Diario di Hélène - Melone rosso caldo
di
Hélène Pérez Houllier
genere
sadomaso
Hélène non aveva neppure la minima fantasia, di dover incontrare a distanza di tanti anni il suo odiato patrigno, colui che in passato l’aveva disciplinata per la prima volta: era oramai divenuto un affermato e celebre architetto.
Costui, oltre ad averla un bel giorno di tanti anni addietro, pesantemente iniziata alla vergogna degli scapaccioni, le aveva anche lasciato in eredità il proprio cognome.
Ma quel pomeriggio si festeggiavano i venti anni della timida sorellastra Bianca, unica e sola figlia naturale del signor Eric. Assieme alla madre, erano attese presso la sua grande magione di campagna intorno a Namur, una villa con patio e maneggio che egli aveva ristrutturato di recente con ingenti spese; era il giorno cinque d’agosto e faceva ancora piuttosto caldo, Hélène questa volta non aveva potuto sottrarsi, all’obbligo di doverlo incontrare.
La grande novità rispetto al passato, era però quel giovane puledro Cozy, con il suo stalliere; la seconda figliastra del signor Eric, una bambolina viziata di nome Nadine, aveva infatti imparato a cavalcare con il frustino e la divisa: e a quanto pare se la faceva proprio con quello stalliere, un robusto ragazzone di ben sette anni più grande di lei.
Hélène lo aveva intuito fin da subito, dal modo in cui lei arrossiva quando lui la guardava: doveva essere un maschio piuttosto voglioso, a giudicare dal suo sguardo intenso.
Nadine e Bianca erano coetanee ed erano divenute amiche del cuore, fino al punto di scegliere assieme d’iscriversi alla stessa università, nella rinomata facoltà di Biologia a Liegi; con loro c’era anche Chloe, una piccola biondina che frequentava Nadine fin dall’infanzia e che veniva da Amay.
Sarebbero partite tutte e tre per una vacanza alla volta della Grecia, dove avrebbero visitato la capitale Atene assieme alle famose isole di Paro e Nasso; con loro sarebbe venuta anche una quarta amica francese, che loro tutte chiamavano Mimi.
Anche la madre di Bianca avrebbe desiderato di poter visitare la Grecia, trattandosi di un suo vecchio pallino mai realizzato in tutta quanta la sua vita, quasi inspiegabilmente; aveva pensato d’imbarcarsi assieme al suo compagno Benoît, con lo stesso aereo della figliola in partenza da Bruxelles, per poi separarsi da lei, lasciandola completamente libera di proseguire il soggiorno con le sue giovanissime amiche.
La festeggiata quel pomeriggio rideva felice e schiamazzava tutto il tempo, leggermente più disinvolta e meno irriverente rispetto al passato: l’università e le sue frequentazioni parevano averla lievemente migliorata nelle attitudini.
“A volte anche le scimmiette più impertinenti, crescendo imparano a regolarsi…” commentava la madre, scrutandola; non aveva ancora fatto i conti con quella vacanza in Grecia, oramai prossima. Il signor Eric, annotava distratto: lui non poteva avere alcuna idea, di quanti pasticci Bianca avesse già combinato, a sua insaputa durante tutti quanti quegli anni.
Primo episodio
Hélène evitava accuratamente di incrociare lo sguardo del signor Eric; mentre quello dello stalliere, non le spiaceva.
Ma dal momento che tantomeno ella desiderava intrattenersi con la sorellastra e le sue amichette, tutte più giovani di lei di almeno tre anni, la ragazzotta rimase presto tutta da sola nel patio, lontana dallo sguardo degli adulti.
La giornata scivolava via essendo già arrivate le cinque del pomeriggio, il vino bianco era buono ed Hélène aveva portato via con sé un calice per poterlo assaporare da sola; ed un lieve venticello le scombinava leggermente i capelli.
Il suo patrigno la vide che giocava col suo telefonino, ed ebbe la malaugurata idea di avvicinarsi per farle compagnia; esordì domandandole del primo lavoro che ella aveva trovato, uno stage presso una rivista di attualità e costume.
Il signor Eric sapeva molto poco di lei, ed in generale non la stimava alquanto: ricordava alcuni suoi ripetuti fallimenti a scuola, e poi il vano ed oneroso tentativo, di perseguire una improbabile Laurea in Legge. Ma soprattutto ricordava bene, di averla un giorno meritatamente punita, durante una festa.
Non avrebbe dovuto assolutamente riesumare quel triste ricordo, con lei; ed invece lo fece, in modo assai inopportuno.
Ad ispirarlo fu inaspettatamente proprio la vista dello stalliere, che schiaffeggiava il cavallo Cozy nell’atto di riportarlo all’interno della sua stalla: uno sculaccione.
“Ti ricordi quella volta che l’ho fatto io con te… sembra che ti siano servite… sono passati forse dieci anni e penso che tu ne abbia giovato: era davvero necessario, era solo il tuo bene”.
Hélène rimase improvvisamente attonita a guardare il proprio telefonino, mentre dentro di sé poteva avvertire un flusso di emozioni inarrestabile, ed un tremore che la faceva lentamente sprofondare dalla vergogna; incrociò tuttavia un solo istante i suoi occhi, senza parlare, ma quanto bastava.
“Non ricordi …ti ho alzato tutta la gonna…”, ribadì, “e poi subito giù!!!... melone rosso caldo, per una bella settimana…”, disse lui senza nessuna remora per ciò che ella provava.
Hélène non aveva mai smesso di ricordarlo per tutti quei lunghi dieci anni; proprio mentre ascoltava quelle parole, poteva quasi risentire sul proprio corpo, il calore di quelle rovinose botte. E finiva travolta, proprio così come allora.
Ripresero i tonfi sordi e penosi, senza alcuna soluzione di continuità; una decina di colpi consecutivi, interrotti solamente dagli urletti disperati di Hélène; alcuni molto ben riusciti, come testimoniava lo schiocco rumoroso dei glutei della poveretta, altri più ovattati. Quando lo schiocco era più fragoroso, Hélène squittiva a tratti come una scimmia; era un vero fracasso, e tutti quanti nella casa si erano perfettamente resi conto, che la festeggiata le stava finalmente prendendo.
“Lo ricordo, penso mi sia servito” rispose Hélène senza guardarlo, con il capo rivolto verso il proprio telefonino.
Il signor Eric si alzò soddisfatto, sistemandosi la camicia; non si sa per quale strano motivo egli avesse voluto rievocare quell’episodio, ma facendolo aveva così trascinato involontariamente Hélène, in un baratro di buio e di prostrazione: avrebbe forse voluto sistemare i conti con il passato, a distanza di quasi dieci anni? Avrebbe forse persino desiderato che ella lo ringraziasse, per averla segnata quel giorno in una maniera tanto dolorosa ed umiliante?
“Non ricordi …ti ho alzato tutta la gonna… e poi subito giù!!!... melone rosso caldo, per una bella settimana…”.
Il melone rosso caldo era la poco simpatica locuzione, adoperata spesso dal precedente uomo di sua madre, quando intendeva minacciarla o anche semplicemente redarguirla; l’aveva adoperata con lei svariate volte.
Anche se per sua fortuna, quello sciagurato e disastroso epilogo non si sarebbe mai più ripetuto; almeno non più per mano del sempre temuto, e da lei odiatissimo, signor Pérez.
Hélène penzolava con la testa, nella posizione del castigo, con le caviglie sollevate da terra. Il signor Eric continuava ad aprire la destra, rovesciandogliela sul didietro molle e sgonfio; ora quel sederone, completamente esposto, vibrava in continuazione, come una povera palla di gomma.
Si poteva udire in tutta la casa, un pianto dirotto di bambina.
Secondo episodio
Lo stalliere aveva origliato di nascosto, con insana e perversa curiosità; era la prima volta che egli vedeva la precedente figliastra del suo padrone, e scoprire il modo in cui quegli poteva averla punita in passato, non lo lasciava di certo del tutto indifferente. Il signor Eric era un uomo estremamente rigido e severo con tutti, anche se mai s’era fatto prender la mano nei confronti della più altera e disciplinata Nadine; non era mai stato necessario, quantomeno in quel luogo e da quando lo stalliere era stato assunto al loro servizio.
Così uscì allo scoperto, e vide Hélène seduta nel patio che piangeva silenziosamente. Allora pensò di consolarla, vedendo la ragazzotta che frettolosamente si asciugava le lacrime, vistosamente impreparata e decisamente scomposta.
“Posso?” le domandò un istante prima di chinarsi, proprio laddove precedentemente era stato seduto il signor Eric.
La scrutava con lo stesso sguardo, con cui ella l’aveva veduto fissare la bambolina Nadine: non era certo un atteggiamento casuale. Hélène ristette imbarazzata, temeva che lui potesse aver udito tutte le precedenti parole del suo patrigno, mentre rievocava quelle inequivocabili vicende che la riguardavano.
“Non ricordi …ti ho alzato tutta la gonna… e poi subito giù!!!... melone rosso caldo, per una bella settimana…”.
“Il mio padrone l’ha offesa parlandole?” chiese continuando a scrutarla in modo leggermente sadico e curioso; ed improvvisamente, con un gesto inatteso, le prese una mano stringendola. Aveva le dita grandi e non si sa cosa voleva.
Hélène capì che stava accadendo qualcosa di strano, ed istintivamente arretrò sulla sedia, senza rispondere per nulla alla precedente domanda che quegli le aveva posto; allora lo stalliere, allontanando la mano, ebbe l’inopportuna sfacciataggine di ripetere: “Il mio padrone l’ha offesa poco fa?”. Hélène ristette un istante, ma poi abbassando gli occhi replicò sommessamente: “Lei ha sentito proprio tutto?”.
Lo sguardo profondo e vivace dello stalliere non lasciava davvero molto spazio ai dubbi; fece cenno di sì con la testa.
“E le ha fatto molto male vero?” insistette il ragazzone; era fastidiosamente curioso, avrebbe forse voluto poter assistere anche lui a quella rovinosissima scena, in passato.
“Non troppo…” rispose Hélène, nel goffo tentativo di minimizzare la cosa; “…e le è successo molte volte ancora?” riprese subito lui. Al punto che la ragazzotta ne fu visibilmente scossa e disturbata; fece subito cenno di alzarsi, ma lui le afferrò di nuovo una mano trattenendola.
La madre era uscita in quell’istante nell’aia assolata, e da lontano vide sua figlia trattenuta per mano dallo stalliere; non capiva che cosa mai stesse accadendo, ma senza esitare un solo istante ella la chiamò a gran voce, urlando: “Hélène! ti stanno aspettando per la torta… vieni subito dentro…”. Si era forse allarmata nel vederli tutti soli in quel luogo.
“Fila veloce, sennò credo ti fa il melone caldo di nuovo…” la sprofondò inaspettatamente lo stalliere, dandole del tu.
“Almeno oggi non hai la gonna…” aggiunse oltraggiandola.
Hélène lo comprese, che quegli provava un gusto insano nel provocarla; senza aver preso per nulla sul serio, tutta la sua frustrazione ed il suo dramma: era rude e superficiale, come solo gli uomini ignoranti sanno esserlo. Ma erano due anni esatti che nessuno l’approcciava, lei era ancora vulnerabile.
Gli uomini sono fatti così, lo si sa: l’aveva fatta intimamente vergognare, ma in fondo provocandola, egli aveva fatto sì che ella non avesse più segreti da celare; si sentì stranamente in quell’istante, nuda di qualsiasi remora o pudore nei suoi confronti. Per la prima volta allora, Hélène gli corrispose.
“Restiamo in contatto?” gli disse; lasciando intendere, che se solamente lui lo avesse desiderato, ella gli avrebbe rivelato il proprio numero di telefono personale, per potersi rivedere.
“Ti ho registrata col nome di Melone Caldo”, chiosò lui; vedendola prima arrossire imbarazzata, e poi allontanarsi un solo istante dopo avergli dettato il proprio numero, una cifra alla volta, stando ben attenta a non sbagliare. Lo stalliere fissò irrispettosamente e in modo insistito, quel famigerato sederone, fasciato dentro a un paio di pantaloni color cachi: parevano quasi scoppiare per via del loro vistosissimo ed ingombrante contenuto. Eppure, gli piaceva immaginarla.
L’ignara Nadine sarebbe partita assieme a Bianca e alle altre sue giovani amiche per la Grecia, quel venerdì stesso; lei era ingenuamente innamorata di lui, a totale insaputa di tutti quanti i parenti e le amiche: era stata già ben iniziata e del tutto ben abituata al sesso. Ma solamente l’attenta Hélène lo aveva saputo intuire, osservando scrupolosamente il modo in cui lei ne ricambiava lo sguardo: era un autentico segreto.
Lo stalliere si fregava le mani al pensiero di potersi divertire un po’ con quella stralunata e abbondante ragazzotta, leggermente cupa e timidamente riservata; aveva saputo eccitarlo non volendolo, con la sua triste storia di dolore.
L’assenza di Nadine gli avrebbe permesso di vederla; decise così come promesso, di chiamarla: 492169687, Melon Chaud.
Terzo episodio
I loro schiamazzi, e i loro ripetuti risolini, avevano attirato l’attenzione di decine di persone; tutti i turisti, esausti dopo l’obbligata visita ai famosi templi sulla collina, discendevano nel punto panoramico, situato precisamente sopra un ardito e scosceso promontorio di roccia scura: di lì si poteva rimirare tutto il profilo della città, a perdita d’occhio.
Nadine indossava un succinto paio di pantaloncini bianchi con una cintura in pelle, ed un leggerissimo top di stoffa del colore della sabbia; tutte e quattro le ragazzine tenevano quel giorno i capelli legati, per via del gran caldo e della continua esposizione al sole: si sarebbero certamente abbronzate e forse pure cotte, senza la loro preziosa crema protettiva.
Gli occhiali scuri perfettamente alla moda, le rendevano ancor più vistose e sbarazzine, mentre alcuni dei presenti occhieggiavano tra di loro, infastiditi dal continuo baccano e dalle loro risate, a volte anche un po’ esagerate e fuori luogo.
La più adulta Mimi, era l’unica diligentemente sobria di tutta quanta la combriccola; aveva una canottierina bianca a macchie scure, ed un pantaloncino nero: guardava le amiche provando a contenerne gli entusiasmi, con un’espressione del viso un po’ ruvida; aveva compreso il fastidio della gente che le osservava, mentre loro ridevano in continuazione.
Chloe volgeva le proprie spalle al bellissimo panorama, vestita con una culotte bianca ed un sottile costume azzurro a ricoprirle i seni piccoli e delicati; era una ragazzina decisamente tarchiata ed arrancava nei suoi zoccoli di legno, assai scomodi per una lunga giornata di escursioni.
Un giovane ragazzo locale di nome Stavros, che arrotondava i conti come guida turistica, era lì vicino a guardarle; mentre la piccola comitiva di stranieri che egli aveva accompagnato, s’era già dispersa in giro a scattare un mare di fotografie.
A pochi metri di distanza da loro, poteva sentirle ridere e schiamazzare, e sulle prime ne fu anch’egli assai infastidito.
Bianca era l’unica ragazzina del gruppo, ad indossare una gonna; una gonnellina a scacchi marrone con le pieghette sottili, sotto una stretta canottierina nera che culminava con una larga spallina, a fasciarle il solo lato sinistro in cima.
Il giovane dovette pensare subito, che quella gonna era decisamente troppo corta per praticare del buon turismo in quei luoghi scoscesi; improvvisamente gli schiamazzi delle ragazzine, avevano ceduto il posto ad una sottile curiosità.
Erano proprio delle stupide oche, dovette pensare lui, mentre fissava insistentemente quella gonnella a scacchi; alcune leggere folate di vento parevano a tratti sollevarla di lato.
Prese il telefono ed iniziò a scattare loro alcune foto: avrebbe forse voluto conoscerle meglio, sapere da dove venivano; poi si alzò in piedi in modo delicato, meditando di avvicinarsi.
Ma in quel momento, un forte sprazzo di vento sollevò completamente la gonna di Bianca: rivelando senza alcun riparo, i due pallidi glutei rotondi del tutto scoperti, col suo filino nero nel mezzo. Non se n’era ridicolmente resa conto, ma tutta quanta la gente alle sue spalle, aveva potuto ammirare quel suo sederotto smaccatamente libero e bianco.
L’inaspettato omaggio convinse del tutto il giovane Stavros, ad avvicinarsi alle quattro ragazzine, che starnazzavavano ancora tutto il tempo: con coraggio e sfacciataggine, chiese di dove fossero; e se interessasse loro, di venir accompagnate da lui: non era bello ma aveva gli occhi grandi e i capelli scuri.
Mimi fece allora cenno di no, mentre sorprendentemente fu proprio Nadine, a chiedere subito quanto costasse; Bianca fissava il telefonino, e lui ne cercava lo sguardo: dalle spalle aveva immaginato che ella fosse decisamente più carina; dietro agli occhiali da sole invece, celava un viso paffuto, piuttosto insignificante con un’attaccatura alta dei capelli.
Nadine acconsentì che venissero accompagnate da lui, e fece in modo di concordare il prezzo e l’orario, a partire dal turno successivo: non appena si fosse liberato dalla sua piccola comitiva di turisti, congedandoli uno ad uno presso l’uscita.
Le quattro ragazzine si spostarono verso l’area di ristoro, con la gonnellina a scacchi di Bianca che non la smetteva di provocare lo sguardo delle persone, ad ogni folata di vento; non stavano più nella pelle, per la loro voglia di perdersi.
Quarto episodio
“Parlo con melone caldo…”. “Perché mi chiami sempre così?”.
Hélène aveva appena iniziato a scrivere il suo primo racconto. Voleva descrivere la sorpresa, il senso di sgomento: il fatto di essere stata punita senza meritarlo.
Avrebbe forse voluto, solo esorcizzare i propri incubi, semplicemente raccontandolo. Le parole inopportune del signor Eric, le avevano scoperchiato un mondo intero di strane sensazioni; suggerendole quello che poteva esserne in fondo, anche il titolo più appropriato: Melone rosso caldo.
Aveva deciso che a riferire tutto, fosse la voce narrante della sua vecchia amica e compagna di banco, Edina Verret. Avevano bruscamente rotto i rapporti, un solo paio d’anni addietro: chissà per quale ragione, Hélène voleva adesso che fosse proprio lei, a riferire per filo e per segno tutta quanta la sua vergognosa storia. Erano i sensi di colpa a sospingerla?
Non contenta, la ragazzotta pensò pure di potersi vendicare nei confronti del fratello più adulto di lei; colui che in passato l’aveva presa in giro, fingendo persino di corteggiarla: aveva intrapreso una lunga carriera militare.
Il racconto esordiva rivelando lo scabroso atto conclusivo: Hélène finiva adescata da lui proprio mentre lavorava come cameriera in un ristorante, nientedimeno che nella bellissima città di Parigi; avendo patito ogni pena durante la sua prima ed umiliante esperienza in tale veste, la ragazzotta si sentiva evidentemente a proprio agio nel semplice ruolo di bonne.
Nell’incomprensibile racconto, la protagonista aveva un nome completamente inventato, Sophie; tutto infatti, l’autrice avrebbe desiderato, tranne che venir riconosciuta dai propri futuri lettori. Tuttavia, per mesi interi non avrebbe mostrato lo scritto a nessuno: se ne vergognava abbastanza.
In attesa di divenire una giornalista e una scrittrice di professione, nessuno avrebbe saputo ancora un bel niente, dei suoi trascorsi e di tutte quante quelle sue sventure. Con una sola ovvia, casuale e fastidiosa eccezione, lui.
Lo stalliere si chiamava Joachim, ma subito pretese che anche lei lo chiamasse Joe, come in un film western americano. Lei, lo attendeva alla Gare des Guillemins in un sabato caldissimo, tutta fasciata in un leggero abitino bianco a fiori: la vecchia casa in Rue Curtois era custodita dalla sola domestica Mabel, essendo andati in vacanza tutti quanti.
“Hai picchiato bene il cavallo?” fu la prima cosa che gli disse Hélène, quando lo vide approcciarsi sul marciapiede, ben memore delle sue maniere forti e decise; lui indossava un paio di pantaloncini rovinati ed una maglia grigia con tre bottoncini aperti in cima, ad esibire una sottile catenina d’oro su tutto il petto scuro: Joe le sorrise e le prese di nuovo la mano. “Ho tutto il giorno libero, ne avremo solo due…” replicò ignorando la sua battuta; al ritorno di Nadine, infatti, non si sarebbero mai più potuti vedere, se non di nascosto.
