Diario di Hélène - PAWG Vera Culona
di
Hélène Pérez Houllier
genere
sadomaso
Phat Ass White Girl
Chica blanca culona
Ragazza bianca col culo grosso
Coquine blanche nommée Hélène
Primo episodio
Lo chef che preparava oeuf brouillé a colazione, non era propriamente un tipo giovane e teneva lo sguardo sempre basso e circospetto, quello d’un vero porco e di un chiaro pervertito: così egli appariva nella mente assai confusa di Hélène. Lo aveva fin da subito notato per via di quel dettaglio particolare, le dimensioni enormi delle manone che armeggiava per sbatacchiare le uova; lei s’acchittava allo specchio della camera tutte le mattine, prima di scendere a piedi lungo le scale dell’hotel, pensando ossessivamente a quelle mani enormi: le avrebbe forse volute provare?
Il suo copricostume elegante, in delicatissima stoffa color ambra, era leggermente corto e terminava con delle piccole ondine disposte in diagonale, all’altezza delle cosce.
Per la prima volta si pentì di avere scelto un completo tanto sobrio e castigato: avrebbe forse voluto provocarlo in maniera più decisa, ma si limitava a farlo con le gambe accavallate, fissandolo da alcuni metri di distanza; senza causare apparentemente in lui, alcuna particolare sorpresa.
Il fidanzato che l’accompagnava era piuttosto rimasto assai sorpreso, da Hélène, almeno un buon paio di volte durante quello stesso soggiorno; alcuni atteggiamenti inusuali della sua donna l’avevano a tratti assai infastidito, dal momento che egli non era mai stato abituato ad osservarla in tale veste: Hélène era inaspettatamente divenuta molto più aperta e disinibita verso gli uomini, e parlava più frequentemente del solito anche con gli sconosciuti.
Samir s’era persino ingelosito: l’aveva veduta da lontano, la sera quando sul bordo della piscina ella s’era lasciata avvicinare da un uomo più anziano; proprio mentre egli s’assentava per un solo minuto, recandosi alla toilette.
Fino a quel momento, giammai avrebbe solo immaginato, che ella potesse un giorno tradirlo: nel passato l’aveva sminuita e persino derisa, infinite volte, ritenendola incapace di muovere un semplice passo, senza di lui.
Ma aveva iniziato a desiderare di controllarla, cosa che fino a quel momento, mai gli era nemmeno balenata dentro alla testa. Il secondo episodio s’era verificato durante il giorno, al ricevimento dell’albergo: l’aveva sorpresa intrattenuta da un inserviente di colore molto aitante, mentre lui l’attendeva già da alcuni minuti, lì vicino nei pressi; nulla di particolarmente compromettente, ma di certo non gli era piaciuto per niente l’atteggiamento di lei, ed il suo sguardo languido, perfettamente ricambiato: appariva molto curiosa ed anche leggermente imbarazzata in quell’istante.
Ad aggravare di molto la situazione della donna, la sciagurata Hélène s’era già inopportunamente negata a lui la sera precedente, rifiutando di concedersi tra le lenzuola: adducendo il banale pretesto d’esser ancora molto stanca, dopo un’intera giornata trascorsa al sole senza fare assolutamente nulla; era divenuta indolente.
Il fastidio del rifiuto aveva accresciuto nell’uomo l’istinto di trattarla in maniera forte, con atteggiamenti di stampo vistosamente possessivo. Come porre immediato rimedio, al declino del loro rapporto di coppia? Decise di risolvere il problema quel pomeriggio stesso, senza alcun tatto, ma con l’intento di disporla nuovamente in riga e sottometterla a sé.
Gonfio di caldo subito dopo la piscina, senza nulla addosso, l’attese per alcuni minuti sul divano dell’appartamento, con tutto il corpo ritorto a muscoloso in bella mostra, ed il pene enorme già eretto, fermo nella sua mano sinistra; Hélène stava salendo le scale, del tutto ignara della propria sorte.
Aprì finalmente la porta avvolta nel suo costume bianco, coi capelli completamente bagnati pettinati all’indietro; ed intravide subito nella lieve penombra della camera, la forma indiscreta del sesso di Samir che l’attendeva; come la statua monumentale e severa di un’antica divinità pagana.
“Mon dieu… ma cosa ti succede…” sussurrò, senza ottenere da lui alcuna risposta; non sembrava che egli avesse affatto intenzione di scherzare con lei: il suo pene era tutto lucido.
Samir lo brandiva saldamente nella propria mano sinistra senza muoverlo; la donna arretrò di puro istinto, non si attendeva certo di ritrovarselo tutto dinanzi, esposto in quel modo: ma non disse nulla ed abbassò la testa. Poi dopo pochi istanti si mosse nuovamente, in modo timido, succube e delicato, meditando di fare in fretta; quantomeno per donargli il piacere di cui indubbiamente egli aveva assai bisogno: era pur sempre un uomo iperdotato, con cui ella si intratteneva felicemente da ben più di tre anni, e con cui casualmente non faceva sesso da oltre tre giorni.
Ma Samir aveva evidentemente ben altre intenzioni, cosicché quando ella lo approcciò con la mano, subito egli la trascinò per un braccio facendola coricare sopra di lui; Hélène fece cenno di no, ma già era piegata sopra il suo addome, trattenuta per la schiena, e costretta banalmente a succhiare.
Lo faceva senza alcuna voluttà, e Samir ne fu ulteriormente e palesemente infastidito; le intimò allora di togliersi il proprio costume di dosso, senza mai interrompere quel servizio che andava meccanicamente eseguendo con la bocca: una richiesta perentoria, ma non certo semplice da eseguire per l’impreparata Hélène. Lei provò ad obbedire, ma lo mollò per un solo istante, in errore; fu lì che il suo uomo le afferrò tutta la vita levandosi fermamente in piedi, con il sesso mostruosamente eretto dinanzi.
Balzò di lato bloccandola per i fianchi, causando in lei un brivido di spavento oltre che una reazione inattesa di vero stupore; la sollevò leggermente sulle gambe spostandola di lato, nei pressi del balcone. Poi approcciandole le spalline del costume, gliele tirò giù nell’intento di spogliarla.
Avrebbe forse voluto prenderla così, disponendola di spalle proprio lì sopra, in piedi sul balcone della loro stanza? La spiaggia assolata si stagliava lontana sul lato destro oltre alcuni alberi, nessuno avrebbe in alcun caso potuto vederli.
Hélène si ritrovò le mammelle larghe che penzolavano in cima, e la parte alta del costume avvolta attorno alla vita; avrebbe voluto divincolarsi e sfuggire via, ma le mani calde di Samir già ne avevano afferrato nuovamente la stoffa umida: per poi calarla giù del tutto, definitivamente, fino a liberarle la pelle fradicia delle due chiappone molli e bianche, vedendole rimbalzare di fuori come due grosse guance di gomma corrugate e pallide. Lei ululò impotente.
“Adesso ti insegno io a rifiutarlo…” sussurrò rabbioso.
Le avrebbe schiuse immediatamente, stringendo quelle chiappone nelle mani e gonfiandole con il suo membro scuro paurosamente eretto; fino a vederla quasi sprofondare del tutto, con le mammelle penzolanti e le mani aggrappate al davanzale, vinta dal piacere. Finendola poi con il suo solito glande rosso imposto in cima ai glutei e con il calore del suo sperma; eiaculava in modo impetuoso e prolungato continuando a strusciarla avanti e indietro, in modo quasi ossessivo, come se intendesse legarla a sé e marchiarla.
“Oo… ooooh”.
Chiunque li avesse spiati dal giardino sottostante, avrebbe veduto il volto arrossato di Hélène muoversi anch’esso avanti e indietro, con la bocca spalancata, oscillando assieme alle morbide mammelle libere e penzolanti; poi le sue timide mani aperte sulla ringhiera, e i due avambracci vigorosi che la trattenevano da dietro, facendola tremare sulle cosce, avvolte dallo scomodo indumento bianco completamente calato: aveva goduto anche stavolta, incapace di resistergli.
Samir continuò a massaggiarla in cima ai glutei con il pene fradicio, impartendole alcuni colpetti prima di lasciarla andare: la sua donna, sottomessa in quel modo, avrebbe imparato, forse per l’ultima volta, a non dirgli mai di no.
Hélène volse le spalle al suo chef, e con un gesto piuttosto inatteso e sconsiderato, allargò leggermente con la mano destra il lembo posteriore del proprio copricostume, con tutte le sue pieghette del color dell’ambra che si muovevano.
Quegli si ritrovò tutta esposta dinanzi, la forma imbarazzante di quel didietro, stretto e fasciato fin sopra alla schiena nel suo tessuto bianco intero; Hélène era stata messa nuovamente in riga da Samir, ma l’appetito in lei non s’era ancora spento. Il vero pericolo era ancora lì, dietro l’angolo.
Secondo episodio
La costrinse a salire sulla bilancia, per vedere di quanto ella fosse ingrassata durante la sua assenza.
Ma prima le dovette far togliere del tutto di dosso, i suoi jeans che erano molto spessi, e che ne avrebbero sicuramente alterata di parecchio la misura.
“Sessantacinque chili… sei una vera culona”, l’apostrofò subito Mauro Mazzi, senza apparentemente rivelare neppure il minimo accenno di stupore; si vedeva infatti benissimo, come Hélène fosse davvero ingrassata in quel periodo: era tutta gonfia in viso e vistosamente larga nei fianchi.
Si limitò ad aprirsi la cintura sul davanti, con un gesto chiaro e deciso, cui la donna era purtroppo già stata abituata.
“Giù subito quelle mutandine!” le disse Mazzi, brandendo la sua cintura con la fibbia ben salda nel palmo della sua mano destra; Hélène sapeva benissimo che quella volta sarebbe andata a finire molto male, ma tantomeno immaginava, che sarebbe bastata la sola prova della bilancia, a causare subito il presupposto per l’ennesima dose di sana disciplina.
Immaginava che Mazzi l’avrebbe piuttosto voluta interrogare sulle numerose chiamate perse, sul frequente rifiuto di mostrarsi in volto, ma non certo per il proprio peso.
“Ho detto… giù quelle mutandine” ribadì fermamente lui, trattenendo sempre la cintura stretta nella sua mano destra.
Hélène si svegliò annebbiata e in preda alla confusione; un anno era già trascorso da allora, dagli eleganti bagni del Royal di Antibes, dove tutta la sua lunga vicenda con Samir era definitivamente franata, nel modo peggiore. L’aveva casualmente rivisto e ricordato in sogno: era impossibile non ripensare a quel giorno, e a quell’umiliante epilogo.
Il suo chef pervertito le aveva chiesto di attenderlo nel cortile dopo le dieci, ed Hélène gli aveva obbedito: abbandonando Samir sulla spiaggia, con il pretesto di dover tornare in camera da letto, per togliersi gli orecchini e la collana.
Si era disposta al sole in modo da essere vista per bene dall’interno della sala; il delicato tendaggio le impediva tuttavia di comprendere, se egli fosse o meno lì: forse costui era già in procinto di avvicinarsi e d’approcciarla come ovvio e scontato, o magari era ancora verosimilmente impegnato, con le pulizie ed il riordino dell’ampio locale; da dentro proveniva ininterrotto, il rumore di un’aspirapolvere, oltre al brusìo delle voci di alcuni vivaci camerieri.
Hélène ostentava un ampio cappello bianco a larghe falde, sopra il solito abitino color ambra; correndo non pochi rischi, di cui era già stoltamente consapevole, oltre a togliersi i suoi monili di dosso, Hélène aveva indossato un succinto completino d’intimo nero; riponendo il suo ben più castigato costume da bagno chiaro: presentava un solo piccolo filino sottilissimo sul didietro, lasciandole i glutei interamente scoperti di sotto; di tutto questo un poco ella si vergognava.
Lo chef tardava a mostrarsi, ed allora la sciagurata donna decise di spostarsi leggermente di lato, accomodandosi su un divano da giardino, interamente coperto di vimini intrecciati.
Dieci minuti buoni erano già trascorsi da quando Hélène aveva abbandonato Samir sulla spiaggia; avrebbe dovuto risalire in camera per rimettersi in ordine, prima ancora di poter ritornare da lui, causando così un ulteriore e sospetto ritardo: non avrebbe affatto voluto indispettirlo per una volta ancora, e la preoccupazione aveva iniziato ad assalirla.
Per sua fortuna, proprio in quel preciso istante, un giovane e dinoccolato cameriere uscì dalla sala venendole rapidamente incontro; le disse senza particolare cortesia: “Chère madame …lo chef Jean-Claude la sta attendendo di là in cucina…”.
Quello era il suo nome; si sollevò in piedi provando non certo inaspettatamente, un’infinita vergogna. Poi fece il suo ingresso muovendosi in modo lento e circospetto dentro alla sala, dove altri giovani camerieri la fissavano ridendo. “Lì dentro, nella cucina…”, ribadì il primo di loro, colui che solamente pochi istanti addietro l’aveva approcciata.
Entrò nel luminoso ambiente adornato di lucide piastrelle, e subito vide lo chef con gli occhi scuri, appoggiato al lungo tavolaccio con tanti piatti impilati, che la fissava in modo esplicito; dopo un solo istante egli aprì la bocca e si rivolse a lei, con voce intensa e profonda, tuttavia senza alcun minimo accenno d’imbarazzo: “Complimenti per il cappello, le sta davvero molto bene mademoiselle …posso conoscere il suo nome?”. Hélène, dopo un primo attimo di timidezza, decise di mentirgli: “…Io …io mi chiamo … Sophie…”.
“Venga qui Sophie, lei ha un bellissimo nome… ed anche un bellissimo… pentolone lì di dietro… lo sa?”, la provocò.
Hélène realizzò di provare davvero enorme disagio, aveva le gambe che le tremavano, in modo assai vistoso; lo chef le protese un braccio facendola avanzare a passetti lenti, ancheggiando: quando la sciagurata gli fu di fronte, infine senza tanti preamboli e senza davvero alcun riserbo, le cinse tutta la vita con il braccio sinistro, stringendola a sé con grande forza. Poi le affondò l’intera manona destra, enorme e nodosa, sul retro del vestitino con le sue pieghette: afferrandole per intero il citato fondoschiena, sentendo che era completamente libero e tutto mollo lì di sotto: “…un gran bel… pentolone” ripetè ridendo mentre ne saggiava la consistenza tastandolo. Hélène sentì la pressione salirle, mentre immobilizzata taceva con le due caviglie divaricate.
“Garçon!” disse a gran voce lo chef, rigirandosi verso il centro della sala: il giovane e dinoccolato cameriere che l’aveva invitata ad entrare, fece immediatamente il suo rapido ingresso in cucina, come se fosse già stato precedentemente istruito a farlo; a quel punto lo chef ammiccando esplicitamente, dopo aver liberato per un istante la presa di entrambi i fianchi di lei, gesticolando esclamò: “…mademoiselle Sophie ha bisogno di aiuto… ce l’hai un mestolo?”. Dopodiché, con un gesto veramente inopinato e senza davvero alcun rispetto per lei, le alzò il lembo del piccolo vestitino sul didietro, scoprendole interamente la pelle nuda dei due glutei bianchi come il latte.
Il ragazzo ristette nel veder rimbalzar di fuori quel sederone enorme, ridicolmente esposto, diviso in due dall’inutile filino nero della piccola mutandina. “Un mestolo… per favore…” ribadì lo chef, vedendo che obbedendo quegli si apriva ossequiosamente, la propria cintura dei pantaloni.
Hélène urlò, ed arretrando impaurita, respinse entrambe le manone dello chef, il quale non certo soddisfatto provava a trattenerla per il cappello; poi da lontano si volse, e vide con orrore il giovane cameriere: già aveva estratto il proprio membro bianco tutto di fuori, arcuato e rigido; gli mollò nervosamente uno schiaffo, squittendo come una scimmia.
Poi guardandoli entrambi dall’uscio della cucina, con infinito imbarazzo, prima di fuggire via, esclamò: “Io …non sono una puttana… cosa credevate di farmi…?”, ma non ottenne davvero alcuna risposta, all’infuori che una beffarda risata.
Lo chef avrebbe ripreso ad ignorarla, mentre sbatteva ogni mattina, le solite oeuf brouillé con quelle sue manone enormi; ad Hélène non era affatto piaciuto venire palpeggiata da lui in quel modo, come una bestia: non era stato esattamente così come lo avrebbe immaginato; ma ancora una volta se ne sarebbe fatta una ragione, inguaribilmente scellerata e perduta in fondo al labirinto come sempre.
Terzo episodio
Salì la rampa delle scale seguendo pedissequamente nel verso contrario, lo stesso tragitto di tutte quante le mattine, con un sentimento strano ed indecifrabile di puro disincanto e di profonda vergogna; aprì la porta della camera da letto trafelata, e vide che il suo costume da bagno era sparito del tutto; al suo posto, vi era un semplice bigliettino con scritto “Ti aspetto nei bagni della piscina… il costume non serve”.
Hélène realizzò tutt’assieme all’improvviso, che Samir l’aveva scoperta: come avrebbe mai potuto giustificare quell’improbabile cambio d’abito, con la scelta d’indossare la propria biancheria intima in luogo del normale costume?
Prese l’ascensore con le cosce che le tremavano; erano solamente le dieci e mezza del mattino ed in piscina non vi era ancora nessuno. Fece il suo ingresso nei bagni appoggiando le mani alla parete in modo circospetto.
“Brava piccola… questa volta sei stata veramente brava!”; la voce di Samir, desolata ed ironica, rimbombava dal fondo del corridoio. Hélène arretrò tutta quanta impaurita.
“Perché non vieni da me adesso… forse ti vergogni?” la affondava lui; “…avanti piccola, il tuo costume ce l’ho io”.
“Forse pensavi che non mi accorgessi …che stavi cercandoti tanti guai? …con quel giovane del ricevimento uh? Oppure con il cuoco …certo, il cuoco della colazione! …avrei pure dovuto pensarlo, dal modo in cui tu, lo fissavi tutte quante le mattine; ah, sono stato un vero stupido io, a sottovalutarti così: già lo sapevo che dentro quella piccola testa, tu te lo sbattevi come una puttana”.
Hélène si sentì sprofondare in un baratro infinito di rimorso, era tutto orribilmente chiaro agli occhi del suo uomo che adesso la scrutava da lontano, nascosto nella penombra.
“Ma fammi vedere piccola… doveva essere importante, per cambiarti il costume: una persona veramente importante!”.
Quegli fuoriuscì lentamente di lato mostrandosi a lei con tutto il petto cosparso di unguenti: tratteneva in mano il suo costume bianco ed era piuttosto scuro in viso, alterato dalla rabbia; le afferrò un braccio trascinandola in avanti, vedendola dondolare goffamente sui propri sandali, fino a ritrovarsela tutta piegata con la schiena in postura prona e leggermente scomposta, a mezzo metro di distanza; il suo vistoso cappello bianco a larghe falde già rotolava in terra.
Quello era l’inglorioso e triste epilogo di una lunga storia d’amore iniziata per caso, ma durata ben oltre i tre anni.
“Eccola qui …la santarellina! …guarda che ti sei messa!” disse tra l’ironico e il pietoso, nell’istante in cui trattenendole la schiena con una mano, assieme all’inutile costume bianco che le aveva poc’anzi sottratto, egli ribaltava inesorabilmente il suo vestitino per controllare direttamente che cosa ci fosse di sotto.
Nella penombra in cui l’aveva trascinata, lontano dallo sguardo di chiunque, le aveva esposto ridicolmente il solito didietro grosso e pallido; rivelando la succinta mutandina nera di sotto, e le misere ed ingiustificabili intenzioni, di colei che l’aveva indossata. “Doveva essere davvero importante, per mostrargli tutto il culo in questo modo …santarellina”, le disse senza tradire alcuna emozione.
“Afferra il cappello! …rimettilo”.
Hélène intuì ciò che stava per accaderle, e tenendo sempre la schiena piegata, osò biascicare a bassa voce: “ti prego”.
Ma Samir non aveva davvero alcuna intenzione di perdonarla; le avvolse i fianchi con tutto il copricostume rovesciato: il culone della sua donna tremava vistosamente, in procinto di subire ciò che il suo uomo mai le aveva dato.
Aprì la mano destra, e tenendola per un istante sollevata, la ammonì: “Sappiamo tutti e due santarellina, che questo ti piace… ma forse adesso scoprirai se ti piace veramente… bambina sederona”; e la colpì con una smanacciata fortissima, con quella mano completamente spalancata, facendola sussultare sulle caviglie divaricate, e gridare: “Ooooo”.
Poi la strinse meglio, immobilizzandola, adoperando anche la gamba sinistra per trattenerla a sé; le mollò il secondo sculaccione, che questa volta risuonò per bene in tutto il corridoio, seguito da un urletto acuto e disperato di lei.
Il terzo sculaccione arrivò immediatamente, mentre Hélène provava inutilmente a divincolarsi; poi tentò di sistemarsi i capelli, e subito fu battuta di nuovo. “Oo… ooh”.
Era davvero una scena penosa, in cui la donna con il suo cappello bianco in testa, squittiva miseramente di continuo.
“Vedremo… se ti piacciono veramente” ribadì lui, sferrandole altri due tonfi in rapida successione, su ambedue i glutei molli; “…la piccola santarellina oggi …le prende sul serio” aggiunse severo. Il sederone scosso e rigonfio di lei, era già acceso d’un rosso livido, mentre rimbalzava inesorabilmente.
“Stringi le gambe, bene così… sederona” le disse ancor prima di riprendere a batterla senza sosta, con tutta quanta la mano destra aperta, sballotandola avanti e indietro nella sua presa.
In quell’istante un inserviente con la scopa in mano si affacciò nel corridoio, e timidamente osò domandare: “Va tutto bene signori?”; aveva gli occhi sgranati e fissava da lontano il dettaglio del sedere battuto e miseramente esposto di lei; era già tutto rosso e vistosamente deturpato.
“Sì, io sono il papà…” rispose Samir con insospettabile sobrietà, noncurante di quanto tutto ciò risultasse davvero poco credibile; il corpo indifeso di Hélène non era propriamente quello d’una tenera adolescente, con tutta la cellulite rigonfia, accumulata sui poveri glutei e sulle cosce.
“Allora bambinona… ricominciamo!” riprese lui un solo istante dopo; e stringendola ancora più forte, le impartì due sculaccioni davvero esemplari, facendola urlare.
Non posso credere che esista al mondo una culona come te. Sei nata apposta per prenderle, ed io dovrei suonarti almeno una volta alla settimana, di santa ragione. Se solamente tu non fossi così lontana, lo farei anche in questo preciso istante, davanti a tutti.
Nessuna le prende più alla tua età: solo tu hai il culo gonfio e le chiappone rosse, ancora una volta; e non sarà l’ultima, puoi contarci: sei talmente ridicola, che finirai di nuovo per cascarci.
Tipo: Messaggio di testo
Da: Lucky Mariano
A: Elen belga
Inviato: 1/1/2022, 22:05
Ricevuto in data: 1/1/2022, 22:05
Quarto episodio
Monsieur Christiani possedeva tutte le caratteristiche di un vero uomo di potere; Hélène lo incontrò durante il mese d’ottobre, quando già aveva compiuto, da poco più che un paio di settimane, i suoi primi trentatré anni. Conservava sempre la stessa anonima voce da bambina, mentre al contempo i suoi capelli mossi erano andati via per sempre, restituendole così il proprio taglio nero liscio e naturale.
Quell’incontro non fu professionalmente felice per lei: avrebbe voluto intervistare un suo importante assistito, ma fu trattata in modo particolarmente indelicato, proprio da colui che l’avrebbe piuttosto, dovuta formalmente introdurre. A tal punto che monsieur Christiani, si dovette infine persino scusare con lei, a distanza di alcuni giorni dall’episodio: e lo fece con classe, invitandola cordialmente per un brunch nei pressi di Rue Archimède.
La sfortunata trentatreenne, definitivamente abbandonata da Samir poco dopo la fine della loro vacanza, non praticava il buon sesso da troppo tempo oramai; e la sua testa assai confusa, glielo rammentava sempre allo stesso modo: fisicamente vulnerabile, facilmente suscettibile alla provocazione più sottile, ed inguaribilmente oppressa dalle sue solite ed irriferibili ossessioni di sempre: nessuno avrebbe nemmeno potuto minimamente immaginare, che cosa le ribollisse dentro alla povera mente annebbiata, in quel periodo; Hélène era potenzialmente alla mercé di chiunque.
Seduta nell’angolo in fondo alla sala con le gambe compostamente accavallate, quando vide l’uomo attraversare la porta del locale, con un elegante cappotto indosso e la sua cravatta scura perfettamente a modo, subito intuì quanto di ben più pericoloso era sul punto d’accaderle: era stata trattata assai male da lui pochi giorni addietro, ma forse quegli l’avrebbe adesso persino sedotta, con il suo elegante cappotto, la sua eccitante cravatta scura, ed il suo indiscutibile charme da uomo forte e assai sicuro di sé.
Aveva circa cinquantacinque anni, ed era sposato con una sconosciuta quarantenne francese; Hélène riconobbe subito l’anello ed inevitabilmente fu a conoscenza del suo stato.
“Le devo le mie più sentite scuse mademoiselle Houllier; è raro per me trattare male, una giovane professionista come lei… persino con la mia cameriera non avrei mai adoperato, simili parole…”.
L’aveva definita paperona, dopo averla udita rivolgersi con domande leggermente petulanti e a tratti capziose, al proprio importante assistito durante una conferenza in internet della commissione; aveva deciso che giammai quel suo assistito sarebbe stato intervistato da lei, una fastidiosa paperona.
“Lei ha …una cameriera?” domandò improvvisamente Hélène, con un’insospettata e quasi inspiegabile curiosità; archiviando apparentemente senza alcun particolare tratto di soddisfazione, le sue ossequiose e formali scuse; “…e …quali parole lei adopererebbe, piuttosto, con la sua cameriera qualora… la facesse arrabbiare come ho fatto io…”.
Christiani comprese come quella sciagurata paperona, fosse tutt’altro che indifferente rispetto alle sorti della sua domestica di casa; qualcosa in lei pareva già suggerire, come quella surreale ed insensata conversazione, potesse anche andare a finire in un modo profondamente sbagliato.
“Oh, in realtà mademoiselle Houllier, è sempre mia moglie a prendersi buona cura di lei…”.
Ordinarono due croque madame al formaggio e subito ripresero a parlare, in modo estremamente serio e con tono sempre formale, di quell’argomento così inatteso e bizzarro.
“È consentito oggi in Belgio, prendersi buona cura di una cameriera?” domandò Hélène in maniera sottile, mentre già sentiva l’utero bollirle inesorabilmente dentro alla pancia.
“Non so dove mademoiselle vuole arrivare…” rispose l’uomo guardando nervosamente l’orologio, che era un elegante Rolex di grosse dimensioni, un oggetto assai pregiato da ostentare.
