sfumatura nel tono della sua voce; la sciagurata si sedette mentre lui rimase in piedi alla sua sinistra, senza occupare il posto vuoto dall’altro lato della scrivania. Hélène non capiva perché l’Editore non tornasse a sedersi, era tesa; quegli appoggiò un ultimo libro in cima alla pila, un atlante geografico, il mattone più voluminoso di tutti. “Ogni proporzione, merita il suo adeguato spessore…” recitò con un tratto di voce quasi sarcastico; Hélène non capì che cosa egli intendesse dirle con quella battuta.
Poi spense la sigaretta in un posacenere, e finalmente prese a parlarle del suo racconto; ma non nei termini che la poveretta avrebbe sperato: “Mi scusi signorina, le pare questo un racconto erotico? …e dove sarebbe secondo lei, il suo tanto velato erotismo? Pensa davvero che qualcuno possa eccitarsi per le sue paturnie cerebrali ed inutili?”. Hélène abbassò la testa; dopo un solo minuto, già aveva compreso d’aver fallito la sua prima, e forse unica opportunità; ma quegli non si limitò alla sua premessa: “Lei non ha messo nulla di sé in questo racconto, è una spettatrice assente e distratta, indifferente rispetto alla sua stessa sorte”.
La stava letteralmente demolendo. Hélène avrebbe già voluto porre fine a quella specie di umiliante disamina: “Lei deve vibrare, deve gocciolare, deve scoppiare…” aggiunse l’uomo; solo a quel punto Hélène iniziò a comprendere, ciò che quegli intendeva veramente dirle fin dal principio, con quelle ambigue istruzioni che le aveva dato. Ma era chiaramente, oramai troppo tardi per rimediare.
“Non mi resta che concludere anche stavolta che, ogni proporzione, merita il suo adeguato spessore…” ribadì l’Editore, e a quel punto afferrò nuovamente con due mani, quel voluminosissimo atlante geografico. “Lo guardi bene, signorina; lei conosce il mondo?”. La scellerata ancora una volta non riusciva a seguirlo, per cui, pur di non dire cose senza alcun senso, ella scelse di non replicare affatto.
“E’ il più pregiato volume di geografia che esista; lei, signorina Houllier …lei lo conosce, il mondo?”; Hélène fece cenno di no con la testa, ma adesso aveva paura.
“Sono certo che invece lei lo conosca molto bene; non è forse un grosso mappamondo… quel coso enorme che lei nasconde sotto alla gonna, lì dietro?”. “Cosa …cosa vuole dire…?” balbettò Hélène, che adesso provava una sensazione nuova e completamente urticante: aveva capito che l’Editore voleva umiliarla, ma ancora non immaginava come.
“Mi mostri il mappamondo signorina, io le darò una lezione di geografia …e poi le insegnerò come si scrive, obbedisca”.
Hélène adesso tremava tutta; aveva capito di essere giunta ad un bivio, ma riteneva ancora di potersi rifiutare. “Perché deve finire sempre così…” pensava, mentre già immaginava che la sua reticenza le sarebbe costata il fallimento.
Tuttavia, l’Editore fu rapido e deciso nell’afferrarle un braccio, sollevandola in piedi, vedendola dondolare sulle sue scarpette; per poi indicarle con la mano sinistra la superficie libera della sua scrivania. “Pancia in giù, mappamondo di fuori!”. Lei non voleva, il suo tailleur le scoppiava addosso.
“Pancia in giù e mappamondo di fuori! Lei è fortunata perché io ho molta pazienza e non dovrei averne con una dilettante come lei… forza! Fuori quella specie di pallone!”.
“Non… non voglio…” sussurrò Hélène, mentre improvvisamente sentiva un trasporto nuovo e strano travolgerla dalla testa ai piedi, con le sue scarpette nere e lucide che docilmente aveva girato verso la scrivania; quell’atlante geografico avrà avuto forse, quasi mille pagine.
Terzo episodio
La sala d'attesa non era più vuota come al principio.
Un elegante signore con il bastone, accompagnato da un eccentrico uomo di circa trent'anni più giovane, erano seduti ad aspettare.
Lo schiocco fragoroso proveniente dall'ufficio dell'Editore, li colse entrambi di sorpresa. Fu la segretaria a sdrammatizzare, sottolineando: “L’avevo capito fin dall’inizio guardandola, che anche questa finiva così… sono tutte così stupide…”.
Hélène aveva abbassato il capo, mentre l’Editore era in piedi alle sue spalle; quegli depose il grosso atlante geografico dinanzi al viso della poveretta, aprendone una pagina a caso, nel mezzo. “La legga!” le ordinò; e mentre Hélène con grande fatica, iniziava balbettando, a scandire un poco interessante capoverso dedicato ai prodotti agricoli del sudamerica, Jean-Pierre Ridot le cingeva con entrambe le mani, l’orlo della gonna da dietro. “Continui a leggere!” ribadì; era probabile che da fuori lo si potesse persino udire.
Fu lento e delicato nel sollevarglielo, finché finalmente non emerse il didietro enorme di lei, fasciato dentro ad una tenera mutandina bianca; senza alcuna apparente emozione, l’Editore le rovesciò la gonna sulla schiena, ribaltandola sopra la giacchetta grigia del medesimo colore; poi le disse offendendola: “Non è molto diverso dal didietro di una scrofa”, per infine concludere: “…queste qui, adesso le togliamo”. A quel punto, con un gesto secco e deciso, cogliendo la povera Hélène di grande sorpresa, le abbassò la mutandina lasciandola tutta scesa all’altezza dell’inguine.
“Forza con quell’atlante! Continui a leggere!”; Hélène era già annichilita, ma riprese a recitare come un automa, mentre Jean-Pierre Ridot alle sue spalle, si era acceso una sigaretta e le guardava in modo insistito, la forma sconcia del sedere.
“Favorisca il volume, signorina Houllier…” le disse dopo circa cinque minuti, interrompendola bruscamente.
Hélène obbedì, e voltandosi per un solo istante, con uno sguardo torbido e perso, gli porse con entrambe le mani, il grossissimo libro; pesava quasi due chili.
L’Editore comprese che la donna non era del tutto nuova a quel tipo di situazione, per via della traccia umida che aveva negli occhi; sembrava ansiosa e timorosa. Egli afferrò l’oggetto e le ordinò di disporsi con entrambe le mani aperte sul tavolo. “Lei dovrà scrivere in questa posizione, con il mappamondo tutto di fuori, come adesso” e le scaraventò tutta la mole del gigantesco volume, sul sedere enorme, sentendolo schioccare in un modo esagerato e penoso.
La poveretta ululò, e nella sala d’attesa i due uomini si guardarono meravigliati.
La segretaria non nascose un sorriso ironico e desolato, e fece loro un cenno con entrambe le mani, come a voler indicare la bruttissima fine che attendeva la sconosciuta e malcapitata, aspirante scrittrice da strapazzo. Istruita a forza di botte.
“Sempre così!” ribadì Jean-Pierre Ridot; e brandendo quasi a fatica il pesante oggetto, lo rovesciò per la seconda volta, sulla superficie sfatta e rotonda del didietro di lei. “Oooh…”.