Hélène sembrava quel giorno, ben più grossa di come lui l’aveva veduta; erano forse quei pantaloni a nasconderla bene, quel pomeriggio in campagna? Infiorettata nel suo discreto e stretto abitino, Hélène rivelava tutta la circonferenza spropositata dei propri fianchi larghi, molli e burrosi. Lui lo constatava amaramente, mentre lei lo precedeva nel Parc d’Avroy completamente affollato: s’era forse già pentito dei pochi spicci investiti per vederla di nuovo? Quella languida e triste ragazzotta abbondante, già non lo attraeva più?
“Avremo solo due occasioni per vederci, a causa di lei… se ho intuito bene…” lo sorprese Hélène. Lo stalliere si rese conto di averle così incautamente lasciato scoprire, nella sua premessa, quale che fosse il loro segreto. Le fece cenno di tacere scrupolosamente: la bambolina avrebbe assolutamente passato dei guai seri, se solo lo si fosse venuto a sapere.
Qualcosa si smosse improvvisamente nel corpo di Hélène; era forse il riflesso di poter immaginare la viziatissima seconda figliastra del signor Eric, alle prese con i guai seri, proprio come quelli che aveva patito lei in passato? “…e …lo fate spesso?” ebbe allora la sfacciataggine di domandargli.
Ripiegarono su una panchina nascosta, dove lei ribadì subito la sua domanda; lui la prese per un orecchio stuzzicandola: “Sei una grande birichina… vuoi sapere proprio tutto vero?”.
Hélène timidamente gli sorrise, era già bella rossa in viso.
“E allora io lo farò… ma sappi che se qualcuno sa qualcosa di me e lei… allora …stavolta la gonna te la tirerò su io”.
Hélène tacque un istante, tenuta sempre per l’orecchio. Sotto la larga mutandina di stoffa morbida che la opprimeva, si era già vergognosamente infradiciata, al semplice udire quelle parole che una volta ancora, le ricordavano di averle prese.
“Lo facciamo sempre nella stalla, quasi tutti i fine settimana, dopo pranzo” le rivelò lui; “…lei è brava …a fare l’amore…” biascicò Hélène, vistosamente eccitata e scossa.
Lo stalliere le mollò l’orecchio, stendendole tutta la mano sulla parte scoperta della coscia, poco sopra il ginocchio largo e rotondo: “Nadine è una ninfomane incallita …tu lo sai cosa vuole dire vero?”; Hélène face cenno di sì con la testa. “Quando siamo da soli, lei impazzisce… le piace molto venire presa vestita da amazzone”. La povera ragazzotta adesso tremava sul serio, sotto il suo vestitino bianco a fiori.
“Con il frustino nella mani, la eccita tenerlo su mentre io…”.
Hélène lo interruppe senza volerlo, sussultando sulle gambe in modo vistoso, a udire quelle parole; poteva immaginarla.
“E… è …è scomodo farlo nella stalla…” domandò lei, deglutendo in maniera intensa e affannata.
“Col cappello in testa e il frustino nelle mani, con il timore di venir scoperti …quasi senza respirare... Sì, scoparla lì dentro non è affatto comodo… sarebbe molto più comodo farlo qui”.
“Qui …dove?” arrossì completamente Hélène.
Per la prima volta lui l’aveva sottinteso, lasciandoglielo forse solo intuire, ma istillandole la pura e semplice suggestione, di poter dedicare anche a lei, la stessa foga e lo stesso impeto. Facendolo proprio in quell’istante, lì dentro al parco.
“Stai scherzando …vero…”.
Evidentemente non scherzava; si era già tirato pensando alla sua bambolina, presa e sbatacchiata bene al buio e nell’odore alacre di quella stalla. Benché la ragazzotta, seduta al suo fianco, non lo avesse affatto voluto notare, i suoi pantaloni si erano leggermente gonfiati al centro, in modo visibile.
Le teneva una mano sulla coscia, come a volerla bloccare trattenendola, fino al punto da vederla scoppiare di calore.
“Con il frustino nella mani, la eccita tenerlo su mentre io le sfondo le chiappe” disse ridendo, e lentamente mosse la mano verso l’alto, scorrendo pericolosamente lungo la morbida carne di Hélène, fino a raggiungere la gonna.
“Adesso levati le mutandine, melone caldo… ti faccio vedere io come si fa”. Lei non gli piaceva, ma era eccitato dall’idea di poterla abusare in un luogo pubblico, in maniera rude e plateale. Hélène gli tolse subito la mano, tremando di paura.
Il Parc d’Avroy era ancora affollato, benché la loro panchina fosse quasi completamente nascosta dagli alberi; un solo piccolo pertugio vi si apriva dinanzi, tanto quanto bastava affinché la ragazzotta provasse infinita vergogna, al solo pensiero di abbassarsi realmente le mutandine in quel luogo.
“Tu sei matto …per chi mi hai presa?” sussurrò lei a bassa voce, quasi avesse persino paura di farsi sentire.
“Non ti ho ancora presa… “, rispose lui ridendo. “Ma voglio rimediare subito: adesso giù quelle mutandine …melone…”.
Quelle erano le conseguenze di voler essere uscita, con un rude ed ignorante stalliere: un volgare ragazzo di campagna.
Hélène non lo avrebbe fatto, per nessuna ragione al mondo; benché sotto la gonna sentisse tutto il ventre tremarle, non lo avrebbe fatto. Si era preparata immaginando forse, di poterlo persino baciare: ma di certo non avrebbe fatto nulla, in un luogo pubblico, lì nel mezzo al parco; davanti a tanta gente.
“Adesso giù quelle mutandine …melone…”. Lei non voleva.
Quinto episodio
Le ragazze desideravano di venire accompagnate al mare; la guida pretese allora il doppio dei soldi, dal momento che sarebbero servite almeno due ore, per andarvi e poi tornare.
Nadine aveva preso il comando delle operazioni, rivelando anche una malcelata simpatia, per quel ragazzo greco che con buona iniziativa le aveva sapute adescare; le altre sue amiche, la seguivano pedissequamente lungo la strada, non smettendo mai di ridacchiare tra di loro. L’unica attenta e vigile era sempre e solo, la solita Mimi, che adesso osservava con un filo di preoccupazione tutta quanta la vicenda.
Giunte alla stazione della metropolitana presso il mercato, quest’ultima con una risoluzione inattesa, decise di voler rincasare da subito; il piccolo appartamento che avevano preso in affitto, si trovava dalle parti del Colle delle Ninfe: un vicino luogo, il cui nome doveva averle ispirate. Mimi disse loro di essere molto stanca; aveva forse intuito, come quella casuale faccenda dell’accompagnatore, potesse in realtà aver già preso una piega differente e per lei del tutto sbagliata.
Le sue amiche provarono tutte a dissuaderla, inutilmente; Mimi diede loro appuntamento presso la loro dimora, immaginando di vederle tornare prima del tramonto.
Lungo tutto il tratto della metropolitana, Nadine pendeva letteralmente dalle labbra di Stavros: questi parlava bene in inglese e la conversazione tra di loro era assai gradevole e vivace, interessando argomenti di storia antica ma anche divagazioni varie nel campo del teatro e della cultura. Lui aveva studiato storia dell’arte e s’era laureato da oltre sei anni; a Nadine piacevano moltissimo i suoi occhi grandi.
Sedute leggermente di lato, Chloe e Bianca parevano fin troppo distaccate; tra loro non v’era mai stata vera amicizia, e la piccola bionda di Amay riteneva che Bianca fosse poco più che un semplice cagnolino, di scorta al loro seguito.
Giunsero dopo oltre venti minuti di viaggio, al luogo con tutte le barche attraccate in un pittoresco porticciolo; quando Nadine chiese di dissetarsi su una piccola terrazza, Chloe e Bianca erano già finite qualche decina di metri indietro: si stavano già disperdendo nella folla, allontanandosi da lei e dalla loro guida; fu lì che il telefono di Bianca, squillò.
Sua madre Dominique con Benoît, avevano casualmente incrociato Mimi in un piccolo pertugio del mercato, non lontano dal luogo ove ella s’era separata da tutte loro; lei era piuttosto scocciata dal fatto, che le ragazzine si fossero affidate ad una sconosciuta guida locale per proseguire il loro giro turistico: “Chi è quell’uomo che vi accompagna?”.
Si fece promettere dalla figliola, che l’avrebbe avvisata non appena fossero rincasate presso il loro appartamento. Mimi le aveva anche fornito l’indirizzo preciso, per sua maggiore tranquillità: Apolloniou, 16.
Stavros aveva offerto a Nadine un liquore tradizionale molto forte, e qualcosa tra di loro sembrava rivelare oramai, un’inattesa alchimia; come spesso accade in questi casi, le due ragazzine più piccole erano state relegate al ruolo di semplici damigelle di compagnia. Il venticello del porto aveva ripreso a scombinare i loro capelli legati, mentre leggermente inebriate anche loro da quell’ottimo liquore al sapore dell’anice, esse intraprendevano un po’ pigramente un nuovo cammino alle spalle di lui. Parevano già stanche.
Percorsero a piedi il tratto panoramico lungo tutto il lato delle barche, fino alla spiaggia di Freatida che distava poco più di due chilometri; davanti a loro, già Nadine e Stavros avevano preso a tenersi per mano. Il sasso era rotolato, ed era oramai evidente come tra lei e lui, fosse sbocciata ineluttabile una forma ben visibile, e percettibile, di passione.
Bianca riprese a scattare alcune foto, dalla spiaggia, immortalando spesso Chloe che rideva, e l’altra sua amica oramai compromessa, stretta abbracciata assieme alla sua guida greca di incerte origini. Lui pareva abituato a quel tipo di situazioni, chissà quante altre giovani turiste egli aveva conosciuto, e accompagnato lì. Adescandole in modo simile.
Mentre Bianca scattava tutte quelle foto, la sua gonnellina aveva ripreso a sollevarsi, mossa dal venticello che proveniva dal mare aperto; ad un certo punto se ne rese finalmente conto, bloccandola goffamente con una mano. Ma già Nadine e Stavros l’avevano veduta e derisa per le sue chiappotte bianche: “Stai facendo vedere il culo a tutti!” le urlò lei alle spalle, facendola arrossire. “E tu… che cosa ti guardi con quegli occhi lì… è la mia amica…” aggiunse poi ridendo verso il suo accompagnatore. Creando così un buon presupposto, per un vero ed irresistibile bacio alla francese.
Presa in giro, Bianca si era vagamente chiusa in sé stessa; adesso arrancava alle spalle di Chloe e degli altri due, che camminavano abbracciati: fissando tutto il tempo il proprio telefonino; tratteneva sempre la gonna con una mano per non farsela sollevare dal vento, e si sentiva indesiderata e ridicola. Sua madre, nel frattempo, aveva già provato a chiamarla di nuovo, senza che nemmeno lei se n’avvedesse; tra l’incessante e rumorosa risacca delle onde del mare.
Apolloniou, 16.
Sesto episodio
Aveva deciso fermamente di non volerlo accontentare.
Quel rude stalliere, aveva rivelato fino in fondo tutta la sua volgarità, ed il proprio insano istinto animale, provandoci con lei. Hélène era infastidita dalla sua proterva insistenza, mentre dentro al ventre, ella non poteva smettere di tremare.
Ma gli occhi le caddero inesorabilmente sui pantaloni rigonfi di lui: fu lì che egli le afferrò una mano avvicinandola pericolosamente. “Almeno carezzalo …o sei una buona a nulla…” le disse con tono lievemente offensivo, facendola lentamente ruotare con il busto, tanto quanto bastava. Adesso la schiena larga di Hélène con il suo vestitino leggero, creavano una barriera allo sguardo dei passanti.
Si aprì la cerniera, sotto non indossava nemmeno le mutande; Hélène inorridì nel comprendere che avrebbe desiderato di venire masturbato in quel luogo. Lo stalliere si aprì anche il piccolo bottone in cima, per faciltarle il compito.
La ragazzotta, a quel punto, non poté fare null’altro che avvicinare la mano tremolante, stringendolo: non aveva mai fatto nulla di simile, davanti allo sguardo di altra gente.
“Sei davvero una buona a nulla…” insistette lui, ma intanto si vedeva come la mano delicata di lei, stesse iniziando a provocargli del lento piacere. La cinse da dietro per i capelli, avvicinandole in modo perentorio, il viso al suo; poi, senza aggiungere null’altro, improvvisamente la ricompensò infilandole tutta quanta la lingua calda dentro alla bocca, fino in fondo, facendola sussultare di emozione. “Ooooh…”.
Era il quarto uomo che lo faceva, anche se erano stati solamente in due, quelli che se l’erano portata a letto.
Tenuta stretta dietro alla nuca, con la lingua di lui infilata dentro la bocca, Hélène aveva smesso improvvisamente di masturbarlo. Quegli le impose di riprendere il lavoro, afferrandole il polso; ed Hélène obbedì, provando questa volta una sensazione ben diversa, di degrado e perdizione.
Veniva trattenuta con irruenza, e nel frattempo era stata costretta a masturbare quel volgare stalliere: il sesso di lui era completamente stretto, trattenuto dalla sua mano soffice, già ricoperto di umori fradici e sporchi; era arcuato e caldo.
“…ancora… continua… che poi ti ci devi sedere sopra…” sussurrò all’improvviso, facendole raggelare il sangue nelle vene; era eccitato mentre Hélène affondava nella vergogna.
Di sano istinto, la scellerata decise che avrebbe preferito farlo godere subito, per evitare di incorrere in conseguenze ben peggiori; aumentò così la rapidità della sua mano, sentendolo tremare nella sua presa, turgido e gonfio. Come tutte le ragazzotte della sua età e di altrettanto buona famiglia e tradizioni, Hélène era infatti dotata di moderazione e educato senso del pudore; ma anche di un ventre molle che la trascinava disperatamente verso la fine.
Joe spalancò la bocca reclinando in basso la testa, allontanandola da lei; mentre con la mano libera si mosse in modo indelicato, fino ad arpionare per intero il retro della gonna, strizzandole tutto il culone nella sua mutandina, nascosta di sotto. Palpeggiandola senza alcun rispetto.
La poveretta immaginava bene, che qualcuno potesse in quell’istante vederli, ed ebbe un nuovo sussulto di vergogna: ma non smise di masturbarlo, dal momento che sperava di farlo esplodere in fretta; e si rendeva conto, che la eccitava in modo scriteriato, vederlo godere fino all’orgasmo per causa sua. Lo stalliere intanto, non certo appagato, continuava a sondarle le dimensioni e la sostanza del sederone, stringendone le rotondità in modo oltraggioso e svergognato, lungo tutto il tessuto posteriore della gonna.
Si era preoccupata di poter essere vista mentre lei lo masturbava, mentre ora diverse coppie di passanti, potevano invece facilmente notare la manona di lui, che in un modo impertinente ed insistito, indulgeva nel palparle il sedere.
Lo stalliere riprese a compensarla, mentre Hélène proseguiva imperterrita a curarlo con la mano: adesso vibrava dei colpi assai più decisi, in modo quasi disperato, nel vano tentativo di farlo esplodere; fino al punto in cui lui decise infine di fermarla, bloccandole il polso e allontanandole il viso.
“Vai lì dietro e togliti le mutandine” le disse lui, indicando un luogo ancor più nascosto.
“Ma… ma possono vederti…” balbettò Hélène; si preoccupava per la vergogna di lui, ma in realtà era terrorizzata dal fatto di dovergli obbedire. “Hai combinato un pasticcio… e adesso devi mettere le cose a posto …melone…” le disse alludendo visibilmente al proprio membro, che troneggiava come una grossa mazza minacciosa, turgida e dura, in mezzo ai suoi pantaloni aperti.
Aveva provato a farlo finire; ma invece adesso, come tutto risultato, Hélène aveva preparato la tavola in modo eccellente ed esemplare, apparecchiandogli la festa: nel modo non troppo scomodo che lui aveva inizialmente paventato.
“Non posso …mi vergogno…” biascicò sconsolata lei; pareva quasi afflitta dal fatto di essere intimorita, dalla ritrosia e dalla paura. “Se non te le abbassi subito, lo faccio io… forza! sbrigati, corri…”; lo stalliere aveva fretta, voleva concludere per bene il pastrocchio che lei aveva contribuito a creare.
Hélène non si mosse, e allora lui spazientito la tirò leggermente su per un braccio, facendola docilmente girare sulle caviglie e sulle piccole scarpette. “Mi chiedevi del cavallo? Con lui… faccio così!”, e con la mano ben aperta, le fece schioccare per intero tutto il sedere, lasciandola incredula ed attonita, stordita dal rumore secco e ovattato.
Sciaff!
Hélène filò muta dietro il cespuglio, e quando ne uscì dopo mezzo minuto, era completamente rossa in viso; le sue larghe e morbide mutandine bianche erano finite nel piccolo borsello, e sulla superficie rotonda del sedere, poteva avvertire ancora il calore di quel nuovo, inatteso sculaccione.
“Con te funziona così allora… per farti muovere il culo, servono botte!” la derise, mentre Hélène franava lentamente; “…proprio come il cavallo… botte, e poi dentro!”.
La ragazzotta non avrebbe voluto, non avrebbe nemmeno potuto immaginarlo, di poter finire ridotta in quel modo, definitivamente vinta; lo stalliere la provocava di continuo, offendendola e trascinandola in fondo al baratro: ma obbedì montando a cavalcioni sopra di lui, mentre quegli con due mani continuava a tenersi nascosto il membro. Gli fu sopra, e lui le ripose giù la gonna in modo che il sederone di lei, mollo e ancora scosso, risultasse ora ben nascosto agli sguardi.
Lo cinse attorno ai fianchi, ed Hélène sentì a quel punto la massa di quell’oggetto così viscido e nodoso, muoversi oltraggiosamente sotto il suo addome; era da più di mezz’ora che lei era umida fradicia, non era affatto riuscita a contenersi: a quel punto lo stalliere infilò la mano destra sotto alla gonna, potendo constatare bene, che non servivano preliminari. “Allora sei una birichina… una grossa maiala…”.
“… botte, e poi dentro!”. “Ooooooooo…”.
Era stata penetrata in modo perentorio e deciso; iniziò a muoversi lentamente, dapprima tenendosi le mani sulle ginocchia; poi prese invece a rimbalzare dolcemente, poggiandole sopra le spalle di lui, avvolte nella maglietta grigia. Gli si era completamente consegnata senza parlare.
I suoi movimenti visti da dietro e da lontano, erano inequivocabili; Hélène si stava facendo scopare su una panchina in mezzo al parco, da un volgare ragazzo di campagna: qualcosa di cui avrebbe dovuto vergognarsi.
Ma era stata trascinata e dominata, senza nessuna possibilità di evitarlo; mentre cavalcava il suo stalliere, la ragazzotta aveva preso a sudare sotto il suo vestitino bianco a fiori; le piaceva, eccome se le piaceva, venire presa in quel modo.
“… botte, e poi dentro!”. “Ooooooooo…”.
“… botte, e poi dentro!”. “Ooooooooo… ooo”.
Settimo episodio
Ecco quello che stava per accaderle.
Bianca si sentì trasportata indietro, non capiva perché era finita così anche stavolta, ma era scellerata ed ingenua.
Abbandonarono la spiaggia, camminando in modo svagato e lento lungo il faticoso tragitto percorso all’andata. Nadine e Stavros se ne stavano sempre abbracciati, ammiccando e scherzando; Chloe li seguiva con la sua culotte bianca ed i suoi sandali in legno, che facevano un discreto rumore lungo tutta la via; mentre la terza ninfetta, tenendosi una mano aperta sulla sua gonnellina a scacchi per non farsela sollevare dal vento, continuava a fissare il proprio telefonino.
La batteria si stava già esaurendo dopo un’intera giornata trascorsa a scattare fotografie. Bianca non aveva voluto richiamare sua madre, per non consumarne ulteriormente il resto; le aveva solo scritto un messaggio tranquillizzandola, senza che però venisse tuttavia letto: nel frattempo erano già arrivate le sei del pomeriggio, il sole non era più così caldo.