Poi riprese a parlarle abbassando leggermente il tono della voce, come se intendesse concludere quella scellerata discussione, prima che l’argomento scivolasse via del tutto.
“Cara mademoiselle Houllier, io so bene di averla insultata, e di questo me ne scuso… ma non credo di dovermi piuttosto giustificare, anche per quello che mia moglie dice e fa alla sua povera e distratta cameriera…”. Hélène arrossì, forse l’uomo aveva già compreso tutto quanto.
“Sua moglie è molto bella?” domandò allora, in preda alla curiosità più improbabile. L’uomo inaspettatamente le sorrise, ma in forma interlocutoria e indecifrabile; poi guardò per qualche istante sul proprio telefono, trovandovi con garbato compiacimento, lo scatto d’una donna bionda con gli occhi chiari, altera e distante, di gran fascino: ed era proprio il suo assistito. L’imprudente Hélène non poteva nemmeno immaginarlo e subito ristette incredula, senza fiatare.
Un cameriere servì loro le due deliziose croque madame al formaggio, assieme a un paio di bicchieri col succo d’arancia.
“Vuole intervistare mia moglie e domandarle notizie sul conto della nostra distratta cameriera?” l’affondò Christiani.
“Per oggi mi basterebbe conoscere i loro nomi ed il modo in cui sua moglie si rivolge a lei…” biascicò Hélène, travolta da un istinto inopinatamente insano e rovinosamente nocivo.
“Senta …paperona” rispose allora Christiani facendosi tutto serio in viso. Hélène non mosse un solo ciglio, e fu così che tutto il suo gioco, gli fu improvvisamente e piuttosto ridicolmente smascherato; “io le farò incontrare davvero mia moglie, se proprio lei lo desidera: si chiama Corinne Renoir, come lei avrà ben immaginato. Ma subito devo ammonirla… mia moglie è una donna estremamente irascibile, sia attenta e pienamente disciplinata quando incontra Corinne Renoir”.
“E la cameriera come… come si chiama?” chiese lei tremando.
Christiani s’allontanò dopo avere pagato il conto, ed Hélène rimase per un minuto immobile sulla sedia, con le gambe che le tremavano e la vagina già verosimilmente tutta bagnata, sotto alle proprie mutandine e alle calze intere scure.
“Si chiama Hélène, la nostra cameriera è una distratta paperona di nome Hélène”. Non sa riconoscere le persone.
Quinto episodio
Le sarà rigorosamente vietato portare con sè apparecchi telefonici personali, né alcun simile apparato predisposto per la registrazione.
Hélène non poteva credere a quanto era in procinto di fare.
“Ovviamente la suddetta paperona verrà sottoposta a dettagliati controlli prima d’entrare” aveva aggiunto a voce.
Fasciata in una gonna di lana grigia strettissima, aveva nuovamente indossato le proprie calze autoreggenti; non lo faceva da diverse settimane, non amandone affatto un particolare dettaglio: erano per lei assai scomode da tenere, con tutto il loro elastico ben stretto attorno alle cosce.
“Questa specie di piccola giornalista da strapazzo, ma chère, sembra davvero una donnetta disperata, in cerca di tanti guai: tutta grassa e tonda, un vero bocconcino appetitoso…”.
Una camicetta azzurra da impiegata ed un foulard, sotto ad un maglioncino in pendant con la gonna, ne completavano la goffa silhouette incerta, mentre imbracciando il solito cappottino nero, Hélène s’apprestava verso la porta di casa.
Erano le tre del pomeriggio in un grigio sabato d’inizio novembre: la residenziale dimora di madame Renoir si trovava leggermente in collina, dalle parti del quartiere elegante del Parc Roi Baudouin a Bruxelles; Hélène decise di adoperare un taxi per potervi giungere in modo sicuro, senza tantomeno rischiare di poter incorrere in possibili ritardi: il suo appuntamento era fissato per le tre e mezza.
La testa della scellerata ribolliva di strani pensieri e d’inconfessabili pulsioni: per la prima volta in assoluto, sentiva il sincero bisogno di venire educata e messa in riga da una donna; ma esclusivamente al cospetto di una creatura assai potente, bellissima, e di tutt’altro rango rispetto a lei: la severa madame Renoir, era per lei ancor di più, di tutto ciò.
Hélène non sapeva ancora, se la donna fosse o meno conscia, dell’improbabile jeu de rôle sorprendentemente proposto da suo marito: tale incertezza la lasciava completamente sospesa in uno stato di leggera ansia e di concreto timore.
Il cancello lungo la strada si aprì non appena lei spinse il piccolo pulsante del citofono; dovette suonare nuovamente quando fu dinanzi all’elegante portone di casa, e finalmente le fu consentito l’ingresso all’interno dell’ampia dimora.
La giovane cameriera, inconsapevole e inteso oggetto della pericolosissima disquisizione intrattenuta con Christiani, era una ragazza piccola e piuttosto dimessa di nome Brigitte: sembrava una femmina decisamente introversa e triste; si fece consegnare da Hélène il cappotto e lo appese dentro ad un grande mobile disposto nell’anticamera; poi aprendosi una seconda porta dinanzi, le disse senza guardarla negli occhi: “Mi segua”; era vestita con una specie di frugale abitino marrone tutto intero, adornato da un colletto bianco ed incredibilmente gonfio tra la vita e i fianchi.
“Madame Renoir mi ha ordinato di controllarle i vestiti, nel frattempo può cortesemente spegnere e lasciare qui il suo telefono?”. Hélène comprese come vi fosse un protocollo estremamente rigido e severo, e pertanto obbedì.
“Si può gentilmente togliere il suo maglione con il foulard?”.
La camicetta azzurra era tutta stretta ed attillata, proprio come la gonna grigia sopra le calze trasparenti.
La cameriera si avvicinò tenendo sempre il capo abbassato; “…permette?” chiese con una certa timidezza, ed Hélène comprese che era sul punto di perquisirla; allargò le braccia e subito vide le mani della ragazza circoscriverle i fianchi, per scenderle un po’ goffamente giù lungo la gonna, tastandola delicatamente.
“Può entrare lì” chiosò la cameriera, indicando un lungo corridoio con numerosi quadri appesi di lato. Hélène abbandonò il proprio telefono, assieme al maglione e al foulard, che le avrebbero tenuto molto caldo in quel rarefatto ambiente senz’aria; dovette depositare nell’anticamera anche la propria borsetta nera, ma le fu consentito di trattenere il solo portafogli, ed il taccuino degli appunti con l’elegante penna stilografica ricevuta in dono dal proprio capo ufficio.
Era intimorita ed emozionata mentre avanzava nel corridoio, intravedendo la porta con una sola anta aperta sullo sfondo.
Finalmente entrò nello studio di madame Renoir, trovandola lì, ferma in piedi nei pressi dell’ampia finestra, da cui si dominava la vista dei tetti delle case con uno strascico di grigio tutto intorno. Era assai alta ed elegante nei suoi tacchi.
Costei si volse e la fissò dalla testa ai piedi, con una lieve smorfia impregnata d’ironia e papabile disprezzo; era indubbiamente una donna di grandissimo fascino.
“Allora lei sarebbe la fastidiosa paperona…”.
Hélène fece cenno di sì con la testa.
“Oggi ho deciso che la chiamerò così… immagino che sia abituata…” aggiunse avvicinandosi, senza stringerle la mano. “Si accomodi lì…” concluse, additando una sedia di fronte alla propria scrivania; Hélène fece esattamente quanto indicato, era ancora piuttosto scossa ed emozionata.
“Non iniziamo allora…? io non ho molto tempo per lei come ben sa… paperona” disse con tono sbrigativo madame Renoir, mentre si adagiava a sua volta su una comoda poltrona scura, lievemente reclinata di schiena, con le lunghe gambe accavallate e le eleganti scarpe con il tacco in bella mostra.
Hélène si sistemò meglio sulla sedia e con una mano si volse i capelli neri leggermente di lato, vistosamente imbarazzata e leggermente rossa in viso; tolse il tappo alla penna ed aprendo il taccuino, alzò timidamente la testa.
In quel momento ella si sentiva tra sé e sé, goffa e ridicola come poche altre volte l’era mai accaduto in passato.
“Madame Renoir, è un vero privilegio per me poterla intervistare. Quest’oggi non le porrò alcuna domanda relativamente al suo importante impiego nella commissione”.
“Le impongo di non citare affatto le mie attività in questa né in alcun’altra sede”.
“Madame Renoir, che opinione ha dell’educazione nei collegi, vuole raccontarci la sua?”.
“Ho frequentato una famosa istituzione femminile a Parigi di cui non le dirò qui il nome; la maggior parte delle giovani che ho conosciuto ricoprono adesso importanti incarichi in politica”.
“Ritiene le differenze sociali un ostacolo inevitabile per chi intenda affacciarsi ad incarichi di così alto rilievo?”.
“Le differenze sociali sono un bene prezioso: chi guida un’istituzione prestigiosa come la mia non può non tenerne conto”.
“Che opinione ha della gente comune?”.
“Occorre fare in modo di soddisfarne le esigenze, in modo da saziarne i bisogni, tutto qui”.
“Lei per semplice caso, ha una cameriera?”.
Sesto episodio
“Le cameriere qui dentro sono due, e lei dovrebbe saperlo”.
Hélène ristette sulla sedia, con il ventre che le tremava.
“Una delle due a quanto pare, non è ancora preparata a rispettare le regole di questa casa…”.
“A quali regole si riferisce, madame Renoir…”.
Quest’ultima si fermò e chiamò con voce quasi sussurrata, il nome della giovanissima Brigitte; costei era a quanto pare, rimasta tutto il tempo in rispettosa e prolungata attesa fuori dalla porta dello studio, rigorosamente in piedi. Entrò a passetti lenti, con lo sguardo basso: “Comandi madame…”.
“Regola numero uno, Brigitte…”.
Hélène iniziò a comprendere meglio, la natura del gioco, ed allora improvvisamente iniziò a provare una discreta paura.
“Uno: non alzare mai lo sguardo…”.
“La paperona mi pare che abbia oggi già trasgredito almeno un paio di volte, o sbaglio?”. Lei non disse nulla né tantomeno annuì.
“Numero due, forza!” la incalzò.
“Due: i capelli devono restare sempre legati”.
Hélène mosse nervosamente ambedue le mani, sfiorandosi la nuca e sistemandosi frettolosamente i lunghi capelli neri in una coda di cavallo, davanti a madame Renoir che adesso la fissava in modo veramente oltraggioso; era oramai tutto miseramente chiaro ed esplicito, sia all’obbediente Brigitte, che ad entrambe le donne sedute alla scrivania.
“Tre: non sono tollerate le calze intere. Ebbene, mademoiselle che lei ha qui definito paperona, oggi ha ben rispettato questa regola, madame”. La situazione si stava facendo pericolosa.
“Sono certa che invece la paperona non abbia affatto rispettato la quarta…” rispose quest’ultima, lasciando intendere che era di gran lunga la regola più importante.
“No madame Renoir, non l’ha rispettata”.
Hélène volse subito il capo verso Brigitte, rammentando tuttavia assai bene di non poter mai alzar lo sguardo; costei intese come potesse non risultarle affatto chiaro, il contenuto della regola, ed allora riprendendo meccanicamente come un automa, recitò: “Quattro: niente mutandine sotto alla gonna”.
“Quinta?” la interrogò nuovamente madame Renoir, soprassedendo solamente in apparenza, al punto precedente.
“Cinque: quando si è sedute, occorre tener sempre le gonne completamente su…”; un piccolo e sottile tentennamento di rimorso, traspariva adesso nella timida voce di Brigitte.
“Sbaglio o ieri non è successo …Brigitte?”.
“Lo confermo madame Renoir: non è successo”; parve quasi sul punto di piangere, la giovane cameriera, trattenendosi ma iniziando anch’essa a tremare, in modo visibile e penoso.
“Cosa è accaduto allora?”.
“Madame… madame mi ha dato la cinta…” biascicò la povera ragazza, con la voce definitivamente rotta dal pianto.
“Adesso fai vedere alla qui presente paperona, in che modo avrebbe dovuto sedersi… forza! …quello sgabello, lì”.
Brigitte si mosse, tenendo sempre lo sguardo basso, e con entrambe le mani spostò il vecchio sgabello disposto dinanzi ad un pianoforte a muro, che non veniva adoperato da anni.
“Non lo spostare! …siediti!”.
La cameriera frettolosamente lo ripose ed obbedì: prese a sollevare il proprio vestitino marrone, che era strananente rigonfio, con le mani che le tremavano; disotto comparirono svariati lembi di stoffa disordinata, svelando una specie di vaporosa camicia da notte. Hélène intravide dapprima le due calze autoreggenti scure tutte tornite, strette attorno alle gambe affusolate della povera ragazza; poi venne fuori un didietro nudo tutto rovinato, quasi sanguinante, con i chiari ed orribili segni di numerosissime cinghiate, sui glutei e sulle cosce: viva conseguenza di durissime sferzate; Brigitte era stata punita in maniera crudele e verosimilmente assai dolorosa. A tale vista, Hélène alzò inopportunamente lo sguardo in su, emettendo un timido vagito. E fu notata.
L’aveva ben disciplinata con una spessa cinta di pelle nera.
“Seduta!” ordinò madame Renoir, in modo ultimativo.
“Sempre seduta, non voltarti!” concluse, costringendola a restare così, con le mani che sorreggevano la gonna, ed il triste didietro tutto quanto gonfio e butterato in bella mostra.
“Allora paperona… prima di ricominciare, vogliamo rispettare queste poche e semplici regole, o preferisce direttamente andare alla conclusione? …può chiedere consiglio a Brigitte…”.
Hélène tremava in modo assai vistoso, ma certamente non voleva né tantomeno poteva immaginarlo, di finir mai ridotta anch’essa, in quel modo triste. No, non lo desiderava affatto.
Allora umilmente decise semplicemente d’obbedire: senza alzarsi se non per un breve istante, sollevò leggermente la propria gonna grigia che era tutta stretta attillata attorno ai fianchi; poi afferrò l’elastico della larga mutandina di raso scuro, abbassandosela fino a cingere in fondo entrambe le caviglie; si accomodò così sulla sedia, con il sederone mollo tutto adagiato sul morbido tessuto, costretta a tenere le gambe completamente allineate per via della mutandina.
Madame Renoir si levò in piedi per controllarla, e quando finalmente vide la pelle rigonfia delle sue cosce bianche con l’elastico delle calze, e i due enormi glutei di Hélène allargati sulla sedia, pallidi e rigonfi di cellulite, immediamente si mise a ridere in modo inatteso e veramente urticante.
Andarono avanti per oltre venti minuti, con Hélène ridicolmente esposta in quella posa assurda, e Brigitte nella stessa disposizione, di spalle, solo qualche metro più in là.
Due cameriere messe in riga ed umiliate da madame Renoir.
“Mi chiedeva delle differenze sociali… in questa situazione mi pare ben evidente, come esse siano rilevanti: le conseguenze possono essere anche peggiori, occorre quindi sempre massimo rigore”.
“Lei è una donna: quali aiuti …quali accorgimenti, per noi donne?”; Hélène si sentiva annichilita e ridicolizzata, ma andava avanti in quella recita senza senso, fedele al protocollo, pur avvertendo oramai un irrimidiabile disagio.
“Rigore… il miglior compagno di strada per le donne …è il rigore estremo, applicato con cura e disciplina, e senza sconti…”.
Settimo episodio
L’immagine della triste fine della cameriera Brigitte, le sarebbe rimasta fissa nella mente per molto tempo ancora.
Giammai l’era capitato di prenderle così; per quanto in passato non le fossero certo state risparmiate, punizioni a volte molto efficaci, conseguenze di quel tipo la sciagurata Hélène non le aveva mai provate. Era oramai acclarato, come madame Renoir fosse una donna manifestamente sadica; e, seppur compromessa come era Hélène nei suoi confronti, giammai ella avrebbe desiderato d’arrivare fino al punto, di finire ridotta in quel modo: vi era un certo limite, al dolore.
“…vogliamo rispettare queste poche e semplici regole, o preferisce direttamente andare alla conclusione? …può chiedere consiglio a Brigitte…”.
Seduta sulla tazza del bagno, non casualmente nella stessa ridicola disposizione delle cosce e delle mutandine impostale da madame Renoir, Hélène era inesorabilmente scivolata giù nel suo baratro: usando semplicemente la propria torva immaginazione, rivivendo appieno il ricordo dell’umiliazione ricevuta, e sfiorandosi. Si ripulì subito in basso, immaginando che sarebbe finito tutto quanto lì.
“Oooo …oo ooh”.
Ciò che invece la scellerata non poteva nemmeno immaginare, era il fatto che costei si fosse al contrario inaspettatamente invaghita, dell’idea di poterla abusare in modo sottile, umiliandola con metodi mai sperimentati prima d’allora con una donna; non più il dolore estremo del castigo imposto alla povera Brigitte, ma qualcosa di prolungato che avesse a che fare con la semplice vergogna. Le botte non bastavano, per un piccolo bocconcino appetitoso, come ben rimarcato da monsieur Christiani.
Così madame Renoir chiese a quest’ultimo di convocarla nuovamente sul finire di novembre, con l’intento di rilasciarle alcune dichiarazioni in una intervista formale; direttamente all’interno del proprio ufficio, che si trovava nella sede della commissione. Voleva realmente umiliarla?
Hélène ne fu sulle prime, profondamente sorpresa e non certo imprevedibilmente, altrettanto scossa: quello era un luogo davvero inaccessibile per lei, un’opportunità professionale quasi impensabile solamente fino a pochi giorni addietro. Nulla di inusuale e pericoloso le sarebbe mai potuto accadere all’interno di quell’ufficio; ed il prestigio esclusivo di quell’importante intervista, sarebbe stato per lei davvero assai qualificante.
Hélène nutriva tuttavia, ancora e non certamente a pieno torto, una vivissima e concreta paura; più di sé stessa probabilmente, che non di colei che l’aveva stranamente e del tutto inaspettatamente, convocata in quel luogo. A quali conseguenze andava incontro, sottostando alla sua proposta?
Davanti allo specchio, nell’atto di pettinarsi i capelli, fissava il vuoto interdetta: si trattava certamente, di una irripetibile occasione per lei, che da tempo era all’inseguimento d’una promozione o di un possibile aumento di stipendio; monsieur Christiani le ribadì con precisione il protocollo, assicurandola del fatto che questa volta, avrebbe potuto adoperare un normale registratore. Proprio nulla di inusuale e di pericoloso le sarebbe mai potuto accadere dentro ad un ufficio, ripeteva ossessivamente Hélène, mentre in modo meccanico andava pettinandosi i suoi lunghi capelli neri dinanzi allo specchio.
Ma con il lento passare delle ore, la confusione era tornata a sopraffarla, diluendo inesorabilmente ogni certezza, fino ad ispirarle strani pensieri ed incresciosi presagi: quali rischi avrebbe corso? vi era in gioco la reputazione e il suo lavoro.
“L’hai più risentito?” le domandò Michelle quel sabato pomeriggio, riferendosi abbastanza candidamente, al suo vecchio uomo che l’aveva lasciata; “Pensa che lui mi ha proposto d’intervistare Corinne Renoir: sarà tra due giorni esatti…” rispose invece Hélène tutta emozionata, alludendo piuttosto a monsieur Christiani. Era il giorno tre di dicembre, e la sciagurata non stava più nella pelle, in attesa di quel secondo incontro; al punto che Michelle dovette persino sospettare vi fosse un qualcosa di nuovo che bolliva in pentola: non conosceva per nulla Christiani, ma la sua amica l’aveva dipinto come un uomo assai attraente e fascinoso. “Ti saresti affezionata ad un altro sessantenne?”, la derise, alludendo ai fatti trascorsi del passato mese di giugno.
Ancora una volta, Michelle non aveva intuito fino in fondo, ciò di assai bizzarro, e pericoloso che, così vergognosamente travolgeva la sua amica: fino al punto da cascarci dentro per una volta ancora, con tutte le mani e con i piedi.
Hélène si acchittò la mattina dell’intervista, tenendo ben fisse alla mente, le cinque precise regole impostele da madame Renoir la volta precedente. Sorprendentemente, realizzò come in fondo non sarebbe stato poi così complicato, attenervisi di nuovo per una volta ancora: con l’unica ed ovvia eccezione della regola numero cinque, quella della posizione da tenere sulla sedia. La povera sciagurata finì così per non indossare alcuna mutandina, sotto ad una spessa gonna blu lunga poco sopra le ginocchia; anche le calze autoreggenti erano ben appropriate, mentre la succinta giacca del tailleur era chiusa con un solo bottone sul davanti.
Tutto ciò, senza realmente comprendere. Era selvaggiamente trascinata dal proprio istinto, di donna confusa e degradata.
Una nuova giornalista, più elegante del solito, e decisamente impacchettata dentro ai propri vestiti, si presentò così nella grande sala del ricevimento della commissione.
Perché mai lo aveva fatto? In quegli istanti il suo lato oscuro la dominava, tirandola come un treno impazzito, senza alcuna possibiltà di fermarsi; attese a lungo l’ascensore assieme ad altri due uomini, che la scrutavano con una certa curiosità: come se la stranezza del suo comportamento, la si potesse leggere direttamente sul volto imbarazzato di lei.
Al terzo piano fu accolta da un’elegante segretaria con gli occhiali, che venendole incontro le suggerì di togliersi il cappotto. Poi bussò con garbo alla porta di madame Renoir.
“Prego, venga avanti mademoiselle Houllier”, sussurrò senza nemmeno guardarla, l’elegantissima donna seduta alla sua scrivania: madame Renoir era quel giorno ancor più seria ed altera del solito, mentre la sua ospite avanzava arrancando, tenendo lo sguardo insistentemente basso; poi, solo dopo che la segretaria ebbe ordinatamente ben serrata dall’esterno, la porta a due ante dello studio, madame Renoir alzò gli occhi per controllarla: ed immediatamente vide che Hélène teneva i suoi lunghi capelli neri, tutti raccolti in una sciatta coda di cavallo. Perché mai la paperona lo aveva fatto? Voleva davvero passare i guai seri con lei?
“Chère mademoiselle Houllier, oggi avrò il piacere di rilasciarle alcune importanti dichiarazioni, si metta per bene a suo agio”. Hélène comprese come la donna giocava in modo sottile, i toni erano i medesimi della volta precedente.
La registrazione era iniziata da alcuni minuti, e la scellerata era già completamente persa nel labirinto dei propri pensieri: non riusciva a togliersi dalla mente, la triste fine della povera cameriera Brigitte; fissava sempre le lunghe mani, e lo smalto bianco delle unghie di madame Renoir, e subito le balenava come un riflesso immediato, l’immagine di quella spessa cintura in pelle, ed il pianto della poveretta, ridotta in lacrime. Sarebbe quindi finita in quel modo, anche per lei?
“Va tutto bene, signorina Houllier?” ebbe la cortesia di domandarle madame Renoir. “Vuole mettersi più comoda?”.
La sciagurata proseguiva la sua intervista con tono serio e compunto: ma non riusciva affatto a guardare quella donna così palesemente crudele e sadica, sotto una luce differente.
“Adesso chiudiamo per bene la porta e mi dica: non si sente bene, mademoiselle?”, per poi aggiungere: “Se vuole si metta comoda, così poi ricominciamo daccapo…”. Stava davvero facendo sul serio o era tutta una semplice provocazione?
Dai piani di sopra si udivano in lontananza alcuni rumori, quelli di un trapano alternati ai colpi serrati di un martello; madame Renoir era già a conoscenza del fatto, che una squadra di operai lavorava all’ammodernamento dei vecchi impianti di riscaldamento e volle pertanto tranquillizzare Hélène; non immaginava minimamente che qualcuno potesse origliare attraverso le piccole fessurine d’areazione disposte sul soffitto, era stata ben rassicurata in tal senso.
L’operaio che ignaro si trovava precisamente al livello superiore, era il tecnico responsabile dei lavori in corso, e andava effettuando un sopralluogo in quei locali: dapprima udì le due voci ovattate provenire dall’ambiente sottostante; poi venne nuovamente distolto dal rumore del trapano lì vicino nei pressi. All’interrompersi nuovamente di quel prolungato baccano, egli poté inaspettatamente udire dal piano di sotto, poche e flebili parole, pronunciate con timbro sottile e delicatamente timido: “Io …io mi vergogno tanto madame… la prego non insista…”. Hélène temeva che realmente sarebbe stata punita qualora non avesse obbedito?
Così quegli si distolse, stranamente incuriosito; non si trattava certamente di parole scontate nel contesto formale di quegli ambienti: decise di spostare lentamente ed in modo impercettibile, alcune piccole fessurine dell’areazione senza venire osservato; poi avvicinò il proprio telefono inserendolo di traverso, come se si trattasse di un piccolo periscopio: la sala veniva intravista solamente da un lato, quello del corridoio, e la giovane donna coi capelli raccolti, seduta alla scrivania nel suo elegante tailleur blu, presentava decisamente a prima vista un dettaglio strano.
Parlava a tratti, con voce bassa, per lo più ascoltando il lungo monologo della sua importante interlocutrice; pareva soggiogata da lei, completamente dominata dal suo eloquio prolungato ed insistito. Ma aveva un qualcosa di grottesco e non era certamente dovuto al suo solo e inusuale atteggiamento: l’uomo osservò il proprio telefono e ristette nuovamente, tacendo su due piedi, incredulo.
Poi inserì nuovamente quello stesso telefono dentro ad un’altra tra le fessurine già dischiuse, era stranamente sudato ed eccitato, oltre che sempre più incredulo e curioso.
La sconosciuta giornalista teneva tutta la gonna sollevata mentre ascoltava: nelle fotografie le si poteva vedere benissimo il dettaglio del sedere mollo, tutto esposto senza apparente pudore; non indossava assolutamente nulla di sotto, eccetto le calze velate, una scena decisamente inusuale.
L’uomo non si fece scappare l’occasione, di poterla catturare almeno un altro paio di volte, disposta inaspettatamente in quell’assurda posizione, con il sedere tutto quanto di fuori.
“Sarà mia cura autorizzarle la pubblicazione di questo intervento, non appena il mio assistente ne avrà pienamente rivisti tutti quanti i contenuti”. La catastrofe era servita.
Hélène si sollevò in piedi in modo rapido e scomposto, rimettendosi giù tutta la gonna, trafelata, e rassettandosi con grande vergogna; un solo breve istante prima di venir frettolosamente congedata da madame Renoir, senza eccessiva cortesia. L’elegante segretaria con gli occhiali era già stata istruita di doverla accompagnare fino all’ascensore.