Oramai era palesemente chiaro a tutti, quello che stava accadendo dietro alla porta chiusa di quell’ufficio.
L’uomo più anziano ricevette una telefonata, e si distolse dall’ascolto di quei tonfi imbarazzanti, che oramai avevano preso a susseguirsi in modo continuo ed impietoso; si rivolse al suo interlocutore, parlando una lingua diversa dal francese, e salutandolo in modo cordiale: “Sono da Jean-Pierre, ma adesso credo che lui sia impegnato… sì, ti richiamiamo dopo… sì, sì, sono con Frank, Frank Van Harmeen…”. Gli schiocchi del libro continuavano a susseguirsi, senza alcuna soluzione di continuità; lo scrittore olandese ignaro, non poteva nemmeno immaginarlo, che fosse stata in fondo tutta quanta colpa sua. “Oooooh…”.
Quarto episodio
La porta dell’ufficio si aprì, dopo che la voce debordante dell’uomo, vi era rimbombata dentro per dieci minuti, senza alcun accenno di replica; Hélène comparve sull’uscio, livida ed umiliata, ed era rossissima in volto. La gonna pareva scoppiarle addosso, si vedeva benissimo che era stata rassettata di fretta. Le sue ginocchia erano rotonde e bianche.
“Il suo scritto è deludente signorina… ritenti solo quando avrà nuovamente studiato, la geografia… e rammenti in che posizione tenere il mappamondo …mentre lavora…”; le parole ambigue ed oltraggiose dell’Editore furono udite per intero, ed i due uomini si guardarono in viso stupiti, mentre Hélène girava mestamente il capo: era orribilmente imbarazzata.
Frank sulle prime non la riconobbe; incrociò i suoi occhi con indifferenza, per poi subito abbassarli e rialzarli in un tratto istintivo di sorpresa: “Hélène Houllier! …ma …allora eri tu con lui? …ti ha istruita?”. La poveretta non sapeva che da fuori si fosse potuto origliare tutto quanto. Nascose lo stupore dietro ad un finto sorriso, e stringendo le spalle, con vergogna rispose: “L’Editore… veramente lui mi ha bocciata… mi ha detto di riprovare solo quando studierò la geografia…”. Immaginava che l’avessero udito, mentre quegli frettolosamente la liquidava con quelle brevi e paradossali battute insensate: non si rendeva conto di quanto tutto ciò risultasse umiliante e ridicolo per lei.
L’uomo con il bastone si alzò in piedi con un certo impaccio, aveva un foulard al collo e un paio di occhiali con due lenti ovali molto spesse; guardò Hélène da cima a fondo con aria tersa, ed infine prese la parola in modo formale: “Signorina, lei trasuda calore, i suoi sensi di femminilità sono certo sopiti… dietro al suo stesso sguardo torbido e perduto… Dimentichi subito di essere stata istruita così severamente oggi: questo di sicuro le servirà. Si abbandoni alla forza delle nude emozioni, e vedrà che la sua scrittura migliorerà: giorno dopo giorno. Non demorda subito, signorina…”.
Hélène fu assai turbata nell’udire il riferimento a ciò che le era accaduto; comprese con tristezza, come la parola istruita possedesse un ben preciso significato all’interno di quell’ambiente. “La signorina Houllier scrive molto bene, sono stato io a consigliarla” disse Frank all’uomo più anziano. Quegli ignorò il suo commento; si mosse zoppicando, fin dentro all’ufficio dell’Editore, ed Hélène udì accidentalmente la voce baritonale di costui, che lo accoglieva in maniera cordiale: con un tono ben differente rispetto a quello duro ed assertivo adoperato con lei.
“Dimentichi subito di essere stata istruita così severamente oggi: questo di sicuro le servirà”.
L’uomo col bastone era stato il pigmalione di Frank e, forse, anche qualcosa di più: un severo padrino nei confronti del più giovane scrittore, che a lui s’era completamente affidato durante la propria iniziazione, letteraria e non solo; si chiamava Gustav Verhouten e benché fosse olandese di nascita, scriveva tutte quante le sue opere in lingua tedesca.
Storie di sadismo, ambientate sempre in un passato oscuro.
Chiese all’Editore di poter visionare il lavoro della donna obesa che era uscita dal suo studio, con l’intento di trarre l’ispirazione per un personaggio del suo nuovo libro: c’era qualcosa in lei che l’aveva colpito. “Mi è sembrata una vittima segnata: come la cameriera innocente Erika, che in luogo del suo crudele padrone, viene giudicata colpevole e quindi seviziata; è la nuova storia che io ho in mente…”.
“Tu sei veramente un genio perverso… io …non ci avrei mai nemmeno pensato: ma quella cicciona è semplicemente perfetta per te…” rispose Jean-Pierre Ridot, mentre si puliva le lenti degli occhiali; alludendo alla povera Hélène in modo veramente irrispettoso: “…Dovevi vederla, che scrofa…”.
L’Editore conosceva Gustav da oltre dieci anni: e così, su due piedi e senza alcuno scrupolo né minimo riserbo, gli espose una proposta veramente irriferibile: “Ti servirò quella scrofa su un piatto d’argento… in cambio dell’esclusiva per il tuo libro: la adescherò promettendo di usare qualche cianfrusaglia in cambio, e tu mi darai l’esclusiva”. “Ma, al netto dei diritti per la Francia e per…” replicò l’anziano scrittore, porgendo in avanti la mano. Il patto era siglato.
Il giovane Frank non disse né fece nulla per dissuaderli; era decisamente succube di quei due uomini, ai quali egli doveva il proprio discreto successo letterario. Ma in cuor suo avvertiva un crescente senso di rimorso verso Hélène: le intenzioni dei due uomini nei suoi confronti, erano orribilmente chiare. Giudicata colpevole e seviziata.
Quella storia sarebbe finita malissimo e lui lo sapeva.
Quinto episodio
Mademoiselle Houllier, le scrivo per conto dell’Editore Jean-Pierre Ridot.
Non avendo più ricevuto alcun riscontro da parte sua, l’Editore ha ritenuto di contattarla con una differente proposta: di lei è stata tuttavia apprezzata la pronta sottomissione, l’umiltà e la capacità di mettersi a servizio nella scrittura; più che le sue opere, è stata apprezzata la sua indole: si vorrebbe pertanto coinvolgerla come indiretta protagonista nel nuovo libro dello scrittore Gustav Verhouten. Tutto quello che lei dovrà fare, è partecipare ad alcune sessioni di approfondimento sul lavoro di costui, alla presenza di Jean-Pierre e del menzionato scrittore. Occorre che lei autorizzi l’impiego dei suoi testi nel contesto dell’opera citata, alcuni stralci potrebbero venire utilizzati con esplicita menzione del suo nome d’arte, che verrà opportunamente disposto. Le imponiamo per il momento, di attenersi alla massima riservatezza. Rsvp, grazie.
Partecipare ad alcune sessioni di approfondimento.