“Vi porto in autobus ad Alimo, lì vive mia madre, ed è un posto bellissimo” disse Stavros a Nadine e Chloe, una volta giunti presso il porto da cui s’erano inizialmente allontanati; le due ragazzine sciaguratamente accettarono, a patto di non dover pagare nulla di più, di quanto già stabilito. Bianca li raggiunse dopo quasi due minuti e comprese subito, che quella decisione era già stata presa, senza di lei: la bambolina non aveva alcuna intenzione di separarsi dalla sua guida, e lui ne era conscio fino al punto di volerne approfittare.
Il viaggio non fu affatto breve: dovettero dapprima spostarsi a piedi, per poi salire su un autobus pieno di gente. Le ragazze si resero conto che il percorso proseguiva nel leggero entroterra; Stavros aveva già rivelato a Nadine, la sua esplicita ed irriverente proposta: di poterla ospitare dentro la vecchia casa della madre; ma non le aveva affatto detto, che quella casa sarebbe stata perfettamente vuota.
Le ragazze se ne sarebbero accorte loro malgrado, quando videro che la loro guida non suonava al campanello, sul lato della strada; aprendo il cancello, estrasse le chiavi di casa.
Nadine riprese ad ammiccare blandendolo, aveva perso completamente di vista il rischio di quello che stava facendo; mentre anche Chloe stranamente appariva incuriosita dalla pericolosa situazione. Bianca invece, chiese solo di poter caricare il proprio telefonino, ma il ragazzo non possedeva in quel luogo alcun adattatore che potesse funzionare bene.
“Hai visto quante camere che ha?” sussurrò Chloe nell’orecchio di Bianca, mentre Stavros andava ancora inutilmente cercando un qualcosa per ricaricarle il telefono; anche Nadine aveva quasi scaricato il suo, mentre quello di Chloe non era abilitato per le chiamate internazionali.
Tre ventenni distratte ed imprudenti, erano state trascinate fin dentro casa da parte di un perfetto sconosciuto; a circa dieci chilometri dal centro della città dove sarebbero dovute urgentemente ritornare. Se solamente la signora Dominique lo avesse saputo, sarebbe certamente caduta in uno stato di grandissima agitazione: Bianca lo immaginava assai bene.
“Tua madre non vive qui?” chiese Nadine; la bambolina iniziò ad intuire l’impiastro oramai ovvio: lui le aveva condotte fin lì, sapendo bene che la casa era vuota; Stavros senza imbarazzi le rivelò che quella casa era infatti disabitata da mesi. Sua madre era solamente nativa di quel luogo.
Si poteva notare una certa incuria nei dettagli, ed anche un bel po’ di polvere in giro, oltre ad alcune vistose tracce di sporco, ben visibili sul pavimento. Chloe chiese di poter restare in cortile per fumare una sigaretta, era tutto il giorno che non lo faceva per non dar fastidio alle sue amiche.
Bianca si soffermò a guardare una piccola libreria in legno.
Era incuriosita dai libri scritti in greco, ricordava di avere visto qualcosa in passato a scuola, e cercava inutilmente di ricordare quali fossero le opere di cui tutti parlavano.
Ad un certo punto, la ragazzina si rese conto che tutti quanti gli altri erano spariti; la casa sembrava vuota, ed il sole del tardo pomeriggio illuminava gli interni di lato, rivelando la polvere sul pavimento ai piedi del vecchio mobilio; si mosse lentamente verso una piccola scala tenendosi una mano sulla gonnellina: anche se nessuno l’avrebbe potuta vedere, l’era tuttavia rimasto addosso, un senso di pudore e di vergogna.
Il soppalco aveva il tetto basso, lì sopra faceva decisamente molto più caldo; da una finestrella chiusa Bianca vide Chloe che fumava tutta sola nel cortile: era poggiata al muro nudo in mattoni, piegata con tutte le braccia ben strette sul busto, avvolto solo dal suo striminzito costumino azzurro.
Si mosse ancora attraverso un pertugio, sentendo sempre più caldo, con le cosce che adesso le strusciavano molli per via del sudore; si stava avventurando in giro per la casa.
Giunta in fondo al corridoio, udì improvvisamente alcuni rumori; ristette subito sulle ciabattine, leggermente trafelata.
Ooof…
Non erano semplici rumori, ma piuttosto, languidi sospiri; dopo pochi istanti, senza più alcun dubbio, riconobbe il timbro delicato della voce di Nadine: un piccolo vagito afono, e nulla di più. Che cosa le stava succedendo?
Un altro timido vagito, e poi un urletto più lungo e intenso; come in un moto di lenta sofferenza: “Ooooo… uh …ooh”.
Bianca non aveva mai, nemmeno lontanamente pensato, al sesso; era una ragazzina diversa da tutte le altre: ai tempi della scuola veniva persino presa in giro. Adesso invece, ella poteva assistere incredula, a ciò che per anni mai aveva nemmeno osato minimamente immaginare: la sua amichetta del cuore stava facendo, indubbiamente e in modo assai sfrontato, l’amore con quel ragazzo. “Ooooo… ooh…”.
Nadine incedeva con i suoi urletti, mentre di Stavros non si poteva udire quasi nulla, se non ogni tanto, un lontano e profondo respiro; saltuariamente, la cinta dei suoi pantaloni rimbalzava sul pavimento, in modo disordinato: in quei momenti, Nadine aumentava l’intensità dei propri sospiri.
Bianca si era piegata sulla parete di lato, nell’anticamera poco illuminata, e sentiva molto caldo; la sua borsetta era rimasta al piano di sotto ed il suo telefonino aveva squillato per la terza volta. Adesso sentiva le cosce che le tremavano.
Chloe fece rientro nel salone senza trovarvi più nessuno; a quel punto la scellerata Bianca la poté udire dal piano di sotto, che invocava il suo nome con una certa insistenza: l’incedere dei sospiri di Nadine, la teneva tuttavia interamente bloccata sui piedi, avvolti nelle sue piccole ciabattine nere, ad ascoltare tutto quel vergognoso spettacolo.
“Oooo …ooooh… oo”.
Chloe prese anch’ella a salire arrampicandosi sulle scale, continuando sempre ad invocare il nome di Bianca; e costei presto la vide comparire dall’altro lato nel corridoio: i loro occhi si incrociarono in maniera strana, quasi colpevole; il gioco aveva evidentemente superato il limite.
La bionda di Amay se ne rese subito conto, dal modo in cui Bianca tremava; fece un passetto in avanti, e poté udire anch’ella, quei delicati sospiri provenire da dietro la porta.
“…oo …ooooh”.
Adesso la bambolina Nadine arrancava con degli urletti più acuti ed intensi; sembrava un incedere inesorabile e lento, uno sforzo incontenibile per non cedere definitivamente allo sprofondo del piacere. Le due ragazzine non immaginavano nemmeno, che ella avesse già potuto perdere la verginità in passato; Chloe da parte sua, non lo aveva ancora fatto.
“Devo …andare in bagno…” sussurrò quest’ultima a Bianca, in modo stranamente ed incomprensibilmente imbarazzato; e traballando vistosamente, ella si spostò ancheggiando attraverso tutto il pertugio. Trovò il bagno con un po’ di difficoltà, al piano di sotto; si chiuse subito la porta alle spalle, prendendo di mira la sua culotte, in modo scomposto.
Nadine e Chloe erano separate dal soppalco, una sopra l’altra; mentre entrambe in maniere del tutto differenti, sprofondavano lentamente senza possibilità di salvezza.
Erano passate le sette e mezza di sera, quando Chloe fermando tardivamente la sua mano impazzita, bloccata ed incaprettata sulla tazza, veniva impetuosamente giù; la culotte discesa sui sandali in legno, e le mutandine azzurre strette attorno alle caviglie, erano tutto ciò che la vestiva.
“Ooooooo…”.
Bianca non poteva immaginarlo, che nemmeno l’altra sua compagna di viaggio, avesse saputo resistere alla follia; lei era invece sempre immobile, ferma ad ascoltare il tonfo di quegli strani colpi lungo la parete, senza muovere un dito: i sospiri incessanti di Nadine, le ricordavano ora il verso delle giocatrici di tennis, quando colpiscono la pallina.
“Uh! …ooooo! …uh…”.
Improvvisamente, un vagito intenso e gutturale, completamente differente dagli altri, seguìto dal ripetuto sbatacchiare della cintura su tutto il pavimento, fecero intendere alla scellerata Bianca, che era giunto il momento di allontanarsi di fretta; aveva paura di venire scoperta. Stavros aveva appena completato la sua opera, dopo un lunghissimo e dedito lavorìo ai fianchi, regalando a Nadine uno degli amplessi più belli di tutta quanta la sua giovanissima vita.
Anche Chloe era salita di nuovo sulle scale, fermandosi leggermente più indietro, ma continuando ad ascoltare gli imbarazzanti vagiti della loro amica. Era vistosamente scossa da ciò che aveva combinato poco prima, seduta sulla tazza: un poco se ne vergognava, non era certo abituata a chiudersi nel bagno nelle case altrui; vi era caduta vergognosamente.
“Ooooooo…”.
Discesero lente al piano di sotto senza parlare; sapevano entrambe che quel gioco aveva tracimato oltre ogni limite ragionevole, e adesso non avevano nemmeno il coraggio di guardarsi. Fuori dalla finestra, il sole era divenuto torbido e la luce rossastra in mezzo al salone polveroso, preludeva indubbiamente al tramonto; accesero la luce di una piantana nei pressi della libreria e Bianca riprese il proprio telefono.
“Per quale diavolo di ragione non mi rispondi”; questa volta Bianca aveva richiamato sua madre. Anche Chloe, seduta dall’altro lato del salone, dovette intuire che la donna era compostamente ma fermamente adirata verso la sua figliola; “Ma… mamma, ho poca batteria…” biascicò lei, per poi sentirla replicare: “Non me ne frega niente della batteria, dove diavolo ti trovi?”.
Non fece in tempo a ribattere, che già il suo telefonino l’aveva definitivamente abbandonata. Bianca avvertì un lungo brivido freddo, su tutta quanta la schiena, quando osservando lo schermo tutto nero, ella se ne rese conto: come mai avrebbe potuto avvisarla, che stava per rincasare?
Avrebbe forse potuto adoperare il telefono di Nadine? Dal piano di sopra non si udiva più nulla.
Rimasero per quasi mezz’ora sedute nel salone senza parlare, in religioso ed imbarazzato silenzio, mentre il buio era sceso tutto intorno; solamente a quel punto si udirono finalmente dei passi lungo le scale, incerti e lenti.
Vestito unicamente con una maglietta e le mutande, Stavros era sudato e spettinato; le due ragazzine furono assai impressionate nel vederlo, egli tradiva fino in fondo l’irruenza dello sforzo intenso che aveva dovuto sostenere.
Si rivolse a Bianca e Chloe con tono di voce freddo, quasi formale, in una maniera che strideva col suo aspetto trasandato: “La vostra amica vuole restare a dormire, mi ha detto di dirvi che se volete, potete ritornarvene sole a casa”.
Fu una doccia fredda improvvisa per le due ragazzine, che avevano passato quasi due ore in quel luogo, solo per accompagnare lei ed assistere in modo inerte, alla penosa recita, nella quale lei godeva come una scimmia alle loro spalle; per poi venire ora congedate in modo rapido e inelegante. Chloe chiese di poterle parlare, ma Stavros le rispose negandola: “Si è già addormentata sul divano, non vuole essere svegliata, mi ha detto di salutarvi”.
Un velo di preoccupazione scese sulle due ragazzine; Bianca avvertiva una grande urgenza di richiamare sua madre, ma non ebbe il coraggio di chiedere a Stavros di farlo col suo telefono; si adoperarono piuttosto per chiamare un taxi che le riportasse prima possibile fino al centro della città.
Ma immediatamente si resero conto, che non aveva senso cercarne uno; la linea era sempre occupata e presto si arresero. Il sabato sera, nessun taxi era disponibile per essere prenotato, e nella remota area periferica in cui si trovavano, reperirne uno sarebbe stato veramente difficile.
Stavros era mezzo nudo e non avrebbe certamente potuto accompagnarle, né tantomeno lasciare Nadine da sola: era evidente, che se la sarebbero dovuta cavare in qualche modo.
“Andate fino a Lambrakis con la corriera, non ce ne sono molte a quest’ora, temo… dovrete per forza aspettare un bel po’. E poi prendete la metropolitana da lì: al massimo alle dieci e mezza sarete in pieno centro… mi dispiace…”.
Adesso Bianca doveva chiamare sua madre; si fece coraggio e domandò a Stavros se potesse farlo col suo telefono. Ma non fu affatto una buona idea: la signora Dominique domandò a più riprese dove si trovassero, ed esasperata ordinò alla figliola di passarle il proprietario del telefono.
La madre di Bianca non parlava un buon inglese, mentre la voce di Stavros era pigra e disinteressata; la ragazzina capì che si stava materializzando un grosso pasticcio, quando udì la voce della donna, riferirle che il suo compagno Benoît l’avrebbe aspettata tutto il tempo presso la loro dimora. Era davvero preoccupata ed aveva perso la pazienza con lei.
“Tua madre è sempre così ansiosa con te? …cosa sarebbe mai successo, se non si fosse trovata qui in Grecia anche lei?” le domandò Chloe, mentre in una strada buia percorsa da numerose macchine coi fari accesi, le due ragazzine nei loro indumenti leggeri attendevano la corriera, sotto la luce giallastra di una fila di vecchi lampioni al neon.
Bianca non rispose, aveva capito di averla combinata veramente grossa anche stavolta. Chloe insistette: “Ma ti tratta sempre così?”; voleva forse deriderla indulgendo in modo impietoso, con le sue domande curiose e impertinenti.
“Non avranno mica scelto di venire fin qui per controllarti?” la affondò una volta per tutte; Bianca non ci aveva mai pensato, ma forse era davvero proprio così: non si fidavano affatto di lei, la ritenevano stupida e incapace di gestirsi. E anche stavolta, lei aveva fatto in modo di dare loro ragione.
Ottavo episodio
Hélène stava sudando come un femmina in calore, e si agitava sobbalzando sulle due ginocchia in modo scomposto: lo stantuffo duro e caldo di Joe la stava facendo letteralmente impazzire; la ragazzotta cavalcava il suo stalliere, infilzata in mezzo alle cosce, travolta da un mare di liquidi, e posseduta per bene. Era imbambolata, una scena davvero impietosa.
Lo stalliere la reggeva per i fianchi, lasciando che fosse lei ad agitarsi e scuotersi tutto il tempo; era strano, pensava lui: una ragazzotta così timida ma vogliosa, fino al punto da apparire persino disperata, nel modo in cui rimbalzava sopra di lui. Era da più di due anni che nessuno la stracciava, lo si poteva ben intuire dal modo in cui la poveretta godeva.
“Con il frustino nella mani, la eccita tenerlo su mentre io…”; e questa volta era toccato a lei, di sottostare al trattamento.
Travolta dalla voluttà, Hélène s’inarcò leggermente in avanti con la schiena: dal momento che le due mani dello stalliere la reggevano sempre per i fianchi, ciò fece sì che il vestitino le si sollevasse candidamente sul di dietro, in modo indiscreto.
Adesso la situazione aveva veramente oltrepassato il limite della vergogna: benché nessuno avesse la velleità di avvicinarsi, da lontano si poteva intravedere la pelle molla dei glutei ingombranti di lei, rimbalzare ininterrottamente. E a fissarla bene, anche quella mazza di carne imposta nel mezzo, ferma e lucida che la puntellava. Finirono in molti per additarli, con vivace e morbosa curiosità: non era certo uno spettacolo normale cui assistere, in un luogo pubblico.
“… botte, e poi dentro!”. “Ooooooooo…”.
“… botte, e poi dentro!”. “Ooooooooo… ooo”.
Lui fece quello che non doveva assolutamente fare: le afferrò i glutei scoperti con le mani, rendendo ancor più visibile la parte bassa di quel sederone enorme e gonfio. Adesso la ragazzotta era completamente domata, sospinta sui glutei e sbatacchiata in mezzo alle gambe, senza alcuna possibilità di sfuggire alla presa; accelerò, spalancando la bocca. Puzzava.
“Ooooooooo…”.
Cavalcava in modo intenso ed affannato, con le mani strette intorno al collo di Joe, pregandolo di insistere e di non fermarsi mai. Lui adesso la guardava sorridendo, non poteva davvero credere a quello che faceva: era una maiala, pensava.
La ragazzotta prese a sbattere con tutto il grembo, scendendo sopra di lui con degli scatti incontrollabili ed improvvisi, schiudendogli il pene ogni volta in modo sempre più profondo, senza nemmeno rendersi conto che avrebbe potuto sentirlo presto scoppiare; non aveva nemmeno la prudenza di evitare un possibile pasticcio.
Disperata intuì che stava per finire, mentre le mani di lui le stringevano i due glutei dilaniandoli, sotto il vestito che per sua buona sorte, era gentilmente ricaduto in basso ricoprendole tutta quanta la vergogna. Ma inarcò la schiena sempre di più, sentendo che in quel modo, lui batteva in modo diverso, strusciandola in modo greve, trascinandola inesorabilmente sul fondo. Stava godendo come una vacca.
“Ooooooooo… ooo”.
Lo stalliere riuscì a liberarsi un solo istante prima di combinare il disastro; la ragazzotta sul più bello, sentì la vagina svuotarsi, morbida e completamente dilatata: una colonna durissima di carne bollente la serrava su tutto il lato posteriore del sedere, dritta in mezzo ai glutei, segnati dalla fatica e dal grande sudore di quell’inattesa cavalcata; istintivamente fece due rimbalzi indietro, sentendo quell’oggetto imperioso aprirsi e schiudersi per bene.
Un nuovo gioco, mai provato prima: adesso la scellerata rimbalzava tenendolo appiccicato al sedere, assicurandosi che quel membro oltraggiosamente rigonfio ed eretto, continuasse a muoversi mentre lei saliva e scendeva; lo stalliere non poteva credere a quello che lei stava facendo, oramai era caduto anch’egli nella morsa del piacere: le mise entrambe le mani sulla gonna, afferrandola da dietro. Poi aprì anch’egli la bocca, era sul punto di scoppiare.
Se la sbattè sulle ginocchia a sua volta, in modo inerte, e trattenendola; poi finalmente, senza alcun preavviso, le esplose sotto alla gonna e lungo tutta l’enorme estensione del sedere, più fradicio e bollente che mai, ansimando e cercando inutilmente di non farsi notare dai passanti.
“Uuuuuuh…”.
Le disse trattenendola ancora a fatica, mentre continuava ininterrottamente ad eiaculare: “…hai …veramente un …melone caldo… caldissimo… che razza di melone …uuuuh”.
L’aveva scopata, aggiungendola così al suo lungo elenco.
Noncurante degli sguardi della gente, Hélène si inarcò una volta ancora, dilatandosi le chiappone esauste con le mani, infilate disotto alla gonna; le bastava il solo pensiero, la sola fantasia, d’essere stata appena sbattuta in un luogo pubblico: per trascinarla definitivamente fino all’ovvia conclusione.
Le sue piccole mani, con l’anellino ricevuto dal suo precedente fidanzatino infilato bene al dito, spalancavano tutto il suo citato melone: Hélène crollò dopo pochi istanti, gocciolando come una fontanella, infradiciandogli tutti quanti i pantaloni di sotto, e sporcandolo così, in modo davvero inopinato e vergognoso. “Ooooooo… nooooo”.
“… che razza di maiala…” recitò lui, mentre senza troppa gentilezza la prendeva su per un braccio, costringendola ad alzarsi. Hélène era tutta sudata, aveva ripreso a vergognarsi.
Ma fu in piedi sopra di lui, ricoprendolo per una volta ancora, mentre lo stalliere a fatica si richiudeva i pantaloni nascondendosi tutto il membro; le sue dimensioni erano ora ben diverse, rispetto a quando lei l’aveva inizialmente curato;
preparandogli la tavola per bene.
Sedettero per alcuni minuti senza guardarsi e senza nemmeno parlare; la ragazzotta sarebbe rincasata con le sue mutandine infilate dentro alla piccola borsetta nera, dopo averlo accompagnato a riprendere il treno delle sette.