Discese al piano terra ed uscì dall’edificio senza guardarsi mai alle spalle: era stata dominata e messa in riga per la seconda volta da madame Renoir, senza riuscire in alcun modo a contenersi, senza volerlo evitare; ed era evidente come Hélène ne meritasse fino in fondo tutte le conseguenze: non aveva saputo valutare in alcun modo il peso delle proprie azioni. Quelle squallide immagini che ne ritraevano la vergogna erano purtroppo per lei, fin troppo chiare.
Ottavo episodio
L’intervista venne pubblicata il mercoledì mattina, dopo che Hélène la ebbe trascritta e sottoposta al vaglio accurato e scrupoloso di monsieur Christiani; quest’ultimo dispose che venissero rimosse alcune parti, in cui madame Renoir indulgeva su dettagli di politica sociale. Durante la complicata trascrizione dell’intervento, che era durato ben oltre trenta abbondanti minuti, Hélène aveva udito più volte la donna esortarla a mettersi a proprio agio, ed infine la sua stessa voce sottile ed emozionata, sussurrare di vergognarsi, mentre in modo triste ed insensato ella si prestava al gioco.
Poco tempo dopo che l’intervista fu pubblicata, Hélène raccolse numerosissimi nuovi commenti sul proprio profilo internet, da parte sia di alcuni lettori, che di altri suoi stretti collaboratori: l’articolo era stato letto da moltissime persone.
Arrivarono anche le solite richieste di contatto, evidentemente la sua fama s’era accresciuta di molto grazie a quell’intervento; ne accettò di diverse, finché l’occhio non le cadde su quella d’un tale Mauro Mazzi, un perfetto uomo sconosciuto di mezza età: costui si qualificava come Ingegnere Elettrotecnico ed era un professionista di chiarissima origine italiana; Hélène aveva già avuto un suo a che fare, con gli uomini italiani in passato; aveva raccolto certo non troppe gentilezze da tutti quanti loro. Nutriva sempre un autentico e vivo timore verso gli uomini italiani, di qualsiasi età.
Decise così di non accettarlo, non intuendo minimamente quale strana relazione potesse mai sussistere; ma poi casualmente vide che costui le aveva anche inviato un breve e conciso messaggio: lo lesse curiosa, rimanendone improvvisamente poi subito spaventata e decisamente scossa.
Devo vederla e parlarle; se lei sapesse il motivo, si affretterebbe di certo per farlo. Lavoro in Rue de la Loi, rsvp Mauro Mazzi
Quello era l’indirizzo della commissione, che cosa mai poteva avere combinato quell’uomo? Hélène subito prese a rimuginare, assorta nel dubbio; poi però si adoperò per rispondere immediatamente e in modo preciso.
Io non la conosco e non so chi lei sia: cosa vuole da me? potremmo vederci alle 17:30 a Madou se per lei è possibile
Che cosa mai poteva essergli successo? La scellerata si incamminò verso la metropolitana, con il concreto timore, di aver commesso un qualche tipo di errore: ma non riusciva ad immaginare affatto, di cosa mai potesse essersi trattato.
Salì nei pressi della biglietteria ed attese per qualche minuto; poi intravide un robusto uomo di mezza età che la fissava in modo curioso, dritto a pochi metri di distanza da lei: era piuttosto rotondo, torvo e scuro in volto; a giudicare dalle sembianze visuali, poteva essere proprio lui, Mauro Mazzi.
Quegli guardandola meglio, senza esitazioni la riconobbe; immediatamente le si fece incontro porgendole la mano in maniera discreta e formale. Parlava pochissimo il francese e neppure un minimo di inglese, ma poteva comprenderla, dal momento che lavorava con personale del luogo; Hélène provò persino ad approcciarlo nel suo limitatissimo italiano, ripiegando infine sulla propria lingua, esprimendosi lentamente: “Adesso mi dica… che cosa… vuole lei da me?”.
“Facciamo qui?” domandò lui; “qui …che cosa?” ribatté piccata Hélène, che mostrava fin da subito una certa ansia, oltre ad un leggero e malcelato nervosismo. Finirono casualmente in un bistrot non troppo distante di nome Le Petit, seguendo il consiglio di lei; poi si sedettero intorno ad un tavolino nei pressi della finestra, ordinando un caffé.
“Posso darti del tu?” esordì Mazzi, aggiungendo: “Io ho compiuto cinquant’anni, potresti quindi essere mia figlia…”; “…lei ha una figlia?” domandò Hélène, senza replicare in alcun modo alla richiesta iniziale, di darle del tu. “Dio me ne scampi… io mi sono divorziato solo da poco” fu la battuta triste che concluse quel loro primo, intricato discorso.
“Allora signorina…” riprese il Mazzi rinunciando al proposito di darle del tu, “…lei ha un bel …panettoncino sotto la gonna, io non me l’aspettavo proprio di vederla sa?”.
“Ma …ma… ma come mai si permette …lei… scostumato” reagì immediatamente Hélène, facendosi tutta rossa in viso per via dello stupore e della vergogna; qualcuno, infatti, poteva averli persino uditi dentro il locale, dal momento che quel termine aveva un significato piuttosto volgare.
L’uomo da parte sua, piuttosto, non conosceva affatto il significato della parola scostumato, e pertanto proseguì insistendo: “Io però …le consiglierei sinceramente, una buona dieta …via subito i croissant…”, e sorrise per la prima volta, facendo cenno di volerle sottrarre il piccolo piattino che ella teneva dinanzi, e che l’era stato appena servito.
La sciagurata davvero non capiva nulla, ci voleva ancora qualche istante, prima che la semplice verità si materializzasse nella sua testa sempre più confusa.
“Si guardi con attenzione, quando è seduta in ufficio… non ha, un bel panettoncino lei?”.
Solo dopo quell’ennesima, irritante battuta riferita al suo didietro, la triste verità le balenò finalmente dinanzi agli occhi; “Ooooh… lei mi ha visto?” trasecolò Hélène immediatamente.
“Certo che l’ho visto, il panettone” la derise lui.
“…No noo nooo no…”.
Il panettone era un detto volgare, per indicare un culo grosso.
Hélène si sentì tutto il mondo crollare addosso; fu assalita da un’incredibile vergogna, tutta la sua reputazione ed il suo lavoro le scorsero istantanemente nei pensieri, in un semplice baleno. “La imploro… non lo dica, no la prego non lo racconti…” biascicò lei, provando a non farsi sentire da nessun’altro, di coloro che erano seduti lì accanto. Poi, con un ultimo, inatteso, slancio di amor proprio, ella provò persino a reagire nel tentativo di evitare la catastrofe: “…non avrebbe… lei non avrebbe potuto vedere lei… lei ha spiato e non poteva…”.
“Senta panettoncina, ha un’idea di quanti soldi potrei farci con questa? …non potevo spiare uh?” le rispose Mazzi facendosi serio; ed in quell’istante avvicinò al viso di lei, il telefono con cui le aveva scattato una delle tante, vergognosissime foto.
Si vedeva benissimo il volto di madame Renoir sullo sfondo, e leggermente più vicina, la testa con i capelli legati di Hélène, reclinata leggermente di lato. Inequivocabile, la forma enorme ed imbarazzante del didietro di lei, completamente nudo e bianco, disposto tutto largo sulla sedia; quella foto l’avrebbe definitivamente compromessa e di certo, completamente rovinata professionalmente.
“Mi …mi dica che cosa debbo fare… qua… quanto le debbo pagare per …” biascicò la poveretta, stravolta dal panico.
“Stia calma panettoncina…” riprese lui; “…per una foto così sconcia, potrebbero offrirmi tantissimi soldi”. Hélène tremava tutta quanta, sudata e rossa in viso, livida dalla vergogna.
“Ma io sono solo un uomo divorziato… e tutti quei soldi a cosa mai servirebbero? forse per darli a tante donne uh?”.
“Co… cosa vorrebbe intendere allora?” deglutì a fatica lei, intravedendo adesso forse un filo di speranza, pur a prezzo di chissà quali elargizioni nei confronti di colui, che ora le sorrideva con espressione piuttosto divertita: avendo finalmente chiarito, quali che fossero le sue reali intenzioni.
Un opulento insignificante uomo italiano, di mezza età, fino a pochi minuti addietro del tutto sconosciuto, già in quel momento la trattava come la sua serva, potendola ricattare a suo piacimento fino alle possibili estreme conseguenze. Pur di evitare che quelle foto venissero mostrate in giro.
“Mettiti a dieta panettoncina… e poi tra tre giorni ti aspetto da me con la bilancia. Non sgarrare più, con quel coso sennò ti vedranno tutti quanti, ed io sono un tipo molto geloso”.
Nono episodio
Ancora una volta Hélène non riusciva a capacitarsi, di quanto d’assurdo l’era accaduto, senza ben soppesare quanto fosse ancora sul punto d’accaderle; la fortuna le aveva decisamente voltato le spalle nel breve corso degli ultimi mesi: dalla sciagurata notte di Capodanno in poi, era stato tutto un susseguirsi di disastri. Adesso ella doveva assolutamente evitare che quell’uomo la smascherasse in modo così vergognoso, mostrando quelle orrende fotografie al pubblico: era rassegnata a consegnarsi completamente a lui.
Chissà che cosa mai avrebbe preteso che lei facesse? Questa volta la poveretta non riusciva nemmeno a provare curiosità, nei confronti di quella nuova e pericolosissima deriva degli eventi; coltivava in cuor suo, solamente moltissima paura, che quello sciatto ricatto potesse fallire miseramente.
Come avrebbe mai dovuto comportarsi con lui?
L’unica concreta speranza che nutriva era quella di farlo ammorbidire, fino al punto di stabilire con lui una sorta di relazione amichevole, mantenuta con frequenti scambi a distanza; certamente lo avrebbe in qualche modo anche riempito di attenzioni, pur di ottenere la garanzia che quelle squallide foto, non venissero mai mostrate in pubblico.
Sapeva anche che egli avrebbe, parimenti, compromesso la sua stessa reputazione qualora avesse deciso un giorno di utilizzarle: non era certamente consentito compiere ciò che egli aveva fatto, scattando fotografie di nascosto all’interno d’un luogo di lavoro; si sarebbe trattato di un’aperta violazione delle regole e forse anche di un atto suscettibile di pena; Hélène le pensava tutte, pur di salvarsi dalla rovina.
Mettiti a dieta panettoncina… e poi tra tre giorni ti aspetto da me con la bilancia. Non sgarrare più, con quel coso
Il Mazzi veniva da una cittadina di provincia nel nord dell’Italia, di nome Monza; la sua importante azienda, famosa in tutto il mondo, aveva vinto l’appalto per i lavori di rifacimento dell’impianto di riscaldamento presso la commissione, e lui s’era trasferito a Bruxelles per avviare il progetto: vi sarebbe rimasto solamente per poche settimane.
Era stato sposato con una donna russa di nove anni più giovane, una tale Vera, che l’aveva poi abbandonato per ritornarsene in patria, dopo avergli sottratto diversi soldi; non era mai stato un uomo attraente e negli ultimi tempi era divenuto anche tristemente e visibilmente sovrappeso; aveva un aspetto decisamente anziano, pur mantenendo una folta capigliatura ed uno sguardo ancora piuttosto furbo e vivace.
Hélène trascorse ore guardando una ad una, tutte quante le foto che il Mazzi aveva messo su internet; ve ne erano ancora diverse che lo ritraevano in compagnia della donna con cui era stato sposato: sembravano una coppia innamorata, a giudicare da quegli scatti. In una particolare foto, che colpì molto l’attenzione di Hélène, l’uomo era completamente a pancia fuori, e teneva la donna in braccio, amorevolmente sollevata, allineati sul bordo di quella che doveva essere la piscina d’un albergo; Hélène si rese conto di quanto fosse triste ciò che lei provava in quegli istanti: era una piscina molto simile a quella del suo recente soggiorno ad Antibes.
Sua moglie Vera era minuta e magra, al contrario esatto di lei: era forse questa la ragione per cui l’uomo le aveva ordinato di mettersi a dieta? Mancavano solamente quarantotto ore all’appuntamento, e sarebbe stato comunque del tutto improbabile, riuscir a mostrare un qualche risultato.
L’avrebbe forse costretta a fare obbligatoriamente del sesso con lui? Stranamente Hélène non lo aveva nemmeno pensato fino a quel momento: nessuno degli uomini non giovani che aveva mai conosciuto, l’avevano finora approcciata da quel punto di vista; era come se nella testa di lei, un uomo di quell’età non fosse mai stato neppure in grado di agire.
Con l’unica ovvia eccezione di monsieur Christiani, certamente; sulla cui virilità Hélène non nutriva assolutamente alcun dubbio: Mauro Mazzi le appariva al contrario, potenzialmente innocuo, forse addirittura impossibilitato fisicamente; per quale motivo, del resto, la più giovane moglie russa avrebbe dovuto abbandonarlo?
Forse Hélène avrebbe dovuto progettare di sedurlo? In quel modo l’avrebbe certamente irretito e manipolato; nella povera testa di lei, quella vicenda si dipanava adesso in modo anche leggermente torbido e compromettente, pur di non arrivare alla conclusione di venire svergognata.
Non sarebbe certamente dimagrita in men di due giorni; in compenso lei lo avrebbe probabilmente stupito, adoperando il meglio del proprio abbigliamento intimo; qualcosa che le si potesse intravedere per bene di sotto, anche da vestita.
Decise per la seconda volta, di indossare un reggicalze; l’ultima volta che lo aveva fatto, era stato durante la sfortunata notte di Capodanno: la scellerata Hélène arrivò addirittura a pensare, che questa volta le avrebbe persino portato fortuna. Si affidava a tutto pur di salvare la faccia.
Si recò alla Galerie per scegliere, a due settimane dalle feste di Natale e con tutti i negozi d’abbigliamento per donna, tradizionalmente affollati; ne approfittò per comperare i classici regali anche per la famiglia, un rito che si ripeteva regolarmente da quando ella s’era trasferita a Bruxelles alla tenera età di soli venticinque anni. Poi entrò in punta di piedi nel negozio di lingerie che si chiamava Eglantine.
Il Mazzi le scrisse un ultimo messaggio indicandole l’indirizzo del proprio appartamento, che si trovava in un vasto complesso residenziale nella zona ovest della città.
“Allora ti sei messa a dieta, con quel coso?” ribadì costui, col solito fastidioso ritornello. Ma in sole ventiquattro ore, non aveva il minimo senso per lei, intraprendere alcuno sforzo.
All’amica Michelle, Hélène non rivelò un bel niente di quanto adesso s’apprestava a fare; aveva molta paura di venir potenzialmente abusata e maltrattata, per quanto quell’uomo le fosse apparso sobrio e docilmente prevedibile.
Le calze trasparenti culminavano in un delicato fascione scuro, laddove i filini del suo nuovo e vaporoso, morbido reggicalze nero, le potevano ben sollevare; la gonna beige ne lasciava intuire di tanto in quanto la vista, soprattutto qualora Hélène avesse accavallato le gambe, come faceva quasi tutte le volte; una camicetta di seta bianca sotto una sottile giacca dello stesso colore, completavano la figura di lei, mentre la donna saliva circospetta sulla metropolitana, con il cappotto e la borsetta nera stretti sotto il braccio.
Alle otto e mezza di sera, il Mazzi vide stranamente che ella non era ancora arrivata, e le indirizzò un nuovo messaggio; lei s’era persa tra i vari edifici, non riusciva a trovare il suo.
Finalmente raggiunse il citofono con il marchio della compagnia che affittava quei locali ai lavoratori stagionali, ed udì la voce dell’uomo con il suo francese buffo e triviale, che la invitava a salire al quarto piano. Per la prima volta egli l’approcciò col suo nome, destando in lei una certa sorpresa.
L’accolse nel corridoio vestito in maniera assai semplice, con una maglia grigia ed un paio di pantaloni scuri; si scorgeva benissimo la massa di grasso attorno ai fianchi, che premeva sotto il tessuto, ma non sembrava che lui se ne vergognasse.
Prese Hélène per mano invitandola ad entrare in un salone sistemato in modo anonimo, un ambiente davvero gelido e del tutto impersonale, senza particolari arredi; poi le suggerì di togliersi le scarpe: aveva realmente intenzione di pesarla.
La povera scellerata riteneva che si trattasse di uno scherzo, ed invece fu costretta a salire sulla bilancia; con i piedi nelle sue calze trasparenti, la gonna beige e la camicetta bianca.
“Sessantadue chili…” sentenziò immediatamente lui.
“Devo preoccuparmi?” rispose Hélène, mentre scendendo incerta dalla bilancia, ella si rimetteva frettolosamente le proprie scarpette nere ai piedi, chinata sulle ginocchia.
“Se vuoi che io ti mantenga …sì”, replicò in modo serio e accurato l’uomo; “…mantenermi?” aggrottò le ciglia Hélène, con un’espressione stralunata e completamente persa.
“Certamente… mantenerti, perché no?” riprese l’uomo, aggiungendo poi: “con tutti i soldi che tu non mi farai guadagnare, sarà per me proprio come mantenerti…”.
Hélène ristette subito, costernata; il solo e semplice riferimento ai suoi scatti in compagnia di madame Renoir, la faceva inesorabilmente sprofondare nella paura e nel panico; Mazzi lo notò, ed allora con tatto provò a cambiare discorso.
Poi decise di versarle del vino, lasciandola seduta sul divano nel lato opposto della sala; “…perché sembri così agitata?” le domandò fissandola; Hélène abbassò la testa e non rispose.
“Vieni di là” sorrise l’uomo, portando via con sé i due calici di vino rosso che aveva appena versato; poi aggiunse: “Tu non devi avere paura di me… io amo solo guardare”.
Non era propriamente così.
Le chiese di sostare in piedi ed Hélène gli obbedì, si era preparata all’idea di mostrarsi a lui e sulle prime pensò che costui le avrebbe ordinato di spogliarsi; vide l’uomo seduto su una sedia in legno, che ora la scrutava dalla testa ai piedi.
Poi la invitò ad avvicinarsi e a sedersi sulle sue ginocchia.
Hélène lo fece con timore e ritrosia, sentendo subito le mani dell’uomo che le giravano attorno alla gonna, e poi il palmo aperto di lui che l’approcciava sul didietro, tastandola: lo stava facendo per davvero, la palpeggiava in modo insistito.
La fece poggiare sulla propria gamba destra, ed Hélène subito intravide una massa sorpendentemente rigonfia all’altezza della cerniera dei pantaloni di lui; il tessuto scuro era leggero, e quella vistosa erezione ne veniva fuori in modo evidente, con la sagoma d’una rigida forma allungata.
“Prendilo” le intimò lui; la scellerata fu costretta a toccarlo lungo i pantaloni, ma non fece proprio così come lui le aveva ordinato di fare. “Ho detto, prendilo!” ripeté Mazzi alzando la voce; e nel ribadirlo, mollandole improvvisamente la gonna, le sferrò uno scapaccione duro e preciso, sul lato del sedere.
Hélène ululò, non pensava che quegli potesse subito arrivare a tanto; esitò per un istante, tanto quanto bastava affinché il Mazzi la schioccasse di nuovo sul didietro; poi si piegò leggermente in basso, rimanendo con le gambe intrappolate in mezzo alle ginocchia di lui, e timidamente gli schiuse la cerniera: non immaginava nemmeno ciò che avrebbe visto.
Il membro dell’uomo era davvero abnorme, completamente ritorto e orribilmente gonfio di vene rosse. Venne fuori un poco alla volta in tutta la sua estensione, costringendola in questo modo ad afferrarlo ben saldo, intorno alla base.
Così fece la sciagurata Hélène, mentre l’uomo irriverente, aveva ripreso a cingerle la gonna, palpeggiandola tutta.
Umf, umf, umf
L’impegno di lei nel masturbarlo era lodevole, e Mazzi pensò bene di ricompensarla, mollandole un nuovo sculaccione, questa volta in modo paternale e bonario; poi le disse: “Continua così, abbiamo ancora molto tempo…”; la povera donna non poteva credere ai propri occhi, dal momento che quel membro mostruoso le appariva piuttosto, già sul punto di esploderle tutto dentro alla mano. Ma andò avanti, riempendolo di attenzioni con la sua presa delicata, aprendolo e chiudendolo, trattenendolo sempre per la base.
A quel punto il Mazzi iniziò a tirarle su la gonna da dietro, fino al punto di rivoltargliela lungo la schiena: la larga mutandina nera di morbido raso, le nascondeva completamente la forma sconcia del sedere, e l’uomo glielo fece notare deridendola: “L’altra volta non era così …era già bello di fuori!”. Allora la abbassò con un gesto secco e deciso, lasciandola avvolta attorno ai filini neri del reggicalze.
Poté finalmente afferrarle il fondoschiena tutto per intero, con la mano destra calda e ruvida: Hélène si sentì lentamente affondare, non riusciva più a capire che cosa le stesse accadendo, mentre senza alcuna speranza ella continuava umilmente a masturbarlo; a quel punto il Mazzi le ordinò di piegarsi e di poggiare l’altra mano sul suo ginocchio sinistro.
Le mutandine le furono abbassate meglio, un palmo sopra le ginocchia, mentre l’uomo indulgeva adesso nel carezzarle il retro del reggicalze con la sua solita mano aperta; infine, Hélène sentì quella mano farsi strada in mezzo alle natiche fino a sfiorarla in basso, nella stretta delle due cosce bagnate.
Umf, umf, umf
“Togliti la gonna e la camicia, sono stanco di massaggiarti il panettone…” la sorprese lui, interrompendola di fretta.
Hélène obbedì una volta ancora, e si mosse trafelata; non gli sfuggì tuttavia il rivolo denso di sperma che già fuoriusciva in cima a quel glande decisamente rigonfio e bollente. Che cosa mai le avrebbe fatto con quel coso enorme?
Senza togliersi le scarpe, si calò completamente giù la gonna dopo averne schiuso la cerniera, assieme alle già inutili mutandine di raso; si sbottonò frettolosamente la camicetta mentre l’uomo ora l’aveva oltraggiosamente afferrata per un braccio, trascinandola a passetti lenti ma inesorabili verso il letto, ricoperto di lisce lenzuola bianche. Si trovò forzatamente coricata con la testa piegata all’indietro, e le mammelle liberate da lui, che le aveva tirato via il reggiseno.
“Toccatele …forza!” le ordinò, costringendola a sfregarsi da sola i capezzoli; poi mosse un passo e le impose il membro a pochi centimetri dal viso, avvicinandolo pericolosamente alla bocca aperta di lei. Le esplose tra le labbra incerte non appena la lingua delicata ne sfiorò il glande tutto fradicio.
Decimo episodio
Non era arrivato ad abusarla, ma l’avrebbe castigata la volta successiva; questa fu l’oltraggiosa ed inelegante espressione, che Mazzi senza davvero alcun rispetto per lei, le lanciò come chiara premessa un istante prima di lasciarla andare.
Mancavano due giorni esatti, alla fine delle sue attività a Bruxelles; il calendario segnava già il quindici di dicembre e tutta la città belga riluceva di splendide luminarie per il Natale: forse sarebbe arrivata anche tanta neve, come non accadeva da molto tempo; e lui sarebbe partito quasi subito.
Erano più di quattro mesi che la poveretta non faceva sesso, e quel pomeriggio si preparò con la triste consapevolezza, che la sua astinenza si sarebbe presto conclusa nel modo più indesiderato; non era ciò che si sarebbe meritata, pensava.
Si vestì esattamente come la volta precedente, senza verve, sostituendo la sola giacchetta bianca, con una diversa, nello stesso stile della gonna; sapeva come sarebbe andata a finire.
Ma mentre sedeva nel vagone della metropolitana, perfettamente composta e con le gambe completamente allineate, Héléne avvertiva inesorabilamente un vero senso di tristezza e d’abbandono: era caduta decisamente in basso, compiendo una serie imperdonabile di sciagurati errori; dapprima ambendo ad intervistare un personaggio importante come Corinne Renoir, al prezzo di uscirne completamente umiliata e ridicolizzata. Per poi doversi compromettere con un insignificante cinquantenne del tutto privo di scrupoli, per puro ricatto, e con la terribile paura di finir pubblicamente svergognata in modo irreparabile.
Immaginava quelle foto col suo sederone bianco, in bella mostra sulle prime pagine di tutti i rotocalchi: e sprofondava lentamente di nuovo, seduta con le gambe sempre allineate.
Il Mazzi l’accolse con un pantaloncino corto ed una squallida canottiera grigia, sembrava un vecchio pensionato acchittato nel più futile e frugale fra tutti gli abbigliamenti da spiaggia; prima ancora di farla accomodare in salone, come aveva fatto la volta precedente, egli la sorprese piuttosto con una richiesta, del tutto inattesa e per lei urticante: pretendeva che Hélène indossasse una sottana elasticizzata con strani motivi maculati, che era forse appartenuta a sua moglie.
La sciagurata nemmeno volle conoscere le sue ragioni: le appariva oramai evidente, come il Mazzi volesse rivedere in lei, un qualche riflesso della sua precedente donna. Benché avesse caratteristiche fisiche totalmente differenti dalle sue.
Allora nuovamente obbedì, infilandosi silenziosamente in bagno e serrandosi per bene la porta alle spalle; Hélène aveva il viso pallido, paffuto e visibilmente imbarazzato, un istante prima di spogliarsi davanti allo specchio: dapprima si sfilò la camicetta, poi la gonna, ed infine il suo provocante intimo nero con tutto il reggicalze ed i collant; imbracciando allora quell’assurdo ed improbabile vestitino, che pur essendo ben elasticizzato, la opprimeva costringendola come un sacco rigonfio; lasciandole trasparire il chiaro segno delle larghe mutandine bianche, celate di sotto.
Uscì lentamente dal bagno, e subito vide il Mazzi, che in piedi nel corridio, esibiva una vivissima ed evidente erezione.
Hélène non voleva farlo, ma fu inevitabilmente obbligata a toccarlo, nell’istante in cui ella gli sfilava dinanzi: quasi barcollando nel suo ridicolo vestitino maculato; Mazzi glielo ordinò con un semplice gesto del viso, e la sciagurata allora lo strinse bene con la sua mano sinistra, aggrappandosi al tessuto deforme, sentendo che era già duro da fare spavento.
Lo teneva stretto senza nemmeno guardarlo; il pantaloncino era talmente sottile, da poterne avvertire pienamente la forma oblunga e sghemba: si era eccitato per quella sottana.
“Sali! …su quella bilancia…” le intimò successivamente l’uomo appagato, subito dopo che ella lo ebbe toccato.
Non era cambiato nulla rispetto alla volta precedente; fu così che Mazzi espresse per la prima volta la propria precisa volontà: “Quando ritornerò… devi essere snella come mia moglie. Non lo vedi come sei ridicola nel suo vestito? Subito a dieta con quel coso, sennò ti costringo io”. Hélène provò un profondo senso di tristezza e prostrazione, e decise in cuor suo, che forse in questo non gli avrebbe mai obbedito.