La sciagurata non capiva quale fosse l’intento dell’Editore, nel coinvolgerla passivamente alla preparazione di un libro, che non fosse il suo; tuttavia, la curiosità la spinse a cercare su internet più notizie possibili, relativamente all’anziano scrittore che l’aveva persino approcciata, nell’anticamera di Jean-Pierre Ridot: in quel loro primo, breve e casuale incontro, nel quale lui l’aveva caldamente incoraggiata.
Fu assai colpita dall’ambientazione delle sue opere, tutte collocate in un tetro e non meglio precisato periodo, a cavallo del medioevo: erano storie di estrema perversione, spesso caratterizzate da finali tragici e persino sanguinari.
Hélène avrebbe voluto chiedere consiglio a Frank Van Harmeen, ma le era stata imposta massima riservatezza; l’imbarazzo provato la volta precedente nei suoi confronti, l’aveva oltremodo bloccata dal parlargli. Così come ella, s’era improvvisamente persino bloccata nell’arte dello scrivere, dopo avere subito quell’umiliante trattamento.
Hélène tergiversava, nutrendo in cuor suo un vivo timore.
In quel periodo, era legata ad un uomo italiano che ella avrebbe incontrato a Bruxelles in men di due sole settimane; tutto la sciagurata avrebbe desiderato, fuorché mettersi nei guai seri, a pochissimi giorni dal suo arrivo in città.
Ma il pomeriggio del ventitré di maggio, la donna ricevette un nuovo lungo messaggio: vergato stavolta dall’Editore Jean-Pierre Ridot in persona, con tanto di firma.
Lei, signorina Houllier, assai evidentemente non ha alcuna idea di chi sia, Gustav Verhouten: egli è un vate nell’ambito della scrittura erotica, paragonabile forse unicamente a De Sade. Potrebbe vedere pubblicati alcuni suoi stralci in un libretto che distribuiremo assieme al suo. Ne sarà una viva protagonista.
Potrebbe divenire la prima scrittice del suo genere, a possedere un ruolo nell’opera di un ben più noto scrittore: una circostanza di rara tensione emotiva senza precedenti.
Ma se lei rifiuta questa nostra proposta, può dimenticarsi una volta per tutte, di poter lavorare: tutte le porte dell’editoria le saranno serrate dinanzi, Hélène Houllier resterà per sempre una dilettante.
Ci pensi signorina Houllier, e risponda alla mia segretaria quando finalmente avrà mosso il culo. Entro settantadue ore.
Mancavano soli due giorni all’arrivo in città, dell’uomo con cui ella era legata. Un’irriconoscibile Hélène, si truccava gli occhi e le sopracciglia dentro il bagno del piano terra, nella sua solita redazione: era attesa dai due uomini alle sei, nello studio dell’anziano scrittore olandese che viveva a Marolles.
Ancora una volta aveva indossato il suo tailleur più stretto, con una camicetta bianca chiusa fino al collo, e due scarpe eleganti col tacco basso; anche quel giorno aveva legato i capelli in una sobria coda di cavallo, composta e ordinata.
Frank l’avrebbe accompagnata, era l’unica concessione che ella aveva ottenuto; la passò a prendere con una vecchia Citroën, una macchina da artista squattrinato. Il giovane le aprì lo sportello con uno sguardo perso, pareva quasi imbarazzato per quanto la donna s’apprestava a fare: l’ambiente della scrittura ispirata al sadismo, era forse uno dei luoghi più pericolosi in cui muovere i propri passi, per una dilettante facilmente adescabile come lei.
Hélène aveva mosso il culo, eseguendo ancora una volta, gli ordini del suo stimato Editore: ma probabilmente in questa circostanza, ella se ne sarebbe assai amaramente pentita.
Sesto episodio
“Il suo nome da oggi è Erika Coppel. E… ri… ka… Coppel, di Bamberg, Baviera: le piace? Pubblicheremo anche i suoi stralci con questo preciso pseudonimo”.
Seduta su una sedia in legno, a lato di un tavolo rettangolare, Hélène sentiva molto caldo, l’ambiente era chiuso e rarefatto; si era tolta la giacca rimanendo nella sua camicetta bianca: l’odore del fumo della pipa del padrone di casa, si mescolava a quello insopportabile del legno degli antichi arredi.
“…Non lo so… è strano” replicò lei a bassa voce.
I due uomini l’avevano accolta in un elegante appartamento situato al terzo piano di un edificio di valore storico, non lontano dal grande palazzo del tribunale; Gustav possedeva uno studio molto grande pieno di libri, un luogo scuro ed opprimente proprio come quelli dei suoi racconti.
L’anziano scrittore era sposato con una donna del Suriname, che aveva introdotto in casa Hélène mettendola a proprio agio, con l’atteggiamento di una rispettosa governante.
“Vuole conoscere la trama del libro… immagino, signorina Houllier” intervenne l’Editore col consueto tono serioso.
Hélène fece cenno di sì con la testa, ed allora l’anziano scrittore accese una lampada sulla propria scrivania. Prese a leggere un manoscritto, la cui ambientazione era stranamente, sita nel presente e non nel lontano passato.
“Le abbiamo tolto… sette anni e tre giorni” esordì Gustav Verhouten, con un tiepido sorriso. Poi riprese tossendo: “Sua madre Johanna era una prostituta d’alto bordo, adorata dal proprio padrone, ma purtroppo muore di malattia quando lei, Erika, ha soli dodici anni…”.
“Stiamo parlando dell’anno 2009, quello della sua prima vera esperienza, a ben leggere la sua interminabile Storia di Hélène…” irruppe Jean-Pierre Ridot. Ed era vero; Hélène lo aveva raccontato nei suoi scritti, e quell’importante dettaglio non doveva essere sfuggito, all’attenta lettura dell’Editore.
“Lei entra nella casa del suo padrone, lo stesso giorno della sua prima volta, il 19 di febbraio; il padrone sa che lei non ha più nessuno cui affidarsi, così la accoglie in casa con l’intento di metterla a disposizione della sua servitù: tre uomini e cinque donne più grandi di lei. Benché molto giovane, lei avrebbe iniziato a servire fin da subito”.
Divenuta una vera femmina nel mondo reale. Entrata lo stesso giorno, nella casa del padrone in quella trama oscura che si andava dipanando: non certo una semplice coincidenza, e non sarebbe stata che la prima.
“Vuole… fare qualche domanda?”, intervenne nuovamente Ridot, interrompendo così la narrazione della storia.
Hélène sbirciò Frank, che era rimasto fermo in piedi di lato, e quegli le diede cenno di farne almeno una; era impacciata al cospetto di quei due uomini, che avevano architettato tutta quella lunga vicenda, che la riguardava molto da vicino.
“Co… come si chiama, il mio padrone?” chiese timidamente Hélène; come se in cuor suo, ella avesse iniziato ad intuire l’impiastro. L’anziano scrittore attese che a rispondere fosse lo stesso Jean-Pierre Ridot: “Il suo padrone ha quarantanove anni quando tutto ciò accade; il suo nome è Gustav”.
Il silenzio di Hélène fu miseramente esplicito, e fu notato; ma proprio con l’intento di incalzarla, l’Editore riprese subito la parola, chiarendo un aspetto importante: “Da questo momento in avanti, lei signorina si rivolgerà ogni volta a Gustav, chiamandolo esplicitamente proprio così: Padrone. In modo da calarsi meglio nella sua parte; è chiaro, ovvio?”.