Si vergognava di sé stessa al punto da dubitare fortemente, di volerlo realmente incontrare di nuovo, al successivo sabato: magari per l’ultimissima volta. Ma sarebbero bastati pochi giorni per chiarirle definitivamente tutte le idee.
Non le interessava che fosse ricco, o che fosse intelligente; lei voleva uno che sapesse farla vergognare di nuovo in quella maniera, proprio così come aveva fatto lui. Si era innamorata senza volerlo, dello stalliere dell’amichetta di sua sorella: anche se non lo avrebbe confessato veramente a nessuno.
Nono episodio
“Ooooo… uh …ooh”.
“Ooooo… ooh…”.
“Oooo …ooooh… oo”.
“…oo …ooooh”.
“Ooooooo…”.
“Uh! …ooooo! …uh…”.
“Ooooooo…”.
Bianca aveva assistito per la prima volta in tutta quanta la sua vita, ad un atto di sesso. Provava un sentimento strano, di ansia e di disagio: ma non era verosimilmente dovuto, o forse solo in parte, a questa sua curiosa esperienza; cupa e silenziosa, la ragazzina non riusciva a capire realmente che cosa la turbasse così tanto: sentiva che qualcosa era sul punto di accadere con lei. Ma non avrebbe saputo dire cosa.
Finalmente la corriera era arrivata, quando oramai era tutto buio intorno; Bianca e Chloe apparivano esauste dopo la lunga giornata, culminata nell’interminabile attesa, tutte sole in mezzo alla strada: si sedettero in fondo al corridoio, avrebbero dovuto viaggiare diritto fino all’ultima fermata, per cui non occorreva domandare a nessuno, dove scendere.
Durante il tragitto, furono avvicinate da tre uomini con caratteristiche del volto di chiaro stampo magrebino, che per loro fortuna parlavano pochissimo l’inglese; ma tanto bastava, per spaventarle ulteriormente: s’erano cacciate in un bel guaio una volta ancora, e la loro destinazione era ancora lontana. “…what’s your name” disse il primo di loro.
Chloe respinse uno dei tre, di nome Youssef, che provava goffamente ad approcciarla; non risparmiava l’uso delle mani, e la piccola bionda di Amay fu quasi in punto di chiedere aiuto in modo esplicito, prima che costui si fermasse; gli altri uomini presenti sulla corriera le fissavano incuriositi: erano vestite in modo troppo leggero e sbarazzino, per poter realmente andare in giro da sole, a quell’ora della sera. Se l’erano in qualche modo, cercata, quella loro esuberanza indesiderata e un po’ sopra le righe.
Gli sguardi degli uomini erano rudi ed irriverenti, a tratti persino scurrili; quando le due ragazzine si alzarono in piedi per sfuggire dall’altro lato, Bianca teneva una mano sulla sua gonnellina, memore di quanto l’era stato fatto notare, durante il giorno da Nadine sulla spiaggia.
Finalmente raggiunsero la fermata della metropolitana, quando erano oramai passate le dieci di sera; Bianca sapeva che avrebbe trovato Benoît in casa ad attenderla, e s’era impegnata a predisporre una validissima giustificazione: in fondo lei e Chloe, avevano solo seguito Nadine con il suo nuovo fidanzato; la colpa era senz’altro della bambolina, che le aveva costrette a trattenersi contro la loro stessa volontà.
Bianca ripensava a Nadine, a quello che lei aveva combinato, insieme al suo Stavros; non era certo invidiosa, dal momento che quello sconosciuto ragazzo greco tantomeno le appariva bello. Ma nel suo intimo provava piuttosto, profonda desolazione, ed un terribile senso di inadeguatezza. Non era mai stata presa in considerazione da nessuno, fino a quel giorno, a causa del suo aspetto fisico: era piuttosto bassa e decisamente sproporzionata nei fianchi, con un corpo leggermente a forma di pera; proprio come quello, assai più massiccio e pingue, della sua invidiata sorellastra.
Nel tratto della metropolitana faceva persino freddo; Chloe veniva additata da numerosi passanti per via del suo abbigliamento, del tutto inadeguato all’orario. Anche Bianca esibiva una spalla tutta nuda, con le sue ciabattine di gomma ai piedi: le due non vedevano l’ora di tornare a casa.
Nel loro piccolo appartamento, buio e sprovvisto di balcone, Mimi aveva già provato per ben più d’una volta, a cercare Nadine, senza ottenere però alcuna risposta al telefono: la bambolina era assorta completamente nel sonno, seminuda e interamente bagnata di umori; dormiva in modo profondo, del tutto indifferente rispetto alla sorte delle sue due amiche.
Robusto e sportivo, l’uomo che s’era improvvisamente presentato alla porta di quella casa, le aveva dato alcuni nuovi aggiornamenti sulla sbadataggine delle tre ragazzine: lui era una persona riservata e di poche parole, che Mimi non aveva mai visto prima del loro incontro all’arrivo nell’aeroporto; con discrezione egli sostava di fronte alla tivù tenendone il volume abbassato, in atteggiamento di paziente attesa: ma muoveva le mani sulle ginocchia nervosamente, stirandosi gli eleganti pantaloni neri in modo ripetuto e meccanico; indossava una polo rossa con il classico marchio alla moda, sotto la quale esibiva due bicipiti assai vigorosi.
Benoît aveva quarantaquattro anni, ma ne dimostrava qualcuno in più; Mimi lo guardava ogni tanto dalla stanza accanto, cercando di intuire se egli fosse o meno scocciato da quanto era accaduto: avrebbe forse preferito trascorrere la serata in un modo differente, piuttosto che venire a controllare la stupida figliastra che rincasava a quell’ora; Mimi lo pensava e lo guardava. Aveva il doppio dei suoi anni.
“Sono finite nel sud della città, non abbiamo capito dove sono e non sappiamo come faranno a tornare” commentava l’uomo con un tono di voce più ironico che desolato. Mimi non conosceva il numero di telefono di Chloe, e fu tuttavia sollevata nel comprendere che le sue amiche stavano bene.
Erano oramai nelle vicinanze, percorrevano l’ultimo tratto a piedi; il trillo improvviso del citofono venne accolto con un sospiro liberatorio da parte di Mimi, che essendo leggermente più adulta, avvertiva inevitabilmente una forma di particolare responsabilità nei confronti delle sue compagne. “Finalmente! Ce l’hanno fatta!” esclamò.
Benoît allertò immediatamente la signora Dominique, proprio nell’istante in cui la ragazza scendeva trafelata, ad aprire il portone lungo la strada con le sue chiavi; la madre di Bianca annuì, con poche e sobrie parole di circostanza: “Vorrei che tu adesso la facessi riflettere… bene però…”.
Salirono le scale ridendo nuovamente come delle galline, come se tutta quanta la loro paura fosse improvvisamente svanita nel nulla: mentre squittivano ripetutamente lungo i ripidi gradoni in legno, già la scabrosa liaison di Nadine con Stavros era stata rivelata per filo e per segno, alla loro incredula e curiosissima amica francese: non risparmiandole alcun minimo dettaglio, compresi quei suoi vagiti irriferibili. Bianca ancora una volta arrancava dietro di loro, tenendo nuovamente tutta la mano aperta sulla sua gonnellina.
“Davvero è successo? È proprio andata così…?” chiedeva attonita la ragazza più adulta, mentre finalmente esse varcavano sane e salve, la porta di quel piccolo appartamento. Trovando Benoît in piedi vicino al salotto.
“Ooo… buonasera signor…” esclamò Chloe per prima; Bianca entrò dopo un solo istante, e subito incrociò i suoi occhi, abbassando immediatamente lo sguardo.
Lei e Chloe, avevano solo seguito Nadine con il suo nuovo fidanzato; la colpa era senz’altro della bambolina, che le aveva costrette a trattenersi contro la loro stessa volontà.
La colpa non era loro, era ovvio che fosse così.
Benoît non si scompose né tantomeno si mosse; si limitò ad un garbato e formale saluto nei confronti di entrambe. Si attendeva forse una qualche parola di scuse, da parte di quelle due ragazzine: che avevano trattenuto lui, e la signora Dominique in apprensione per tutto quanto il corso della giornata. A quel punto, la figliastra si espresse come in una recita, si era preparata per bene tutto quanto il suo discorso.
Lei e Chloe, avevano solo seguito Nadine con il suo nuovo fidanzato; la colpa era senz’altro della bambolina, che le aveva costrette a trattenersi contro la loro stessa volontà.
Benoît chiese di poter restare un istante con Bianca, per parlarle: e Mimi e Chloe lo accontentarono immediatamente.
Decimo episodio
Chi è la ragazzotta in carne, non proprio bellissima, che vestita come una cameriera d’altra epoca e con la gonnellina a fiori completamente sollevata, geme rumorosamente nel retrobottega del vecchio ristorante Place Dauphine? Sembra davvero una vacca in calore. E il ragazzo forte e nerboruto cui offre generosamente i propri fianchi e le proprie grazie, potrebbe essere davvero un rozzo soldato in libera uscita.
I due stanno creando un gran trambusto, soprattutto la ragazza con i suoi mugolii di piacere e con i suoi movimenti poco eleganti da elefantessa: speriamo che non se ne accorgano su dalla cucina del ristorante, non è nemmeno terminato l’orario di lavoro e la cameriera dovrebbe ancora essere lì a servire gli ultimi clienti della sera.
In realtà il tipo che la sta sbattendo nel retrobottega è proprio un cliente del ristorante, anche se non si direbbe uno abituale. È stato visto entrare, ordinare qualcosa di frugale con una certa indifferenza e fretta, ed infine parlottare con la ragazza dopo averle regolarmente pagato il conto.
E adesso se la sta scopando per bene nel sottoscala. Anche se deve essere un po’ scomodo soprattutto per lui che ha ancora i pantaloni addosso e deve stare leggermente piegato in avanti con la testa. Ora che si sporge un po’ indietro si vede cha ha un membro davvero possente, che non finisce mai, lungo e tornito. La cameriera ora è invece disposta avanti a lui a cavalcioni su una vecchia sedia di legno, con le gambe completamente divaricate, ed un lago di sudore e di umori che la cola dalle cosce fradicie. Dopo averla sbattuta a lungo e con impeto dal didietro, come un toro da monta, ora la possiede invece con ritmo più delicato e per certi versi gentile, anche se la ragazza non ha nulla di fine nei lineamenti e nelle movenze.
Il tipo invece deve essere anche molto robusto, se ad un certo punto la ragazzona appare come sollevata dalla sedia, costretta tra la piccola finestra ed il grosso membro davanti che la puntella come un chiodo, appiccicandola al muro. Ogni tanto un gridolino rompe l’aria umida e polverosa del piccolo ripostiglio, ad anticipare il vortice dell’orgasmo in cui la cameriera sta per sprofondare.
Fuori dalla minuscola finestra, dalla quale nessuno può scorgerli, delle piccole campanelle suonano, e l’Île de la Cité offre il solito aspetto languido e un po’ triste, di vecchia nobiltà decaduta.
Così iniziava Melone rosso caldo. Hélène non nascondeva a sé stessa, il fatto d’essersi vagamente lasciata ispirare dal suo stalliere: con quei suoi metodi tanto volgari e osceni; proprio nel disegnare la scabrosissima scena, quella del sottoscala del ristorante, lui le aveva acceso l’immaginazione; in quell’atto esplicito che apriva il suo lungo racconto, lui l’aveva indubbiamente sospinta con la sua veemenza.
Il finale era del tutto inventato, per confondere in realtà la parte veritiera di tutta quanta la lunga storia: la triste vicenda racchiusa con esattezza nel cuore del quinto capitolo, rappresentava un resoconto quasi fedele, con pochissimi sprazzi di fantasia, del modo in cui il signor Eric l’aveva punita, durante la sua festa di compleanno.
Si era trattato, a detta di Hélène, di una punizione immeritata. Lei aveva solo reagito ad una provocazione da parte della sorellastra Bianca: ma alla fine, lei le aveva prese.
Gliele aveva suonate in modo davvero serio ed esemplare: e soprattutto, lo aveva fatto davanti allo sguardo di altre persone, esterrefatte ed incredule per i metodi domestici.
“Pe… perché me …l’ha date, mamma…” aveva biascicato annichilita e stordita, verso la madre che - come accade sempre in questi casi - in modo un po’ scontato e banale era accorsa a consolarla; quando il bruciore su entrambi i glutei era ancora vivissimo e doloroso, con il grosso sederone di lei nascosto a fatica, ma ancora caldissimo per le botte prese.
“L’ha fatto solo per il tuo bene” le aveva semplicemente risposto la signora Dominique; ed aveva ragione: la disciplina di quegli sganassoni le sarebbe indubbiamente servita, onde evitare di far di lei una ragazzotta impunita ed imprudente. Quelle erano state le conseguenze, ed erano anche le medesime parole del suo odiatissimo patrigno, proferite a distanza di quasi dieci anni nel loro recentissimo incontro. E quello era stato realmente il suo bene. Le botte.
Raccontarlo le avrebbe parimenti giovato: per Hélène fu certo come una liberazione. Per quasi cinque anni, nei quali la ragazzotta si sarebbe persino affrancata dalla madre, trasferendosi a Bruxelles per lavorare tutto il tempo nella redazione di un noto giornale, l’ossessione di quel ricordo si sarebbe alla lunga attenuata.
“Pe… perché me …l’ha date, mamma…”. Eppure, le erano servite.
Ogni giorno Hélène rileggeva il suo scritto, finché finalmente a distanza di oltre un anno, ella decise di pubblicarlo su un sito di racconti erotici. Finendo bersagliata da un numero esagerato di critiche, ma anche dalla bramosia di presunti ammiratori di sesso maschile, i quali desideravano accertarsi, che quella storia fosse vera; e sapere se dietro alla sfortunata protagonista di nome Sophie, ci fosse il volto ancora sconosciuto dell’ambigua e ignota scrittrice.
Finì addirittura per venire corteggiata da alcuni uomini in carne ed ossa, senza che tantomeno essi avessero mai veduto una sua foto; uno di loro, una specie di maniaco francese di nome Joseph, ebbe persino la sfacciataggine di andarla a cercare in quel di Parigi, nei luoghi descritti dal suo racconto.
Eppure, per tutti quei lunghi anni, Hélène non avrebbe mai più avuto un nuovo fidanzato.
Lo stalliere di nome Joe intanto non la chiamava, ed era già arrivato il mercoledì: che forse egli fosse rimasto così deluso da lei? La poveretta rimuginava sola tutto quanto il tempo.
La ragazzotta non amava affatto di dover prendere l’iniziativa per prima; era pur sempre una femmina: ma in fondo non era stata proprio lei, a chiedergli di scambiarsi il numero di telefono quel pomeriggio in campagna?
“Oh …che sorpresa… il melone è sempre caldo?” esordì lui, dopo che Hélène lo ebbe spudoratamente cercato per ben due volte. “Perché non mi chiamavi più…?” lo incalzò subito lei; era coricata a pancia in giù sul letto nella sua cameretta, vestita unicamente con un completino di intimo nero, e con la piccola chicca di una vaporosa gonnellina rossa in chiffon, mai indossata prima. Si era acchittata per telefonargli, come se si fosse dovuta preparare per un incontro: chissà che cosa mai avrebbe inopinatamente desiderato di sentirsi dire, attraverso quel telefono. “Perché non mi chiamavi più…?”.
Non sarebbe stato affatto piacevole.
“Questo sabato non voglio vederti” la raggelò subito lui, aggiungendo poi “…forse è meglio che ti cerchi un altro”.
Hélène tacque per un istante, e lui senza alcuna sensibilità, la
umiliò con delle parole che avrebbe decisamente potuto evitare: “…porta quel melone a spasso da un’altra parte…”.
La ragazzotta pianse ininterrottamente per un bel po’ di tempo, piegata sul letto con la sua ridicola gonnellina, leggermente scomposta attorno ai fianchi; anche la domestica Mabel si accorse di lei, e s’affacciò per domandarle che cosa di spiacevole fosse successo: senza ottenere però alcuna risposta. “…porta quel melone a spasso da un’altra parte…”, le aveva detto senza alcun riguardo.
Eppure, contrariamente alle premesse di quel giorno, si sarebbero rivisti di nuovo per almeno sei o sette volte; Hélène lo avrebbe ritrovato su internet dopo poco più di un mese, scovandolo in maniera leggermente casuale: lui era decisamente più affamato e desideroso rispetto a come lei l’aveva lasciato; stava forse muovendosi alla ricerca di una nuova preda, sui siti dove andavano tutti quanti.
Continuava a fare sesso con Nadine, la quale però aveva adesso un fidanzato ufficiale. E non era la guida turistica conosciuta in Grecia durante le recenti vacanze, bensì un ricco quarantenne di Düsseldorf, incontrato in aereo durante il viaggio di ritorno, che l’aveva ammaliata con il suo portafogli; costui era volato persino a trovarla, presso la dimora di Namur, durante un recente fine settimana di settembre: venendo subito introdotto al signor Eric e alla madre Marie. Era così strano vedere Nadine con un uomo.
Hélène era solamente uno squallido ripiego per Joe; la ragazzotta capiva assai bene di esserlo, ma non se ne crucciava affatto: che cosa importava oramai la dignità per lei, dopo che lui l’aveva offesa e derisa in modo continuo, per svariate volte di fila? Cosa importava che lui non fosse affatto innamorato di lei, quando la scopava?
Il destino avrebbe disposto che si incontrassero proprio il 5 di ottobre, dentro alla fredda galleria nella stazione di Namur, quando Hélène aveva da poco compiuto i suoi ventiquattro anni: a dieci anni precisi di distanza da quel triste giorno, quello delle sue prime botte.
Undicesimo episodio
Bianca entrò dopo un solo istante, e subito incrociò i suoi occhi, abbassando immediatamente lo sguardo.
Riconobbe l’espressione nel volto dell’uomo, era severa.
Mimi e Chloe uscirono dalla stanza come richiesto, immaginando di poter udire forse una breve paternale di costui, nei confronti della loro amichetta, ma nulla di più.
Invece Benoît era sempre in piedi con le braccia conserte, e domandò alla figliastra con tono di voce apparentemente disteso: “Ti sei divertita così tanto allora?”. Lei fece cenno di no con la testa.
“Eppure, ti ho sentita ridere… non eri tu quella che rideva lungo le scale poco fa?”.
“Mi… dis… dispiace” mormorò lei, tenendo lo sguardo tutto abbassato; aveva sempre una mano aperta sulla sua gonnellina. “Ti dispiace vero? …adesso ti dispiacerà un poco di più, lo sai…?” rispose lui, senza alcuna enfasi. Mimi e Chloe intanto avevano ripreso a parlottare e a ridere, le si poteva udire dalla stanza accanto, erano del tutto ignare.
L’uomo finalmente si mosse verso Bianca, stringendole con forza il braccio destro, quello sprovvisto di spallina; la ragazzina non voleva che finisse così, sapeva che sarebbe stata una grande vergogna; ma si lasciò tirare in avanti, finendo aggrappata ad uno dei suoi avambracci. Poi fu sospinta lungo la schiena: di fronte a sé aveva solamente una parete nuda tappezzata di bianco sporco, con un piccolo quadro floreale nel mezzo che la sovrastava, sottomessa.
“…Ooh no ooo” ululò lei; a questo punto l’uomo la cinse per bene con tutto il braccio sinistro, obbligandola a mantenere il busto rivolto verso la parete di fronte: lei aveva ancora la mano sinistra tutta aperta sulla sua gonnellina. “Oooo…”.
“L’hai sentita anche tu?” disse Chloe a Mimi, con malcelata curiosità, dopo che la ebbero udita dalla stanza accanto; si mossero appena in tempo per assistere a tutta la scena.
“Forse stavolta impari” esclamò Benoît sorreggendola, volgendo il capo verso la schiena piegata in avanti di lei; era oramai evidente quello che stava per accaderle. “Ti devono sentire tutti” aggiunse poi con voce ferma, senza scomporsi.
Le prese la mano, quella che lei teneva sempre sul retro della gonna, e facendole ruotare il braccio sinistro, fece sì che la ragazzina lo unisse al busto, proprio così come il destro; adesso era piegata per bene. I fianchi le furono mollati per un solo istante dalla morsa, lasciandola libera di respirare: oramai sapeva di non avere alcuna possibilità di evitarlo.