Già immaginava quelle foto col suo sederone bianco, in bella mostra sulle prime pagine di tutti i rotocalchi del mondo.
“Subito a dieta con quel coso, sennò ti costringo io”.
Era inevitabilmente arrivato il suo momento: questa volta lui non ebbe nemmeno la premura di versarle del buon vino rosso; la trascinò per una mano senza nemmeno parlarle.
La fece coricare nuovamente sul letto, come la volta precedente, solamente dopo averle fatto indossare due comode ciabatte bianche; Hélène dovette intuire come fossero appartenute anch’esse alla moglie, dal momento che riportavano iniziali come le sue. Dopodiché quegli si abbassò il pantalone da spiaggia, senza attendere, estraendo così quel pene orrendamente tutto ricurvo e completamente fradicio.
Poi ordinò ad Hélène di sfilarsi le mutandine e di sollevarsi il vestito: la donna lo fece in modo inerte e silenzioso.
Erano più di quattro mesi che la poveretta non faceva sesso, e adesso le sarebbe capitato di farlo duramente proprio con quell’insignificante, opulento uomo cinquantenne.
La prese per le cosce montandosele entrambe sopra le spalle, sentendo che la sciagurata donna non era ancora pronta a riceverlo: si limitò allora a sfiorarla con la sola testa del pene, bagnandole in questo modo le labbra morbide con i propri umori; poi improvvisamente e senza alcun garbo, la infilzò provocandole un sussulto di spavento e di dolore. “Oooo…”.
Iniziò a muoverla avanti e indietro, trascinandola e vedendola ansimare e sussultare; Hélène era trattenuta per le cosce sulle spalle dell’uomo, e muoveva le proprie ciabatte verso il soffitto in maniera ridicola e compulsiva, mentre Mazzi impetuosamente la sbatacchiava nel mezzo.
Era incredibilmente gonfio e duro, al punto da causarle al principio, vivo dolore; lei non s’era per null’affatto bagnata, e sbatteva i denti in modo ripetuto mentre veniva strattonata.
Ma ad un certo punto Hélène spalancò la bocca, lasciando intendere che provava finalmente il piacere, senza volerlo.
Si sentiva nuovamente posseduta e dominata, a distanza di tanto tempo, e le fitte che riceveva nell’utero e nella pancia ne erano la viva dimostrazione: Hélène stava nuovamente sprofondando nell’atto di venire presa da uno sconosciuto.
“Oooooh… ooo… oh”.
Il Mazzi estrasse il pene e glielo appoggiò sopra il monte di venere, era stremato e molle; poi le sollevò meglio il vestitino maculato per non sporcarlo. Infine, esplose trattenendola più forte che mai per le cosce, inondandole il ventre di sperma.
“Oooooo…”.
Era successo, l’aveva fatta sua così come previsto.
La congedò frettolosamente con una tastata sul didietro, dopo che la ebbe fatta velocemente ripulire e ricambiare; promettendole che sarebbe tornato molto presto a Bruxelles, per verificarne sempre il peso, e per continuare a mantenerla.
Adesso il senso di quel ricatto era finalmente chiaro, non vi era più alcun motivo per Hélène, di temere o anche solo di dubitare: le sarebbe bastato obbedire ancora; sarebbe stata vista e controllata scrupolosamente ad ogni sua successiva visita, chissà quante altre volte di fila; e certamente castigata.
Hélène ritornò a casa sotto una leggera nevicata, con un sentimento nuovo e completamente strano, di tristezza e di solitudine; sarebbe presto partita per le festività in famiglia, così come faceva sempre ogni anno, senza dimenticarlo.
Undicesimo episodio
Nella seconda circostanza, la sempre più incerta Hélène, non s’era prestata al gioco; quella giovane e rampante giornalista, nominata una volta ancora da madame Renoir per la trascrizione del proprio intervento, s’era inaspettamente presentata nell’edificio della commissione con tutti i suoi capelli neri completamente sciolti. Goffa come sempre.
L’imbarazzo era stato tanto, e nell’espressione del viso dell’importante interlocutrice, l’erano stati ostentati per tutto il tempo, rabbia e delusione. Ma la paura di Hélène, di metter a repentaglio tutta quanta la propria reputazione per via di un nuovo, possibile errore, l’aveva questa volta bloccata: aveva potuto cogliere l’opportunità dell’intervista, ma sapeva che con ottima probabilità non sarebbe più successo. Era finita la sua improbabile ascesa professionale?
Inaspettatamente fu convocata quasi subito, nel fine settimana di Carnevale, da monsieur Christiani presso la dimora privata della donna, con rigore ed urgenza.
Hélène avrebbe certamente potuto rifiutare quell’invito, ma il messaggio di monsieur Christiani citava esplicitamente l’opportunità di definire un nuovo protocollo: le lasciava intuire la possibilità di continuare ad occuparsi di madame Renoir e di servirla, professionalmente e non solo. Era forse una semplice trappola, ma la stralunata Hélène non lo capì.
Se la relazione con madame Renoir si fosse interrotta, costei oltre ad escluderla dall’esclusiva dei propri interventi, avrebbe persino potuto inibirle altre future opportunità; Hélène si girava nel letto e non riusciva a prendere sonno.
Sarebbe stata fatalmente punita con la cintura? Quando dovette rispondere a monsieur Christiani, lo aveva stranamente dimenticato, o forse volontariamente rimosso.
Indossò un paio di calze molto corte, sotto il medesimo tailleur stretto ed elegante, indossato nella sua prima visita alla commissione del passato dicembre. Poi dinanzi allo specchio del bagno, ella si legò ordinatamente i capelli; sarebbe stata molto determinata nel perseguire il suo intento, con lucidità e freddezza, senza mai cadere nella trappola: nessuno le avrebbe mai potuto imporre nulla di indesiderato, ella avrebbe solo recitato la sua parte.
Un taxi la condusse presso la dimora di madame Renoir alle due del pomeriggio, in un pigro sabato di vento freddo e di pioggia leggera; senza mai alzar lo sguardo, la solita cameriera Brigitte le aprì la porta, e con ossequio le prese il cappotto salutandola sottovoce. Era dimessa, come sempre.
Hélène rammentava molto bene il protocollo seguito la volta precedente, e lentamente depositò tutti i propri effetti personali, sul lungo tavolo in legno scuro, allineato al centro dell’ampia sala d’ingresso; poi allargò le braccia attendendo di venire perquisita da Brigitte. Ma la cameriera fece cenno di no, non occorreva; quel tailleur era talmente stretto, da rendere pressoché impossibile per lei, nascondervi qualcosa.
“Mademoiselle paperona, mi segua…”. Hélène trasalì, tutti i suoi intenti, di attenersi alle regole e di venire conseguentemente tutelata e rispettata, sembravano già sgretolarsi di fronte al modo in cui persino l’umile cameriera Brigitte, s’era rivolta lei; era forse solo l’inizio?
L’anticamera dello studio di madame Renoir non aveva finestre, e la grande porta a due ante sul fondo era chiusa; Brigitte si fermò dinanzi ad essa, ed Hélène subito udì dall’interno della stanza, la voce profonda di monsieur Christiani che dialogava apparentemente con un proprio interlocutore al telefono. Solo dopo, ascoltando bene, il suo le parve piuttosto un lungo, interminabile soliloquio; madame Renoir probabilmente non era lì presente in quell’istante.
Su un lato dell’anticamera, nei pressi della parete con tutti i quadri allineati, vi era disposta una lunga panca ricavata da pregiato legno di noce; era evidente come vi sarebbe stato ancora molto da aspettare, e senza mai alzare lo sguardo Brigitte l’avvicinò leggermente a sé per piegarvi le gambe; poi sussurrò per non farsi sentire dall’interno: “…numero cinque mademoiselle… dobbiamo attendere sedute qui”.
Dopo circa dieci minuti, la porta dello studio di madame Renoir si aprì; la voce di monsieur Christiani non aveva mai smesso di rimbombarvi dentro, fino ad allora.
Vestita in un vistoso completo bianco, madame Renoir appariva quel giorno assai irritata; accese improvvisamente la luce di due applique nel corridoio, illuminandolo a giorno, volgendosi poi verso Hélène e Brigitte che erano sedute nell’anticamera: loro non immaginavano di vederla lì, e solo la seconda teneva le gonne sapientemente sollevate, sorreggendole in modo fermo con entrambe le mani; aveva le cosce sottili e bianche avvolte da lunghi calzettoni chiari come quelli d’una bambina. Hélène invece, trasalì di nuovo.
“Dentro, tutte e due” disse con tono perentorio la donna.
Brigitte si ricompose velocemente e precedette Hélène, la quale aveva già compreso di avere combinato un guaio. Ma non immaginava nemmeno ciò che avrebbe veduto in quell’istante, dentro lo studio di madame Renoir: fece un piccolo passetto oltre la porta, ed inopportunamente alzò lo sguardo, come certamente non avrebbe dovuto.
Monsieur Christiani era seduto su una sedia in legno che pareva quasi un trono; la volta precedente Hélène doveva non averla notata bene, eppure era molto alta e rifinita nel telaio scuro, con diverse volute di tipo ornamentale; l’uomo, seduto con le mani allineate sui due braccioli, non aveva addosso né i pantaloni, né tantomeno le mutande.
Hélène non riusciva ad abbassare lo sguardo, al punto che persino Brigitte si dovette preoccupare per lei, e sussurrò a bassissima voce: “Regola numero uno …mademoiselle, regola numero uno”; sembrava veramente spaventata.
Monsieur Christiani indossava una camicia bianca con una cravatta grigia; le scarpe lucide ed i lunghi calzettoni neri ne completavano la figura in basso: mentre il vistoso membro imponente e verticale, in posa di ferma erezione, non sembrava affatto imbarazzarlo; era già stato avvolto dentro ad un preservativo di lattice e dominava immobile la sala.
Finalmente Hélène abbassò lo sguardo, senza però riuscire a smettere di fissarlo da lontano, con la sola coda dell’occhio; nel frattempo madame Renoir, del tutto indifferente rispetto alla reazione scomposta della sciagurata, si era seduta dietro alla sua scrivania. Poi prese la parola dopo un solo istante.
“Una di voi ha rispettato le regole… lo farà ancora, sedendosi questa volta sulle ginocchia di mio marito”; Hélène non riuscì a trattenere un colpo di tosse, mentre Brigitte senza dire nulla, con il capo abbassato si muoveva a passetti lenti verso la parete; probabilmente non era la prima volta.
Madame Renoir si levò in piedi per osservare, mentre Hélène tremava tutta, nel suo tailleur blu del tutto inappropriato per quella situazione assurda ed inaspettata.
Brigitte fu dinanzi a monsieur Christiani, che la fissava con sguardo sadico e sprezzante. Lei vestiva una lunga gonna di stoffa nera con un piccolo grembiule sul davanti; “…sulle ginocchia, voltata” ordinò la donna alla sua cameriera.
Quella parve tentennare per un breve istante, ed allora la sua padrona si avvicinò minacciosamente a lei, prendendola per un orecchio: “Voltata!” ribadì, strattonandola duramente; allora Brigitte fece tutto quanto le era stato ordinato, porgendo le terga a monsieur Christiani. Si tirò su tutta la gonna, scoprendo una delicata peluria rossiccia sul davanti.
Quegli vide così comparirgli dinanzi, il sedere pallido e composto della povera cameriera; lei gli salì sulle ginocchia e, senza nemmeno sfiorarlo con le mani, riuscì a farsi penetrare dal basso, emettendo un breve gemito senza mai scomporsi: apparentemente senza sforzo. Poi prese lentamente a salire e scendere su di lui. Hélène, nel frattempo, osservava di nascosto: s’era inopportunamente inumidita, mentre tremava in attesa di conoscere la propria, di sorte.
Monsieur Christiani pareva ora affaticato e visibilmente trasportato, mentre respirava profondamente con il capo rivolto in su; Brigitte continuava a sorreggere la gonna con le mani, mentre obbedientemente lo teneva stretto nella vagina, salendo e scendendo sopra il preservativo di lattice bagnato.
Madame Renoir fece ritorno alla sua scrivania, questa volta fissando Hélène con uno sguardo ben più torvo e severo.
“Una di voi non ha rispettato le regole… in ben due occasioni oramai…”; la donna si riferiva chiaramente alla circostanza della precedente intervista, oltre al fatto d’averla sorpresa poco prima nell’anticamera, con la gonna non al suo posto.
“Ritengo che non vi siano ulteriori possibilità per rimediare …mademoiselle paperona …mi spiace tanto per lei”.
Hélène avrebbe voluto reagire, magari scusandosi; si era recata all’appuntamento pensando di discutere un nuovo protocollo per le sue interviste: invece si trovava adesso calata in una situazione imbarazzante e decisamente grottesca; monsieur Christiani nel frattempo ansimava e godeva, mentre la povera cameriera, tenendo sempre il capo abbassato, non aveva mai interrotto il proprio movimento ripetuto, rimbalzando mollemente sulle ginocchia di lui.
“Appoggi tutte e due le mani alla mia scrivania …paperona”.
Aveva realmente intenzione di punirla? Madame Renoir aprì un cassetto, e come Hélène temeva, estrasse una larga e spessa fasciona di pelle scura, poggiandosela dinanzi.
“Non …non voglio” sussurrò Hélène, tenendo il capo rispettosamente abbassato. “Non è la sua volontà a consentirle di trasgredire in tutte quante le occasioni …fastidiosa paperona, impunita e ribelle”, replicò scandendo bene tutte le sillabe, la donna in modo minaccioso.
Poi riprese: “Non mi faccia perdere altro tempo… appoggi tutte e due le mani alla mia scrivania, qui e subito”.
La sciagurata non lo fece, mentre monsieur Christiani deglutiva ora in modo sempre più intenso, non riuscendo a trattenersi; madame Renoir invece fissava sempre Hélène.
“Non è mia prassi attendere… la farò cancellare da tutte le liste dei migliori giornalisti …tornerà a scuola, paperona”.
Hélène mise le mani sulla scrivania.
“Un minuto in posizione, per aver trasgredito la regola numero uno”, le disse la donna, senza apparentemente meravigliarsi, della sua immediata e rinnovata obbedienza.
La scellerata Hélène, mentre attendeva, poté udire anche la povera Brigitte che ansimava, in un modo che a quanto pare procurò inevitabile tedio a madame Renoir: costei dispose subito l’interruzione di quel loro prolungato amplesso; distogliendosi per un solo istante dalla schiena di Hélène, ella ordinò pertanto alla sua cameriera con voce stentorea: “Gonna alzata… inginocchiata ai piedi di mio marito”.
Poi prese velocemente in mano la fasciona in pelle, e la fece sciabolare nel vuoto della stanza: emettendo un suono che la povera Hélène, mani sulla scrivania, colse con vero terrore.
“Anche la paperona adesso… gonna alzata”, aggiunse subito dopo. “Ho detto: gonna alzata”; madame Renoir vide che Hélène tremava, e decise così di fare da sola: afferrata la stoffa blu sul retro delle gambe di lei, trascinandola attentamente lungo tutta la schiena, fin sopra la giacca del tailleur dello stesso colore, ella la sollevò scoprendola tutta.
“Due minuti d’attesa… per aver trasgredito la regola due in commissione”. Hélène taceva con il sedere bianco tutto di fuori, in una situazione piuttosto simile a quella delle orribili fotografie rubate; questa volta in piedi e con madame Renoir dritta di lato, nei suoi alti tacchi. E con il capo chinato in giù.
Nel frattempo, Brigitte si era inginocchiata e muoveva avanti e indietro, la testa coi suoi capelli di color rossiccio ben legati: donando il piacere a monsieur Christiani in modo lento e succube; era evidente come egli fosse già esploso rovinosamente, dal momento che il suo preservativo in lattice s’era già completamente gonfiato di liquido ben oltre la metà. La cameriera pareva abituata a tutto ciò: proseguiva il suo lavoro con dovizia e cura, e con la gonna alzata.
Adesso i due fondoschiena erano entrambi rivolti a madame Renoir, che brandiva in mano la fasciona nera: Brigitte aveva al contrario di Hélène, saputo rispettare tutte quante le regole; il suo, di fondoschiena, sarebbe stato risparmiato. Madame Renoir si volse allora verso il più grande e rotondo dei due, quello del bocconcino appetitoso che stava piegato con le mani aperte sulla scrivania, ad un solo passo da lei.
Hélène tremava in modo vistoso, non si sarebbe mai aspettata di finire in quel modo, era in procinto di subire quella severissima punizione tanto temuta; madame Renoir intanto continuava a far sibilare la cintura nell’aria vuota della stanza: l’attesa era di ben dieci minuti, per aver trasgredito la regola della gonna, in due precise circostanze.
La povera sciagurata tremava sulle mani, ed avvertiva uno strano senso di gelo, su tutta la superficie rotonda del didietro; sentiva che monsieur Christiani adesso la andava fissando alle spalle: l’avrebbe vista anche lui, non c’era più limite alla sua vergogna, sarebbe stata certamente derisa.
Avvertiva uno strano senso di gelo su tutta la superficie scoperta: non era null’altro che l’effetto della lunga attesa, prima dell’arrivo del più intenso e agognato dolore; prima che lo spessore della grossa cintura, col suo sibilo minaccioso, s’abbattesse su quelle sue rotondità molli.
“Quanto manca…” osò domandare Hélène, mentre l’angoscia la travolgeva, trascinandola in un baratro di pena e desolazione; monsieur Christiani, nel frattempo esplodeva per la seconda volta, lasciando la cameriera Brigitte interdetta ed immobile sulle gambe, inginocchiata ferma ai suoi piedi.
Arrivò il momento della sentenza: “Sarà punita da mio marito paperona ribelle… lei non fa altro che trasgredire, in ogni circostanza…”; poi concluse: “Giù con la schiena”.
Monsieur Christiani l’aveva sedotta, e adesso l’avrebbe fatta inesorabilmente ululare di dolore; si levò in piedi lasciando Brigitte in ginocchio ai piedi della sedia, ordinandole di attendere la fine del castigo in quella posizione: aveva il pene molle e penzolante ancora avvolto nel suo preservativo fradicio e completamente rigonfio di liquidi. Si fece passare da madame Renoir la fasciona scura, senza rivestirsi.
Fissò bene il sedere gigantesco di quel bocconcino appetitoso; era stato lui a definirla in quel modo. Provò improvvisamente un’inattesa ed improbabile erezione dinanzi ad esso.
Poi iniziò a violarlo continuamente, con venti duri colpi di fasciona in pelle, ordinando alla malcapitata Hélène di contarli. La lasciò umiliata e in lacrime, del tutto sfigurata.
Una sveglia suonò, erano già le sei del mattino. Il ritorno dal mondo del sonno spazzò via l’ombra di quell’incubo assurdo, dissolto rigirandosi: la povera sciagurata l’aveva solamente sognato, ma lui le aveva fatto veramente, molto male battendola. Hélène si decise così di rifiutare l’invito.
Dodicesimo episodio
La costrinse a salire sulla bilancia, per vedere di quanto ella fosse ingrassata durante la sua assenza.
Ma prima le dovette far togliere del tutto di dosso, i suoi jeans che erano molto spessi, e che ne avrebbero sicuramente alterata di parecchio la misura.
“Sessantacinque chili… sei una vera culona”, l’apostrofò subito Mauro Mazzi, senza apparentemente rivelare neppure il minimo accenno di stupore; si vedeva infatti benissimo, come Hélène fosse davvero ingrassata in quel periodo: era tutta gonfia in viso e vistosamente larga nei fianchi.
Era oramai la terza volta, che il Mazzi risaliva su in Belgio per mantenerla; era scoccato l’undici d’agosto, ed Hélène era reduce dai festeggiamenti per i trent’anni della sua più giovane sorella Bianca, nella casa di famiglia a Liegi: aveva gozzivigliato a dismisura, come sempre senza contenersi.
“Subito a dieta con quel coso, sennò ti costringo io”.
Le regole erano cambiate: si calò subito obbedientemente le sue culottine nere, sfilandole lentamente da ambedue le caviglie in modo cupo e rassegnato, tenendo ai piedi le solite piccole ciabattine bianche che l’erano state imposte. “Le mani al muro …non farmelo ripetere” esclamò il Mazzi dopo un breve istante di paziente silenzio; “…forza cicciona!”.
“Noo… non come l’altra volta, ti prego…” biascicò Hélène, mentre obbedendo ancora mestamente, ella univa bene le gambe, disponendo le mani aperte sulle piastrelle del bagno, nei pressi della famigerata bilancia. Le sue culottine giacevano miseramente abbandonate dentro alla vasca.
“Sei una vera culona …devi piangere…” ribadì fermamente l’uomo; ed aprendo bene il braccio destro, testò la cintura sulle grasse cosce bianche di lei, facendole schioccare entrambe in modo penoso senza attendere nemmeno per un istante; segnandole con un primo doloroso, lungo livido. Un rumore sordo riempì subito l’aria del piccolo bagno.
“…no …noooo fa male lì… ti scongiuro no…” ululò lei un solo istante dopo essere stata battuta. “Stai zitta …culona…” replicò il Mazzi; “…non l’avrai solo lì…” aggiunse, ed immediatamente mantenne l’intento, impartendole una durissima scudisciata; ovviamente sul sedere tutto intonso, scuotendolo come una palla di gomma. “Ooooooh… ooo”.
Hélène allontanò le mani dalla parete, nel tentativo di districarsi; ma quegli subito le afferrò con la propria sinistra, l’avambraccio destro, trattenendolo fermamente piegato, dietro la schiena e lungo il dorso della sua sottile maglietta a pelle scura. “Appoggiati di nuovo al muro!”.
“No …noooo...” reagì penosamente lei. E fu subito battuta con una sferzata ravvicinata e assai precisa, inferta nel bel mezzo della chiappona destra, gonfia e arrossata dal colpo precedente. La sciagurata urlò in modo pietoso, e fu subito battuta per la terza volta; poi la mirò nuovamente alle cosce.
“Sei una vera culona” ribadì il Mazzi, mentre continuava a trattenerla per l’avambraccio. Giocava irrispettosamente con il nome di sua moglie, anche se la poveretta, obnubilata dalle botte, non lo aveva ancora compreso. Infine, le schioccò una sciabolata violentissima su entrambi i glutei, vedendoli rimbalzare mestamente all’unisono, come due cuscini deformi e sfatti, già deturpati da enormi bozzi. “Ooh…”.
“…basta… ti prego no…” lo implorava Hélène, annientata completamente dal dolore, trattenuta sempre per il braccio; aveva le gambe ben unite tra di loro, come imposto, e le caviglie leggermente aperte con le piccole ciabatte ai piedi.
“Zitta!” ribadì lui, ed aprì nuovamente il braccio.
“Nooo… oooo nooo…”.
L’appartamento del Mazzi risuonava di quelle ripetute cinghiate, e dei gridolini disperati e inutili di Hélène; qualcuno avrebbe potuto persino preoccuparsi, nel suo pigro vicinato: fu così che egli decise di finirla. “Ooooo…”.
“Subito a dieta con quel coso, sennò ti costringo io”.
“Nooo… oooo nooo…”.
Al Mazzi piaceva possederla girata dinanzi allo specchio; poteva così contemplare fiero, sia le conseguenze della punizione esemplare che le aveva appena inferto, sia le inequivocabili espressioni del suo viso arrossato, con la bocca aperta e gli occhi continuamente socchiusi; adesso la sbattacchiava avanti e indietro, tutta inerte, scuotendola per i fianchi, e vedendo il culone di lei agitarsi nelle sue mani.
Hélène aveva la sola magliettina nera addosso, e le ridicole ciabatte bianche ai piedi; muoveva docilmente la testa, mentre lui la sospingeva dentro alla vagina molle con il solito stantuffo duro e caldo, continuando a scuoterla. Lei aveva i due enormi glutei segnati da numerose striscie di pelle deturpata, che brulicavano in modo quasi insopportabile di vivo dolore, mentre lui la sbatacchiava.
Le aveva prese di santa ragione, l’era successo di nuovo, meritandosele pienamente. E quei segni, le sarebbero rimasti addosso per molte settimane, fino alla successiva visita.
Hélène si rese conto in quel momento, di provare rispetto e uno strano sentimento d’opportuna sottomissione verso di lui; riprendeva lentamente ad oscillare sui fianchi, sciaguratamente in bilico sull’orlo del piacere: era stata punita e dominata, e sarebbe successo ancora.
Sprofondò dopo solamente pochi istanti, mentre l’uomo esausto la liberava dalla presa forte dei suoi avambracci, per vederla così traballare davanti ai suoi occhi, con ambedue le caviglie divaricate; la sciagurata mosse la mano tremando, avvicinando il dito indice al buchino del sedere, vibrando per la vergogna: poi infine venne spruzzando copiosamente e mugolando in modo assai vistoso. “Ooooo… oo oooooo”.
Castigata, si voltò verso di lui rimanendo piegata carponi sul letto, con tutto il sederone gonfio e butterato completamente e vergognosamente esposto verso lo specchio: gli impugnò il bastone tutto fradicio e gonfio, con la mano destra, agitandolo come un tubo esausto da svuotare; solo a quel punto, ella ansimando prese a parlare: “Te lo prometto… questa volta mi metto a dieta… ho imparato a…”; lui le tappò la bocca severo, mentre la scellerata Hélène continuava a muovere in modo rapido e deciso la mano.
Solamente dopo diversi minuti di silenzio, quegli finalmente rispose sobrio: “Ad ottobre lo vedremo… cicciona”.
Hélène lo tratteneva e lo masturbava con il volto abbassato, provando in quel momento una specie di venerazione verso quel pene abnorme; si stava forse innamorando di lui? Sarebbe stata la prima volta con un uomo adulto, qualcosa di cui le sarebbe stato dato, forse di vergognarsi? Era stata prima punita e poi posseduta, e tutto ciò l’era piaciuto in modo insano; facendola godere fino quasi a irretirla.
Hélène aveva forse trovato la mano forte dell’uomo di cui aveva avuto da sempre, un estremo bisogno? Qualcuno che la controllasse e la mettesse in riga, educandola e disciplinandola. Con tantissime botte, certo, ma non solo.
È fine ottobre, ed Hélène ostenta nei suoi capelli lisci, una delicata sfumatura di color castano chiaro: è la stessa tinta della precedente moglie di lui; sarà stata costretta dal Mazzi a sistemarli in quel modo, con una acconciatura che a detta di molti, non le dona affatto. Lo pensano tutte le sue amiche.
Povera scellerata Hélène: senza mai riuscire ad indossare nessuno di quei vecchi vestiti, all’infuori di quelle due piccole ciabatte bianche, ella può così quantomeno provare a somigliarle nel viso; il Mazzi glielo ha certamente imposto.
A furia di prenderle, Hélène è finalmente ed inevitabilmente diventata, la Vera Culona che lui cercava. Lo resterà a lungo.