La poveretta non osò domandare, se sussistesse o meno l’opzione per lei, di rifiutare quell’inutile gioco; ma sarebbe stato, tutto sommato, nient’altro che un piccolo sforzo in più da compiere: fece pertanto, un timido cenno di sì con la testa.
“Il suo padrone la tratta con rispetto, era molto affezionato a sua madre… e la vede crescere in forza e salute: pingue, più o meno come lei lo è adesso, signorina”. Hélène anche stavolta non disse nulla, ma evidentemente non aveva affatto apprezzato il chiaro riferimento alla forma tondeggiante del proprio corpo; certamente l’altro uomo l’aveva già abbondantemente vessata e derisa, durante il loro precedente incontro; ma stavolta era l’anziano scrittore ad indulgere in tale dettaglio, seppur in modo più lieve e garbato.
“Lei deve ringraziare il proprio padrone, ogni volta che egli completa una precisa frase, signorina …Erika”, aggiunse Ridot, cogliendola stavolta decisamente impreparata. Anche Frank parve meravigliarsi, del modo in cui il suo Editore intendeva far evolvere quella pericolosissima situazione.
“…la vede crescere in forza e salute: pingue, più o meno come lei lo è adesso, signorina”, riprese Gustav Verhouten. Il suo sadico compare fissò Hélène in modo assai torvo, e quella sciaguratamente prese a corrispondergli: “…Grazie, Padrone”; il gioco era diventato esplicito.
Ci fu un nuovo attimo di silenzio, il fumo della pipa era fastidioso, mentre il posacenere nel mezzo al tavolo era già pieno di sigarette spente; la moglie dello scrittore entrò rispettosamente nella libreria, portando con sè un piccolo vassoio di patisserie: ed Hélène fu invitata a prenderne per prima; le gosette erano veramente deliziose e la aspirante scrittrice ne mangiò così un paio, ingozzandosi di fretta.
“Ne prenda quante ne vuole” le disse la moglie dell’uomo, dileguandosi rapidamente e chiudendosi poi la porta alle spalle; era bassa e tonda, con capelli ricci non troppo lunghi.
Gustav Verhouten ricominciò a leggere: “Vi è piuttosto un uomo, il capo della servitù, che non l’ha presa in simpatia; egli ha quasi trent’anni e proviene da Strasburgo”.
“Non ringrazia il suo padrone?” la incalzò Ridot.
Hélène dovette dedurlo dall’origine francese, o forse più semplicemente, per il fatto che era già tutto tristemente scontato in quella ridicola storia; così, fissando il vuoto, ella domandò: “…mi perdoni Padrone, posso chiederle come si chiama il capo della sua… servitù?”.
“Lo sa già signorina… lei conosce già benissimo il suo nome: quell’uomo la disprezza assai…”, rispose Gustav Verhouten. Jean-Pierre Ridot guardò Hélène in modo severo, si erano perfettamente capiti; poi accese una sigaretta senza aggiungere nulla, attendendo che quella povera sciagurata, ossequiosamente ringraziasse per una volta ancora.
Settimo episodio
La trama presentava numerosi salti temporali: si accennava tuttavia ad un primo amore per la diciassettenne Erika, non del tutto ricambiato, da parte di uno stalliere; un chiaro ed ovvio riferimento, ad uno dei suoi racconti che entrambi gli uomini avevano letto, dal titolo Melone rosso caldo.
Era stata scoperta, e con l’ennesimo richiamo anedottico al suo racconto, la giovane Erika veniva punita per la prima volta dal suo padrone; precisamente il giorno cinque d’agosto.
La scena si svolgeva sul sedile posteriore di una macchina, in modo inatteso e del tutto rovinoso. Da lì sarebbe cambiato tutto quanto.
Hélène continuava senza troppa enfasi, a ringraziare l’anziano scrittore in modo meccanico, al termine di ogni sua frase: ma era oramai del tutto evidente, come i due uomini la stessero banalmente raggirando. Quella storia era la sua: tutte le vicende, e persino le date, ricalcavano alla perfezione quanto ella aveva descritto all’interno dei suoi racconti.
Con l’unica eccezione, per niente affatto ovvia, del possibile e drammatico finale. Giudicata colpevole e seviziata.
“Adesso si è introdotta a sufficienza nel suo personaggio… signorina Erika?” chiese l’Editore provocandola in modo beffardo. “Questo finale noi lo dobbiamo ancora scrivere… e lei signorina Erika … adesso ci dovrà aiutare a farlo…” aggiunse guardando l’altro uomo con aria complice.
Erano successi alcuni fatti strani, all’interno della casa in cui la cameriera Erika Coppel, adesso ventiseienne, viveva e lavorava; il capo della servitù aveva quarantadue anni, mentre il suo padrone ne aveva già trascorsi sessantatré.
Fatti strani e decisamente molto gravi.
Una nuova cameriera più giovane, di nome Corinna, era stata sfregiata con una lametta durante il sonno; i sospetti s’erano concentrati nientedimeno che sul suo padrone. Era infatti noto, come la ragazza avesse rigettato alcune sue ambigue avances. E avesse poi lasciato intendere di volersi persino dimettere, ed infine denunciarlo per abuso ed intimidazione. Il criminale gesto aveva forse l’intento di spaventarla e dissuaderla?
Quella giovane cameriera non s’era affatto tirata indietro: la denuncia era piovuta sul capo dell’anziano padrone Gustav, benché non vi fossero precise prove a suo carico, all’infuori di quelle sue esplicite proposte rifiutate.
Lo scrittore all’improvviso si interruppe, ed Hélène ancora una volta in modo servile, lo ringraziò.
Poi aggrappandosi al bastone, egli si alzò in piedi; la trama del suo libro si interrompeva lì. La sciagurata finalmente, non avrebbe più dovuto ossequiarlo: pensava in cuor suo, che adesso si sarebbero accordati per il completamento del lavoro, sarebbe stata lasciata libera di ritornare a casa.
Non le piaceva quella storia: le appariva scontata e banale; Hélène avrebbe sicuramente aggiunto qualche episodio di erotismo più terreno, all’interno della trama. I personaggi disegnati da Verhouten poi, le parevano tutti freddi e distanti, sembravano fantasmi venuti da un lontano passato; la donna sedeva compostamente con le gambe accavallate, attendendo istruzioni da parte dei due uomini.
“Noi sosteniamo che, a deturpare il volto della cameriera Corinna, sia stata proprio lei …signorina Erika”. Le parole dell’Editore la sorpresero completamente, facendola sobbalzare; “…lei lo avrebbe fatto solo per invidia… dal momento che non era più la favorita del suo padrone”. Hélène dovette corrispondere con uno sguardo talmente stupito, che quegli ne parve persino compiaciuto: si alzò anch’egli dalla sedia, mentre Frank Van Harmeen taceva di lato, immobile.
Adesso il gioco si faceva orribilmente chiaro ed esplicito.