Ne ebbe immediatamente conferma, quano sentì la mano di Benoît che le afferrava la gonnellina: e subito dopo, un senso di freddo e di conseguente vergogna; era stata sollevata da lui, gliela aveva rovesciata per bene lungo tutta la schiena.
Subito venne nuovamente stretta attorno ai fianchi, lui aveva una certa fretta, di arrivare alla meritata conclusione.
Mimi aveva paura di guardare, mentre Chloe spiava dal corridoio: vide così tutto il culo nudo della sua amichetta, esposto senza alcuna protezione; il filino nero nel mezzo non era null’altro che il disotto d’un completino, unito alla sua sottile canottierina nera, e non la ricopriva per nulla. La bionda di Amay si mise subito una mano sulla bocca.
Benoît aprì il braccio destro, e senza dire nulla di più, le colpì quel culo con una sculacciata fortissima, impartita su tutto il gluteo sinistro; Bianca rimbalzò in avanti, trattenuta dalla sua presa, ululando penosamente. Subito le aveva fatto male.
“Uuuuuuuuuu…”.
“Adesso ti devono sentire tutti quanti” ribadì lui: e stavolta le schiaffeggiò il gluteo destro con vigore. Poi aprì nuovamente il braccio, e le fece schioccare tutto il sedere in modo penoso, con un tonfo fragoroso che si dovette persino udire lungo tutta la strada. “Oooooo…”.
Anche Mimi si fece avanti impietrita, e inevitabilmente gli occhi le caddero subito su quel povero sedere, che dopo soli tre sculaccioni, appariva già lievemente arrossato. Ne avrebbe ricevuti in tutto, forse più di centocinquanta ancora.
“Prendi questa…”, “Oh… ooo”.
“E questa…”, “Ooooo… ooo”.
Povera Bianca: ecco che cosa la sorte le aveva riservato quel giorno; di venire ascoltata dalle sue compagne proprio come l’amichetta Nadine, con i suoi urletti incresciosi.
Il piacere del sesso per l’una, il calore intenso e l’umiliazione delle botte per l’altra; questa era la sua realtà.
Benoît iniziò a batterla in modo deciso e severo; facendola miseramente traballare in avanti, sentendola a tratti squittire come una scimmia. Uno sculaccione dietro l’altro, le stava lentamente gonfiando il sedere, mollo e inerte; era adesso di un pallido colore rosato, ma evidentemente non le bastava.
“Ti sei divertita allora?” disse lui, fermandosi solamente per un istante. Bianca tossì e non rispose, era annichilita.
Poi aprì nuovamente il braccio destro, mollandole una scudisciata fortissima; l’aveva solo fatta respirare. E poi ripresero gli sganassoni, reiterati e penosi, dinanzi agli sguardi allibiti e imbarazzati delle altre due ragazzine: erano venute completamente allo scoperto, e Mimi chiudeva istintivamente gli occhi, ogni volta che la mano di Benoît si abbatteva sulla sua sfortunata compagna di viaggio.
Prese ad alternare i due glutei in modo fermo e sistematico, non smettendo mai di trattenerla; adesso la ragazzina era piegata con le mani sulle ginocchia, e scuoteva il capo miseramente, con la piccola coda di cavallo piegata in giù.
Il rumore delle percosse era adesso più deciso e regolare, al punto che chiunque dalla strada, avrebbe compreso quello che stava accadendo; Benoît stava facendo alla ragazzina un culo così.
Chloe stava quasi scoppiando in lacrime, mentre la sua povera amichetta taceva e subiva il castigo in maniera totalmente inerte; “…metti le mani al muro” le ordinò l’uomo, affinché ella sollevasse meglio il corpo.
La ragazzina lo fece, ed in questo modo, fu disposta con la schiena rivolta precisamente verso le altre due amiche: esibiva la cellulite lungo le cosce, ben illuminate sul lato del televisore acceso; “adesso impari” disse di nuovo Benoît.
Iniziò a batterla senza sosta, con la mano robustissima, in modo ancor più impietoso: questa volta i glutei della poveretta rimbalzavano con un frastuono simile ad uno schiocco, mentre erano divenuti entrambi rossi in una maniera vistosa e completamente imbarazzante. A questo punto Bianca prese inesorabilmente a piangere, ed era quello che l’uomo attendeva.
La strinse ancora più forte e decise di dargliene ancora, con l’intento di ridurla in uno stato di cui lei dovesse realmente vergognarsi; Mimi continuava a chiudere gli occhi e a voltare il capo al fracasso di ogni percossa, con le braccia strette: né lei e né tantomeno Chloe, avevano mai visto nulla di simile nella loro vita, non essendo mai state punite sul serio.
La fece piangere per davvero, continuando a sculacciarla senza sosta per almeno altri cinque minuti; quando infine si placò, Bianca era completamente ridotta in lacrime.
Aveva staccato le mani dal muro, e adesso penzolava con la vita stretta nel braccio sinistro dell’uomo, e la gonna che s’era leggermente stropicciata: quel povero fondoschiena vibrava rigonfio all’inverosimile, con le sue enormi macchie rosse a ricoprirle almeno la metà inferiore, del tutto sfigurata; quella era stata una punizione diversa rispetto alle precedenti, non tanto per la sua severità, quanto per il fatto d’essere avvenuta dinanzi allo sguardo delle sue amiche.
“Spero che tu ti sia divertita… la prossima volta sai già quello che ti succede”, chiosò l’uomo, mentre finalmente le rimetteva a posto la gonnellina; quella piccola gonnellina a scacchi da cui tutto quanto l’impiastro di quella giornata era iniziato.
Bianca rimase ferma in piedi, non aveva il coraggio di voltarsi, e continuava ininterrottamente a piangere; Chloe si avvicinò e vide che era tutta rossa in viso: era inconsolabile, sia per via del dolore, che dell’umiliazione subita. Così pensarono di lasciarla sola, mentre Benoît nel frattempo si accingeva nuovamente a telefonare alla signora Dominique.
“Sta piangendo… sì, è per quello” disse l’uomo con voce garbata e tono imperturbabile. Si sentivano dei singhiozzi anche attraverso il telefono: quelle botte erano state efficaci, c’era davvero da sperare che qualcosa si fosse smosso in lei.
Non poté salutarla, dal momento che Bianca si rifiutava di parlargli; si congedò da Mimi e Chloe pregando loro di avere pazienza, e confessando che non era stata quella, la prima volta. “Purtroppo era già successo, sono dispiaciuto quanto voi ma qualcosa dovevo fare”. In quell’istante Chloe si rese conto, che sarebbe piuttosto dovuto toccare anche a lei, ed istintivamente abbassò lo sguardo: fu attraversata da un riflesso umiliante, ed immaginò sé stessa nella medesima condizione di Bianca. Prima che Benoît le lasciasse salutando.
La ragazzina punita, attese che le altre sue amiche si infilassero in camera da letto, prima di provare a ricomporsi; aveva un pigiamino bianco che indossò una volta nascosta nel bagno. Il sedere le faceva talmente male, che dovette abbassarsi nuovamente la culotte e provare a massaggiarselo, senza alcun risultato: era stata abituata a percosse ben più severe, ma quel giorno le faceva stranamente molto più male del solito; era rosso e mollo.
Era stata messa in riga, ma quanto a lungo sarebbe durato?
Ovviamente Nadine lo seppe già all’indomani, non appena diede pronte notizie di sé, al primo mattino; a quanto pare Stavros aveva una fidanzata, e doveva liquidarla in fretta.
Le quattro ragazzine continuarono la loro vacanza, ma qualcosa adesso era inesorabilmente cambiato: una, tra di loro, aveva preso le botte; era sempre muta e scura in volto.
Benoît e la signora Dominique ritornarono in Belgio dopo meno di una settimana, quando le ragazzine erano già sbarcate sull’isola di Paro, lasciando la città con tutti quei loro ricordi: in parte dolci ed in parte, tristemente amari.
Anche stavolta, Benoît aveva avuto la sua parte in tutto ciò.
Ogni mattina Bianca si guardava nello specchio, sperando di poter finalmente indossare il proprio piccolo costume. Le amichette provavano tanta pena per lei, mentre prendevano il sole ridendo, tutte sdraiate di fronte ad un mare bellissimo.
Le macchie sul sedere erano diventate nere, e non sarebbero scomparse del tutto prima di svariati giorni. Quando finalmente la ragazzina punita, poté indossarlo, si poteva intravedere ancora qualche segno: tra i glutei e l’attaccatura delle cosce, la pelle della povera Bianca era segnata da tratti di cellulite e da bucce d’arancia violacee; le amiche fecero finta che non fosse evidente, ma qualcosa di strano si notava.
Iniziò a batterla senza sosta, con la mano robustissima, in modo ancor più impietoso: questa volta i glutei della poveretta rimbalzavano con un frastuono simile ad uno schiocco, mentre erano divenuti entrambi rossi in una maniera vistosa e completamente imbarazzante. A questo punto Bianca prese inesorabilmente a piangere, ed era quello che l’uomo attendeva.
Dodicesimo episodio
La festeggiata era bella e radiosa, una ragazza completamente diversa rispetto a quella timida e dimessa conosciuta al liceo; ci spalancò la porta di casa esibendo un vestitino corto e attillato color arancio chiaro, con un’elegante giacchetta bianca sulle spalle, e delle sottili ballerine nere. Dietro di lei, uno stuolo di parenti e amici riempiva una veranda molto ampia, piena di palloncini colorati e di fiori; entrammo in punta di piedi, non conoscevamo davvero nessuno, e subito notammo gente molto distinta ed elegante, non sapevamo se fossero parenti o semplicemente amici di Sophie.
Nel tentativo di rompere il ghiaccio, Sophie ci accompagnò dentro alla veranda, salutando un bel po’ di persone lungo il tragitto, per guidarci infine dentro l’ampio salone, pieno di quadri e di mobili di pregio, dove finalmente potemmo conoscere i suoi genitori e la sorella più piccola.
Ci spostammo con Sophie nella veranda, dove venimmo abbandonati per un tempo lunghissimo, in cui io e Maxime ci dedicammo a mangiare deliziosi dolci e a scrutare la gente attorno a noi. Fummo improvvisamente dispersi dallo spegnersi delle luci con l’ingresso nella veranda della grande torta con le candeline; Sophie si precipitò a spegnerle nel bel mezzo della sala con il suo bel vestito attillato, tra i nostri applausi e i gridolini d’approvazione delle amiche; la madre prese a tagliare la torta e iniziò a distribuirla a tutti i presenti dentro tanti piccoli piattini di porcellana.
Soggiunse anche il signor Eric, sempre felpato e discreto nelle movenze, portando al collo una macchina fotografica di grosse dimensioni, e iniziò a scattare alcune foto a Sophie e alla madre vicine alla torta, con alcuni parenti e amici che le abbracciavano; erano entrambe belle e sorridenti, e in quell’occasione notai una viva somiglianza tra le due.
Si avvicinò anche il gruppo di ragazzine del coro, ed attaccarono tutte assieme una filastrocca di auguri per la festeggiata, con le loro giovani voci bellissime; Sophie fece con le braccia il cenno di volerle abbracciare tutte quante, e finse di cantare insieme a loro, mentre il marito della madre continuava sempre ad immortalare la scena.
Alcuni bambini più piccoli facevano adesso un gran trambusto nel mezzo della veranda giocando con alcuni palloncini colorati che si erano staccati dall’addobbo sul soffitto, mentre molte altre persone si erano spostate nel salone per consegnare i regali di compleanno a Sophie e intrattenersi con la sua famiglia. In quel momento guardai l’orologio, erano passate almeno tre ore dal nostro arrivo alla festa, e già alcuni presenti avevano iniziato a congedarsi lasciando la casa alla spicciolata.
Notammo solamente in quell’istante la presenza garbata e silenziosa di una bellissima giovane dalla pelle olivastra e dai lineamenti del viso leggermente marcati; aveva la fattezza esotica di un’antica odalisca, ed esibiva con leggerezza e innocenza due cosce piene e tornite, avvolte da sottili collant neri, ogni qual volta che saliva e scendeva le scale vestita con un grembiulino scuro da cameriera.
Maxime si fermò a guardarla con tale insistenza, che dovetti farglielo notare e pregarlo per cortesia di distogliere la sua attenzione, così plateale, da quella misteriosa ragazza.
Era un’autentica femmina di razza, dotata di fascino carnale e sanguigno, occhi scurissimi e capelli neri, sensuale in un modo animale e selvaggio; credo che potesse far letteralmente impazzire tutti gli uomini che incontrava. Capimmo molto presto che si trattava della donna delle pulizie, dal fatto che spostava oggetti e stoviglie dalla veranda alla cucina, oppure vedendola salire e discendere le scale spostando delle sedie pieghevoli o semplicemente portando via alcuni regali che erano stati accatastati in un angolo della sala.
Non eravamo i soli a seguirla nel suo incedere lento e gentile, ma certamente gli occhi di Sophie notarono piuttosto gli sguardi morbosi e neppure tanto malcelati di mio fratello; e quando le chiesi per caso, chi mai fosse quella ragazza così vistosa, scorsi chiaramente l’espressione della gelosia più nera sul suo volto. Com’era cambiato il suo viso rispetto a qualche minuto prima, quando con Maxime si era appartata in una lunga e piacevole conversazione.
La definì in maniera assai dura e sprezzante, con l’infamante epiteto di serva. Ma poi, da ragazza educata e gentile quale lei era, si corresse dicendo che si chiamava Floreanne, per tutti Flora, e che abitava con la sua famiglia fin da quando era stata trovata da alcuni conoscenti, abbandonata per mano di un gruppo di clandestini provenienti dal Marocco.
Avrebbe compiuto diciotto anni a febbraio, e viveva segregata del resto del mondo, a completa disposizione della famiglia che la ospitava e che l’aveva sostenuta economicamente e umanamente fin dal suo arrivo nel paese.
Fu così che Maxime all’improvviso si allontanò da noi, e ancora una volta fu notato da Sophie che ormai osservava con ossessione tutti i suoi movimenti; temeva infatti che mio fratello potesse voler provare ad avvicinare Flora, ed era gelosa da morire. Nel frattempo, la cameriera appariva sempre più spesso nella sala, andando e venendo, sempre estremamente compunta e disciplinata, totalmente devota alle pulizie e a riordinare la veranda.
Mentre accadevano tutte queste cose, e mentre le ragazzine del coro se ne uscivano facendo un gran trambusto nel corridoio, udii la voce ovattata di Sonia, che raccontava a Nicole e Jeanne di avere visto mio fratello, rinchiudersi inopinatamente nel bagno degli ospiti assieme alla cameriera.
Flora quindi riprese a mettere ordine nella veranda come se nulla fosse accaduto, sempre distante e disciplinata, e soprattutto indifferente rispetto alle occhiate perfide e supponenti delle altre ragazze presenti dentro la sala.
Sophie era lì vicino e continuava a scrutare mio fratello, che nel frattempo continuava ad incrociare lo sguardo della bella cameriera, in modo per nulla rispettoso dell’imbarazzo in cui quest’ultima s’era cacciata per causa sua.
Anche Bianca era in piedi vicino a Sophie, e sembrava godere della gelosia morbosa e disperata di sua sorella. Decisi di andare in bagno, mi scappava e non ne potevo più.
Uscita dal bagno poi, fui subito distolta da alcune grida provenienti dalla veranda; percorsi il corridoio, si distingueva benissimo la voce di Sophie, e arrivata nel punto in cui la veranda e il salone si congiungevano, vidi Bianca che piangeva a dirotto, con tutta la camicia bagnata, Sophie che urlava come una matta, ed un bicchiere di cristallo rotto in mille pezzi sul pavimento.
Non capivo bene che cosa fosse accaduto, sembravano impazzite tutte e due, ma Bianca non la smetteva di piangere, mentre nel frattempo Sophie si era placata e aveva iniziato a raccogliere i pezzi di vetro dal pavimento della sala.
Sentii giungere la signora Dominique alle mie spalle, la quale mi scivolò davanti con passo veloce e deciso, e arrivata infine nel mezzo della scena, chiese a Sophie di alzarsi e di guardarla bene negli occhi; le altre ragazze e i pochi ospiti rimasti tacquero, solamente pochi di loro continuarono a fare finta di niente, provando a rendere la situazione meno imbarazzante.
“Mamma, mamma … Sophie mi ha tirato un bicchiere addosso !!!”; vidi la mia compagna di banco arrossire come un peperone, ed abbassare subito lo sguardo; la madre le si avvicino minacciosa: “Sophie !!!”, e poi “Che diavolo hai combinato a tua sorella !!!” e allungò il braccio teso come se volesse mollarle uno schiaffone; Sophie fece un passo indietro, e balbettando con voce tremolante ed incomprensibile, sussurrò: “Bianca mi ha detto che io sono solo … che io sono solo una cicciona …” ed iniziò a gemere anche lei; Bianca ribatté: “Sì … Sei solo una cicciona !!!”.
La madre ruotò il busto e invece che a Sophie, mollò un forte ceffone alla più piccola delle due, e Bianca si piegò in avanti piangendo e urlando.
Il trambusto aveva attirato anche l’attenzione del signor Eric, che si affacciò nella veranda chiedendomi cortesemente il permesso; domandò alla moglie che cosa fosse accaduto, e mentre tutte e due le sorelle piangevano all’unisono in modo un po’ esagerato, lei rispose con calma e freddezza: “Bianca ha insultato Sophie, e lei le ha tirato addosso un bicchiere del servizio in cristallo”.
Non so se fosse il valore del bicchiere, o la gravità del gesto, ma il signor Eric fece un repentino passo indietro tornando sull’uscio; lo potevo vedere perfettamente bene, di profilo dallo stipite cui ero appoggiata, leggermente defilata e nascosta.
Dentro alla sala adesso tutti tacevano, nessuno si era potuto spostare, dal momento che il signor Eric era lì fermo sull’ingresso. Altri palloncini colorati si erano staccati dal soffitto ed erano sparsi un po’ dappertutto; le ragazze ogni tanto si lasciavano scappare qualche risolino, non avevano minimamente intuito la gravità della situazione.
Il signor Eric fissò negli occhi Sophie, che iniziò a tremare tutta dalla testa ai piedi; lì compresi che era giunta sul punto di venire punita sul serio, proprio nel giorno della sua festa di compleanno, e provai un sentito timore per lei.
Il signor Eric indicò con la mano destra alzata, in modo solenne e perentorio, il salone che si trovava lì accanto, e con tono di voce assertivo esclamò: “Sophie !!! con me! subito!”.
Dalla veranda nulla si mosse, e Sophie abbassò nuovamente lo sguardo; la madre le prese un braccio con un moto di materna dolcezza, e le disse: “Sophie, cara, ascolta, fai come dice”. A questo punto dato che Sophie non rispondeva, il signor Eric perse un po’ la pazienza, e facendo nuovamente un piccolo passo in avanti, le puntò il dito addosso alzando la voce: “Non farmi perdere tempo ragazzina! hai capito cosa ho detto!?! … con me !!! subito !!!”.
Sophie mi passò davanti a testa bassa, senza guardarmi, e quando fu vicina al signor Eric, quest’ultimo le strinse il braccio al punto tale che sembrò volesse stritolarglielo. La trascinò dentro al salone come un peso morto; accorse lì anche la madre, mentre Bianca era rimasta da sola a piangere per il sonoro ceffone appena ricevuto.
Le liberò il braccio mollando la presa solo quando fu comodamente seduto sul sofà, con Sophie in piedi immobile e incartata nel suo vestitino color arancio innanzi a lui, e la madre da un lato. Accanto a me, che potevo vedere molto bene la scena e sentire quello che si dicevano, si avvicinò Sonia, che a quanto pare era molto curiosa di vedere cosa stesse succedendo.
Il signor Eric, con voce decisamente più morbida, disse a Sophie: “Non cresci mai … cosa dobbiamo fare noi con te!?!”; vidi Sophie stringersi le guance tra le mani, e la sentii mormorare a bassissima voce: “Ti prego …”.
Il signor Eric sbottonò ed avvolse i polsini della camicia, e lisciandosi con le mani i pantaloni sopra alle ginocchia, ribatté: “sei solo una stupida bambinona … non cresci mai”.
La signora Dominique provò a lenire la situazione, prendendo la parola: “Sophie, prometti a me e a Eric che non lo farai mai più! promettilo subito, giuralo!”, e Sophie ripeté come un pappagallo, non lo avrebbe fatto più, di litigare con la sorellina.