Chica blanca culona
Ragazza bianca col culo grosso
Coquine blanche nommée Hélène
Primo episodio
Lo chef che preparava oeuf brouillé a colazione, non era propriamente un tipo giovane e teneva lo sguardo sempre basso e circospetto, quello d’un vero porco e di un chiaro pervertito: così egli appariva nella mente assai confusa di Hélène. Lo aveva fin da subito notato per via di quel dettaglio particolare, le dimensioni enormi delle manone che armeggiava per sbatacchiare le uova; lei s’acchittava allo specchio della camera tutte le mattine, prima di scendere a piedi lungo le scale dell’hotel, pensando ossessivamente a quelle mani enormi: le avrebbe forse volute provare?
Il suo copricostume elegante, in delicatissima stoffa color ambra, era leggermente corto e terminava con delle piccole ondine disposte in diagonale, all’altezza delle cosce.
Per la prima volta si pentì di avere scelto un completo tanto sobrio e castigato: avrebbe forse voluto provocarlo in maniera più decisa, ma si limitava a farlo con le gambe accavallate, fissandolo da alcuni metri di distanza; senza causare apparentemente in lui, alcuna particolare sorpresa.
Il fidanzato che l’accompagnava era piuttosto rimasto assai sorpreso, da Hélène, almeno un buon paio di volte durante quello stesso soggiorno; alcuni atteggiamenti inusuali della sua donna l’avevano a tratti assai infastidito, dal momento che egli non era mai stato abituato ad osservarla in tale veste: Hélène era inaspettatamente divenuta molto più aperta e disinibita verso gli uomini, e parlava più frequentemente del solito anche con gli sconosciuti.
Samir s’era persino ingelosito: l’aveva veduta da lontano, la sera quando sul bordo della piscina ella s’era lasciata avvicinare da un uomo più anziano; proprio mentre egli s’assentava per un solo minuto, recandosi alla toilette.
Fino a quel momento, giammai avrebbe solo immaginato, che ella potesse un giorno tradirlo: nel passato l’aveva sminuita e persino derisa, infinite volte, ritenendola incapace di muovere un semplice passo, senza di lui.
Ma aveva iniziato a desiderare di controllarla, cosa che fino a quel momento, mai gli era nemmeno balenata dentro alla testa. Il secondo episodio s’era verificato durante il giorno, al ricevimento dell’albergo: l’aveva sorpresa intrattenuta da un inserviente di colore molto aitante, mentre lui l’attendeva già da alcuni minuti, lì vicino nei pressi; nulla di particolarmente compromettente, ma di certo non gli era piaciuto per niente l’atteggiamento di lei, ed il suo sguardo languido, perfettamente ricambiato: appariva molto curiosa ed anche leggermente imbarazzata in quell’istante.
Ad aggravare di molto la situazione della donna, la sciagurata Hélène s’era già inopportunamente negata a lui la sera precedente, rifiutando di concedersi tra le lenzuola: adducendo il banale pretesto d’esser ancora molto stanca, dopo un’intera giornata trascorsa al sole senza fare assolutamente nulla; era divenuta indolente.
Il fastidio del rifiuto aveva accresciuto nell’uomo l’istinto di trattarla in maniera forte, con atteggiamenti di stampo vistosamente possessivo. Come porre immediato rimedio, al declino del loro rapporto di coppia? Decise di risolvere il problema quel pomeriggio stesso, senza alcun tatto, ma con l’intento di disporla nuovamente in riga e sottometterla a sé.
Gonfio di caldo subito dopo la piscina, senza nulla addosso, l’attese per alcuni minuti sul divano dell’appartamento, con tutto il corpo ritorto a muscoloso in bella mostra, ed il pene enorme già eretto, fermo nella sua mano sinistra; Hélène stava salendo le scale, del tutto ignara della propria sorte.
Aprì finalmente la porta avvolta nel suo costume bianco, coi capelli completamente bagnati pettinati all’indietro; ed intravide subito nella lieve penombra della camera, la forma indiscreta del sesso di Samir che l’attendeva; come la statua monumentale e severa di un’antica divinità pagana.
“Mon dieu… ma cosa ti succede…” sussurrò, senza ottenere da lui alcuna risposta; non sembrava che egli avesse affatto intenzione di scherzare con lei: il suo pene era tutto lucido.
Samir lo brandiva saldamente nella propria mano sinistra senza muoverlo; la donna arretrò di puro istinto, non si attendeva certo di ritrovarselo tutto dinanzi, esposto in quel modo: ma non disse nulla ed abbassò la testa. Poi dopo pochi istanti si mosse nuovamente, in modo timido, succube e delicato, meditando di fare in fretta; quantomeno per donargli il piacere di cui indubbiamente egli aveva assai bisogno: era pur sempre un uomo iperdotato, con cui ella si intratteneva felicemente da ben più di tre anni, e con cui casualmente non faceva sesso da oltre tre giorni.
Ma Samir aveva evidentemente ben altre intenzioni, cosicché quando ella lo approcciò con la mano, subito egli la trascinò per un braccio facendola coricare sopra di lui; Hélène fece cenno di no, ma già era piegata sopra il suo addome, trattenuta per la schiena, e costretta banalmente a succhiare.
Lo faceva senza alcuna voluttà, e Samir ne fu ulteriormente e palesemente infastidito; le intimò allora di togliersi il proprio costume di dosso, senza mai interrompere quel servizio che andava meccanicamente eseguendo con la bocca: una richiesta perentoria, ma non certo semplice da eseguire per l’impreparata Hélène. Lei provò ad obbedire, ma lo mollò per un solo istante, in errore; fu lì che il suo uomo le afferrò tutta la vita levandosi fermamente in piedi, con il sesso mostruosamente eretto dinanzi.
Balzò di lato bloccandola per i fianchi, causando in lei un brivido di spavento oltre che una reazione inattesa di vero stupore; la sollevò leggermente sulle gambe spostandola di lato, nei pressi del balcone. Poi approcciandole le spalline del costume, gliele tirò giù nell’intento di spogliarla.
Avrebbe forse voluto prenderla così, disponendola di spalle proprio lì sopra, in piedi sul balcone della loro stanza? La spiaggia assolata si stagliava lontana sul lato destro oltre alcuni alberi, nessuno avrebbe in alcun caso potuto vederli.
Hélène si ritrovò le mammelle larghe che penzolavano in cima, e la parte alta del costume avvolta attorno alla vita; avrebbe voluto divincolarsi e sfuggire via, ma le mani calde di Samir già ne avevano afferrato nuovamente la stoffa umida: per poi calarla giù del tutto, definitivamente, fino a liberarle la pelle fradicia delle due chiappone molli e bianche, vedendole rimbalzare di fuori come due grosse guance di gomma corrugate e pallide. Lei ululò impotente.
“Adesso ti insegno io a rifiutarlo…” sussurrò rabbioso.
Le avrebbe schiuse immediatamente, stringendo quelle chiappone nelle mani e gonfiandole con il suo membro scuro paurosamente eretto; fino a vederla quasi sprofondare del tutto, con le mammelle penzolanti e le mani aggrappate al davanzale, vinta dal piacere. Finendola poi con il suo solito glande rosso imposto in cima ai glutei e con il calore del suo sperma; eiaculava in modo impetuoso e prolungato continuando a strusciarla avanti e indietro, in modo quasi ossessivo, come se intendesse legarla a sé e marchiarla.
“Oo… ooooh”.
Chiunque li avesse spiati dal giardino sottostante, avrebbe veduto il volto arrossato di Hélène muoversi anch’esso avanti e indietro, con la bocca spalancata, oscillando assieme alle morbide mammelle libere e penzolanti; poi le sue timide mani aperte sulla ringhiera, e i due avambracci vigorosi che la trattenevano da dietro, facendola tremare sulle cosce, avvolte dallo scomodo indumento bianco completamente calato: aveva goduto anche stavolta, incapace di resistergli.
Samir continuò a massaggiarla in cima ai glutei con il pene fradicio, impartendole alcuni colpetti prima di lasciarla andare: la sua donna, sottomessa in quel modo, avrebbe imparato, forse per l’ultima volta, a non dirgli mai di no.
Hélène volse le spalle al suo chef, e con un gesto piuttosto inatteso e sconsiderato, allargò leggermente con la mano destra il lembo posteriore del proprio copricostume, con tutte le sue pieghette del color dell’ambra che si muovevano.
Quegli si ritrovò tutta esposta dinanzi, la forma imbarazzante di quel didietro, stretto e fasciato fin sopra alla schiena nel suo tessuto bianco intero; Hélène era stata messa nuovamente in riga da Samir, ma l’appetito in lei non s’era ancora spento. Il vero pericolo era ancora lì, dietro l’angolo.
Secondo episodio
La costrinse a salire sulla bilancia, per vedere di quanto ella fosse ingrassata durante la sua assenza.
Ma prima le dovette far togliere del tutto di dosso, i suoi jeans che erano molto spessi, e che ne avrebbero sicuramente alterata di parecchio la misura.
“Sessantacinque chili… sei una vera culona”, l’apostrofò subito Mauro Mazzi, senza apparentemente rivelare neppure il minimo accenno di stupore; si vedeva infatti benissimo, come Hélène fosse davvero ingrassata in quel periodo: era tutta gonfia in viso e vistosamente larga nei fianchi.
Si limitò ad aprirsi la cintura sul davanti, con un gesto chiaro e deciso, cui la donna era purtroppo già stata abituata.
“Giù subito quelle mutandine!” le disse Mazzi, brandendo la sua cintura con la fibbia ben salda nel palmo della sua mano destra; Hélène sapeva benissimo che quella volta sarebbe andata a finire molto male, ma tantomeno immaginava, che sarebbe bastata la sola prova della bilancia, a causare subito il presupposto per l’ennesima dose di sana disciplina.
Immaginava che Mazzi l’avrebbe piuttosto voluta interrogare sulle numerose chiamate perse, sul frequente rifiuto di mostrarsi in volto, ma non certo per il proprio peso.
“Ho detto… giù quelle mutandine” ribadì fermamente lui, trattenendo sempre la cintura stretta nella sua mano destra.
Hélène si svegliò annebbiata e in preda alla confusione; un anno era già trascorso da allora, dagli eleganti bagni del Royal di Antibes, dove tutta la sua lunga vicenda con Samir era definitivamente franata, nel modo peggiore. L’aveva casualmente rivisto e ricordato in sogno: era impossibile non ripensare a quel giorno, e a quell’umiliante epilogo.
Il suo chef pervertito le aveva chiesto di attenderlo nel cortile dopo le dieci, ed Hélène gli aveva obbedito: abbandonando Samir sulla spiaggia, con il pretesto di dover tornare in camera da letto, per togliersi gli orecchini e la collana.
Si era disposta al sole in modo da essere vista per bene dall’interno della sala; il delicato tendaggio le impediva tuttavia di comprendere, se egli fosse o meno lì: forse costui era già in procinto di avvicinarsi e d’approcciarla come ovvio e scontato, o magari era ancora verosimilmente impegnato, con le pulizie ed il riordino dell’ampio locale; da dentro proveniva ininterrotto, il rumore di un’aspirapolvere, oltre al brusìo delle voci di alcuni vivaci camerieri.
Hélène ostentava un ampio cappello bianco a larghe falde, sopra il solito abitino color ambra; correndo non pochi rischi, di cui era già stoltamente consapevole, oltre a togliersi i suoi monili di dosso, Hélène aveva indossato un succinto completino d’intimo nero; riponendo il suo ben più castigato costume da bagno chiaro: presentava un solo piccolo filino sottilissimo sul didietro, lasciandole i glutei interamente scoperti di sotto; di tutto questo un poco ella si vergognava.
Lo chef tardava a mostrarsi, ed allora la sciagurata donna decise di spostarsi leggermente di lato, accomodandosi su un divano da giardino, interamente coperto di vimini intrecciati.
Dieci minuti buoni erano già trascorsi da quando Hélène aveva abbandonato Samir sulla spiaggia; avrebbe dovuto risalire in camera per rimettersi in ordine, prima ancora di poter ritornare da lui, causando così un ulteriore e sospetto ritardo: non avrebbe affatto voluto indispettirlo per una volta ancora, e la preoccupazione aveva iniziato ad assalirla.
Per sua fortuna, proprio in quel preciso istante, un giovane e dinoccolato cameriere uscì dalla sala venendole rapidamente incontro; le disse senza particolare cortesia: “Chère madame …lo chef Jean-Claude la sta attendendo di là in cucina…”.
Quello era il suo nome; si sollevò in piedi provando non certo inaspettatamente, un’infinita vergogna. Poi fece il suo ingresso muovendosi in modo lento e circospetto dentro alla sala, dove altri giovani camerieri la fissavano ridendo. “Lì dentro, nella cucina…”, ribadì il primo di loro, colui che solamente pochi istanti addietro l’aveva approcciata.
Entrò nel luminoso ambiente adornato di lucide piastrelle, e subito vide lo chef con gli occhi scuri, appoggiato al lungo tavolaccio con tanti piatti impilati, che la fissava in modo esplicito; dopo un solo istante egli aprì la bocca e si rivolse a lei, con voce intensa e profonda, tuttavia senza alcun minimo accenno d’imbarazzo: “Complimenti per il cappello, le sta davvero molto bene mademoiselle …posso conoscere il suo nome?”. Hélène, dopo un primo attimo di timidezza, decise di mentirgli: “…Io …io mi chiamo … Sophie…”.
“Venga qui Sophie, lei ha un bellissimo nome… ed anche un bellissimo… pentolone lì di dietro… lo sa?”, la provocò.
Hélène realizzò di provare davvero enorme disagio, aveva le gambe che le tremavano, in modo assai vistoso; lo chef le protese un braccio facendola avanzare a passetti lenti, ancheggiando: quando la sciagurata gli fu di fronte, infine senza tanti preamboli e senza davvero alcun riserbo, le cinse tutta la vita con il braccio sinistro, stringendola a sé con grande forza. Poi le affondò l’intera manona destra, enorme e nodosa, sul retro del vestitino con le sue pieghette: afferrandole per intero il citato fondoschiena, sentendo che era completamente libero e tutto mollo lì di sotto: “…un gran bel… pentolone” ripetè ridendo mentre ne saggiava la consistenza tastandolo. Hélène sentì la pressione salirle, mentre immobilizzata taceva con le due caviglie divaricate.
“Garçon!” disse a gran voce lo chef, rigirandosi verso il centro della sala: il giovane e dinoccolato cameriere che l’aveva invitata ad entrare, fece immediatamente il suo rapido ingresso in cucina, come se fosse già stato precedentemente istruito a farlo; a quel punto lo chef ammiccando esplicitamente, dopo aver liberato per un istante la presa di entrambi i fianchi di lei, gesticolando esclamò: “…mademoiselle Sophie ha bisogno di aiuto… ce l’hai un mestolo?”. Dopodiché, con un gesto veramente inopinato e senza davvero alcun rispetto per lei, le alzò il lembo del piccolo vestitino sul didietro, scoprendole interamente la pelle nuda dei due glutei bianchi come il latte.
Il ragazzo ristette nel veder rimbalzar di fuori quel sederone enorme, ridicolmente esposto, diviso in due dall’inutile filino nero della piccola mutandina. “Un mestolo… per favore…” ribadì lo chef, vedendo che obbedendo quegli si apriva ossequiosamente, la propria cintura dei pantaloni.
Hélène urlò, ed arretrando impaurita, respinse entrambe le manone dello chef, il quale non certo soddisfatto provava a trattenerla per il cappello; poi da lontano si volse, e vide con orrore il giovane cameriere: già aveva estratto il proprio membro bianco tutto di fuori, arcuato e rigido; gli mollò nervosamente uno schiaffo, squittendo come una scimmia.
Poi guardandoli entrambi dall’uscio della cucina, con infinito imbarazzo, prima di fuggire via, esclamò: “Io …non sono una puttana… cosa credevate di farmi…?”, ma non ottenne davvero alcuna risposta, all’infuori che una beffarda risata.
Lo chef avrebbe ripreso ad ignorarla, mentre sbatteva ogni mattina, le solite oeuf brouillé con quelle sue manone enormi; ad Hélène non era affatto piaciuto venire palpeggiata da lui in quel modo, come una bestia: non era stato esattamente così come lo avrebbe immaginato; ma ancora una volta se ne sarebbe fatta una ragione, inguaribilmente scellerata e perduta in fondo al labirinto come sempre.
Terzo episodio
Salì la rampa delle scale seguendo pedissequamente nel verso contrario, lo stesso tragitto di tutte quante le mattine, con un sentimento strano ed indecifrabile di puro disincanto e di profonda vergogna; aprì la porta della camera da letto trafelata, e vide che il suo costume da bagno era sparito del tutto; al suo posto, vi era un semplice bigliettino con scritto “Ti aspetto nei bagni della piscina… il costume non serve”.
Hélène realizzò tutt’assieme all’improvviso, che Samir l’aveva scoperta: come avrebbe mai potuto giustificare quell’improbabile cambio d’abito, con la scelta d’indossare la propria biancheria intima in luogo del normale costume?
Prese l’ascensore con le cosce che le tremavano; erano solamente le dieci e mezza del mattino ed in piscina non vi era ancora nessuno. Fece il suo ingresso nei bagni appoggiando le mani alla parete in modo circospetto.
“Brava piccola… questa volta sei stata veramente brava!”; la voce di Samir, desolata ed ironica, rimbombava dal fondo del corridoio. Hélène arretrò tutta quanta impaurita.
“Perché non vieni da me adesso… forse ti vergogni?” la affondava lui; “…avanti piccola, il tuo costume ce l’ho io”.
“Forse pensavi che non mi accorgessi …che stavi cercandoti tanti guai? …con quel giovane del ricevimento uh? Oppure con il cuoco …certo, il cuoco della colazione! …avrei pure dovuto pensarlo, dal modo in cui tu, lo fissavi tutte quante le mattine; ah, sono stato un vero stupido io, a sottovalutarti così: già lo sapevo che dentro quella piccola testa, tu te lo sbattevi come una puttana”.
Hélène si sentì sprofondare in un baratro infinito di rimorso, era tutto orribilmente chiaro agli occhi del suo uomo che adesso la scrutava da lontano, nascosto nella penombra.
“Ma fammi vedere piccola… doveva essere importante, per cambiarti il costume: una persona veramente importante!”.
Quegli fuoriuscì lentamente di lato mostrandosi a lei con tutto il petto cosparso di unguenti: tratteneva in mano il suo costume bianco ed era piuttosto scuro in viso, alterato dalla rabbia; le afferrò un braccio trascinandola in avanti, vedendola dondolare goffamente sui propri sandali, fino a ritrovarsela tutta piegata con la schiena in postura prona e leggermente scomposta, a mezzo metro di distanza; il suo vistoso cappello bianco a larghe falde già rotolava in terra.
Quello era l’inglorioso e triste epilogo di una lunga storia d’amore iniziata per caso, ma durata ben oltre i tre anni.
“Eccola qui …la santarellina! …guarda che ti sei messa!” disse tra l’ironico e il pietoso, nell’istante in cui trattenendole la schiena con una mano, assieme all’inutile costume bianco che le aveva poc’anzi sottratto, egli ribaltava inesorabilmente il suo vestitino per controllare direttamente che cosa ci fosse di sotto.
Nella penombra in cui l’aveva trascinata, lontano dallo sguardo di chiunque, le aveva esposto ridicolmente il solito didietro grosso e pallido; rivelando la succinta mutandina nera di sotto, e le misere ed ingiustificabili intenzioni, di colei che l’aveva indossata. “Doveva essere davvero importante, per mostrargli tutto il culo in questo modo …santarellina”, le disse senza tradire alcuna emozione.
“Afferra il cappello! …rimettilo”.
Hélène intuì ciò che stava per accaderle, e tenendo sempre la schiena piegata, osò biascicare a bassa voce: “ti prego”.
Ma Samir non aveva davvero alcuna intenzione di perdonarla; le avvolse i fianchi con tutto il copricostume rovesciato: il culone della sua donna tremava vistosamente, in procinto di subire ciò che il suo uomo mai le aveva dato.
Aprì la mano destra, e tenendola per un istante sollevata, la ammonì: “Sappiamo tutti e due santarellina, che questo ti piace… ma forse adesso scoprirai se ti piace veramente… bambina sederona”; e la colpì con una smanacciata fortissima, con quella mano completamente spalancata, facendola sussultare sulle caviglie divaricate, e gridare: “Ooooo”.
Poi la strinse meglio, immobilizzandola, adoperando anche la gamba sinistra per trattenerla a sé; le mollò il secondo sculaccione, che questa volta risuonò per bene in tutto il corridoio, seguito da un urletto acuto e disperato di lei.
Il terzo sculaccione arrivò immediatamente, mentre Hélène provava inutilmente a divincolarsi; poi tentò di sistemarsi i capelli, e subito fu battuta di nuovo. “Oo… ooh”.
Era davvero una scena penosa, in cui la donna con il suo cappello bianco in testa, squittiva miseramente di continuo.
“Vedremo… se ti piacciono veramente” ribadì lui, sferrandole altri due tonfi in rapida successione, su ambedue i glutei molli; “…la piccola santarellina oggi …le prende sul serio” aggiunse severo. Il sederone scosso e rigonfio di lei, era già acceso d’un rosso livido, mentre rimbalzava inesorabilmente.
“Stringi le gambe, bene così… sederona” le disse ancor prima di riprendere a batterla senza sosta, con tutta quanta la mano destra aperta, sballotandola avanti e indietro nella sua presa.
In quell’istante un inserviente con la scopa in mano si affacciò nel corridoio, e timidamente osò domandare: “Va tutto bene signori?”; aveva gli occhi sgranati e fissava da lontano il dettaglio del sedere battuto e miseramente esposto di lei; era già tutto rosso e vistosamente deturpato.
“Sì, io sono il papà…” rispose Samir con insospettabile sobrietà, noncurante di quanto tutto ciò risultasse davvero poco credibile; il corpo indifeso di Hélène non era propriamente quello d’una tenera adolescente, con tutta la cellulite rigonfia, accumulata sui poveri glutei e sulle cosce.
“Allora bambinona… ricominciamo!” riprese lui un solo istante dopo; e stringendola ancora più forte, le impartì due sculaccioni davvero esemplari, facendola urlare.
Non posso credere che esista al mondo una culona come te. Sei nata apposta per prenderle, ed io dovrei suonarti almeno una volta alla settimana, di santa ragione. Se solamente tu non fossi così lontana, lo farei anche in questo preciso istante, davanti a tutti.
Nessuna le prende più alla tua età: solo tu hai il culo gonfio e le chiappone rosse, ancora una volta; e non sarà l’ultima, puoi contarci: sei talmente ridicola, che finirai di nuovo per cascarci.
Tipo: Messaggio di testo
Da: Lucky Mariano
A: Elen belga
Inviato: 1/1/2022, 22:05
Ricevuto in data: 1/1/2022, 22:05
Quarto episodio
Monsieur Christiani possedeva tutte le caratteristiche di un vero uomo di potere; Hélène lo incontrò durante il mese d’ottobre, quando già aveva compiuto, da poco più che un paio di settimane, i suoi primi trentatré anni. Conservava sempre la stessa anonima voce da bambina, mentre al contempo i suoi capelli mossi erano andati via per sempre, restituendole così il proprio taglio nero liscio e naturale.
Quell’incontro non fu professionalmente felice per lei: avrebbe voluto intervistare un suo importante assistito, ma fu trattata in modo particolarmente indelicato, proprio da colui che l’avrebbe piuttosto, dovuta formalmente introdurre. A tal punto che monsieur Christiani, si dovette infine persino scusare con lei, a distanza di alcuni giorni dall’episodio: e lo fece con classe, invitandola cordialmente per un brunch nei pressi di Rue Archimède.
La sfortunata trentatreenne, definitivamente abbandonata da Samir poco dopo la fine della loro vacanza, non praticava il buon sesso da troppo tempo oramai; e la sua testa assai confusa, glielo rammentava sempre allo stesso modo: fisicamente vulnerabile, facilmente suscettibile alla provocazione più sottile, ed inguaribilmente oppressa dalle sue solite ed irriferibili ossessioni di sempre: nessuno avrebbe nemmeno potuto minimamente immaginare, che cosa le ribollisse dentro alla povera mente annebbiata, in quel periodo; Hélène era potenzialmente alla mercé di chiunque.
Seduta nell’angolo in fondo alla sala con le gambe compostamente accavallate, quando vide l’uomo attraversare la porta del locale, con un elegante cappotto indosso e la sua cravatta scura perfettamente a modo, subito intuì quanto di ben più pericoloso era sul punto d’accaderle: era stata trattata assai male da lui pochi giorni addietro, ma forse quegli l’avrebbe adesso persino sedotta, con il suo elegante cappotto, la sua eccitante cravatta scura, ed il suo indiscutibile charme da uomo forte e assai sicuro di sé.
Aveva circa cinquantacinque anni, ed era sposato con una sconosciuta quarantenne francese; Hélène riconobbe subito l’anello ed inevitabilmente fu a conoscenza del suo stato.
“Le devo le mie più sentite scuse mademoiselle Houllier; è raro per me trattare male, una giovane professionista come lei… persino con la mia cameriera non avrei mai adoperato, simili parole…”.
L’aveva definita paperona, dopo averla udita rivolgersi con domande leggermente petulanti e a tratti capziose, al proprio importante assistito durante una conferenza in internet della commissione; aveva deciso che giammai quel suo assistito sarebbe stato intervistato da lei, una fastidiosa paperona.
“Lei ha …una cameriera?” domandò improvvisamente Hélène, con un’insospettata e quasi inspiegabile curiosità; archiviando apparentemente senza alcun particolare tratto di soddisfazione, le sue ossequiose e formali scuse; “…e …quali parole lei adopererebbe, piuttosto, con la sua cameriera qualora… la facesse arrabbiare come ho fatto io…”.
Christiani comprese come quella sciagurata paperona, fosse tutt’altro che indifferente rispetto alle sorti della sua domestica di casa; qualcosa in lei pareva già suggerire, come quella surreale ed insensata conversazione, potesse anche andare a finire in un modo profondamente sbagliato.
“Oh, in realtà mademoiselle Houllier, è sempre mia moglie a prendersi buona cura di lei…”.
Ordinarono due croque madame al formaggio e subito ripresero a parlare, in modo estremamente serio e con tono sempre formale, di quell’argomento così inatteso e bizzarro.
“È consentito oggi in Belgio, prendersi buona cura di una cameriera?” domandò Hélène in maniera sottile, mentre già sentiva l’utero bollirle inesorabilmente dentro alla pancia.
“Non so dove mademoiselle vuole arrivare…” rispose l’uomo guardando nervosamente l’orologio, che era un elegante Rolex di grosse dimensioni, un oggetto assai pregiato da ostentare.