“Il capo della servitù ha delle prove a suo carico” aggiunse Jean-Pierre Ridot, inforcando nuovamente i suoi occhiali.
“Ma …ma signori, la storia non deve essere ancora scritta?” balbettò Hélène disorientata; quella piega non le piaceva affatto, preludeva ancora una volta, ad una forma ben certa di punizione. L’anziano scrittore s’era fermato a breve distanza e la scrutava, per comprendere le sue reazioni. Le piaceva il fatto che ella si fosse meravigliata, improvvisamente aveva colto in lei, la sua vittima designata.
“Non sarebbe la prima volta, che lei mi delude …infima e miserabile donnetta grassa” esclamò costui.
“…ma …ma …ma come si per…” provò a reagire Hélène, trattenendosi poi subito, per il timore di rovinare tutto; doveva ancora stare al gioco con quei due uomini. “Ringrazi il suo padrone! Gra zie, Pa dro ne …obbedisca!” la incalzò senza tentennamenti Jean-Pierre Ridot.
Ed Hélène lo fece, consegnandosi inconsapevolmente, senza residua dignità: in quell’istante, ella era già diventata Erika Coppel; una improbabile cameriera con tanto di tailleur, lì, in carne ed ossa. E ora accusata di un atto criminoso.
“Non è la prima volta, che mi capita di redarguirla, e di istruirla” aggiunse Gustav Verhouten; “Ricorderà certamente la prima volta che lo feci, sul retro di quella limousine…”.
Ancora una volta quella parola, istruirla, il cui significato era oramai divenuto per lei, alrettanto chiaro ed esplicito.
“Grazie… Padrone…” recitò Hélène in modo sciagurato.
“Fa bene a ringraziarmi… quella volta la videro in tanti. Fu istruita per bene nella macchina, vicino all’ingresso del parco. Non ebbi remora a farlo, come non ne avrò oggi”.
La donna si impose di ringraziarlo per una volta ancora, ma iniziava a provare fastidio, per i continui riferimenti al suo castigo in età giovanile, sul quale l’uomo indulgeva in modo assai pesante ed insistito.
“Con l’unica differenza, che lei oggi è molto più grassa di allora… dovrò tenerne assolutamente conto…”.
Stavolta la scellerata tacque, e vide l’anziano scrittore che, avanzando col suo bastone in modo incerto, schiudeva un cassetto. Trovandovi immediatamente dentro, quello che egli cercava: una fasciona in pelle scura, una cinta alta e spessa, il rimasuglio di quel che doveva esser stato un abito da donna.
Era quello l’attrezzo domestico che egli aveva scelto.
Jean-Pierre Ridot si era spostato di lato, ed Hélène era rimasta da sola, compostamente seduta, con le cosce che le tremavano; aveva deciso ancora una volta, di non volerlo.
“Con l’unica differenza, che lei oggi è molto più grassa di allora… dovrò tenerne assolutamente conto…”.
L’anziano scrittore si mosse al centro della libreria, tirando sempre la sua pipa; la moglie, nel frattempo era compostamente entrata per ritirare il vassoio vuoto. Vide la spessa cintura in pelle nelle mani del marito, e subito filò via abbassando lo sguardo: non immaginava che quella giovane donna potesse prestarsi al gioco, non credeva che ella fosse in fondo poi, così sciaguratamente schiava di tutti loro.
Adesso gli uomini tacevano, l’unico rumore era quello di un orologio a muro, ed ogni tanto il sibilo minaccioso della cintura, sciabolata nel vuoto dalla mano destra leggermente malferma di Gustav Verhouten; adesso toccava ad Hélène, decidere se oltrepassare il limite ultimo della vergogna, dinanzi a tutti loro. Ne andava di mezzo la sua carriera.
“Con l’unica differenza, che lei oggi è molto più grassa di allora… dovrò tenerne assolutamente conto…”.
Ottavo episodio
“La servitù verrà riunita per assistere al castigo della cameriera colpevole”.
L’anziano scrittore era in preda all’ispirazione più fervida; trascinato da una voluttà depravata, aveva ordinato al suo sempre servile Frank, di trascrivere tutto ciò di inappropriato egli immaginava. Era obbligato a farlo.
“La scena si consumerà nella libreria del padrone, dal momento che è il luogo più silenzioso della sua dimora; non si vuole infatti turbare nessuno di quanti possano avvicinarsi nei pressi”. Poi aggiunse: “Tuttavia, vengono invitati ad assistere coloro che sono in casa, senza nessuna eccezione; per alcuni, è dato accesso alla libreria per la prima volta”.
La porta si aprì, ed anche la moglie dell’anziano scrittore vi fece nuovamente ingresso in modo complice e silenzioso; aveva origliato di nascosto, dal corridoio, quelle precise istruzioni di suo marito: immaginava che ciò fosse quello che egli desiderava, di renderla anch’essa partecipe.
L’Editore si era spostato a sinistra e teneva le braccia conserte; sfiorava con la mano la sua piccola barba, mentre nella testa già pregustava la successiva, e ancor più perversa, evoluzione della trama. Frank era poggiato alla scrivania, dal lato opposto rispetto a quello ove inizialmente era stata seduta Hélène, e scriveva tutto in modo meccanico.
Gustav tratteneva la fasciona in pelle con ambedue le mani, mentre in mezzo a tutti loro, oramai da alcuni minuti, una donna piegata in avanti giaceva immobile.
Le avevano ordinato di disporsi in quel modo, con i gomiti allineati sul duro legno, senza dire né fare nulla: e la sciagurata aveva obbedito, immaginando che non sarebbe finita lì. Fissava la parete coi libri dinanzi a sé, e respirava.
“Lei deve rimanere immobile finché non sarà giunto anche l’ultimo dei camerieri ad osservarla”; il risolino dei presenti era del tutto fuori luogo, ed Hélène si sentì sprofondare.
Anche l’ultimo dei camerieri era arrivato. Con tono solenne l’anziano scrittore concluse: “Il capo del personale Jean-Pierre, l’ha colta in flagrante nell’atto criminoso che lei ha operato: chiedo pertanto proprio a lui, in quanto testimone, di procedere sollevandole completamente la veste e scoprendola… prego signor Ridot, quella veste, su…”.
Ancora una volta Hélène sentì le mani dell’Editore afferrarle il tessuto dal basso. E stavolta fu rapido ed essenziale nel tirargliela sopra. Un colpo di tosse dell’anziano scrittore suggellò la scena, mentre Frank per pietà si mise una mano sugli occhi. Non voleva vedere ma dovette farlo.
La donna aveva indossato una mutandina bianca leggermente più succinta per via del caldo; i bordi stondati in cima la lasciavano leggermente libera di sotto. Fu così che le quattro persone lì presenti, colsero immediatamente quei glutei bianchi e lattiginosi, molli e deturpati dalla cellulite, liberi in mezzo alla sala, ed esposti dinanzi ai loro sguardi.
“Lei possiede veramente… le forme di un elefante; non immaginavo che una mia cameriera potesse essere tanto grassa. Prima la castigherò e poi le imporrò una dieta…”.