Anche Bianca, nel frattempo, era arrivata in salone, mentre una coppia di signori, probabilmente due zii, vi erano entrati in punta di piedi per recuperare le loro giacche, facendo alla signora Dominique un cenno furtivo di doversene andare. Quest’ultima si distolse dalla discussione e si avvicinò amorevolmente a loro, iniziando a scusarsi per il finale inaspettato della festa, accompagnandoli per tutto il corridoio fino all’ingresso, dove si chiuse una porta a vetri alle spalle.
Mentre io e Sonia guardavamo la scena immobili dallo stipite della veranda, altri si erano avvicinati e notarono cosa stesse accadendo in salone; i più facevano finta di niente, molti pensavano che la cosa si sarebbe conclusa con una semplice ramanzina.
A causa del viavai, non potei sentire cosa il signor Eric andava dicendo a Sophie, era certamente una lunga predica; ma ad un certo punto le vidi fare un goffo passetto indietro, e vidi lui levarsi di scatto dal divano, recuperandola subito e trascinandola nuovamente a sé per un braccio, esattamente come aveva fatto poco prima nel corridoio; Bianca era sempre immobile in piedi nell’angolo opposto del salone, e continuava a piangere anche se in modo più leggero e sommesso.
Allora il signor Eric si sciolse la cravatta ripiegandola sul sofà, e si rivolse a Sophie con tono ultimativo ordinandole: “Adesso tu obbedisci, e ti tiri su quella gonna senza fiatare … e vieni qui da me che le devi prendere … hai capito ragazzina!?! sulle mie ginocchia e con la gonna alzata! subito!” ed indicò in basso con un dito.
Sophie mugolava frasi senza senso, e lo implorava: “noo … ti prego … noo … non me le dare ti prego … “.
Abbassai istintivamente lo sguardo per non vedere, e quando lo rialzai Sophie era adagiata mollemente sul ventre del signor Eric, con il busto ed il volto immersi tra i cuscini del sofà. Questi le sollevò con un gesto molto deciso la gonna: il vestitino color arancio di Sophie era leggero ed elasticizzato, e si arrotolò fino attorno alla vita, liberandole i fianchi e le cosce molli, senza calze e con le sole mutandine che le avevo comperato indosso e le ballerine nere ai piedi.
Rimbalzò fuori tutto il sedere tornito e tremolante, bianco come il latte, che le mutandine non proteggevano né coprivano affatto, lasciando così completamente esposti agli sguardi di chi passava, i suoi glutei bianchi e molli rigonfi di cellulite.
Provai una vergogna immane per lei, ma non potevo fare davvero nulla per aiutarla in quell’imbarazzante situazione.
Nel frattempo ritornò sua madre, e mentre il signor Eric le aggiustava la gonna e le accomodava dolcemente la testa sopra i cuscini, le concluse così la sua ramanzina dicendo: “Ti sei comportata come una bambina stupida e cretina con Bianca … lo sai benissimo che te le sei meritate … e adesso Eric ti fa il sederone …”, e le mollò uno sculaccione forte e preciso proprio nel mezzo con il palmo della mano aperta, facendole schioccare assieme entrambi i glutei color latte come se fossero due palloncini che scoppiavano all’unisono.
Sophie si sollevò col busto ed emise un gridolino languido e sommesso, ma il signor Eric non aggiunse nulla e non si scompose affatto; le mise una mano sopra alla testa, e accompagnandola dolcemente la sprofondò nuovamente tra i cuscini del sofà.
Le assestò un secondo sculaccione, facendole schioccare nuovamente il didietro in modo penoso, e stavolta Sophie emise un grido di dolore più acuto; prese a batterla con impeto, e senza sosta. Bianca mi parve immediatamente rincuorata nel vedere la sorella subire il giusto castigo, ed esibiva adesso un’espressione soave e divertita.
Ci allontanammo sia io che Sonia, mentre dal salone proveniva costante il rumore sordo delle percosse, alternato ai gridolini e al pianto di Sophie; il signor Eric l’apostrofava dicendo: “… perché non parli più!?! …” e poi giù una nuova scudisciata, “dì qualcosa stupida! … diamine, dì qualcosa! ...”, e la batteva di nuovo; tutti compresero quello che stava accadendo, e passando avanti e indietro dinanzi al salone, potevano vedere la scena ed il didietro di lei, mentre il signor Eric la sculacciava e la puniva in modo esemplare.
Soggiunse anche Maxime, e mi chiese di poter vedere anche lui lo spettacolo; lo pregai di non andare, ma lui non mi diede ascolto e subito lo vidi in piedi eretto davanti alla porta, a guardare e ad ammirare il culone di Sophie che veniva battuto con vigore, rimbalzando mollemente ed in modo inesorabile.
Quando andai da lui per recuperarlo, il ritmo delle percosse era aumentato, ed i colpi erano sempre meglio assestati e precisi; si direbbe che il signor Eric fosse un ottimo giocatore di tennis, da come le batteva per bene il sederone facendolo schioccare ad ogni colpo.
Sul didietro molle e bianco di Sophie, totalmente vulnerabile e indifeso, iniziarono a formarsi due grossi e vistosi lividi rosa, che aumentavano di colore e di intensità ad ogni colpo che subiva.
Ad un certo punto si affacciò nella sala anche Flora, per riferire qualcosa alla signora Dominique; nel vedere la scena, fece un piccolo passetto indietro. Ma il signor Eric la tranquillizzò: “Non preoccuparti Flora, vieni pure avanti … mica avrai vergogna per il sederone di questa stupida cicciona”, e riprese a sculacciarla. Mio fratello sorrise a Flora in modo sornione, e quella ricambiò subito con i suoi occhi nerissimi e sensuali.
Provai solamente ad immaginare il dolore e l’umiliazione per Sophie, nel sentire quelle parole; ai gridolini si era adesso sostituito un mugolio sommesso alternato al pianto, attutito dai cuscini tra i quali era costretta a giacere, sospinta dalla mano forte che le teneva saldi i fianchi e la gonna, immobilizzandola completamente.
Continuò così a lungo a sculacciarla e a redarguirla, credo che durò per almeno altri dieci minuti, una vera eternità. I mugolii avevano oramai lasciato il posto ad un pianto dirotto; il signor Eric le ordinò di sistemarsi la gonna e di salire su in camera.
Allora pensammo che sarebbe stato sicuramente molto meglio, andarcene via senza salutarla; feci un cenno alla madre, mentre Sophie era di spalle e ancora piangeva disperata, con il culone rosso livido ancora in bella mostra.
Le aveva prese proprio durante la sua festa di compleanno, davanti agli occhi degli amici e dei parenti, ed era stata umiliata e annichilita con gli sculaccioni proprio come una bambina. Provai un’infinita vergogna per lei.
Costui, oltre ad averla un bel giorno di tanti anni addietro, pesantemente iniziata alla vergogna degli scapaccioni, le aveva anche lasciato in eredità il proprio cognome.
Ma quel pomeriggio si festeggiavano i venti anni della timida sorellastra Bianca, unica e sola figlia naturale del signor Eric. Assieme alla madre, erano attese presso la sua grande magione di campagna intorno a Namur, una villa con patio e maneggio che egli aveva ristrutturato di recente con ingenti spese; era il giorno cinque d’agosto e faceva ancora piuttosto caldo, Hélène questa volta non aveva potuto sottrarsi, all’obbligo di doverlo incontrare.
La grande novità rispetto al passato, era però quel giovane puledro Cozy, con il suo stalliere; la seconda figliastra del signor Eric, una bambolina viziata di nome Nadine, aveva infatti imparato a cavalcare con il frustino e la divisa: e a quanto pare se la faceva proprio con quello stalliere, un robusto ragazzone di ben sette anni più grande di lei.
Hélène lo aveva intuito fin da subito, dal modo in cui lei arrossiva quando lui la guardava: doveva essere un maschio piuttosto voglioso, a giudicare dal suo sguardo intenso.
Nadine e Bianca erano coetanee ed erano divenute amiche del cuore, fino al punto di scegliere assieme d’iscriversi alla stessa università, nella rinomata facoltà di Biologia a Liegi; con loro c’era anche Chloe, una piccola biondina che frequentava Nadine fin dall’infanzia e che veniva da Amay.
Sarebbero partite tutte e tre per una vacanza alla volta della Grecia, dove avrebbero visitato la capitale Atene assieme alle famose isole di Paro e Nasso; con loro sarebbe venuta anche una quarta amica francese, che loro tutte chiamavano Mimi.
Anche la madre di Bianca avrebbe desiderato di poter visitare la Grecia, trattandosi di un suo vecchio pallino mai realizzato in tutta quanta la sua vita, quasi inspiegabilmente; aveva pensato d’imbarcarsi assieme al suo compagno Benoît, con lo stesso aereo della figliola in partenza da Bruxelles, per poi separarsi da lei, lasciandola completamente libera di proseguire il soggiorno con le sue giovanissime amiche.
La festeggiata quel pomeriggio rideva felice e schiamazzava tutto il tempo, leggermente più disinvolta e meno irriverente rispetto al passato: l’università e le sue frequentazioni parevano averla lievemente migliorata nelle attitudini.
“A volte anche le scimmiette più impertinenti, crescendo imparano a regolarsi…” commentava la madre, scrutandola; non aveva ancora fatto i conti con quella vacanza in Grecia, oramai prossima. Il signor Eric, annotava distratto: lui non poteva avere alcuna idea, di quanti pasticci Bianca avesse già combinato, a sua insaputa durante tutti quanti quegli anni.
Primo episodio
Hélène evitava accuratamente di incrociare lo sguardo del signor Eric; mentre quello dello stalliere, non le spiaceva.
Ma dal momento che tantomeno ella desiderava intrattenersi con la sorellastra e le sue amichette, tutte più giovani di lei di almeno tre anni, la ragazzotta rimase presto tutta da sola nel patio, lontana dallo sguardo degli adulti.
La giornata scivolava via essendo già arrivate le cinque del pomeriggio, il vino bianco era buono ed Hélène aveva portato via con sé un calice per poterlo assaporare da sola; ed un lieve venticello le scombinava leggermente i capelli.
Il suo patrigno la vide che giocava col suo telefonino, ed ebbe la malaugurata idea di avvicinarsi per farle compagnia; esordì domandandole del primo lavoro che ella aveva trovato, uno stage presso una rivista di attualità e costume.
Il signor Eric sapeva molto poco di lei, ed in generale non la stimava alquanto: ricordava alcuni suoi ripetuti fallimenti a scuola, e poi il vano ed oneroso tentativo, di perseguire una improbabile Laurea in Legge. Ma soprattutto ricordava bene, di averla un giorno meritatamente punita, durante una festa.
Non avrebbe dovuto assolutamente riesumare quel triste ricordo, con lei; ed invece lo fece, in modo assai inopportuno.
Ad ispirarlo fu inaspettatamente proprio la vista dello stalliere, che schiaffeggiava il cavallo Cozy nell’atto di riportarlo all’interno della sua stalla: uno sculaccione.
“Ti ricordi quella volta che l’ho fatto io con te… sembra che ti siano servite… sono passati forse dieci anni e penso che tu ne abbia giovato: era davvero necessario, era solo il tuo bene”.
Hélène rimase improvvisamente attonita a guardare il proprio telefonino, mentre dentro di sé poteva avvertire un flusso di emozioni inarrestabile, ed un tremore che la faceva lentamente sprofondare dalla vergogna; incrociò tuttavia un solo istante i suoi occhi, senza parlare, ma quanto bastava.
“Non ricordi …ti ho alzato tutta la gonna…”, ribadì, “e poi subito giù!!!... melone rosso caldo, per una bella settimana…”, disse lui senza nessuna remora per ciò che ella provava.
Hélène non aveva mai smesso di ricordarlo per tutti quei lunghi dieci anni; proprio mentre ascoltava quelle parole, poteva quasi risentire sul proprio corpo, il calore di quelle rovinose botte. E finiva travolta, proprio così come allora.
Ripresero i tonfi sordi e penosi, senza alcuna soluzione di continuità; una decina di colpi consecutivi, interrotti solamente dagli urletti disperati di Hélène; alcuni molto ben riusciti, come testimoniava lo schiocco rumoroso dei glutei della poveretta, altri più ovattati. Quando lo schiocco era più fragoroso, Hélène squittiva a tratti come una scimmia; era un vero fracasso, e tutti quanti nella casa si erano perfettamente resi conto, che la festeggiata le stava finalmente prendendo.
“Lo ricordo, penso mi sia servito” rispose Hélène senza guardarlo, con il capo rivolto verso il proprio telefonino.
Il signor Eric si alzò soddisfatto, sistemandosi la camicia; non si sa per quale strano motivo egli avesse voluto rievocare quell’episodio, ma facendolo aveva così trascinato involontariamente Hélène, in un baratro di buio e di prostrazione: avrebbe forse voluto sistemare i conti con il passato, a distanza di quasi dieci anni? Avrebbe forse persino desiderato che ella lo ringraziasse, per averla segnata quel giorno in una maniera tanto dolorosa ed umiliante?
“Non ricordi …ti ho alzato tutta la gonna… e poi subito giù!!!... melone rosso caldo, per una bella settimana…”.
Il melone rosso caldo era la poco simpatica locuzione, adoperata spesso dal precedente uomo di sua madre, quando intendeva minacciarla o anche semplicemente redarguirla; l’aveva adoperata con lei svariate volte.
Anche se per sua fortuna, quello sciagurato e disastroso epilogo non si sarebbe mai più ripetuto; almeno non più per mano del sempre temuto, e da lei odiatissimo, signor Pérez.
Hélène penzolava con la testa, nella posizione del castigo, con le caviglie sollevate da terra. Il signor Eric continuava ad aprire la destra, rovesciandogliela sul didietro molle e sgonfio; ora quel sederone, completamente esposto, vibrava in continuazione, come una povera palla di gomma.
Si poteva udire in tutta la casa, un pianto dirotto di bambina.
Secondo episodio
Lo stalliere aveva origliato di nascosto, con insana e perversa curiosità; era la prima volta che egli vedeva la precedente figliastra del suo padrone, e scoprire il modo in cui quegli poteva averla punita in passato, non lo lasciava di certo del tutto indifferente. Il signor Eric era un uomo estremamente rigido e severo con tutti, anche se mai s’era fatto prender la mano nei confronti della più altera e disciplinata Nadine; non era mai stato necessario, quantomeno in quel luogo e da quando lo stalliere era stato assunto al loro servizio.
Così uscì allo scoperto, e vide Hélène seduta nel patio che piangeva silenziosamente. Allora pensò di consolarla, vedendo la ragazzotta che frettolosamente si asciugava le lacrime, vistosamente impreparata e decisamente scomposta.
“Posso?” le domandò un istante prima di chinarsi, proprio laddove precedentemente era stato seduto il signor Eric.
La scrutava con lo stesso sguardo, con cui ella l’aveva veduto fissare la bambolina Nadine: non era certo un atteggiamento casuale. Hélène ristette imbarazzata, temeva che lui potesse aver udito tutte le precedenti parole del suo patrigno, mentre rievocava quelle inequivocabili vicende che la riguardavano.
“Non ricordi …ti ho alzato tutta la gonna… e poi subito giù!!!... melone rosso caldo, per una bella settimana…”.
“Il mio padrone l’ha offesa parlandole?” chiese continuando a scrutarla in modo leggermente sadico e curioso; ed improvvisamente, con un gesto inatteso, le prese una mano stringendola. Aveva le dita grandi e non si sa cosa voleva.
Hélène capì che stava accadendo qualcosa di strano, ed istintivamente arretrò sulla sedia, senza rispondere per nulla alla precedente domanda che quegli le aveva posto; allora lo stalliere, allontanando la mano, ebbe l’inopportuna sfacciataggine di ripetere: “Il mio padrone l’ha offesa poco fa?”. Hélène ristette un istante, ma poi abbassando gli occhi replicò sommessamente: “Lei ha sentito proprio tutto?”.
Lo sguardo profondo e vivace dello stalliere non lasciava davvero molto spazio ai dubbi; fece cenno di sì con la testa.
“E le ha fatto molto male vero?” insistette il ragazzone; era fastidiosamente curioso, avrebbe forse voluto poter assistere anche lui a quella rovinosissima scena, in passato.
“Non troppo…” rispose Hélène, nel goffo tentativo di minimizzare la cosa; “…e le è successo molte volte ancora?” riprese subito lui. Al punto che la ragazzotta ne fu visibilmente scossa e disturbata; fece subito cenno di alzarsi, ma lui le afferrò di nuovo una mano trattenendola.
La madre era uscita in quell’istante nell’aia assolata, e da lontano vide sua figlia trattenuta per mano dallo stalliere; non capiva che cosa mai stesse accadendo, ma senza esitare un solo istante ella la chiamò a gran voce, urlando: “Hélène! ti stanno aspettando per la torta… vieni subito dentro…”. Si era forse allarmata nel vederli tutti soli in quel luogo.
“Fila veloce, sennò credo ti fa il melone caldo di nuovo…” la sprofondò inaspettatamente lo stalliere, dandole del tu.
“Almeno oggi non hai la gonna…” aggiunse oltraggiandola.
Hélène lo comprese, che quegli provava un gusto insano nel provocarla; senza aver preso per nulla sul serio, tutta la sua frustrazione ed il suo dramma: era rude e superficiale, come solo gli uomini ignoranti sanno esserlo. Ma erano due anni esatti che nessuno l’approcciava, lei era ancora vulnerabile.
Gli uomini sono fatti così, lo si sa: l’aveva fatta intimamente vergognare, ma in fondo provocandola, egli aveva fatto sì che ella non avesse più segreti da celare; si sentì stranamente in quell’istante, nuda di qualsiasi remora o pudore nei suoi confronti. Per la prima volta allora, Hélène gli corrispose.
“Restiamo in contatto?” gli disse; lasciando intendere, che se solamente lui lo avesse desiderato, ella gli avrebbe rivelato il proprio numero di telefono personale, per potersi rivedere.
“Ti ho registrata col nome di Melone Caldo”, chiosò lui; vedendola prima arrossire imbarazzata, e poi allontanarsi un solo istante dopo avergli dettato il proprio numero, una cifra alla volta, stando ben attenta a non sbagliare. Lo stalliere fissò irrispettosamente e in modo insistito, quel famigerato sederone, fasciato dentro a un paio di pantaloni color cachi: parevano quasi scoppiare per via del loro vistosissimo ed ingombrante contenuto. Eppure, gli piaceva immaginarla.
L’ignara Nadine sarebbe partita assieme a Bianca e alle altre sue giovani amiche per la Grecia, quel venerdì stesso; lei era ingenuamente innamorata di lui, a totale insaputa di tutti quanti i parenti e le amiche: era stata già ben iniziata e del tutto ben abituata al sesso. Ma solamente l’attenta Hélène lo aveva saputo intuire, osservando scrupolosamente il modo in cui lei ne ricambiava lo sguardo: era un autentico segreto.
Lo stalliere si fregava le mani al pensiero di potersi divertire un po’ con quella stralunata e abbondante ragazzotta, leggermente cupa e timidamente riservata; aveva saputo eccitarlo non volendolo, con la sua triste storia di dolore.
L’assenza di Nadine gli avrebbe permesso di vederla; decise così come promesso, di chiamarla: 492169687, Melon Chaud.
Terzo episodio
I loro schiamazzi, e i loro ripetuti risolini, avevano attirato l’attenzione di decine di persone; tutti i turisti, esausti dopo l’obbligata visita ai famosi templi sulla collina, discendevano nel punto panoramico, situato precisamente sopra un ardito e scosceso promontorio di roccia scura: di lì si poteva rimirare tutto il profilo della città, a perdita d’occhio.
Nadine indossava un succinto paio di pantaloncini bianchi con una cintura in pelle, ed un leggerissimo top di stoffa del colore della sabbia; tutte e quattro le ragazzine tenevano quel giorno i capelli legati, per via del gran caldo e della continua esposizione al sole: si sarebbero certamente abbronzate e forse pure cotte, senza la loro preziosa crema protettiva.
Gli occhiali scuri perfettamente alla moda, le rendevano ancor più vistose e sbarazzine, mentre alcuni dei presenti occhieggiavano tra di loro, infastiditi dal continuo baccano e dalle loro risate, a volte anche un po’ esagerate e fuori luogo.