Poi riprese a parlarle abbassando leggermente il tono della voce, come se intendesse concludere quella scellerata discussione, prima che l’argomento scivolasse via del tutto.
“Cara mademoiselle Houllier, io so bene di averla insultata, e di questo me ne scuso… ma non credo di dovermi piuttosto giustificare, anche per quello che mia moglie dice e fa alla sua povera e distratta cameriera…”. Hélène arrossì, forse l’uomo aveva già compreso tutto quanto.
“Sua moglie è molto bella?” domandò allora, in preda alla curiosità più improbabile. L’uomo inaspettatamente le sorrise, ma in forma interlocutoria e indecifrabile; poi guardò per qualche istante sul proprio telefono, trovandovi con garbato compiacimento, lo scatto d’una donna bionda con gli occhi chiari, altera e distante, di gran fascino: ed era proprio il suo assistito. L’imprudente Hélène non poteva nemmeno immaginarlo e subito ristette incredula, senza fiatare.
Un cameriere servì loro le due deliziose croque madame al formaggio, assieme a un paio di bicchieri col succo d’arancia.
“Vuole intervistare mia moglie e domandarle notizie sul conto della nostra distratta cameriera?” l’affondò Christiani.
“Per oggi mi basterebbe conoscere i loro nomi ed il modo in cui sua moglie si rivolge a lei…” biascicò Hélène, travolta da un istinto inopinatamente insano e rovinosamente nocivo.
“Senta …paperona” rispose allora Christiani facendosi tutto serio in viso. Hélène non mosse un solo ciglio, e fu così che tutto il suo gioco, gli fu improvvisamente e piuttosto ridicolmente smascherato; “io le farò incontrare davvero mia moglie, se proprio lei lo desidera: si chiama Corinne Renoir, come lei avrà ben immaginato. Ma subito devo ammonirla… mia moglie è una donna estremamente irascibile, sia attenta e pienamente disciplinata quando incontra Corinne Renoir”.
“E la cameriera come… come si chiama?” chiese lei tremando.
Christiani s’allontanò dopo avere pagato il conto, ed Hélène rimase per un minuto immobile sulla sedia, con le gambe che le tremavano e la vagina già verosimilmente tutta bagnata, sotto alle proprie mutandine e alle calze intere scure.
“Si chiama Hélène, la nostra cameriera è una distratta paperona di nome Hélène”. Non sa riconoscere le persone.
Quinto episodio
Le sarà rigorosamente vietato portare con sè apparecchi telefonici personali, né alcun simile apparato predisposto per la registrazione.
Hélène non poteva credere a quanto era in procinto di fare.
“Ovviamente la suddetta paperona verrà sottoposta a dettagliati controlli prima d’entrare” aveva aggiunto a voce.
Fasciata in una gonna di lana grigia strettissima, aveva nuovamente indossato le proprie calze autoreggenti; non lo faceva da diverse settimane, non amandone affatto un particolare dettaglio: erano per lei assai scomode da tenere, con tutto il loro elastico ben stretto attorno alle cosce.
“Questa specie di piccola giornalista da strapazzo, ma chère, sembra davvero una donnetta disperata, in cerca di tanti guai: tutta grassa e tonda, un vero bocconcino appetitoso…”.
Una camicetta azzurra da impiegata ed un foulard, sotto ad un maglioncino in pendant con la gonna, ne completavano la goffa silhouette incerta, mentre imbracciando il solito cappottino nero, Hélène s’apprestava verso la porta di casa.
Erano le tre del pomeriggio in un grigio sabato d’inizio novembre: la residenziale dimora di madame Renoir si trovava leggermente in collina, dalle parti del quartiere elegante del Parc Roi Baudouin a Bruxelles; Hélène decise di adoperare un taxi per potervi giungere in modo sicuro, senza tantomeno rischiare di poter incorrere in possibili ritardi: il suo appuntamento era fissato per le tre e mezza.
La testa della scellerata ribolliva di strani pensieri e d’inconfessabili pulsioni: per la prima volta in assoluto, sentiva il sincero bisogno di venire educata e messa in riga da una donna; ma esclusivamente al cospetto di una creatura assai potente, bellissima, e di tutt’altro rango rispetto a lei: la severa madame Renoir, era per lei ancor di più, di tutto ciò.
Hélène non sapeva ancora, se la donna fosse o meno conscia, dell’improbabile jeu de rôle sorprendentemente proposto da suo marito: tale incertezza la lasciava completamente sospesa in uno stato di leggera ansia e di concreto timore.
Il cancello lungo la strada si aprì non appena lei spinse il piccolo pulsante del citofono; dovette suonare nuovamente quando fu dinanzi all’elegante portone di casa, e finalmente le fu consentito l’ingresso all’interno dell’ampia dimora.
La giovane cameriera, inconsapevole e inteso oggetto della pericolosissima disquisizione intrattenuta con Christiani, era una ragazza piccola e piuttosto dimessa di nome Brigitte: sembrava una femmina decisamente introversa e triste; si fece consegnare da Hélène il cappotto e lo appese dentro ad un grande mobile disposto nell’anticamera; poi aprendosi una seconda porta dinanzi, le disse senza guardarla negli occhi: “Mi segua”; era vestita con una specie di frugale abitino marrone tutto intero, adornato da un colletto bianco ed incredibilmente gonfio tra la vita e i fianchi.
“Madame Renoir mi ha ordinato di controllarle i vestiti, nel frattempo può cortesemente spegnere e lasciare qui il suo telefono?”. Hélène comprese come vi fosse un protocollo estremamente rigido e severo, e pertanto obbedì.
“Si può gentilmente togliere il suo maglione con il foulard?”.
La camicetta azzurra era tutta stretta ed attillata, proprio come la gonna grigia sopra le calze trasparenti.
La cameriera si avvicinò tenendo sempre il capo abbassato; “…permette?” chiese con una certa timidezza, ed Hélène comprese che era sul punto di perquisirla; allargò le braccia e subito vide le mani della ragazza circoscriverle i fianchi, per scenderle un po’ goffamente giù lungo la gonna, tastandola delicatamente.
“Può entrare lì” chiosò la cameriera, indicando un lungo corridoio con numerosi quadri appesi di lato. Hélène abbandonò il proprio telefono, assieme al maglione e al foulard, che le avrebbero tenuto molto caldo in quel rarefatto ambiente senz’aria; dovette depositare nell’anticamera anche la propria borsetta nera, ma le fu consentito di trattenere il solo portafogli, ed il taccuino degli appunti con l’elegante penna stilografica ricevuta in dono dal proprio capo ufficio.
Era intimorita ed emozionata mentre avanzava nel corridoio, intravedendo la porta con una sola anta aperta sullo sfondo.
Finalmente entrò nello studio di madame Renoir, trovandola lì, ferma in piedi nei pressi dell’ampia finestra, da cui si dominava la vista dei tetti delle case con uno strascico di grigio tutto intorno. Era assai alta ed elegante nei suoi tacchi.
Costei si volse e la fissò dalla testa ai piedi, con una lieve smorfia impregnata d’ironia e papabile disprezzo; era indubbiamente una donna di grandissimo fascino.
“Allora lei sarebbe la fastidiosa paperona…”.
Hélène fece cenno di sì con la testa.
“Oggi ho deciso che la chiamerò così… immagino che sia abituata…” aggiunse avvicinandosi, senza stringerle la mano. “Si accomodi lì…” concluse, additando una sedia di fronte alla propria scrivania; Hélène fece esattamente quanto indicato, era ancora piuttosto scossa ed emozionata.
“Non iniziamo allora…? io non ho molto tempo per lei come ben sa… paperona” disse con tono sbrigativo madame Renoir, mentre si adagiava a sua volta su una comoda poltrona scura, lievemente reclinata di schiena, con le lunghe gambe accavallate e le eleganti scarpe con il tacco in bella mostra.
Hélène si sistemò meglio sulla sedia e con una mano si volse i capelli neri leggermente di lato, vistosamente imbarazzata e leggermente rossa in viso; tolse il tappo alla penna ed aprendo il taccuino, alzò timidamente la testa.
In quel momento ella si sentiva tra sé e sé, goffa e ridicola come poche altre volte l’era mai accaduto in passato.
“Madame Renoir, è un vero privilegio per me poterla intervistare. Quest’oggi non le porrò alcuna domanda relativamente al suo importante impiego nella commissione”.
“Le impongo di non citare affatto le mie attività in questa né in alcun’altra sede”.
“Madame Renoir, che opinione ha dell’educazione nei collegi, vuole raccontarci la sua?”.
“Ho frequentato una famosa istituzione femminile a Parigi di cui non le dirò qui il nome; la maggior parte delle giovani che ho conosciuto ricoprono adesso importanti incarichi in politica”.
“Ritiene le differenze sociali un ostacolo inevitabile per chi intenda affacciarsi ad incarichi di così alto rilievo?”.
“Le differenze sociali sono un bene prezioso: chi guida un’istituzione prestigiosa come la mia non può non tenerne conto”.
“Che opinione ha della gente comune?”.
“Occorre fare in modo di soddisfarne le esigenze, in modo da saziarne i bisogni, tutto qui”.
“Lei per semplice caso, ha una cameriera?”.
Sesto episodio
“Le cameriere qui dentro sono due, e lei dovrebbe saperlo”.
Hélène ristette sulla sedia, con il ventre che le tremava.
“Una delle due a quanto pare, non è ancora preparata a rispettare le regole di questa casa…”.
“A quali regole si riferisce, madame Renoir…”.
Quest’ultima si fermò e chiamò con voce quasi sussurrata, il nome della giovanissima Brigitte; costei era a quanto pare, rimasta tutto il tempo in rispettosa e prolungata attesa fuori dalla porta dello studio, rigorosamente in piedi. Entrò a passetti lenti, con lo sguardo basso: “Comandi madame…”.
“Regola numero uno, Brigitte…”.
Hélène iniziò a comprendere meglio, la natura del gioco, ed allora improvvisamente iniziò a provare una discreta paura.
“Uno: non alzare mai lo sguardo…”.
“La paperona mi pare che abbia oggi già trasgredito almeno un paio di volte, o sbaglio?”. Lei non disse nulla né tantomeno annuì.
“Numero due, forza!” la incalzò.
“Due: i capelli devono restare sempre legati”.
Hélène mosse nervosamente ambedue le mani, sfiorandosi la nuca e sistemandosi frettolosamente i lunghi capelli neri in una coda di cavallo, davanti a madame Renoir che adesso la fissava in modo veramente oltraggioso; era oramai tutto miseramente chiaro ed esplicito, sia all’obbediente Brigitte, che ad entrambe le donne sedute alla scrivania.
“Tre: non sono tollerate le calze intere. Ebbene, mademoiselle che lei ha qui definito paperona, oggi ha ben rispettato questa regola, madame”. La situazione si stava facendo pericolosa.
“Sono certa che invece la paperona non abbia affatto rispettato la quarta…” rispose quest’ultima, lasciando intendere che era di gran lunga la regola più importante.
“No madame Renoir, non l’ha rispettata”.
Hélène volse subito il capo verso Brigitte, rammentando tuttavia assai bene di non poter mai alzar lo sguardo; costei intese come potesse non risultarle affatto chiaro, il contenuto della regola, ed allora riprendendo meccanicamente come un automa, recitò: “Quattro: niente mutandine sotto alla gonna”.
“Quinta?” la interrogò nuovamente madame Renoir, soprassedendo solamente in apparenza, al punto precedente.
“Cinque: quando si è sedute, occorre tener sempre le gonne completamente su…”; un piccolo e sottile tentennamento di rimorso, traspariva adesso nella timida voce di Brigitte.
“Sbaglio o ieri non è successo …Brigitte?”.
“Lo confermo madame Renoir: non è successo”; parve quasi sul punto di piangere, la giovane cameriera, trattenendosi ma iniziando anch’essa a tremare, in modo visibile e penoso.
“Cosa è accaduto allora?”.
“Madame… madame mi ha dato la cinta…” biascicò la povera ragazza, con la voce definitivamente rotta dal pianto.
“Adesso fai vedere alla qui presente paperona, in che modo avrebbe dovuto sedersi… forza! …quello sgabello, lì”.
Brigitte si mosse, tenendo sempre lo sguardo basso, e con entrambe le mani spostò il vecchio sgabello disposto dinanzi ad un pianoforte a muro, che non veniva adoperato da anni.
“Non lo spostare! …siediti!”.
La cameriera frettolosamente lo ripose ed obbedì: prese a sollevare il proprio vestitino marrone, che era strananente rigonfio, con le mani che le tremavano; disotto comparirono svariati lembi di stoffa disordinata, svelando una specie di vaporosa camicia da notte. Hélène intravide dapprima le due calze autoreggenti scure tutte tornite, strette attorno alle gambe affusolate della povera ragazza; poi venne fuori un didietro nudo tutto rovinato, quasi sanguinante, con i chiari ed orribili segni di numerosissime cinghiate, sui glutei e sulle cosce: viva conseguenza di durissime sferzate; Brigitte era stata punita in maniera crudele e verosimilmente assai dolorosa. A tale vista, Hélène alzò inopportunamente lo sguardo in su, emettendo un timido vagito. E fu notata.
L’aveva ben disciplinata con una spessa cinta di pelle nera.
“Seduta!” ordinò madame Renoir, in modo ultimativo.
“Sempre seduta, non voltarti!” concluse, costringendola a restare così, con le mani che sorreggevano la gonna, ed il triste didietro tutto quanto gonfio e butterato in bella mostra.
“Allora paperona… prima di ricominciare, vogliamo rispettare queste poche e semplici regole, o preferisce direttamente andare alla conclusione? …può chiedere consiglio a Brigitte…”.
Hélène tremava in modo assai vistoso, ma certamente non voleva né tantomeno poteva immaginarlo, di finir mai ridotta anch’essa, in quel modo triste. No, non lo desiderava affatto.
Allora umilmente decise semplicemente d’obbedire: senza alzarsi se non per un breve istante, sollevò leggermente la propria gonna grigia che era tutta stretta attillata attorno ai fianchi; poi afferrò l’elastico della larga mutandina di raso scuro, abbassandosela fino a cingere in fondo entrambe le caviglie; si accomodò così sulla sedia, con il sederone mollo tutto adagiato sul morbido tessuto, costretta a tenere le gambe completamente allineate per via della mutandina.
Madame Renoir si levò in piedi per controllarla, e quando finalmente vide la pelle rigonfia delle sue cosce bianche con l’elastico delle calze, e i due enormi glutei di Hélène allargati sulla sedia, pallidi e rigonfi di cellulite, immediamente si mise a ridere in modo inatteso e veramente urticante.
Andarono avanti per oltre venti minuti, con Hélène ridicolmente esposta in quella posa assurda, e Brigitte nella stessa disposizione, di spalle, solo qualche metro più in là.
Due cameriere messe in riga ed umiliate da madame Renoir.
“Mi chiedeva delle differenze sociali… in questa situazione mi pare ben evidente, come esse siano rilevanti: le conseguenze possono essere anche peggiori, occorre quindi sempre massimo rigore”.
“Lei è una donna: quali aiuti …quali accorgimenti, per noi donne?”; Hélène si sentiva annichilita e ridicolizzata, ma andava avanti in quella recita senza senso, fedele al protocollo, pur avvertendo oramai un irrimidiabile disagio.
“Rigore… il miglior compagno di strada per le donne …è il rigore estremo, applicato con cura e disciplina, e senza sconti…”.
Settimo episodio
L’immagine della triste fine della cameriera Brigitte, le sarebbe rimasta fissa nella mente per molto tempo ancora.
Giammai l’era capitato di prenderle così; per quanto in passato non le fossero certo state risparmiate, punizioni a volte molto efficaci, conseguenze di quel tipo la sciagurata Hélène non le aveva mai provate. Era oramai acclarato, come madame Renoir fosse una donna manifestamente sadica; e, seppur compromessa come era Hélène nei suoi confronti, giammai ella avrebbe desiderato d’arrivare fino al punto, di finire ridotta in quel modo: vi era un certo limite, al dolore.
“…vogliamo rispettare queste poche e semplici regole, o preferisce direttamente andare alla conclusione? …può chiedere consiglio a Brigitte…”.
Seduta sulla tazza del bagno, non casualmente nella stessa ridicola disposizione delle cosce e delle mutandine impostale da madame Renoir, Hélène era inesorabilmente scivolata giù nel suo baratro: usando semplicemente la propria torva immaginazione, rivivendo appieno il ricordo dell’umiliazione ricevuta, e sfiorandosi. Si ripulì subito in basso, immaginando che sarebbe finito tutto quanto lì.
“Oooo …oo ooh”.
Ciò che invece la scellerata non poteva nemmeno immaginare, era il fatto che costei si fosse al contrario inaspettatamente invaghita, dell’idea di poterla abusare in modo sottile, umiliandola con metodi mai sperimentati prima d’allora con una donna; non più il dolore estremo del castigo imposto alla povera Brigitte, ma qualcosa di prolungato che avesse a che fare con la semplice vergogna. Le botte non bastavano, per un piccolo bocconcino appetitoso, come ben rimarcato da monsieur Christiani.
Così madame Renoir chiese a quest’ultimo di convocarla nuovamente sul finire di novembre, con l’intento di rilasciarle alcune dichiarazioni in una intervista formale; direttamente all’interno del proprio ufficio, che si trovava nella sede della commissione. Voleva realmente umiliarla?
Hélène ne fu sulle prime, profondamente sorpresa e non certo imprevedibilmente, altrettanto scossa: quello era un luogo davvero inaccessibile per lei, un’opportunità professionale quasi impensabile solamente fino a pochi giorni addietro. Nulla di inusuale e pericoloso le sarebbe mai potuto accadere all’interno di quell’ufficio; ed il prestigio esclusivo di quell’importante intervista, sarebbe stato per lei davvero assai qualificante.
Hélène nutriva tuttavia, ancora e non certamente a pieno torto, una vivissima e concreta paura; più di sé stessa probabilmente, che non di colei che l’aveva stranamente e del tutto inaspettatamente, convocata in quel luogo. A quali conseguenze andava incontro, sottostando alla sua proposta?
Davanti allo specchio, nell’atto di pettinarsi i capelli, fissava il vuoto interdetta: si trattava certamente, di una irripetibile occasione per lei, che da tempo era all’inseguimento d’una promozione o di un possibile aumento di stipendio; monsieur Christiani le ribadì con precisione il protocollo, assicurandola del fatto che questa volta, avrebbe potuto adoperare un normale registratore. Proprio nulla di inusuale e di pericoloso le sarebbe mai potuto accadere dentro ad un ufficio, ripeteva ossessivamente Hélène, mentre in modo meccanico andava pettinandosi i suoi lunghi capelli neri dinanzi allo specchio.
Ma con il lento passare delle ore, la confusione era tornata a sopraffarla, diluendo inesorabilmente ogni certezza, fino ad ispirarle strani pensieri ed incresciosi presagi: quali rischi avrebbe corso? vi era in gioco la reputazione e il suo lavoro.
“L’hai più risentito?” le domandò Michelle quel sabato pomeriggio, riferendosi abbastanza candidamente, al suo vecchio uomo che l’aveva lasciata; “Pensa che lui mi ha proposto d’intervistare Corinne Renoir: sarà tra due giorni esatti…” rispose invece Hélène tutta emozionata, alludendo piuttosto a monsieur Christiani. Era il giorno tre di dicembre, e la sciagurata non stava più nella pelle, in attesa di quel secondo incontro; al punto che Michelle dovette persino sospettare vi fosse un qualcosa di nuovo che bolliva in pentola: non conosceva per nulla Christiani, ma la sua amica l’aveva dipinto come un uomo assai attraente e fascinoso. “Ti saresti affezionata ad un altro sessantenne?”, la derise, alludendo ai fatti trascorsi del passato mese di giugno.
Ancora una volta, Michelle non aveva intuito fino in fondo, ciò di assai bizzarro, e pericoloso che, così vergognosamente travolgeva la sua amica: fino al punto da cascarci dentro per una volta ancora, con tutte le mani e con i piedi.
Hélène si acchittò la mattina dell’intervista, tenendo ben fisse alla mente, le cinque precise regole impostele da madame Renoir la volta precedente. Sorprendentemente, realizzò come in fondo non sarebbe stato poi così complicato, attenervisi di nuovo per una volta ancora: con l’unica ed ovvia eccezione della regola numero cinque, quella della posizione da tenere sulla sedia. La povera sciagurata finì così per non indossare alcuna mutandina, sotto ad una spessa gonna blu lunga poco sopra le ginocchia; anche le calze autoreggenti erano ben appropriate, mentre la succinta giacca del tailleur era chiusa con un solo bottone sul davanti.
Tutto ciò, senza realmente comprendere. Era selvaggiamente trascinata dal proprio istinto, di donna confusa e degradata.
Una nuova giornalista, più elegante del solito, e decisamente impacchettata dentro ai propri vestiti, si presentò così nella grande sala del ricevimento della commissione.
Perché mai lo aveva fatto? In quegli istanti il suo lato oscuro la dominava, tirandola come un treno impazzito, senza alcuna possibiltà di fermarsi; attese a lungo l’ascensore assieme ad altri due uomini, che la scrutavano con una certa curiosità: come se la stranezza del suo comportamento, la si potesse leggere direttamente sul volto imbarazzato di lei.
Al terzo piano fu accolta da un’elegante segretaria con gli occhiali, che venendole incontro le suggerì di togliersi il cappotto. Poi bussò con garbo alla porta di madame Renoir.
“Prego, venga avanti mademoiselle Houllier”, sussurrò senza nemmeno guardarla, l’elegantissima donna seduta alla sua scrivania: madame Renoir era quel giorno ancor più seria ed altera del solito, mentre la sua ospite avanzava arrancando, tenendo lo sguardo insistentemente basso; poi, solo dopo che la segretaria ebbe ordinatamente ben serrata dall’esterno, la porta a due ante dello studio, madame Renoir alzò gli occhi per controllarla: ed immediatamente vide che Hélène teneva i suoi lunghi capelli neri, tutti raccolti in una sciatta coda di cavallo. Perché mai la paperona lo aveva fatto? Voleva davvero passare i guai seri con lei?
“Chère mademoiselle Houllier, oggi avrò il piacere di rilasciarle alcune importanti dichiarazioni, si metta per bene a suo agio”. Hélène comprese come la donna giocava in modo sottile, i toni erano i medesimi della volta precedente.
La registrazione era iniziata da alcuni minuti, e la scellerata era già completamente persa nel labirinto dei propri pensieri: non riusciva a togliersi dalla mente, la triste fine della povera cameriera Brigitte; fissava sempre le lunghe mani, e lo smalto bianco delle unghie di madame Renoir, e subito le balenava come un riflesso immediato, l’immagine di quella spessa cintura in pelle, ed il pianto della poveretta, ridotta in lacrime. Sarebbe quindi finita in quel modo, anche per lei?
“Va tutto bene, signorina Houllier?” ebbe la cortesia di domandarle madame Renoir. “Vuole mettersi più comoda?”.
La sciagurata proseguiva la sua intervista con tono serio e compunto: ma non riusciva affatto a guardare quella donna così palesemente crudele e sadica, sotto una luce differente.
“Adesso chiudiamo per bene la porta e mi dica: non si sente bene, mademoiselle?”, per poi aggiungere: “Se vuole si metta comoda, così poi ricominciamo daccapo…”. Stava davvero facendo sul serio o era tutta una semplice provocazione?
Dai piani di sopra si udivano in lontananza alcuni rumori, quelli di un trapano alternati ai colpi serrati di un martello; madame Renoir era già a conoscenza del fatto, che una squadra di operai lavorava all’ammodernamento dei vecchi impianti di riscaldamento e volle pertanto tranquillizzare Hélène; non immaginava minimamente che qualcuno potesse origliare attraverso le piccole fessurine d’areazione disposte sul soffitto, era stata ben rassicurata in tal senso.
L’operaio che ignaro si trovava precisamente al livello superiore, era il tecnico responsabile dei lavori in corso, e andava effettuando un sopralluogo in quei locali: dapprima udì le due voci ovattate provenire dall’ambiente sottostante; poi venne nuovamente distolto dal rumore del trapano lì vicino nei pressi. All’interrompersi nuovamente di quel prolungato baccano, egli poté inaspettatamente udire dal piano di sotto, poche e flebili parole, pronunciate con timbro sottile e delicatamente timido: “Io …io mi vergogno tanto madame… la prego non insista…”. Hélène temeva che realmente sarebbe stata punita qualora non avesse obbedito?
Così quegli si distolse, stranamente incuriosito; non si trattava certamente di parole scontate nel contesto formale di quegli ambienti: decise di spostare lentamente ed in modo impercettibile, alcune piccole fessurine dell’areazione senza venire osservato; poi avvicinò il proprio telefono inserendolo di traverso, come se si trattasse di un piccolo periscopio: la sala veniva intravista solamente da un lato, quello del corridoio, e la giovane donna coi capelli raccolti, seduta alla scrivania nel suo elegante tailleur blu, presentava decisamente a prima vista un dettaglio strano.
Parlava a tratti, con voce bassa, per lo più ascoltando il lungo monologo della sua importante interlocutrice; pareva soggiogata da lei, completamente dominata dal suo eloquio prolungato ed insistito. Ma aveva un qualcosa di grottesco e non era certamente dovuto al suo solo e inusuale atteggiamento: l’uomo osservò il proprio telefono e ristette nuovamente, tacendo su due piedi, incredulo.
Poi inserì nuovamente quello stesso telefono dentro ad un’altra tra le fessurine già dischiuse, era stranamente sudato ed eccitato, oltre che sempre più incredulo e curioso.
La sconosciuta giornalista teneva tutta la gonna sollevata mentre ascoltava: nelle fotografie le si poteva vedere benissimo il dettaglio del sedere mollo, tutto esposto senza apparente pudore; non indossava assolutamente nulla di sotto, eccetto le calze velate, una scena decisamente inusuale.
L’uomo non si fece scappare l’occasione, di poterla catturare almeno un altro paio di volte, disposta inaspettatamente in quell’assurda posizione, con il sedere tutto quanto di fuori.
“Sarà mia cura autorizzarle la pubblicazione di questo intervento, non appena il mio assistente ne avrà pienamente rivisti tutti quanti i contenuti”. La catastrofe era servita.
Hélène si sollevò in piedi in modo rapido e scomposto, rimettendosi giù tutta la gonna, trafelata, e rassettandosi con grande vergogna; un solo breve istante prima di venir frettolosamente congedata da madame Renoir, senza eccessiva cortesia. L’elegante segretaria con gli occhiali era già stata istruita di doverla accompagnare fino all’ascensore.