La fantasia di Gustav era mossa dall’ispirazione, mentre l’Editore se ne stava sempre a un passo dalla poveretta, piegata in avanti; attendeva l’ordine di abbassarle le mutandine, ma a quanto pare l’anziano scrittore non lo desiderava. Avvertiva la pressione salirgli in corpo, temeva che ciò potesse divenire visibile sotto i suoi pantaloni, alla presenza della moglie.
“Il capo del personale, le tratterrà le culotte in modo da scoprirla per intero”. Frank trascrisse anche queste incresciose parole, mentre l’Editore obbedendo a sua volta, afferrò il filino nel mezzo; stringendolo in modo da far sì, che le misere chiappone di Hélène, risultassero ora inesorabilmente scoperte. Le vide oscillare penosamente.
“Signorina Erika, lei è colpevole nei confronti miei e di tutta la servitù; verrà processata e sanzionata nei prossimi mesi, con una detenzione. Quest’oggi lei raccoglie solamente il frutto di ciò di assolutamente turpe e immorale, lei ha compiuto… la sua pena è questa, di venire esposta al ludibrio e alla vergogna…”; Hélène tacque mestamente, senza muovere la testa; stava scoppiando nella sua camicetta bianca del lavoro. Aveva paura.
“Stringa le gambe, abbassi il capo e sollevi le terga!”.
La poveretta obbedì una volta ancora; era pronta in posizione.
Infine, quegli aggiunse: “Ad ogni colpo di cinta che subirà, dovrà ringraziare me e il suo diretto responsabile. Dopo averne aggiornato il conto”.
L’Editore le strinse ancor più la mutandina, facendola irrigidire; ed improvvisamente Hélène fu travolta da una sciabolata fortissima, che schioccò nella libreria in modo fragoroso ed inatteso. Urlò come una disperata, senza rammentare di ringraziare entrambi, scuotendo i fianchi.
Il freddo che aveva sui glutei si era tramutato in un dolore lancinante, dopo quel solo primo colpo, assestato con grande maestria; anche la moglie dell’anziano scrittore aveva sussultato, nel vedere il marito impartirle quella sferzata.
“Ad ogni colpo di cinta che subirà, dovrà ringraziare me e il suo diretto responsabile. Dopo averne aggiornato il conto”, ribadì Gustav Verhouten, e Frank prese nota per una volta ancora.
“Uu… noo …grazie Padrone e grazie …sii …signore”, biascicò Hélène, dopo che fu travolta per la seconda volta. Le chiappone s’erano mosse in modo penoso, curvandosi sotto la spinta inesorabile di quello spesso oggetto in pelle.
“La castigherò e poi le imporrò una dieta… cicciona” insistette lui: e subito la colpì di nuovo, leggermente più in basso, vedendola piegarsi in avanti e stringere le spalle, tutta contrita”. “Du… due duee, gra… grazie …Paa drone…”.
“E grazie signore!” urlò Gustav, uscendo per la prima volta dal suo consueto e garbato aplomb, scaraventandole addosso un colpo più duro dei precedenti. Al quale la scellerata Hélène rispose con un guaito penoso ed imbarazzante.
“Lei oltre che grassa, è persino indolente… stringa le gambe!” le ordinò lo scrittore; e trattenendolo dapprima con due mani, liberò per l’ennesima volta tutta la massa di quell’oggetto, scuotendolo sulla carne bianca ed indifesa della poveretta. “Tree… grazie Padrone e grazie si…”.
“Aaaah…”; fu colpita immediatamente in modo virulento, con più forza ancora.
L’anziano scrittore si fermò per un istante, mentre Jean-Pierre era sempre in piedi alle spalle di Hélène, e le tratteneva lo slippino sollevato con severità e rigore. Frank alzò lo sguardo dal foglio, e notò come quest’ultimo esibisse suo malgrado, una mole ferma sotto i pantaloni.
“Il culo di una elefantessa” disse Gustav a bassa voce, e fu udito da tutti fuorché da Hélène, che taceva piegata in avanti. “È pronta?” recitò alle sue spalle; la poveretta biascicò un sì sommesso e delicato; e subito arrivò una nuova scudisciata, forte e precisa, che le fece vibrare la schiena e le scarpette: “Quaaattro ...quattro siiignore e Padrone”.
“Prima padrone… e poi signore” urlò l’anziano scrittore in modo fermo, scandendo una singola sillaba alla volta; “adesso gliene ne darò due di seguito, affinché possa ringraziarci due volte. Prima grazie padrone, poi signore”.
Mantenne la promessa, e le impartì due colpi in rapida sequenza; ai quali la scellerata Hélène rispose correttamente, sebbene riuscisse a malapena a parlare.
Il sederone della donna adesso vibrava penosamente; ambedue i glutei erano segnati di vivo colore rosa, in maniera assai vistosa, e non era ancora che l’inizio. “Andremo avanti fino a ventisei, la sua età… affinché ella impari quanto peggiore sarà il castigo qualora lei trasgredisse di nuovo, negli anni a venire…”.
Frank alzò nuovamente gli occhi, e spiò di profilo la sagoma di quel sederone mollo e vergognoso che oscillava in continuazione; poi lo sguardo cadde nuovamente sul pantalone dell’Editore, gonfio in modo inequivoco lì nel mezzo. Il volto di Hélène era del tutto arrossato.
Fu battuta di nuovo, per tre volte di seguito; la poveretta abbassò la testa aprendo leggermente le caviglie in basso.
“Stringa le gambe e alzi le terga!”.
“Aaaaaah…”.
“Ooooooo”.
Il culone della povera donna iniziava ad arrossarsi in modo imbarazzante, davanti allo sguardo perverso dei due uomini e della curiosissima moglie di Gustav; mai egli aveva alzato un solo dito nei suoi confronti. I loro accordi matrimoniali non lo prevedevano, per sua fortuna.
L’orologio a muro segnava le otto meno un quarto, col suo rumore lento e regolare, alternato agli schiocchi impietosi della cintura che si abbatteva sul culo mollo di Hélène.
“Stringa le gambe e alzi le terga!”.
Era un supplizio senza fine, impartito con crudeltà e grande maestria.
“Ooooooo”.
Nono episodio
Erano arrivati a venti.
Il culone di Hélène aveva assunto il colore vermiglio di un vecchio melograno: giammai la poveretta era stata punita così duramente, per quanto ella fosse avvezza alle botte.
“La… la pre …la scongiuro … fa tanto …tanto male…” ebbe l’ardire di sussurrare, quando oramai il dolore l’aveva già travolta e del tutto annichilita. L’Editore alle sue spalle continuava a tenerle il filino della mutandina sollevato, ed era eretto in modo imbarazzante: aveva veduto le chiappone di quella disperata tingersi dapprima di rosa, poi indurirsi come una scorza d’arancia; ed infine arrossarsi per intero.
Non ottenne alcuna risposta: l’anziano scrittore mollò un paio di colpi a vuoto nel mezzo alla sala, e poi allargò nuovamente il braccio per riprendere il lavoro.
“Aaaaaah!” urlò la donna; era stato ancor più severo nel colpirla. “Non ho sentito…” dissè imperturbabile Gustav.