La più adulta Mimi, era l’unica diligentemente sobria di tutta quanta la combriccola; aveva una canottierina bianca a macchie scure, ed un pantaloncino nero: guardava le amiche provando a contenerne gli entusiasmi, con un’espressione del viso un po’ ruvida; aveva compreso il fastidio della gente che le osservava, mentre loro ridevano in continuazione.
Chloe volgeva le proprie spalle al bellissimo panorama, vestita con una culotte bianca ed un sottile costume azzurro a ricoprirle i seni piccoli e delicati; era una ragazzina decisamente tarchiata ed arrancava nei suoi zoccoli di legno, assai scomodi per una lunga giornata di escursioni.
Un giovane ragazzo locale di nome Stavros, che arrotondava i conti come guida turistica, era lì vicino a guardarle; mentre la piccola comitiva di stranieri che egli aveva accompagnato, s’era già dispersa in giro a scattare un mare di fotografie.
A pochi metri di distanza da loro, poteva sentirle ridere e schiamazzare, e sulle prime ne fu anch’egli assai infastidito.
Bianca era l’unica ragazzina del gruppo, ad indossare una gonna; una gonnellina a scacchi marrone con le pieghette sottili, sotto una stretta canottierina nera che culminava con una larga spallina, a fasciarle il solo lato sinistro in cima.
Il giovane dovette pensare subito, che quella gonna era decisamente troppo corta per praticare del buon turismo in quei luoghi scoscesi; improvvisamente gli schiamazzi delle ragazzine, avevano ceduto il posto ad una sottile curiosità.
Erano proprio delle stupide oche, dovette pensare lui, mentre fissava insistentemente quella gonnella a scacchi; alcune leggere folate di vento parevano a tratti sollevarla di lato.
Prese il telefono ed iniziò a scattare loro alcune foto: avrebbe forse voluto conoscerle meglio, sapere da dove venivano; poi si alzò in piedi in modo delicato, meditando di avvicinarsi.
Ma in quel momento, un forte sprazzo di vento sollevò completamente la gonna di Bianca: rivelando senza alcun riparo, i due pallidi glutei rotondi del tutto scoperti, col suo filino nero nel mezzo. Non se n’era ridicolmente resa conto, ma tutta quanta la gente alle sue spalle, aveva potuto ammirare quel suo sederotto smaccatamente libero e bianco.
L’inaspettato omaggio convinse del tutto il giovane Stavros, ad avvicinarsi alle quattro ragazzine, che starnazzavavano ancora tutto il tempo: con coraggio e sfacciataggine, chiese di dove fossero; e se interessasse loro, di venir accompagnate da lui: non era bello ma aveva gli occhi grandi e i capelli scuri.
Mimi fece allora cenno di no, mentre sorprendentemente fu proprio Nadine, a chiedere subito quanto costasse; Bianca fissava il telefonino, e lui ne cercava lo sguardo: dalle spalle aveva immaginato che ella fosse decisamente più carina; dietro agli occhiali da sole invece, celava un viso paffuto, piuttosto insignificante con un’attaccatura alta dei capelli.
Nadine acconsentì che venissero accompagnate da lui, e fece in modo di concordare il prezzo e l’orario, a partire dal turno successivo: non appena si fosse liberato dalla sua piccola comitiva di turisti, congedandoli uno ad uno presso l’uscita.
Le quattro ragazzine si spostarono verso l’area di ristoro, con la gonnellina a scacchi di Bianca che non la smetteva di provocare lo sguardo delle persone, ad ogni folata di vento; non stavano più nella pelle, per la loro voglia di perdersi.
Quarto episodio
“Parlo con melone caldo…”. “Perché mi chiami sempre così?”.
Hélène aveva appena iniziato a scrivere il suo primo racconto. Voleva descrivere la sorpresa, il senso di sgomento: il fatto di essere stata punita senza meritarlo.
Avrebbe forse voluto, solo esorcizzare i propri incubi, semplicemente raccontandolo. Le parole inopportune del signor Eric, le avevano scoperchiato un mondo intero di strane sensazioni; suggerendole quello che poteva esserne in fondo, anche il titolo più appropriato: Melone rosso caldo.
Aveva deciso che a riferire tutto, fosse la voce narrante della sua vecchia amica e compagna di banco, Edina Verret. Avevano bruscamente rotto i rapporti, un solo paio d’anni addietro: chissà per quale ragione, Hélène voleva adesso che fosse proprio lei, a riferire per filo e per segno tutta quanta la sua vergognosa storia. Erano i sensi di colpa a sospingerla?
Non contenta, la ragazzotta pensò pure di potersi vendicare nei confronti del fratello più adulto di lei; colui che in passato l’aveva presa in giro, fingendo persino di corteggiarla: aveva intrapreso una lunga carriera militare.
Il racconto esordiva rivelando lo scabroso atto conclusivo: Hélène finiva adescata da lui proprio mentre lavorava come cameriera in un ristorante, nientedimeno che nella bellissima città di Parigi; avendo patito ogni pena durante la sua prima ed umiliante esperienza in tale veste, la ragazzotta si sentiva evidentemente a proprio agio nel semplice ruolo di bonne.
Nell’incomprensibile racconto, la protagonista aveva un nome completamente inventato, Sophie; tutto infatti, l’autrice avrebbe desiderato, tranne che venir riconosciuta dai propri futuri lettori. Tuttavia, per mesi interi non avrebbe mostrato lo scritto a nessuno: se ne vergognava abbastanza.
In attesa di divenire una giornalista e una scrittrice di professione, nessuno avrebbe saputo ancora un bel niente, dei suoi trascorsi e di tutte quante quelle sue sventure. Con una sola ovvia, casuale e fastidiosa eccezione, lui.
Lo stalliere si chiamava Joachim, ma subito pretese che anche lei lo chiamasse Joe, come in un film western americano. Lei, lo attendeva alla Gare des Guillemins in un sabato caldissimo, tutta fasciata in un leggero abitino bianco a fiori: la vecchia casa in Rue Curtois era custodita dalla sola domestica Mabel, essendo andati in vacanza tutti quanti.
“Hai picchiato bene il cavallo?” fu la prima cosa che gli disse Hélène, quando lo vide approcciarsi sul marciapiede, ben memore delle sue maniere forti e decise; lui indossava un paio di pantaloncini rovinati ed una maglia grigia con tre bottoncini aperti in cima, ad esibire una sottile catenina d’oro su tutto il petto scuro: Joe le sorrise e le prese di nuovo la mano. “Ho tutto il giorno libero, ne avremo solo due…” replicò ignorando la sua battuta; al ritorno di Nadine, infatti, non si sarebbero mai più potuti vedere, se non di nascosto.
Hélène sembrava quel giorno, ben più grossa di come lui l’aveva veduta; erano forse quei pantaloni a nasconderla bene, quel pomeriggio in campagna? Infiorettata nel suo discreto e stretto abitino, Hélène rivelava tutta la circonferenza spropositata dei propri fianchi larghi, molli e burrosi. Lui lo constatava amaramente, mentre lei lo precedeva nel Parc d’Avroy completamente affollato: s’era forse già pentito dei pochi spicci investiti per vederla di nuovo? Quella languida e triste ragazzotta abbondante, già non lo attraeva più?
“Avremo solo due occasioni per vederci, a causa di lei… se ho intuito bene…” lo sorprese Hélène. Lo stalliere si rese conto di averle così incautamente lasciato scoprire, nella sua premessa, quale che fosse il loro segreto. Le fece cenno di tacere scrupolosamente: la bambolina avrebbe assolutamente passato dei guai seri, se solo lo si fosse venuto a sapere.
Qualcosa si smosse improvvisamente nel corpo di Hélène; era forse il riflesso di poter immaginare la viziatissima seconda figliastra del signor Eric, alle prese con i guai seri, proprio come quelli che aveva patito lei in passato? “…e …lo fate spesso?” ebbe allora la sfacciataggine di domandargli.
Ripiegarono su una panchina nascosta, dove lei ribadì subito la sua domanda; lui la prese per un orecchio stuzzicandola: “Sei una grande birichina… vuoi sapere proprio tutto vero?”.
Hélène timidamente gli sorrise, era già bella rossa in viso.
“E allora io lo farò… ma sappi che se qualcuno sa qualcosa di me e lei… allora …stavolta la gonna te la tirerò su io”.
Hélène tacque un istante, tenuta sempre per l’orecchio. Sotto la larga mutandina di stoffa morbida che la opprimeva, si era già vergognosamente infradiciata, al semplice udire quelle parole che una volta ancora, le ricordavano di averle prese.
“Lo facciamo sempre nella stalla, quasi tutti i fine settimana, dopo pranzo” le rivelò lui; “…lei è brava …a fare l’amore…” biascicò Hélène, vistosamente eccitata e scossa.
Lo stalliere le mollò l’orecchio, stendendole tutta la mano sulla parte scoperta della coscia, poco sopra il ginocchio largo e rotondo: “Nadine è una ninfomane incallita …tu lo sai cosa vuole dire vero?”; Hélène face cenno di sì con la testa. “Quando siamo da soli, lei impazzisce… le piace molto venire presa vestita da amazzone”. La povera ragazzotta adesso tremava sul serio, sotto il suo vestitino bianco a fiori.
“Con il frustino nella mani, la eccita tenerlo su mentre io…”.
Hélène lo interruppe senza volerlo, sussultando sulle gambe in modo vistoso, a udire quelle parole; poteva immaginarla.
“E… è …è scomodo farlo nella stalla…” domandò lei, deglutendo in maniera intensa e affannata.
“Col cappello in testa e il frustino nelle mani, con il timore di venir scoperti …quasi senza respirare... Sì, scoparla lì dentro non è affatto comodo… sarebbe molto più comodo farlo qui”.
“Qui …dove?” arrossì completamente Hélène.
Per la prima volta lui l’aveva sottinteso, lasciandoglielo forse solo intuire, ma istillandole la pura e semplice suggestione, di poter dedicare anche a lei, la stessa foga e lo stesso impeto. Facendolo proprio in quell’istante, lì dentro al parco.
“Stai scherzando …vero…”.
Evidentemente non scherzava; si era già tirato pensando alla sua bambolina, presa e sbatacchiata bene al buio e nell’odore alacre di quella stalla. Benché la ragazzotta, seduta al suo fianco, non lo avesse affatto voluto notare, i suoi pantaloni si erano leggermente gonfiati al centro, in modo visibile.
Le teneva una mano sulla coscia, come a volerla bloccare trattenendola, fino al punto da vederla scoppiare di calore.
“Con il frustino nella mani, la eccita tenerlo su mentre io le sfondo le chiappe” disse ridendo, e lentamente mosse la mano verso l’alto, scorrendo pericolosamente lungo la morbida carne di Hélène, fino a raggiungere la gonna.
“Adesso levati le mutandine, melone caldo… ti faccio vedere io come si fa”. Lei non gli piaceva, ma era eccitato dall’idea di poterla abusare in un luogo pubblico, in maniera rude e plateale. Hélène gli tolse subito la mano, tremando di paura.
Il Parc d’Avroy era ancora affollato, benché la loro panchina fosse quasi completamente nascosta dagli alberi; un solo piccolo pertugio vi si apriva dinanzi, tanto quanto bastava affinché la ragazzotta provasse infinita vergogna, al solo pensiero di abbassarsi realmente le mutandine in quel luogo.
“Tu sei matto …per chi mi hai presa?” sussurrò lei a bassa voce, quasi avesse persino paura di farsi sentire.
“Non ti ho ancora presa… “, rispose lui ridendo. “Ma voglio rimediare subito: adesso giù quelle mutandine …melone…”.
Quelle erano le conseguenze di voler essere uscita, con un rude ed ignorante stalliere: un volgare ragazzo di campagna.
Hélène non lo avrebbe fatto, per nessuna ragione al mondo; benché sotto la gonna sentisse tutto il ventre tremarle, non lo avrebbe fatto. Si era preparata immaginando forse, di poterlo persino baciare: ma di certo non avrebbe fatto nulla, in un luogo pubblico, lì nel mezzo al parco; davanti a tanta gente.
“Adesso giù quelle mutandine …melone…”. Lei non voleva.
Quinto episodio
Le ragazze desideravano di venire accompagnate al mare; la guida pretese allora il doppio dei soldi, dal momento che sarebbero servite almeno due ore, per andarvi e poi tornare.
Nadine aveva preso il comando delle operazioni, rivelando anche una malcelata simpatia, per quel ragazzo greco che con buona iniziativa le aveva sapute adescare; le altre sue amiche, la seguivano pedissequamente lungo la strada, non smettendo mai di ridacchiare tra di loro. L’unica attenta e vigile era sempre e solo, la solita Mimi, che adesso osservava con un filo di preoccupazione tutta quanta la vicenda.
Giunte alla stazione della metropolitana presso il mercato, quest’ultima con una risoluzione inattesa, decise di voler rincasare da subito; il piccolo appartamento che avevano preso in affitto, si trovava dalle parti del Colle delle Ninfe: un vicino luogo, il cui nome doveva averle ispirate. Mimi disse loro di essere molto stanca; aveva forse intuito, come quella casuale faccenda dell’accompagnatore, potesse in realtà aver già preso una piega differente e per lei del tutto sbagliata.
Le sue amiche provarono tutte a dissuaderla, inutilmente; Mimi diede loro appuntamento presso la loro dimora, immaginando di vederle tornare prima del tramonto.
Lungo tutto il tratto della metropolitana, Nadine pendeva letteralmente dalle labbra di Stavros: questi parlava bene in inglese e la conversazione tra di loro era assai gradevole e vivace, interessando argomenti di storia antica ma anche divagazioni varie nel campo del teatro e della cultura. Lui aveva studiato storia dell’arte e s’era laureato da oltre sei anni; a Nadine piacevano moltissimo i suoi occhi grandi.
Sedute leggermente di lato, Chloe e Bianca parevano fin troppo distaccate; tra loro non v’era mai stata vera amicizia, e la piccola bionda di Amay riteneva che Bianca fosse poco più che un semplice cagnolino, di scorta al loro seguito.
Giunsero dopo oltre venti minuti di viaggio, al luogo con tutte le barche attraccate in un pittoresco porticciolo; quando Nadine chiese di dissetarsi su una piccola terrazza, Chloe e Bianca erano già finite qualche decina di metri indietro: si stavano già disperdendo nella folla, allontanandosi da lei e dalla loro guida; fu lì che il telefono di Bianca, squillò.
Sua madre Dominique con Benoît, avevano casualmente incrociato Mimi in un piccolo pertugio del mercato, non lontano dal luogo ove ella s’era separata da tutte loro; lei era piuttosto scocciata dal fatto, che le ragazzine si fossero affidate ad una sconosciuta guida locale per proseguire il loro giro turistico: “Chi è quell’uomo che vi accompagna?”.
Si fece promettere dalla figliola, che l’avrebbe avvisata non appena fossero rincasate presso il loro appartamento. Mimi le aveva anche fornito l’indirizzo preciso, per sua maggiore tranquillità: Apolloniou, 16.
Stavros aveva offerto a Nadine un liquore tradizionale molto forte, e qualcosa tra di loro sembrava rivelare oramai, un’inattesa alchimia; come spesso accade in questi casi, le due ragazzine più piccole erano state relegate al ruolo di semplici damigelle di compagnia. Il venticello del porto aveva ripreso a scombinare i loro capelli legati, mentre leggermente inebriate anche loro da quell’ottimo liquore al sapore dell’anice, esse intraprendevano un po’ pigramente un nuovo cammino alle spalle di lui. Parevano già stanche.
Percorsero a piedi il tratto panoramico lungo tutto il lato delle barche, fino alla spiaggia di Freatida che distava poco più di due chilometri; davanti a loro, già Nadine e Stavros avevano preso a tenersi per mano. Il sasso era rotolato, ed era oramai evidente come tra lei e lui, fosse sbocciata ineluttabile una forma ben visibile, e percettibile, di passione.
Bianca riprese a scattare alcune foto, dalla spiaggia, immortalando spesso Chloe che rideva, e l’altra sua amica oramai compromessa, stretta abbracciata assieme alla sua guida greca di incerte origini. Lui pareva abituato a quel tipo di situazioni, chissà quante altre giovani turiste egli aveva conosciuto, e accompagnato lì. Adescandole in modo simile.
Mentre Bianca scattava tutte quelle foto, la sua gonnellina aveva ripreso a sollevarsi, mossa dal venticello che proveniva dal mare aperto; ad un certo punto se ne rese finalmente conto, bloccandola goffamente con una mano. Ma già Nadine e Stavros l’avevano veduta e derisa per le sue chiappotte bianche: “Stai facendo vedere il culo a tutti!” le urlò lei alle spalle, facendola arrossire. “E tu… che cosa ti guardi con quegli occhi lì… è la mia amica…” aggiunse poi ridendo verso il suo accompagnatore. Creando così un buon presupposto, per un vero ed irresistibile bacio alla francese.
Presa in giro, Bianca si era vagamente chiusa in sé stessa; adesso arrancava alle spalle di Chloe e degli altri due, che camminavano abbracciati: fissando tutto il tempo il proprio telefonino; tratteneva sempre la gonna con una mano per non farsela sollevare dal vento, e si sentiva indesiderata e ridicola. Sua madre, nel frattempo, aveva già provato a chiamarla di nuovo, senza che nemmeno lei se n’avvedesse; tra l’incessante e rumorosa risacca delle onde del mare.
Apolloniou, 16.
Sesto episodio
Aveva deciso fermamente di non volerlo accontentare.
Quel rude stalliere, aveva rivelato fino in fondo tutta la sua volgarità, ed il proprio insano istinto animale, provandoci con lei. Hélène era infastidita dalla sua proterva insistenza, mentre dentro al ventre, ella non poteva smettere di tremare.
Ma gli occhi le caddero inesorabilmente sui pantaloni rigonfi di lui: fu lì che egli le afferrò una mano avvicinandola pericolosamente. “Almeno carezzalo …o sei una buona a nulla…” le disse con tono lievemente offensivo, facendola lentamente ruotare con il busto, tanto quanto bastava. Adesso la schiena larga di Hélène con il suo vestitino leggero, creavano una barriera allo sguardo dei passanti.
Si aprì la cerniera, sotto non indossava nemmeno le mutande; Hélène inorridì nel comprendere che avrebbe desiderato di venire masturbato in quel luogo. Lo stalliere si aprì anche il piccolo bottone in cima, per faciltarle il compito.
La ragazzotta, a quel punto, non poté fare null’altro che avvicinare la mano tremolante, stringendolo: non aveva mai fatto nulla di simile, davanti allo sguardo di altra gente.
“Sei davvero una buona a nulla…” insistette lui, ma intanto si vedeva come la mano delicata di lei, stesse iniziando a provocargli del lento piacere. La cinse da dietro per i capelli, avvicinandole in modo perentorio, il viso al suo; poi, senza aggiungere null’altro, improvvisamente la ricompensò infilandole tutta quanta la lingua calda dentro alla bocca, fino in fondo, facendola sussultare di emozione. “Ooooh…”.
Era il quarto uomo che lo faceva, anche se erano stati solamente in due, quelli che se l’erano portata a letto.
Tenuta stretta dietro alla nuca, con la lingua di lui infilata dentro la bocca, Hélène aveva smesso improvvisamente di masturbarlo. Quegli le impose di riprendere il lavoro, afferrandole il polso; ed Hélène obbedì, provando questa volta una sensazione ben diversa, di degrado e perdizione.
Veniva trattenuta con irruenza, e nel frattempo era stata costretta a masturbare quel volgare stalliere: il sesso di lui era completamente stretto, trattenuto dalla sua mano soffice, già ricoperto di umori fradici e sporchi; era arcuato e caldo.
“…ancora… continua… che poi ti ci devi sedere sopra…” sussurrò all’improvviso, facendole raggelare il sangue nelle vene; era eccitato mentre Hélène affondava nella vergogna.
Di sano istinto, la scellerata decise che avrebbe preferito farlo godere subito, per evitare di incorrere in conseguenze ben peggiori; aumentò così la rapidità della sua mano, sentendolo tremare nella sua presa, turgido e gonfio. Come tutte le ragazzotte della sua età e di altrettanto buona famiglia e tradizioni, Hélène era infatti dotata di moderazione e educato senso del pudore; ma anche di un ventre molle che la trascinava disperatamente verso la fine.