Discese al piano terra ed uscì dall’edificio senza guardarsi mai alle spalle: era stata dominata e messa in riga per la seconda volta da madame Renoir, senza riuscire in alcun modo a contenersi, senza volerlo evitare; ed era evidente come Hélène ne meritasse fino in fondo tutte le conseguenze: non aveva saputo valutare in alcun modo il peso delle proprie azioni. Quelle squallide immagini che ne ritraevano la vergogna erano purtroppo per lei, fin troppo chiare.
Ottavo episodio
L’intervista venne pubblicata il mercoledì mattina, dopo che Hélène la ebbe trascritta e sottoposta al vaglio accurato e scrupoloso di monsieur Christiani; quest’ultimo dispose che venissero rimosse alcune parti, in cui madame Renoir indulgeva su dettagli di politica sociale. Durante la complicata trascrizione dell’intervento, che era durato ben oltre trenta abbondanti minuti, Hélène aveva udito più volte la donna esortarla a mettersi a proprio agio, ed infine la sua stessa voce sottile ed emozionata, sussurrare di vergognarsi, mentre in modo triste ed insensato ella si prestava al gioco.
Poco tempo dopo che l’intervista fu pubblicata, Hélène raccolse numerosissimi nuovi commenti sul proprio profilo internet, da parte sia di alcuni lettori, che di altri suoi stretti collaboratori: l’articolo era stato letto da moltissime persone.
Arrivarono anche le solite richieste di contatto, evidentemente la sua fama s’era accresciuta di molto grazie a quell’intervento; ne accettò di diverse, finché l’occhio non le cadde su quella d’un tale Mauro Mazzi, un perfetto uomo sconosciuto di mezza età: costui si qualificava come Ingegnere Elettrotecnico ed era un professionista di chiarissima origine italiana; Hélène aveva già avuto un suo a che fare, con gli uomini italiani in passato; aveva raccolto certo non troppe gentilezze da tutti quanti loro. Nutriva sempre un autentico e vivo timore verso gli uomini italiani, di qualsiasi età.
Decise così di non accettarlo, non intuendo minimamente quale strana relazione potesse mai sussistere; ma poi casualmente vide che costui le aveva anche inviato un breve e conciso messaggio: lo lesse curiosa, rimanendone improvvisamente poi subito spaventata e decisamente scossa.
Devo vederla e parlarle; se lei sapesse il motivo, si affretterebbe di certo per farlo. Lavoro in Rue de la Loi, rsvp Mauro Mazzi
Quello era l’indirizzo della commissione, che cosa mai poteva avere combinato quell’uomo? Hélène subito prese a rimuginare, assorta nel dubbio; poi però si adoperò per rispondere immediatamente e in modo preciso.
Io non la conosco e non so chi lei sia: cosa vuole da me? potremmo vederci alle 17:30 a Madou se per lei è possibile
Che cosa mai poteva essergli successo? La scellerata si incamminò verso la metropolitana, con il concreto timore, di aver commesso un qualche tipo di errore: ma non riusciva ad immaginare affatto, di cosa mai potesse essersi trattato.
Salì nei pressi della biglietteria ed attese per qualche minuto; poi intravide un robusto uomo di mezza età che la fissava in modo curioso, dritto a pochi metri di distanza da lei: era piuttosto rotondo, torvo e scuro in volto; a giudicare dalle sembianze visuali, poteva essere proprio lui, Mauro Mazzi.
Quegli guardandola meglio, senza esitazioni la riconobbe; immediatamente le si fece incontro porgendole la mano in maniera discreta e formale. Parlava pochissimo il francese e neppure un minimo di inglese, ma poteva comprenderla, dal momento che lavorava con personale del luogo; Hélène provò persino ad approcciarlo nel suo limitatissimo italiano, ripiegando infine sulla propria lingua, esprimendosi lentamente: “Adesso mi dica… che cosa… vuole lei da me?”.
“Facciamo qui?” domandò lui; “qui …che cosa?” ribatté piccata Hélène, che mostrava fin da subito una certa ansia, oltre ad un leggero e malcelato nervosismo. Finirono casualmente in un bistrot non troppo distante di nome Le Petit, seguendo il consiglio di lei; poi si sedettero intorno ad un tavolino nei pressi della finestra, ordinando un caffé.
“Posso darti del tu?” esordì Mazzi, aggiungendo: “Io ho compiuto cinquant’anni, potresti quindi essere mia figlia…”; “…lei ha una figlia?” domandò Hélène, senza replicare in alcun modo alla richiesta iniziale, di darle del tu. “Dio me ne scampi… io mi sono divorziato solo da poco” fu la battuta triste che concluse quel loro primo, intricato discorso.
“Allora signorina…” riprese il Mazzi rinunciando al proposito di darle del tu, “…lei ha un bel …panettoncino sotto la gonna, io non me l’aspettavo proprio di vederla sa?”.
“Ma …ma… ma come mai si permette …lei… scostumato” reagì immediatamente Hélène, facendosi tutta rossa in viso per via dello stupore e della vergogna; qualcuno, infatti, poteva averli persino uditi dentro il locale, dal momento che quel termine aveva un significato piuttosto volgare.
L’uomo da parte sua, piuttosto, non conosceva affatto il significato della parola scostumato, e pertanto proseguì insistendo: “Io però …le consiglierei sinceramente, una buona dieta …via subito i croissant…”, e sorrise per la prima volta, facendo cenno di volerle sottrarre il piccolo piattino che ella teneva dinanzi, e che l’era stato appena servito.
La sciagurata davvero non capiva nulla, ci voleva ancora qualche istante, prima che la semplice verità si materializzasse nella sua testa sempre più confusa.
“Si guardi con attenzione, quando è seduta in ufficio… non ha, un bel panettoncino lei?”.
Solo dopo quell’ennesima, irritante battuta riferita al suo didietro, la triste verità le balenò finalmente dinanzi agli occhi; “Ooooh… lei mi ha visto?” trasecolò Hélène immediatamente.
“Certo che l’ho visto, il panettone” la derise lui.
“…No noo nooo no…”.
Il panettone era un detto volgare, per indicare un culo grosso.
Hélène si sentì tutto il mondo crollare addosso; fu assalita da un’incredibile vergogna, tutta la sua reputazione ed il suo lavoro le scorsero istantanemente nei pensieri, in un semplice baleno. “La imploro… non lo dica, no la prego non lo racconti…” biascicò lei, provando a non farsi sentire da nessun’altro, di coloro che erano seduti lì accanto. Poi, con un ultimo, inatteso, slancio di amor proprio, ella provò persino a reagire nel tentativo di evitare la catastrofe: “…non avrebbe… lei non avrebbe potuto vedere lei… lei ha spiato e non poteva…”.
“Senta panettoncina, ha un’idea di quanti soldi potrei farci con questa? …non potevo spiare uh?” le rispose Mazzi facendosi serio; ed in quell’istante avvicinò al viso di lei, il telefono con cui le aveva scattato una delle tante, vergognosissime foto.
Si vedeva benissimo il volto di madame Renoir sullo sfondo, e leggermente più vicina, la testa con i capelli legati di Hélène, reclinata leggermente di lato. Inequivocabile, la forma enorme ed imbarazzante del didietro di lei, completamente nudo e bianco, disposto tutto largo sulla sedia; quella foto l’avrebbe definitivamente compromessa e di certo, completamente rovinata professionalmente.
“Mi …mi dica che cosa debbo fare… qua… quanto le debbo pagare per …” biascicò la poveretta, stravolta dal panico.
“Stia calma panettoncina…” riprese lui; “…per una foto così sconcia, potrebbero offrirmi tantissimi soldi”. Hélène tremava tutta quanta, sudata e rossa in viso, livida dalla vergogna.
“Ma io sono solo un uomo divorziato… e tutti quei soldi a cosa mai servirebbero? forse per darli a tante donne uh?”.
“Co… cosa vorrebbe intendere allora?” deglutì a fatica lei, intravedendo adesso forse un filo di speranza, pur a prezzo di chissà quali elargizioni nei confronti di colui, che ora le sorrideva con espressione piuttosto divertita: avendo finalmente chiarito, quali che fossero le sue reali intenzioni.
Un opulento insignificante uomo italiano, di mezza età, fino a pochi minuti addietro del tutto sconosciuto, già in quel momento la trattava come la sua serva, potendola ricattare a suo piacimento fino alle possibili estreme conseguenze. Pur di evitare che quelle foto venissero mostrate in giro.
“Mettiti a dieta panettoncina… e poi tra tre giorni ti aspetto da me con la bilancia. Non sgarrare più, con quel coso sennò ti vedranno tutti quanti, ed io sono un tipo molto geloso”.
Nono episodio
Ancora una volta Hélène non riusciva a capacitarsi, di quanto d’assurdo l’era accaduto, senza ben soppesare quanto fosse ancora sul punto d’accaderle; la fortuna le aveva decisamente voltato le spalle nel breve corso degli ultimi mesi: dalla sciagurata notte di Capodanno in poi, era stato tutto un susseguirsi di disastri. Adesso ella doveva assolutamente evitare che quell’uomo la smascherasse in modo così vergognoso, mostrando quelle orrende fotografie al pubblico: era rassegnata a consegnarsi completamente a lui.
Chissà che cosa mai avrebbe preteso che lei facesse? Questa volta la poveretta non riusciva nemmeno a provare curiosità, nei confronti di quella nuova e pericolosissima deriva degli eventi; coltivava in cuor suo, solamente moltissima paura, che quello sciatto ricatto potesse fallire miseramente.
Come avrebbe mai dovuto comportarsi con lui?
L’unica concreta speranza che nutriva era quella di farlo ammorbidire, fino al punto di stabilire con lui una sorta di relazione amichevole, mantenuta con frequenti scambi a distanza; certamente lo avrebbe in qualche modo anche riempito di attenzioni, pur di ottenere la garanzia che quelle squallide foto, non venissero mai mostrate in pubblico.
Sapeva anche che egli avrebbe, parimenti, compromesso la sua stessa reputazione qualora avesse deciso un giorno di utilizzarle: non era certamente consentito compiere ciò che egli aveva fatto, scattando fotografie di nascosto all’interno d’un luogo di lavoro; si sarebbe trattato di un’aperta violazione delle regole e forse anche di un atto suscettibile di pena; Hélène le pensava tutte, pur di salvarsi dalla rovina.
Mettiti a dieta panettoncina… e poi tra tre giorni ti aspetto da me con la bilancia. Non sgarrare più, con quel coso
Il Mazzi veniva da una cittadina di provincia nel nord dell’Italia, di nome Monza; la sua importante azienda, famosa in tutto il mondo, aveva vinto l’appalto per i lavori di rifacimento dell’impianto di riscaldamento presso la commissione, e lui s’era trasferito a Bruxelles per avviare il progetto: vi sarebbe rimasto solamente per poche settimane.
Era stato sposato con una donna russa di nove anni più giovane, una tale Vera, che l’aveva poi abbandonato per ritornarsene in patria, dopo avergli sottratto diversi soldi; non era mai stato un uomo attraente e negli ultimi tempi era divenuto anche tristemente e visibilmente sovrappeso; aveva un aspetto decisamente anziano, pur mantenendo una folta capigliatura ed uno sguardo ancora piuttosto furbo e vivace.
Hélène trascorse ore guardando una ad una, tutte quante le foto che il Mazzi aveva messo su internet; ve ne erano ancora diverse che lo ritraevano in compagnia della donna con cui era stato sposato: sembravano una coppia innamorata, a giudicare da quegli scatti. In una particolare foto, che colpì molto l’attenzione di Hélène, l’uomo era completamente a pancia fuori, e teneva la donna in braccio, amorevolmente sollevata, allineati sul bordo di quella che doveva essere la piscina d’un albergo; Hélène si rese conto di quanto fosse triste ciò che lei provava in quegli istanti: era una piscina molto simile a quella del suo recente soggiorno ad Antibes.
Sua moglie Vera era minuta e magra, al contrario esatto di lei: era forse questa la ragione per cui l’uomo le aveva ordinato di mettersi a dieta? Mancavano solamente quarantotto ore all’appuntamento, e sarebbe stato comunque del tutto improbabile, riuscir a mostrare un qualche risultato.
L’avrebbe forse costretta a fare obbligatoriamente del sesso con lui? Stranamente Hélène non lo aveva nemmeno pensato fino a quel momento: nessuno degli uomini non giovani che aveva mai conosciuto, l’avevano finora approcciata da quel punto di vista; era come se nella testa di lei, un uomo di quell’età non fosse mai stato neppure in grado di agire.
Con l’unica ovvia eccezione di monsieur Christiani, certamente; sulla cui virilità Hélène non nutriva assolutamente alcun dubbio: Mauro Mazzi le appariva al contrario, potenzialmente innocuo, forse addirittura impossibilitato fisicamente; per quale motivo, del resto, la più giovane moglie russa avrebbe dovuto abbandonarlo?
Forse Hélène avrebbe dovuto progettare di sedurlo? In quel modo l’avrebbe certamente irretito e manipolato; nella povera testa di lei, quella vicenda si dipanava adesso in modo anche leggermente torbido e compromettente, pur di non arrivare alla conclusione di venire svergognata.
Non sarebbe certamente dimagrita in men di due giorni; in compenso lei lo avrebbe probabilmente stupito, adoperando il meglio del proprio abbigliamento intimo; qualcosa che le si potesse intravedere per bene di sotto, anche da vestita.
Decise per la seconda volta, di indossare un reggicalze; l’ultima volta che lo aveva fatto, era stato durante la sfortunata notte di Capodanno: la scellerata Hélène arrivò addirittura a pensare, che questa volta le avrebbe persino portato fortuna. Si affidava a tutto pur di salvare la faccia.
Si recò alla Galerie per scegliere, a due settimane dalle feste di Natale e con tutti i negozi d’abbigliamento per donna, tradizionalmente affollati; ne approfittò per comperare i classici regali anche per la famiglia, un rito che si ripeteva regolarmente da quando ella s’era trasferita a Bruxelles alla tenera età di soli venticinque anni. Poi entrò in punta di piedi nel negozio di lingerie che si chiamava Eglantine.
Il Mazzi le scrisse un ultimo messaggio indicandole l’indirizzo del proprio appartamento, che si trovava in un vasto complesso residenziale nella zona ovest della città.
“Allora ti sei messa a dieta, con quel coso?” ribadì costui, col solito fastidioso ritornello. Ma in sole ventiquattro ore, non aveva il minimo senso per lei, intraprendere alcuno sforzo.
All’amica Michelle, Hélène non rivelò un bel niente di quanto adesso s’apprestava a fare; aveva molta paura di venir potenzialmente abusata e maltrattata, per quanto quell’uomo le fosse apparso sobrio e docilmente prevedibile.
Le calze trasparenti culminavano in un delicato fascione scuro, laddove i filini del suo nuovo e vaporoso, morbido reggicalze nero, le potevano ben sollevare; la gonna beige ne lasciava intuire di tanto in quanto la vista, soprattutto qualora Hélène avesse accavallato le gambe, come faceva quasi tutte le volte; una camicetta di seta bianca sotto una sottile giacca dello stesso colore, completavano la figura di lei, mentre la donna saliva circospetta sulla metropolitana, con il cappotto e la borsetta nera stretti sotto il braccio.
Alle otto e mezza di sera, il Mazzi vide stranamente che ella non era ancora arrivata, e le indirizzò un nuovo messaggio; lei s’era persa tra i vari edifici, non riusciva a trovare il suo.
Finalmente raggiunse il citofono con il marchio della compagnia che affittava quei locali ai lavoratori stagionali, ed udì la voce dell’uomo con il suo francese buffo e triviale, che la invitava a salire al quarto piano. Per la prima volta egli l’approcciò col suo nome, destando in lei una certa sorpresa.
L’accolse nel corridoio vestito in maniera assai semplice, con una maglia grigia ed un paio di pantaloni scuri; si scorgeva benissimo la massa di grasso attorno ai fianchi, che premeva sotto il tessuto, ma non sembrava che lui se ne vergognasse.
Prese Hélène per mano invitandola ad entrare in un salone sistemato in modo anonimo, un ambiente davvero gelido e del tutto impersonale, senza particolari arredi; poi le suggerì di togliersi le scarpe: aveva realmente intenzione di pesarla.
La povera scellerata riteneva che si trattasse di uno scherzo, ed invece fu costretta a salire sulla bilancia; con i piedi nelle sue calze trasparenti, la gonna beige e la camicetta bianca.
“Sessantadue chili…” sentenziò immediatamente lui.
“Devo preoccuparmi?” rispose Hélène, mentre scendendo incerta dalla bilancia, ella si rimetteva frettolosamente le proprie scarpette nere ai piedi, chinata sulle ginocchia.
“Se vuoi che io ti mantenga …sì”, replicò in modo serio e accurato l’uomo; “…mantenermi?” aggrottò le ciglia Hélène, con un’espressione stralunata e completamente persa.
“Certamente… mantenerti, perché no?” riprese l’uomo, aggiungendo poi: “con tutti i soldi che tu non mi farai guadagnare, sarà per me proprio come mantenerti…”.
Hélène ristette subito, costernata; il solo e semplice riferimento ai suoi scatti in compagnia di madame Renoir, la faceva inesorabilmente sprofondare nella paura e nel panico; Mazzi lo notò, ed allora con tatto provò a cambiare discorso.
Poi decise di versarle del vino, lasciandola seduta sul divano nel lato opposto della sala; “…perché sembri così agitata?” le domandò fissandola; Hélène abbassò la testa e non rispose.
“Vieni di là” sorrise l’uomo, portando via con sé i due calici di vino rosso che aveva appena versato; poi aggiunse: “Tu non devi avere paura di me… io amo solo guardare”.
Non era propriamente così.
Le chiese di sostare in piedi ed Hélène gli obbedì, si era preparata all’idea di mostrarsi a lui e sulle prime pensò che costui le avrebbe ordinato di spogliarsi; vide l’uomo seduto su una sedia in legno, che ora la scrutava dalla testa ai piedi.
Poi la invitò ad avvicinarsi e a sedersi sulle sue ginocchia.
Hélène lo fece con timore e ritrosia, sentendo subito le mani dell’uomo che le giravano attorno alla gonna, e poi il palmo aperto di lui che l’approcciava sul didietro, tastandola: lo stava facendo per davvero, la palpeggiava in modo insistito.
La fece poggiare sulla propria gamba destra, ed Hélène subito intravide una massa sorpendentemente rigonfia all’altezza della cerniera dei pantaloni di lui; il tessuto scuro era leggero, e quella vistosa erezione ne veniva fuori in modo evidente, con la sagoma d’una rigida forma allungata.
“Prendilo” le intimò lui; la scellerata fu costretta a toccarlo lungo i pantaloni, ma non fece proprio così come lui le aveva ordinato di fare. “Ho detto, prendilo!” ripeté Mazzi alzando la voce; e nel ribadirlo, mollandole improvvisamente la gonna, le sferrò uno scapaccione duro e preciso, sul lato del sedere.
Hélène ululò, non pensava che quegli potesse subito arrivare a tanto; esitò per un istante, tanto quanto bastava affinché il Mazzi la schioccasse di nuovo sul didietro; poi si piegò leggermente in basso, rimanendo con le gambe intrappolate in mezzo alle ginocchia di lui, e timidamente gli schiuse la cerniera: non immaginava nemmeno ciò che avrebbe visto.
Il membro dell’uomo era davvero abnorme, completamente ritorto e orribilmente gonfio di vene rosse. Venne fuori un poco alla volta in tutta la sua estensione, costringendola in questo modo ad afferrarlo ben saldo, intorno alla base.
Così fece la sciagurata Hélène, mentre l’uomo irriverente, aveva ripreso a cingerle la gonna, palpeggiandola tutta.
Umf, umf, umf
L’impegno di lei nel masturbarlo era lodevole, e Mazzi pensò bene di ricompensarla, mollandole un nuovo sculaccione, questa volta in modo paternale e bonario; poi le disse: “Continua così, abbiamo ancora molto tempo…”; la povera donna non poteva credere ai propri occhi, dal momento che quel membro mostruoso le appariva piuttosto, già sul punto di esploderle tutto dentro alla mano. Ma andò avanti, riempendolo di attenzioni con la sua presa delicata, aprendolo e chiudendolo, trattenendolo sempre per la base.
A quel punto il Mazzi iniziò a tirarle su la gonna da dietro, fino al punto di rivoltargliela lungo la schiena: la larga mutandina nera di morbido raso, le nascondeva completamente la forma sconcia del sedere, e l’uomo glielo fece notare deridendola: “L’altra volta non era così …era già bello di fuori!”. Allora la abbassò con un gesto secco e deciso, lasciandola avvolta attorno ai filini neri del reggicalze.
Poté finalmente afferrarle il fondoschiena tutto per intero, con la mano destra calda e ruvida: Hélène si sentì lentamente affondare, non riusciva più a capire che cosa le stesse accadendo, mentre senza alcuna speranza ella continuava umilmente a masturbarlo; a quel punto il Mazzi le ordinò di piegarsi e di poggiare l’altra mano sul suo ginocchio sinistro.
Le mutandine le furono abbassate meglio, un palmo sopra le ginocchia, mentre l’uomo indulgeva adesso nel carezzarle il retro del reggicalze con la sua solita mano aperta; infine, Hélène sentì quella mano farsi strada in mezzo alle natiche fino a sfiorarla in basso, nella stretta delle due cosce bagnate.
Umf, umf, umf
“Togliti la gonna e la camicia, sono stanco di massaggiarti il panettone…” la sorprese lui, interrompendola di fretta.
Hélène obbedì una volta ancora, e si mosse trafelata; non gli sfuggì tuttavia il rivolo denso di sperma che già fuoriusciva in cima a quel glande decisamente rigonfio e bollente. Che cosa mai le avrebbe fatto con quel coso enorme?
Senza togliersi le scarpe, si calò completamente giù la gonna dopo averne schiuso la cerniera, assieme alle già inutili mutandine di raso; si sbottonò frettolosamente la camicetta mentre l’uomo ora l’aveva oltraggiosamente afferrata per un braccio, trascinandola a passetti lenti ma inesorabili verso il letto, ricoperto di lisce lenzuola bianche. Si trovò forzatamente coricata con la testa piegata all’indietro, e le mammelle liberate da lui, che le aveva tirato via il reggiseno.
“Toccatele …forza!” le ordinò, costringendola a sfregarsi da sola i capezzoli; poi mosse un passo e le impose il membro a pochi centimetri dal viso, avvicinandolo pericolosamente alla bocca aperta di lei. Le esplose tra le labbra incerte non appena la lingua delicata ne sfiorò il glande tutto fradicio.
Decimo episodio
Non era arrivato ad abusarla, ma l’avrebbe castigata la volta successiva; questa fu l’oltraggiosa ed inelegante espressione, che Mazzi senza davvero alcun rispetto per lei, le lanciò come chiara premessa un istante prima di lasciarla andare.
Mancavano due giorni esatti, alla fine delle sue attività a Bruxelles; il calendario segnava già il quindici di dicembre e tutta la città belga riluceva di splendide luminarie per il Natale: forse sarebbe arrivata anche tanta neve, come non accadeva da molto tempo; e lui sarebbe partito quasi subito.
Erano più di quattro mesi che la poveretta non faceva sesso, e quel pomeriggio si preparò con la triste consapevolezza, che la sua astinenza si sarebbe presto conclusa nel modo più indesiderato; non era ciò che si sarebbe meritata, pensava.
Si vestì esattamente come la volta precedente, senza verve, sostituendo la sola giacchetta bianca, con una diversa, nello stesso stile della gonna; sapeva come sarebbe andata a finire.
Ma mentre sedeva nel vagone della metropolitana, perfettamente composta e con le gambe completamente allineate, Héléne avvertiva inesorabilamente un vero senso di tristezza e d’abbandono: era caduta decisamente in basso, compiendo una serie imperdonabile di sciagurati errori; dapprima ambendo ad intervistare un personaggio importante come Corinne Renoir, al prezzo di uscirne completamente umiliata e ridicolizzata. Per poi doversi compromettere con un insignificante cinquantenne del tutto privo di scrupoli, per puro ricatto, e con la terribile paura di finir pubblicamente svergognata in modo irreparabile.
Immaginava quelle foto col suo sederone bianco, in bella mostra sulle prime pagine di tutti i rotocalchi: e sprofondava lentamente di nuovo, seduta con le gambe sempre allineate.
Il Mazzi l’accolse con un pantaloncino corto ed una squallida canottiera grigia, sembrava un vecchio pensionato acchittato nel più futile e frugale fra tutti gli abbigliamenti da spiaggia; prima ancora di farla accomodare in salone, come aveva fatto la volta precedente, egli la sorprese piuttosto con una richiesta, del tutto inattesa e per lei urticante: pretendeva che Hélène indossasse una sottana elasticizzata con strani motivi maculati, che era forse appartenuta a sua moglie.
La sciagurata nemmeno volle conoscere le sue ragioni: le appariva oramai evidente, come il Mazzi volesse rivedere in lei, un qualche riflesso della sua precedente donna. Benché avesse caratteristiche fisiche totalmente differenti dalle sue.
Allora nuovamente obbedì, infilandosi silenziosamente in bagno e serrandosi per bene la porta alle spalle; Hélène aveva il viso pallido, paffuto e visibilmente imbarazzato, un istante prima di spogliarsi davanti allo specchio: dapprima si sfilò la camicetta, poi la gonna, ed infine il suo provocante intimo nero con tutto il reggicalze ed i collant; imbracciando allora quell’assurdo ed improbabile vestitino, che pur essendo ben elasticizzato, la opprimeva costringendola come un sacco rigonfio; lasciandole trasparire il chiaro segno delle larghe mutandine bianche, celate di sotto.
Uscì lentamente dal bagno, e subito vide il Mazzi, che in piedi nel corridio, esibiva una vivissima ed evidente erezione.
Hélène non voleva farlo, ma fu inevitabilmente obbligata a toccarlo, nell’istante in cui ella gli sfilava dinanzi: quasi barcollando nel suo ridicolo vestitino maculato; Mazzi glielo ordinò con un semplice gesto del viso, e la sciagurata allora lo strinse bene con la sua mano sinistra, aggrappandosi al tessuto deforme, sentendo che era già duro da fare spavento.
Lo teneva stretto senza nemmeno guardarlo; il pantaloncino era talmente sottile, da poterne avvertire pienamente la forma oblunga e sghemba: si era eccitato per quella sottana.
“Sali! …su quella bilancia…” le intimò successivamente l’uomo appagato, subito dopo che ella lo ebbe toccato.
Non era cambiato nulla rispetto alla volta precedente; fu così che Mazzi espresse per la prima volta la propria precisa volontà: “Quando ritornerò… devi essere snella come mia moglie. Non lo vedi come sei ridicola nel suo vestito? Subito a dieta con quel coso, sennò ti costringo io”. Hélène provò un profondo senso di tristezza e prostrazione, e decise in cuor suo, che forse in questo non gli avrebbe mai obbedito.