“Ve …ve… ventuuunoo… signore… pa Padrone…”; oramai la poveretta non riusciva nemmeno più a parlare.
“Che cosa succede con lei… signorina Erika… non riesce più a contare adesso? si è completamente instupidita?” la umiliò lo scrittore; vedendola rassettarsi frettolosamente sulle gambe, nel tentativo di ricomporsi. Ma non fece in tempo, che subito fu battuta di nuovo, con una violenza impressionante.
Decise di ripartire dal venti.
Ma Hélène era completamente obnubilata da quei colpi; sbagliò per altre due volte a contarli correttamente: costringendo l’anziano scrittore a ripartire ancora daccapo.
“Ooooooo”.
Frank non riusciva più a guardarla; la poveretta teneva la testa poggiata al tavolo, la bocca spalancata e la coda di cavallo rovesciata sul davanti; le mani erano aggrappate ai bordi della scrivania, mentre il busto si muoveva leggermente di lato, ad ogni sferzata che subiva.
“Veeenti …tree …grazie Padrone …e gra grazie siiignore…”.
“Ee …veeentiquaaattro”.
“Aaaa… veeeeenticinque…”.
Gustav fece un piccolo passetto in avanti, reggendosi sul bastone, e le impose la mano sinistra aperta, sopra la gonna interamente ribaltata; notò anch’egli, come il suo compare fosse stranamente gonfio sotto ai pantaloni. Di contro, il vecchio scrittore, aveva provato sensazioni purissime di lucida perversione: un vivido, scellerato sadismo crudele; nei confronti di quella donna così tristemente irresponsabile.
“Stringa le gambe, elefantessa!” urlò all’improvviso.
“Aaaaaaaah”.
L’aveva battuta tenendola ferma, facendole ancor più male.
“Che culo orrendo che ha…” chiosò oltraggiandola. Tutto tacque nella sala, lasciando la povera donna in balia dei propri sospiri e delle innumerevoli lacrime che le rigavano il volto arrossato e avvilito.
“Cara, portami il catetere…” disse l’uomo alla moglie.
“No… noo no, cosa vuole… cosa volete fa…” si ridestò improvvisamente Hélène, ricomponendo le idee a fatica, mentre l’Editore imperterrito le reggeva sempre il filino bianco della mutandina, attendendo nuove istruzioni.
“Questo schifo di didietro, adesso dobbiamo sgonfiarlo…” disse con totale freddezza e distacco lo scrittore, vedendo Frank che incredulo, aveva persino smesso di prendere nota.
La moglie si mosse pedissequamente, lasciandoli soli per diversi minuti; tutto tacque nuovamente all’interno della sala, con la povera Hélène sempre piegata in avanti.
Poi la donna rientrò con la solita aria rispettosa, portando con sé lo scellerato attrezzo col tubo flessibile, assieme ad un righello di plastica per misurare.
“Fuori! Fuori quel culo!” ammiccò Gustav verso l’Editore. E quegli afferrando frettolosamente l’elastico delle mutandine di Hélène, dopo averle mollato il filino nel mezzo, gliele tirò giù all’improvviso, vedendola traballare. Gliele lasciò sospese poco sopra le ginocchia. “Noooooooo…”.
Era stata finalmente denudata.
Adesso quel mappamondo, lo stesso che egli aveva più volte vessato e deriso, si offriva livido, tremolante e completamente deturpato dinanzi a tutti i loro occhi: un panorama davvero triste e imbarazzante.
“Cosa vuole… cosa volete fa… farmi” biascicò incredula, con le lacrime agli occhi, la poveretta piegata in avanti. “Aprila! …aprile quel coso informe!” ordinò Gustav, che era divenuto adesso persino volgare, oltreché assai feroce nei modi.
Sentì la punta del catetere infilarsi un poco alla volta; “…noooooo” urlò la sciagurata Hélène, ma presto fu soggiogata ancora in modo completo: le fu infilato dentro per bene. Sentì l’aria passarle nel buchino, non aveva mai provato una sensazione così umiliante e penosa davanti ad altra gente. Fu liberata solo dopo che lo ebbe riempito, un autentico schifo durato minuti.
“Lei Erika non ha nessun decoro né dignita… si deve solo vergognare…”, esclamò l’anziano scrittore alle sue spalle, osservando ancora una volta, il catetere che s’era riempito.
Frank a quel punto provò a prendere le difese della donna, in modo pavido e timoroso: “Signori io credo… credo che per oggi possa bastarle così… non ritenete? È stata istruita in modo sufficiente… io credo…”. Non fu ascoltato.
“Il righello… per favore” riprese Gustav, ignorando completamente quella sua preghiera. La moglie lo porse al marito, il quale fece piuttosto cenno, che ad agire intervenisse adesso l’Editore; era apparentemente appagato, e con calma s’accese nuovamente la pipa, reggendosi faticosamente al proprio bastone. Jean-Pierre Ridot avrebbe a quel punto, dovuto misurarle la larghezza del sedere.
Hélène nell’accorgersene, trasalì: quel righello era rigido e flessibile al tempo stesso, sarebbe stato veramente troppo doloroso per lei, riceverlo dopo tutte quante quelle scudisciate; non disse nulla, pregando in cuor suo, che non fosse quella la loro intenzione. Stava letteralmente scoppiando per il dolore.
“Quarantadue centimetri, scrivi” declamò l’Editore, rivolgendosi a Frank; sotto i pantaloni esibiva una massa ingombrante e turgida: adesso era per davvero, completamente eretto; dopo avere assistito da vicino, alla sevizia del catetere. La povera Hélène non poteva saperlo.
Con la mano destra avvicinò il righello ai glutei caldi e rovinati della donna, mentre con la sinistra ne trattenne l’altra estremità, flettendolo. Poi lo mosse al centro, all’altezza del forellino che era stato appena liberato dal tubo. Sarebbe stato quello, il punto estremo del dolore.
“Dilati queste chiappone!” ordinò con voce stentorea alla povera donna; Hélène non capiva che intenzione egli avesse.
“Dilati quelle stupide chiappone… obbedisca!” ribadì immediatamente. La poveretta non capiva che cosa quegli intendesse farle e ancora una volta non si mosse.
“Noooooo…” ululò, sentendo improvvisamente le mani tremolanti dell’altro uomo più anziano, che adesso le reggevano il culo da dietro, aprendolo imperiosamente.
Due uomini in preda al sadismo più perverso, erano in piedi alle sue spalle; Ridot con il suo righello flesso, a pochi centimetri di distanza, pronto a liberarne l’estremità sinistra tutta tesa. Verhouten leggermente di lato, con le mani malferme che avevano impietosamente afferrato tutta la massa informe di quella specie di pallone completamente sfatto, aprendolo in due con vigore e compiacimento.
Dovette attendere per quasi dieci secondi in quella posizione, retta per bene da quelle mani tremolanti. Prima di udire il sibilo dell’oggetto dietro di lei: le schioccò tutto lo spazio stretto in mezzo ai glutei aperti, battendole la bocca scabrosa e dilatata dell’ano, facendola sussultare e tremare sulle scarpette. Hélène urlò in un modo triste e disperato.