Già immaginava quelle foto col suo sederone bianco, in bella mostra sulle prime pagine di tutti i rotocalchi del mondo.
“Subito a dieta con quel coso, sennò ti costringo io”.
Era inevitabilmente arrivato il suo momento: questa volta lui non ebbe nemmeno la premura di versarle del buon vino rosso; la trascinò per una mano senza nemmeno parlarle.
La fece coricare nuovamente sul letto, come la volta precedente, solamente dopo averle fatto indossare due comode ciabatte bianche; Hélène dovette intuire come fossero appartenute anch’esse alla moglie, dal momento che riportavano iniziali come le sue. Dopodiché quegli si abbassò il pantalone da spiaggia, senza attendere, estraendo così quel pene orrendamente tutto ricurvo e completamente fradicio.
Poi ordinò ad Hélène di sfilarsi le mutandine e di sollevarsi il vestito: la donna lo fece in modo inerte e silenzioso.
Erano più di quattro mesi che la poveretta non faceva sesso, e adesso le sarebbe capitato di farlo duramente proprio con quell’insignificante, opulento uomo cinquantenne.
La prese per le cosce montandosele entrambe sopra le spalle, sentendo che la sciagurata donna non era ancora pronta a riceverlo: si limitò allora a sfiorarla con la sola testa del pene, bagnandole in questo modo le labbra morbide con i propri umori; poi improvvisamente e senza alcun garbo, la infilzò provocandole un sussulto di spavento e di dolore. “Oooo…”.
Iniziò a muoverla avanti e indietro, trascinandola e vedendola ansimare e sussultare; Hélène era trattenuta per le cosce sulle spalle dell’uomo, e muoveva le proprie ciabatte verso il soffitto in maniera ridicola e compulsiva, mentre Mazzi impetuosamente la sbatacchiava nel mezzo.
Era incredibilmente gonfio e duro, al punto da causarle al principio, vivo dolore; lei non s’era per null’affatto bagnata, e sbatteva i denti in modo ripetuto mentre veniva strattonata.
Ma ad un certo punto Hélène spalancò la bocca, lasciando intendere che provava finalmente il piacere, senza volerlo.
Si sentiva nuovamente posseduta e dominata, a distanza di tanto tempo, e le fitte che riceveva nell’utero e nella pancia ne erano la viva dimostrazione: Hélène stava nuovamente sprofondando nell’atto di venire presa da uno sconosciuto.
“Oooooh… ooo… oh”.
Il Mazzi estrasse il pene e glielo appoggiò sopra il monte di venere, era stremato e molle; poi le sollevò meglio il vestitino maculato per non sporcarlo. Infine, esplose trattenendola più forte che mai per le cosce, inondandole il ventre di sperma.
“Oooooo…”.
Era successo, l’aveva fatta sua così come previsto.
La congedò frettolosamente con una tastata sul didietro, dopo che la ebbe fatta velocemente ripulire e ricambiare; promettendole che sarebbe tornato molto presto a Bruxelles, per verificarne sempre il peso, e per continuare a mantenerla.
Adesso il senso di quel ricatto era finalmente chiaro, non vi era più alcun motivo per Hélène, di temere o anche solo di dubitare: le sarebbe bastato obbedire ancora; sarebbe stata vista e controllata scrupolosamente ad ogni sua successiva visita, chissà quante altre volte di fila; e certamente castigata.
Hélène ritornò a casa sotto una leggera nevicata, con un sentimento nuovo e completamente strano, di tristezza e di solitudine; sarebbe presto partita per le festività in famiglia, così come faceva sempre ogni anno, senza dimenticarlo.
Undicesimo episodio
Nella seconda circostanza, la sempre più incerta Hélène, non s’era prestata al gioco; quella giovane e rampante giornalista, nominata una volta ancora da madame Renoir per la trascrizione del proprio intervento, s’era inaspettamente presentata nell’edificio della commissione con tutti i suoi capelli neri completamente sciolti. Goffa come sempre.
L’imbarazzo era stato tanto, e nell’espressione del viso dell’importante interlocutrice, l’erano stati ostentati per tutto il tempo, rabbia e delusione. Ma la paura di Hélène, di metter a repentaglio tutta quanta la propria reputazione per via di un nuovo, possibile errore, l’aveva questa volta bloccata: aveva potuto cogliere l’opportunità dell’intervista, ma sapeva che con ottima probabilità non sarebbe più successo. Era finita la sua improbabile ascesa professionale?
Inaspettatamente fu convocata quasi subito, nel fine settimana di Carnevale, da monsieur Christiani presso la dimora privata della donna, con rigore ed urgenza.
Hélène avrebbe certamente potuto rifiutare quell’invito, ma il messaggio di monsieur Christiani citava esplicitamente l’opportunità di definire un nuovo protocollo: le lasciava intuire la possibilità di continuare ad occuparsi di madame Renoir e di servirla, professionalmente e non solo. Era forse una semplice trappola, ma la stralunata Hélène non lo capì.
Se la relazione con madame Renoir si fosse interrotta, costei oltre ad escluderla dall’esclusiva dei propri interventi, avrebbe persino potuto inibirle altre future opportunità; Hélène si girava nel letto e non riusciva a prendere sonno.
Sarebbe stata fatalmente punita con la cintura? Quando dovette rispondere a monsieur Christiani, lo aveva stranamente dimenticato, o forse volontariamente rimosso.
Indossò un paio di calze molto corte, sotto il medesimo tailleur stretto ed elegante, indossato nella sua prima visita alla commissione del passato dicembre. Poi dinanzi allo specchio del bagno, ella si legò ordinatamente i capelli; sarebbe stata molto determinata nel perseguire il suo intento, con lucidità e freddezza, senza mai cadere nella trappola: nessuno le avrebbe mai potuto imporre nulla di indesiderato, ella avrebbe solo recitato la sua parte.
Un taxi la condusse presso la dimora di madame Renoir alle due del pomeriggio, in un pigro sabato di vento freddo e di pioggia leggera; senza mai alzar lo sguardo, la solita cameriera Brigitte le aprì la porta, e con ossequio le prese il cappotto salutandola sottovoce. Era dimessa, come sempre.
Hélène rammentava molto bene il protocollo seguito la volta precedente, e lentamente depositò tutti i propri effetti personali, sul lungo tavolo in legno scuro, allineato al centro dell’ampia sala d’ingresso; poi allargò le braccia attendendo di venire perquisita da Brigitte. Ma la cameriera fece cenno di no, non occorreva; quel tailleur era talmente stretto, da rendere pressoché impossibile per lei, nascondervi qualcosa.
“Mademoiselle paperona, mi segua…”. Hélène trasalì, tutti i suoi intenti, di attenersi alle regole e di venire conseguentemente tutelata e rispettata, sembravano già sgretolarsi di fronte al modo in cui persino l’umile cameriera Brigitte, s’era rivolta lei; era forse solo l’inizio?
L’anticamera dello studio di madame Renoir non aveva finestre, e la grande porta a due ante sul fondo era chiusa; Brigitte si fermò dinanzi ad essa, ed Hélène subito udì dall’interno della stanza, la voce profonda di monsieur Christiani che dialogava apparentemente con un proprio interlocutore al telefono. Solo dopo, ascoltando bene, il suo le parve piuttosto un lungo, interminabile soliloquio; madame Renoir probabilmente non era lì presente in quell’istante.
Su un lato dell’anticamera, nei pressi della parete con tutti i quadri allineati, vi era disposta una lunga panca ricavata da pregiato legno di noce; era evidente come vi sarebbe stato ancora molto da aspettare, e senza mai alzare lo sguardo Brigitte l’avvicinò leggermente a sé per piegarvi le gambe; poi sussurrò per non farsi sentire dall’interno: “…numero cinque mademoiselle… dobbiamo attendere sedute qui”.
Dopo circa dieci minuti, la porta dello studio di madame Renoir si aprì; la voce di monsieur Christiani non aveva mai smesso di rimbombarvi dentro, fino ad allora.
Vestita in un vistoso completo bianco, madame Renoir appariva quel giorno assai irritata; accese improvvisamente la luce di due applique nel corridoio, illuminandolo a giorno, volgendosi poi verso Hélène e Brigitte che erano sedute nell’anticamera: loro non immaginavano di vederla lì, e solo la seconda teneva le gonne sapientemente sollevate, sorreggendole in modo fermo con entrambe le mani; aveva le cosce sottili e bianche avvolte da lunghi calzettoni chiari come quelli d’una bambina. Hélène invece, trasalì di nuovo.
“Dentro, tutte e due” disse con tono perentorio la donna.
Brigitte si ricompose velocemente e precedette Hélène, la quale aveva già compreso di avere combinato un guaio. Ma non immaginava nemmeno ciò che avrebbe veduto in quell’istante, dentro lo studio di madame Renoir: fece un piccolo passetto oltre la porta, ed inopportunamente alzò lo sguardo, come certamente non avrebbe dovuto.
Monsieur Christiani era seduto su una sedia in legno che pareva quasi un trono; la volta precedente Hélène doveva non averla notata bene, eppure era molto alta e rifinita nel telaio scuro, con diverse volute di tipo ornamentale; l’uomo, seduto con le mani allineate sui due braccioli, non aveva addosso né i pantaloni, né tantomeno le mutande.
Hélène non riusciva ad abbassare lo sguardo, al punto che persino Brigitte si dovette preoccupare per lei, e sussurrò a bassissima voce: “Regola numero uno …mademoiselle, regola numero uno”; sembrava veramente spaventata.
Monsieur Christiani indossava una camicia bianca con una cravatta grigia; le scarpe lucide ed i lunghi calzettoni neri ne completavano la figura in basso: mentre il vistoso membro imponente e verticale, in posa di ferma erezione, non sembrava affatto imbarazzarlo; era già stato avvolto dentro ad un preservativo di lattice e dominava immobile la sala.
Finalmente Hélène abbassò lo sguardo, senza però riuscire a smettere di fissarlo da lontano, con la sola coda dell’occhio; nel frattempo madame Renoir, del tutto indifferente rispetto alla reazione scomposta della sciagurata, si era seduta dietro alla sua scrivania. Poi prese la parola dopo un solo istante.
“Una di voi ha rispettato le regole… lo farà ancora, sedendosi questa volta sulle ginocchia di mio marito”; Hélène non riuscì a trattenere un colpo di tosse, mentre Brigitte senza dire nulla, con il capo abbassato si muoveva a passetti lenti verso la parete; probabilmente non era la prima volta.
Madame Renoir si levò in piedi per osservare, mentre Hélène tremava tutta, nel suo tailleur blu del tutto inappropriato per quella situazione assurda ed inaspettata.
Brigitte fu dinanzi a monsieur Christiani, che la fissava con sguardo sadico e sprezzante. Lei vestiva una lunga gonna di stoffa nera con un piccolo grembiule sul davanti; “…sulle ginocchia, voltata” ordinò la donna alla sua cameriera.
Quella parve tentennare per un breve istante, ed allora la sua padrona si avvicinò minacciosamente a lei, prendendola per un orecchio: “Voltata!” ribadì, strattonandola duramente; allora Brigitte fece tutto quanto le era stato ordinato, porgendo le terga a monsieur Christiani. Si tirò su tutta la gonna, scoprendo una delicata peluria rossiccia sul davanti.
Quegli vide così comparirgli dinanzi, il sedere pallido e composto della povera cameriera; lei gli salì sulle ginocchia e, senza nemmeno sfiorarlo con le mani, riuscì a farsi penetrare dal basso, emettendo un breve gemito senza mai scomporsi: apparentemente senza sforzo. Poi prese lentamente a salire e scendere su di lui. Hélène, nel frattempo, osservava di nascosto: s’era inopportunamente inumidita, mentre tremava in attesa di conoscere la propria, di sorte.
Monsieur Christiani pareva ora affaticato e visibilmente trasportato, mentre respirava profondamente con il capo rivolto in su; Brigitte continuava a sorreggere la gonna con le mani, mentre obbedientemente lo teneva stretto nella vagina, salendo e scendendo sopra il preservativo di lattice bagnato.
Madame Renoir fece ritorno alla sua scrivania, questa volta fissando Hélène con uno sguardo ben più torvo e severo.
“Una di voi non ha rispettato le regole… in ben due occasioni oramai…”; la donna si riferiva chiaramente alla circostanza della precedente intervista, oltre al fatto d’averla sorpresa poco prima nell’anticamera, con la gonna non al suo posto.
“Ritengo che non vi siano ulteriori possibilità per rimediare …mademoiselle paperona …mi spiace tanto per lei”.
Hélène avrebbe voluto reagire, magari scusandosi; si era recata all’appuntamento pensando di discutere un nuovo protocollo per le sue interviste: invece si trovava adesso calata in una situazione imbarazzante e decisamente grottesca; monsieur Christiani nel frattempo ansimava e godeva, mentre la povera cameriera, tenendo sempre il capo abbassato, non aveva mai interrotto il proprio movimento ripetuto, rimbalzando mollemente sulle ginocchia di lui.
“Appoggi tutte e due le mani alla mia scrivania …paperona”.
Aveva realmente intenzione di punirla? Madame Renoir aprì un cassetto, e come Hélène temeva, estrasse una larga e spessa fasciona di pelle scura, poggiandosela dinanzi.
“Non …non voglio” sussurrò Hélène, tenendo il capo rispettosamente abbassato. “Non è la sua volontà a consentirle di trasgredire in tutte quante le occasioni …fastidiosa paperona, impunita e ribelle”, replicò scandendo bene tutte le sillabe, la donna in modo minaccioso.
Poi riprese: “Non mi faccia perdere altro tempo… appoggi tutte e due le mani alla mia scrivania, qui e subito”.
La sciagurata non lo fece, mentre monsieur Christiani deglutiva ora in modo sempre più intenso, non riuscendo a trattenersi; madame Renoir invece fissava sempre Hélène.
“Non è mia prassi attendere… la farò cancellare da tutte le liste dei migliori giornalisti …tornerà a scuola, paperona”.
Hélène mise le mani sulla scrivania.
“Un minuto in posizione, per aver trasgredito la regola numero uno”, le disse la donna, senza apparentemente meravigliarsi, della sua immediata e rinnovata obbedienza.
La scellerata Hélène, mentre attendeva, poté udire anche la povera Brigitte che ansimava, in un modo che a quanto pare procurò inevitabile tedio a madame Renoir: costei dispose subito l’interruzione di quel loro prolungato amplesso; distogliendosi per un solo istante dalla schiena di Hélène, ella ordinò pertanto alla sua cameriera con voce stentorea: “Gonna alzata… inginocchiata ai piedi di mio marito”.
Poi prese velocemente in mano la fasciona in pelle, e la fece sciabolare nel vuoto della stanza: emettendo un suono che la povera Hélène, mani sulla scrivania, colse con vero terrore.
“Anche la paperona adesso… gonna alzata”, aggiunse subito dopo. “Ho detto: gonna alzata”; madame Renoir vide che Hélène tremava, e decise così di fare da sola: afferrata la stoffa blu sul retro delle gambe di lei, trascinandola attentamente lungo tutta la schiena, fin sopra la giacca del tailleur dello stesso colore, ella la sollevò scoprendola tutta.
“Due minuti d’attesa… per aver trasgredito la regola due in commissione”. Hélène taceva con il sedere bianco tutto di fuori, in una situazione piuttosto simile a quella delle orribili fotografie rubate; questa volta in piedi e con madame Renoir dritta di lato, nei suoi alti tacchi. E con il capo chinato in giù.
Nel frattempo, Brigitte si era inginocchiata e muoveva avanti e indietro, la testa coi suoi capelli di color rossiccio ben legati: donando il piacere a monsieur Christiani in modo lento e succube; era evidente come egli fosse già esploso rovinosamente, dal momento che il suo preservativo in lattice s’era già completamente gonfiato di liquido ben oltre la metà. La cameriera pareva abituata a tutto ciò: proseguiva il suo lavoro con dovizia e cura, e con la gonna alzata.
Adesso i due fondoschiena erano entrambi rivolti a madame Renoir, che brandiva in mano la fasciona nera: Brigitte aveva al contrario di Hélène, saputo rispettare tutte quante le regole; il suo, di fondoschiena, sarebbe stato risparmiato. Madame Renoir si volse allora verso il più grande e rotondo dei due, quello del bocconcino appetitoso che stava piegato con le mani aperte sulla scrivania, ad un solo passo da lei.
Hélène tremava in modo vistoso, non si sarebbe mai aspettata di finire in quel modo, era in procinto di subire quella severissima punizione tanto temuta; madame Renoir intanto continuava a far sibilare la cintura nell’aria vuota della stanza: l’attesa era di ben dieci minuti, per aver trasgredito la regola della gonna, in due precise circostanze.
La povera sciagurata tremava sulle mani, ed avvertiva uno strano senso di gelo, su tutta la superficie rotonda del didietro; sentiva che monsieur Christiani adesso la andava fissando alle spalle: l’avrebbe vista anche lui, non c’era più limite alla sua vergogna, sarebbe stata certamente derisa.
Avvertiva uno strano senso di gelo su tutta la superficie scoperta: non era null’altro che l’effetto della lunga attesa, prima dell’arrivo del più intenso e agognato dolore; prima che lo spessore della grossa cintura, col suo sibilo minaccioso, s’abbattesse su quelle sue rotondità molli.
“Quanto manca…” osò domandare Hélène, mentre l’angoscia la travolgeva, trascinandola in un baratro di pena e desolazione; monsieur Christiani, nel frattempo esplodeva per la seconda volta, lasciando la cameriera Brigitte interdetta ed immobile sulle gambe, inginocchiata ferma ai suoi piedi.
Arrivò il momento della sentenza: “Sarà punita da mio marito paperona ribelle… lei non fa altro che trasgredire, in ogni circostanza…”; poi concluse: “Giù con la schiena”.
Monsieur Christiani l’aveva sedotta, e adesso l’avrebbe fatta inesorabilmente ululare di dolore; si levò in piedi lasciando Brigitte in ginocchio ai piedi della sedia, ordinandole di attendere la fine del castigo in quella posizione: aveva il pene molle e penzolante ancora avvolto nel suo preservativo fradicio e completamente rigonfio di liquidi. Si fece passare da madame Renoir la fasciona scura, senza rivestirsi.
Fissò bene il sedere gigantesco di quel bocconcino appetitoso; era stato lui a definirla in quel modo. Provò improvvisamente un’inattesa ed improbabile erezione dinanzi ad esso.
Poi iniziò a violarlo continuamente, con venti duri colpi di fasciona in pelle, ordinando alla malcapitata Hélène di contarli. La lasciò umiliata e in lacrime, del tutto sfigurata.
Una sveglia suonò, erano già le sei del mattino. Il ritorno dal mondo del sonno spazzò via l’ombra di quell’incubo assurdo, dissolto rigirandosi: la povera sciagurata l’aveva solamente sognato, ma lui le aveva fatto veramente, molto male battendola. Hélène si decise così di rifiutare l’invito.
Dodicesimo episodio
La costrinse a salire sulla bilancia, per vedere di quanto ella fosse ingrassata durante la sua assenza.
Ma prima le dovette far togliere del tutto di dosso, i suoi jeans che erano molto spessi, e che ne avrebbero sicuramente alterata di parecchio la misura.
“Sessantacinque chili… sei una vera culona”, l’apostrofò subito Mauro Mazzi, senza apparentemente rivelare neppure il minimo accenno di stupore; si vedeva infatti benissimo, come Hélène fosse davvero ingrassata in quel periodo: era tutta gonfia in viso e vistosamente larga nei fianchi.
Era oramai la terza volta, che il Mazzi risaliva su in Belgio per mantenerla; era scoccato l’undici d’agosto, ed Hélène era reduce dai festeggiamenti per i trent’anni della sua più giovane sorella Bianca, nella casa di famiglia a Liegi: aveva gozzivigliato a dismisura, come sempre senza contenersi.
“Subito a dieta con quel coso, sennò ti costringo io”.
Le regole erano cambiate: si calò subito obbedientemente le sue culottine nere, sfilandole lentamente da ambedue le caviglie in modo cupo e rassegnato, tenendo ai piedi le solite piccole ciabattine bianche che l’erano state imposte. “Le mani al muro …non farmelo ripetere” esclamò il Mazzi dopo un breve istante di paziente silenzio; “…forza cicciona!”.
“Noo… non come l’altra volta, ti prego…” biascicò Hélène, mentre obbedendo ancora mestamente, ella univa bene le gambe, disponendo le mani aperte sulle piastrelle del bagno, nei pressi della famigerata bilancia. Le sue culottine giacevano miseramente abbandonate dentro alla vasca.
“Sei una vera culona …devi piangere…” ribadì fermamente l’uomo; ed aprendo bene il braccio destro, testò la cintura sulle grasse cosce bianche di lei, facendole schioccare entrambe in modo penoso senza attendere nemmeno per un istante; segnandole con un primo doloroso, lungo livido. Un rumore sordo riempì subito l’aria del piccolo bagno.
“…no …noooo fa male lì… ti scongiuro no…” ululò lei un solo istante dopo essere stata battuta. “Stai zitta …culona…” replicò il Mazzi; “…non l’avrai solo lì…” aggiunse, ed immediatamente mantenne l’intento, impartendole una durissima scudisciata; ovviamente sul sedere tutto intonso, scuotendolo come una palla di gomma. “Ooooooh… ooo”.
Hélène allontanò le mani dalla parete, nel tentativo di districarsi; ma quegli subito le afferrò con la propria sinistra, l’avambraccio destro, trattenendolo fermamente piegato, dietro la schiena e lungo il dorso della sua sottile maglietta a pelle scura. “Appoggiati di nuovo al muro!”.
“No …noooo...” reagì penosamente lei. E fu subito battuta con una sferzata ravvicinata e assai precisa, inferta nel bel mezzo della chiappona destra, gonfia e arrossata dal colpo precedente. La sciagurata urlò in modo pietoso, e fu subito battuta per la terza volta; poi la mirò nuovamente alle cosce.
“Sei una vera culona” ribadì il Mazzi, mentre continuava a trattenerla per l’avambraccio. Giocava irrispettosamente con il nome di sua moglie, anche se la poveretta, obnubilata dalle botte, non lo aveva ancora compreso. Infine, le schioccò una sciabolata violentissima su entrambi i glutei, vedendoli rimbalzare mestamente all’unisono, come due cuscini deformi e sfatti, già deturpati da enormi bozzi. “Ooh…”.
“…basta… ti prego no…” lo implorava Hélène, annientata completamente dal dolore, trattenuta sempre per il braccio; aveva le gambe ben unite tra di loro, come imposto, e le caviglie leggermente aperte con le piccole ciabatte ai piedi.
“Zitta!” ribadì lui, ed aprì nuovamente il braccio.
“Nooo… oooo nooo…”.
L’appartamento del Mazzi risuonava di quelle ripetute cinghiate, e dei gridolini disperati e inutili di Hélène; qualcuno avrebbe potuto persino preoccuparsi, nel suo pigro vicinato: fu così che egli decise di finirla. “Ooooo…”.
“Subito a dieta con quel coso, sennò ti costringo io”.
“Nooo… oooo nooo…”.
Al Mazzi piaceva possederla girata dinanzi allo specchio; poteva così contemplare fiero, sia le conseguenze della punizione esemplare che le aveva appena inferto, sia le inequivocabili espressioni del suo viso arrossato, con la bocca aperta e gli occhi continuamente socchiusi; adesso la sbattacchiava avanti e indietro, tutta inerte, scuotendola per i fianchi, e vedendo il culone di lei agitarsi nelle sue mani.
Hélène aveva la sola magliettina nera addosso, e le ridicole ciabatte bianche ai piedi; muoveva docilmente la testa, mentre lui la sospingeva dentro alla vagina molle con il solito stantuffo duro e caldo, continuando a scuoterla. Lei aveva i due enormi glutei segnati da numerose striscie di pelle deturpata, che brulicavano in modo quasi insopportabile di vivo dolore, mentre lui la sbatacchiava.
Le aveva prese di santa ragione, l’era successo di nuovo, meritandosele pienamente. E quei segni, le sarebbero rimasti addosso per molte settimane, fino alla successiva visita.
Hélène si rese conto in quel momento, di provare rispetto e uno strano sentimento d’opportuna sottomissione verso di lui; riprendeva lentamente ad oscillare sui fianchi, sciaguratamente in bilico sull’orlo del piacere: era stata punita e dominata, e sarebbe successo ancora.
Sprofondò dopo solamente pochi istanti, mentre l’uomo esausto la liberava dalla presa forte dei suoi avambracci, per vederla così traballare davanti ai suoi occhi, con ambedue le caviglie divaricate; la sciagurata mosse la mano tremando, avvicinando il dito indice al buchino del sedere, vibrando per la vergogna: poi infine venne spruzzando copiosamente e mugolando in modo assai vistoso. “Ooooo… oo oooooo”.
Castigata, si voltò verso di lui rimanendo piegata carponi sul letto, con tutto il sederone gonfio e butterato completamente e vergognosamente esposto verso lo specchio: gli impugnò il bastone tutto fradicio e gonfio, con la mano destra, agitandolo come un tubo esausto da svuotare; solo a quel punto, ella ansimando prese a parlare: “Te lo prometto… questa volta mi metto a dieta… ho imparato a…”; lui le tappò la bocca severo, mentre la scellerata Hélène continuava a muovere in modo rapido e deciso la mano.
Solamente dopo diversi minuti di silenzio, quegli finalmente rispose sobrio: “Ad ottobre lo vedremo… cicciona”.
Hélène lo tratteneva e lo masturbava con il volto abbassato, provando in quel momento una specie di venerazione verso quel pene abnorme; si stava forse innamorando di lui? Sarebbe stata la prima volta con un uomo adulto, qualcosa di cui le sarebbe stato dato, forse di vergognarsi? Era stata prima punita e poi posseduta, e tutto ciò l’era piaciuto in modo insano; facendola godere fino quasi a irretirla.
Hélène aveva forse trovato la mano forte dell’uomo di cui aveva avuto da sempre, un estremo bisogno? Qualcuno che la controllasse e la mettesse in riga, educandola e disciplinandola. Con tantissime botte, certo, ma non solo.
È fine ottobre, ed Hélène ostenta nei suoi capelli lisci, una delicata sfumatura di color castano chiaro: è la stessa tinta della precedente moglie di lui; sarà stata costretta dal Mazzi a sistemarli in quel modo, con una acconciatura che a detta di molti, non le dona affatto. Lo pensano tutte le sue amiche.
Povera scellerata Hélène: senza mai riuscire ad indossare nessuno di quei vecchi vestiti, all’infuori di quelle due piccole ciabatte bianche, ella può così quantomeno provare a somigliarle nel viso; il Mazzi glielo ha certamente imposto.
A furia di prenderle, Hélène è finalmente ed inevitabilmente diventata, la Vera Culona che lui cercava. Lo resterà a lungo.
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