Decimo episodio
Non ci fu nessuno di loro che se lo aspettasse. La trama doveva compiersi con la sevizia del catetere, e con la misurazione finale delle proporzioni del culo della cameriera mediante il righello. Che l’aveva segnata per una volta ancora, chiudendo il cerchio.
L’Editore si aprì invece la cintura: aveva un paio di mutande scure, sotto le quali la massa rigida pareva ormai trattenuta a grande fatica; Gustav Verhouten decise di allontanare la moglie, indicandole la porta e mollandole un leggero colpetto sul didietro per invitarla a filare via, vedendola obbedire ancora una volta. Non poteva guardare.
“È pronta per essere inculata?” domandò l’Editore in modo beffardo; Hélène aveva gocciolato una delicata brina di bianco, dopo essere stata colpita con il righello, e lui l’aveva notata. È mai possibile che ella fosse tanto stupida, da eccitarsi in quelle condizioni così estreme ed umilianti?
“Questo è il trattamento speciale… per tutte le cameriere che lo hanno più largo di quaranta centimetri…”, la derise in modo perfido. “Il mappamondo…” aggiunse oltraggioso.
Sentì due mani che le allargavano nuovamente i glutei, con più fermezza e decisione: e non erano quelle tremolanti dell’anziano scrittore. Anche Frank trasalì nell’attesa che quegli finalmente, estraesse il pene dalle mutande rigonfie.
L’Editore lo fece, tenendo sempre il culo di Hélène dilatato e fermo con una mano.
Undicesimo episodio
L’aveva sprofondata con grande fatica, ma adesso le stava dentro il buchino da diversi minuti, sospingendola.
La povera donna aveva sollevato il busto, dapprima aprendo le mani sul tavolo; poi provando persino a respingerlo, per poi infine avvinghiarsi con una mano a lui.
L’Editore aveva abbassato completamente i pantaloni, e muoveva il bacino avanti e indietro, vibrando il proprio membro dentro la massa informe di quel cuscino orribilmente mollo e arrossato; le mani lo trattenevano con vigore, era gonfio più che mai.
Frank non poteva credere ai propri occhi: Hélène adesso godeva come una vera cagna, dopo essere stata castigata ed umiliata davanti a tutti quanti, per quasi un’ora. Mugolava e sospirava in continuazione, travolta da un mare di liquidi in mezzo alle cosce, senza alcun residuo d’amor proprio e di pudore. Era mai possibile che le piacesse?
Anche l’anziano scrittore pareva scosso nel contemplare la vergognosissima scena; era fermo di lato e teneva lo sguardo fisso sul volto di Hélène, cercando di cogliere ogni sua singola espressione: da dove proveniva quella sciagurata ed irrecuperabile grassona? Non era affatto decente tutto ciò.
La scellerata godeva, puntellata fino in fondo e sospinta avanti e indietro senza pietà; l’Editore alle sue spalle pareva incontenibile, non voleva saperne di fermarsi.
La gonna sollevata e le mutandine abbassate sopra le ginocchia divaricate, completavano la figura imbarazzante di lei; una vera svergognata, alla mercé di tutti coloro che cercavano un culo da battere, o un buchino da sfondare.
La poveretta allargò ancor più le gambe, finché la stretta delicata delle sue piccole mutandine glielo consentiva, piegandosi nuovamente in avanti in modo docile e penoso: sentiva il bastone severo di Jean-Pierre che la martellava fin dentro alla testa. Era sudata e bagnata dappertutto.
Crollò dopo pochi minuti, spalancando la bocca, e infradiciandosi completamente fin giù dentro lo slip proteso nel mezzo: che graziosamente le trattenne diverse gocce di vivida panna provenienti vergognose dalla vagina.
Quando l’Editore se ne accorse, ebbe l’istinto di destarla nuovamente col righello, che era rimasto lì vicino sul tavolo: ma era anch’egli soggiunto, ineluttabilmente, sul limite ultimo del piacere; toccava a lui concludere la scena.
Estrasse con un grande sforzo l’oggetto abnorme dallo sfintere deformato della donna, vedendo quel buchino nero tremare indifeso, senza richiudersi su sé stesso. Ed era bagnato, arrossato in modo indecente, vivido e caldo.
“Oooooo…”.
Hélène aveva tutta la bocca spalancata, quando l’uomo decise di imporle quell’arnese, turgido e irto di vene pulsanti, in cima ai due glutei, nel bel mezzo. Dove l’ombra della gonna grigia rovesciata le ricopriva i fianchi. “Oooh…”.
Lo muoveva avanti e indietro, leggermente a scatti, in cima a quei glutei del tutto deformati ed abusati; la donna sembrava godere ancora in modo scellerato, era scivolata nel fondo di un vortice senza fine; e non voleva più uscirne. “Ooooo…”.
Un colpo, due, e poi infine anche egli, esplose: ricoprendole tutta la gonna di sperma, ululando in modo animale e incontrollato, muovendo avanti e indietro il pene in quel modo oltraggioso ed ossessivo. Chiuse il tutto con uno sculaccione forte e del tutto inatteso, che schioccò nella libreria in modo imbarazzante. “Si rivesta …scrofa”.
Fu con grande imbarazzo che ripresero a parlare: Hélène si era rassettata ma era ancora completamente rossa in viso; Frank era corso in bagno e probabilmente aveva sfogato anch’egli la sua energia nella tazza. Adesso vi sarebbero stati gli accordi per i successivi sviluppi del libro, pensava la povera donna, mentre avvertiva un dolore insopportabile su tutta quanta la superficie rotonda del sedere.
Le imposero tuttavia di ascoltare le loro condizioni, ordinandole di rimanere piegata alla scrivania; non soddisfatti, le intimarono persino di sollevare ancora la gonna. Non poteva star seduta per via del bruciore sui glutei: accettò pertanto l’ennesima umiliazione di buon grado, domandando per quanto a lungo sarebbe durata ancora; sotto la mutandina tutta fradicia, quei poveri glutei le brulicavano di caldo, guastati e rovinati del tutto.
“…nessun decoro né dignita… si deve solo vergognare…”.
Erika Coppel firmò così, in quella posizione, la sua prima pubblicazione erotica; sarebbero stati pochissimi stralci, una decina di pagine allegate al libro, scelte dall’Editore in modo discutibile e per molti versi scriteriato.
L’opera di Gustav Verhouten sarebbe uscita in autunno, con il curioso titolo Das Geschwätz: Le Chiacchiere; con quelle poche pagine attribuite alla scrittrice, a inutile corredo.
La scena della sodomizzazione conclusiva, per suo rispetto, non fu inclusa. Ma nessuno avrebbe potuto immaginare, quanto sacrificio potesse mai essere costato alla povera protagonista, quell’indimenticabile impiastro di fine maggio.
Frank la accompagnò a casa senza dire una sola parola; quella paffutella giornalista conosciuta solamente un anno addietro, mediante il legame comune con l’amica Michelle, si era nella menzionata circostanza, assai interessata al suo strano genere letterario: iniziava con le lettere esse ed emme.
Si era incuriosita, ed avrebbe voluto saperne di più.
Così adesso, quella poveretta sapeva.
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