Joe spalancò la bocca reclinando in basso la testa, allontanandola da lei; mentre con la mano libera si mosse in modo indelicato, fino ad arpionare per intero il retro della gonna, strizzandole tutto il culone nella sua mutandina, nascosta di sotto. Palpeggiandola senza alcun rispetto.
La poveretta immaginava bene, che qualcuno potesse in quell’istante vederli, ed ebbe un nuovo sussulto di vergogna: ma non smise di masturbarlo, dal momento che sperava di farlo esplodere in fretta; e si rendeva conto, che la eccitava in modo scriteriato, vederlo godere fino all’orgasmo per causa sua. Lo stalliere intanto, non certo appagato, continuava a sondarle le dimensioni e la sostanza del sederone, stringendone le rotondità in modo oltraggioso e svergognato, lungo tutto il tessuto posteriore della gonna.
Si era preoccupata di poter essere vista mentre lei lo masturbava, mentre ora diverse coppie di passanti, potevano invece facilmente notare la manona di lui, che in un modo impertinente ed insistito, indulgeva nel palparle il sedere.
Lo stalliere riprese a compensarla, mentre Hélène proseguiva imperterrita a curarlo con la mano: adesso vibrava dei colpi assai più decisi, in modo quasi disperato, nel vano tentativo di farlo esplodere; fino al punto in cui lui decise infine di fermarla, bloccandole il polso e allontanandole il viso.
“Vai lì dietro e togliti le mutandine” le disse lui, indicando un luogo ancor più nascosto.
“Ma… ma possono vederti…” balbettò Hélène; si preoccupava per la vergogna di lui, ma in realtà era terrorizzata dal fatto di dovergli obbedire. “Hai combinato un pasticcio… e adesso devi mettere le cose a posto …melone…” le disse alludendo visibilmente al proprio membro, che troneggiava come una grossa mazza minacciosa, turgida e dura, in mezzo ai suoi pantaloni aperti.
Aveva provato a farlo finire; ma invece adesso, come tutto risultato, Hélène aveva preparato la tavola in modo eccellente ed esemplare, apparecchiandogli la festa: nel modo non troppo scomodo che lui aveva inizialmente paventato.
“Non posso …mi vergogno…” biascicò sconsolata lei; pareva quasi afflitta dal fatto di essere intimorita, dalla ritrosia e dalla paura. “Se non te le abbassi subito, lo faccio io… forza! sbrigati, corri…”; lo stalliere aveva fretta, voleva concludere per bene il pastrocchio che lei aveva contribuito a creare.
Hélène non si mosse, e allora lui spazientito la tirò leggermente su per un braccio, facendola docilmente girare sulle caviglie e sulle piccole scarpette. “Mi chiedevi del cavallo? Con lui… faccio così!”, e con la mano ben aperta, le fece schioccare per intero tutto il sedere, lasciandola incredula ed attonita, stordita dal rumore secco e ovattato.
Sciaff!
Hélène filò muta dietro il cespuglio, e quando ne uscì dopo mezzo minuto, era completamente rossa in viso; le sue larghe e morbide mutandine bianche erano finite nel piccolo borsello, e sulla superficie rotonda del sedere, poteva avvertire ancora il calore di quel nuovo, inatteso sculaccione.
“Con te funziona così allora… per farti muovere il culo, servono botte!” la derise, mentre Hélène franava lentamente; “…proprio come il cavallo… botte, e poi dentro!”.
La ragazzotta non avrebbe voluto, non avrebbe nemmeno potuto immaginarlo, di poter finire ridotta in quel modo, definitivamente vinta; lo stalliere la provocava di continuo, offendendola e trascinandola in fondo al baratro: ma obbedì montando a cavalcioni sopra di lui, mentre quegli con due mani continuava a tenersi nascosto il membro. Gli fu sopra, e lui le ripose giù la gonna in modo che il sederone di lei, mollo e ancora scosso, risultasse ora ben nascosto agli sguardi.
Lo cinse attorno ai fianchi, ed Hélène sentì a quel punto la massa di quell’oggetto così viscido e nodoso, muoversi oltraggiosamente sotto il suo addome; era da più di mezz’ora che lei era umida fradicia, non era affatto riuscita a contenersi: a quel punto lo stalliere infilò la mano destra sotto alla gonna, potendo constatare bene, che non servivano preliminari. “Allora sei una birichina… una grossa maiala…”.
“… botte, e poi dentro!”. “Ooooooooo…”.
Era stata penetrata in modo perentorio e deciso; iniziò a muoversi lentamente, dapprima tenendosi le mani sulle ginocchia; poi prese invece a rimbalzare dolcemente, poggiandole sopra le spalle di lui, avvolte nella maglietta grigia. Gli si era completamente consegnata senza parlare.
I suoi movimenti visti da dietro e da lontano, erano inequivocabili; Hélène si stava facendo scopare su una panchina in mezzo al parco, da un volgare ragazzo di campagna: qualcosa di cui avrebbe dovuto vergognarsi.
Ma era stata trascinata e dominata, senza nessuna possibilità di evitarlo; mentre cavalcava il suo stalliere, la ragazzotta aveva preso a sudare sotto il suo vestitino bianco a fiori; le piaceva, eccome se le piaceva, venire presa in quel modo.
“… botte, e poi dentro!”. “Ooooooooo…”.
“… botte, e poi dentro!”. “Ooooooooo… ooo”.
Settimo episodio
Ecco quello che stava per accaderle.
Bianca si sentì trasportata indietro, non capiva perché era finita così anche stavolta, ma era scellerata ed ingenua.
Abbandonarono la spiaggia, camminando in modo svagato e lento lungo il faticoso tragitto percorso all’andata. Nadine e Stavros se ne stavano sempre abbracciati, ammiccando e scherzando; Chloe li seguiva con la sua culotte bianca ed i suoi sandali in legno, che facevano un discreto rumore lungo tutta la via; mentre la terza ninfetta, tenendosi una mano aperta sulla sua gonnellina a scacchi per non farsela sollevare dal vento, continuava a fissare il proprio telefonino.
La batteria si stava già esaurendo dopo un’intera giornata trascorsa a scattare fotografie. Bianca non aveva voluto richiamare sua madre, per non consumarne ulteriormente il resto; le aveva solo scritto un messaggio tranquillizzandola, senza che però venisse tuttavia letto: nel frattempo erano già arrivate le sei del pomeriggio, il sole non era più così caldo.
“Vi porto in autobus ad Alimo, lì vive mia madre, ed è un posto bellissimo” disse Stavros a Nadine e Chloe, una volta giunti presso il porto da cui s’erano inizialmente allontanati; le due ragazzine sciaguratamente accettarono, a patto di non dover pagare nulla di più, di quanto già stabilito. Bianca li raggiunse dopo quasi due minuti e comprese subito, che quella decisione era già stata presa, senza di lei: la bambolina non aveva alcuna intenzione di separarsi dalla sua guida, e lui ne era conscio fino al punto di volerne approfittare.
Il viaggio non fu affatto breve: dovettero dapprima spostarsi a piedi, per poi salire su un autobus pieno di gente. Le ragazze si resero conto che il percorso proseguiva nel leggero entroterra; Stavros aveva già rivelato a Nadine, la sua esplicita ed irriverente proposta: di poterla ospitare dentro la vecchia casa della madre; ma non le aveva affatto detto, che quella casa sarebbe stata perfettamente vuota.
Le ragazze se ne sarebbero accorte loro malgrado, quando videro che la loro guida non suonava al campanello, sul lato della strada; aprendo il cancello, estrasse le chiavi di casa.
Nadine riprese ad ammiccare blandendolo, aveva perso completamente di vista il rischio di quello che stava facendo; mentre anche Chloe stranamente appariva incuriosita dalla pericolosa situazione. Bianca invece, chiese solo di poter caricare il proprio telefonino, ma il ragazzo non possedeva in quel luogo alcun adattatore che potesse funzionare bene.
“Hai visto quante camere che ha?” sussurrò Chloe nell’orecchio di Bianca, mentre Stavros andava ancora inutilmente cercando un qualcosa per ricaricarle il telefono; anche Nadine aveva quasi scaricato il suo, mentre quello di Chloe non era abilitato per le chiamate internazionali.
Tre ventenni distratte ed imprudenti, erano state trascinate fin dentro casa da parte di un perfetto sconosciuto; a circa dieci chilometri dal centro della città dove sarebbero dovute urgentemente ritornare. Se solamente la signora Dominique lo avesse saputo, sarebbe certamente caduta in uno stato di grandissima agitazione: Bianca lo immaginava assai bene.
“Tua madre non vive qui?” chiese Nadine; la bambolina iniziò ad intuire l’impiastro oramai ovvio: lui le aveva condotte fin lì, sapendo bene che la casa era vuota; Stavros senza imbarazzi le rivelò che quella casa era infatti disabitata da mesi. Sua madre era solamente nativa di quel luogo.
Si poteva notare una certa incuria nei dettagli, ed anche un bel po’ di polvere in giro, oltre ad alcune vistose tracce di sporco, ben visibili sul pavimento. Chloe chiese di poter restare in cortile per fumare una sigaretta, era tutto il giorno che non lo faceva per non dar fastidio alle sue amiche.
Bianca si soffermò a guardare una piccola libreria in legno.
Era incuriosita dai libri scritti in greco, ricordava di avere visto qualcosa in passato a scuola, e cercava inutilmente di ricordare quali fossero le opere di cui tutti parlavano.
Ad un certo punto, la ragazzina si rese conto che tutti quanti gli altri erano spariti; la casa sembrava vuota, ed il sole del tardo pomeriggio illuminava gli interni di lato, rivelando la polvere sul pavimento ai piedi del vecchio mobilio; si mosse lentamente verso una piccola scala tenendosi una mano sulla gonnellina: anche se nessuno l’avrebbe potuta vedere, l’era tuttavia rimasto addosso, un senso di pudore e di vergogna.
Il soppalco aveva il tetto basso, lì sopra faceva decisamente molto più caldo; da una finestrella chiusa Bianca vide Chloe che fumava tutta sola nel cortile: era poggiata al muro nudo in mattoni, piegata con tutte le braccia ben strette sul busto, avvolto solo dal suo striminzito costumino azzurro.
Si mosse ancora attraverso un pertugio, sentendo sempre più caldo, con le cosce che adesso le strusciavano molli per via del sudore; si stava avventurando in giro per la casa.
Giunta in fondo al corridoio, udì improvvisamente alcuni rumori; ristette subito sulle ciabattine, leggermente trafelata.
Ooof…
Non erano semplici rumori, ma piuttosto, languidi sospiri; dopo pochi istanti, senza più alcun dubbio, riconobbe il timbro delicato della voce di Nadine: un piccolo vagito afono, e nulla di più. Che cosa le stava succedendo?
Un altro timido vagito, e poi un urletto più lungo e intenso; come in un moto di lenta sofferenza: “Ooooo… uh …ooh”.
Bianca non aveva mai, nemmeno lontanamente pensato, al sesso; era una ragazzina diversa da tutte le altre: ai tempi della scuola veniva persino presa in giro. Adesso invece, ella poteva assistere incredula, a ciò che per anni mai aveva nemmeno osato minimamente immaginare: la sua amichetta del cuore stava facendo, indubbiamente e in modo assai sfrontato, l’amore con quel ragazzo. “Ooooo… ooh…”.
Nadine incedeva con i suoi urletti, mentre di Stavros non si poteva udire quasi nulla, se non ogni tanto, un lontano e profondo respiro; saltuariamente, la cinta dei suoi pantaloni rimbalzava sul pavimento, in modo disordinato: in quei momenti, Nadine aumentava l’intensità dei propri sospiri.
Bianca si era piegata sulla parete di lato, nell’anticamera poco illuminata, e sentiva molto caldo; la sua borsetta era rimasta al piano di sotto ed il suo telefonino aveva squillato per la terza volta. Adesso sentiva le cosce che le tremavano.
Chloe fece rientro nel salone senza trovarvi più nessuno; a quel punto la scellerata Bianca la poté udire dal piano di sotto, che invocava il suo nome con una certa insistenza: l’incedere dei sospiri di Nadine, la teneva tuttavia interamente bloccata sui piedi, avvolti nelle sue piccole ciabattine nere, ad ascoltare tutto quel vergognoso spettacolo.
“Oooo …ooooh… oo”.
Chloe prese anch’ella a salire arrampicandosi sulle scale, continuando sempre ad invocare il nome di Bianca; e costei presto la vide comparire dall’altro lato nel corridoio: i loro occhi si incrociarono in maniera strana, quasi colpevole; il gioco aveva evidentemente superato il limite.
La bionda di Amay se ne rese subito conto, dal modo in cui Bianca tremava; fece un passetto in avanti, e poté udire anch’ella, quei delicati sospiri provenire da dietro la porta.
“…oo …ooooh”.
Adesso la bambolina Nadine arrancava con degli urletti più acuti ed intensi; sembrava un incedere inesorabile e lento, uno sforzo incontenibile per non cedere definitivamente allo sprofondo del piacere. Le due ragazzine non immaginavano nemmeno, che ella avesse già potuto perdere la verginità in passato; Chloe da parte sua, non lo aveva ancora fatto.
“Devo …andare in bagno…” sussurrò quest’ultima a Bianca, in modo stranamente ed incomprensibilmente imbarazzato; e traballando vistosamente, ella si spostò ancheggiando attraverso tutto il pertugio. Trovò il bagno con un po’ di difficoltà, al piano di sotto; si chiuse subito la porta alle spalle, prendendo di mira la sua culotte, in modo scomposto.
Nadine e Chloe erano separate dal soppalco, una sopra l’altra; mentre entrambe in maniere del tutto differenti, sprofondavano lentamente senza possibilità di salvezza.
Erano passate le sette e mezza di sera, quando Chloe fermando tardivamente la sua mano impazzita, bloccata ed incaprettata sulla tazza, veniva impetuosamente giù; la culotte discesa sui sandali in legno, e le mutandine azzurre strette attorno alle caviglie, erano tutto ciò che la vestiva.
“Ooooooo…”.
Bianca non poteva immaginarlo, che nemmeno l’altra sua compagna di viaggio, avesse saputo resistere alla follia; lei era invece sempre immobile, ferma ad ascoltare il tonfo di quegli strani colpi lungo la parete, senza muovere un dito: i sospiri incessanti di Nadine, le ricordavano ora il verso delle giocatrici di tennis, quando colpiscono la pallina.
“Uh! …ooooo! …uh…”.
Improvvisamente, un vagito intenso e gutturale, completamente differente dagli altri, seguìto dal ripetuto sbatacchiare della cintura su tutto il pavimento, fecero intendere alla scellerata Bianca, che era giunto il momento di allontanarsi di fretta; aveva paura di venire scoperta. Stavros aveva appena completato la sua opera, dopo un lunghissimo e dedito lavorìo ai fianchi, regalando a Nadine uno degli amplessi più belli di tutta quanta la sua giovanissima vita.
Anche Chloe era salita di nuovo sulle scale, fermandosi leggermente più indietro, ma continuando ad ascoltare gli imbarazzanti vagiti della loro amica. Era vistosamente scossa da ciò che aveva combinato poco prima, seduta sulla tazza: un poco se ne vergognava, non era certo abituata a chiudersi nel bagno nelle case altrui; vi era caduta vergognosamente.
“Ooooooo…”.
Discesero lente al piano di sotto senza parlare; sapevano entrambe che quel gioco aveva tracimato oltre ogni limite ragionevole, e adesso non avevano nemmeno il coraggio di guardarsi. Fuori dalla finestra, il sole era divenuto torbido e la luce rossastra in mezzo al salone polveroso, preludeva indubbiamente al tramonto; accesero la luce di una piantana nei pressi della libreria e Bianca riprese il proprio telefono.
“Per quale diavolo di ragione non mi rispondi”; questa volta Bianca aveva richiamato sua madre. Anche Chloe, seduta dall’altro lato del salone, dovette intuire che la donna era compostamente ma fermamente adirata verso la sua figliola; “Ma… mamma, ho poca batteria…” biascicò lei, per poi sentirla replicare: “Non me ne frega niente della batteria, dove diavolo ti trovi?”.
Non fece in tempo a ribattere, che già il suo telefonino l’aveva definitivamente abbandonata. Bianca avvertì un lungo brivido freddo, su tutta quanta la schiena, quando osservando lo schermo tutto nero, ella se ne rese conto: come mai avrebbe potuto avvisarla, che stava per rincasare?
Avrebbe forse potuto adoperare il telefono di Nadine? Dal piano di sopra non si udiva più nulla.
Rimasero per quasi mezz’ora sedute nel salone senza parlare, in religioso ed imbarazzato silenzio, mentre il buio era sceso tutto intorno; solamente a quel punto si udirono finalmente dei passi lungo le scale, incerti e lenti.
Vestito unicamente con una maglietta e le mutande, Stavros era sudato e spettinato; le due ragazzine furono assai impressionate nel vederlo, egli tradiva fino in fondo l’irruenza dello sforzo intenso che aveva dovuto sostenere.
Si rivolse a Bianca e Chloe con tono di voce freddo, quasi formale, in una maniera che strideva col suo aspetto trasandato: “La vostra amica vuole restare a dormire, mi ha detto di dirvi che se volete, potete ritornarvene sole a casa”.
Fu una doccia fredda improvvisa per le due ragazzine, che avevano passato quasi due ore in quel luogo, solo per accompagnare lei ed assistere in modo inerte, alla penosa recita, nella quale lei godeva come una scimmia alle loro spalle; per poi venire ora congedate in modo rapido e inelegante. Chloe chiese di poterle parlare, ma Stavros le rispose negandola: “Si è già addormentata sul divano, non vuole essere svegliata, mi ha detto di salutarvi”.
Un velo di preoccupazione scese sulle due ragazzine; Bianca avvertiva una grande urgenza di richiamare sua madre, ma non ebbe il coraggio di chiedere a Stavros di farlo col suo telefono; si adoperarono piuttosto per chiamare un taxi che le riportasse prima possibile fino al centro della città.
Ma immediatamente si resero conto, che non aveva senso cercarne uno; la linea era sempre occupata e presto si arresero. Il sabato sera, nessun taxi era disponibile per essere prenotato, e nella remota area periferica in cui si trovavano, reperirne uno sarebbe stato veramente difficile.
Stavros era mezzo nudo e non avrebbe certamente potuto accompagnarle, né tantomeno lasciare Nadine da sola: era evidente, che se la sarebbero dovuta cavare in qualche modo.
“Andate fino a Lambrakis con la corriera, non ce ne sono molte a quest’ora, temo… dovrete per forza aspettare un bel po’. E poi prendete la metropolitana da lì: al massimo alle dieci e mezza sarete in pieno centro… mi dispiace…”.
Adesso Bianca doveva chiamare sua madre; si fece coraggio e domandò a Stavros se potesse farlo col suo telefono. Ma non fu affatto una buona idea: la signora Dominique domandò a più riprese dove si trovassero, ed esasperata ordinò alla figliola di passarle il proprietario del telefono.
La madre di Bianca non parlava un buon inglese, mentre la voce di Stavros era pigra e disinteressata; la ragazzina capì che si stava materializzando un grosso pasticcio, quando udì la voce della donna, riferirle che il suo compagno Benoît l’avrebbe aspettata tutto il tempo presso la loro dimora. Era davvero preoccupata ed aveva perso la pazienza con lei.
“Tua madre è sempre così ansiosa con te? …cosa sarebbe mai successo, se non si fosse trovata qui in Grecia anche lei?” le domandò Chloe, mentre in una strada buia percorsa da numerose macchine coi fari accesi, le due ragazzine nei loro indumenti leggeri attendevano la corriera, sotto la luce giallastra di una fila di vecchi lampioni al neon.
Bianca non rispose, aveva capito di averla combinata veramente grossa anche stavolta. Chloe insistette: “Ma ti tratta sempre così?”; voleva forse deriderla indulgendo in modo impietoso, con le sue domande curiose e impertinenti.
“Non avranno mica scelto di venire fin qui per controllarti?” la affondò una volta per tutte; Bianca non ci aveva mai pensato, ma forse era davvero proprio così: non si fidavano affatto di lei, la ritenevano stupida e incapace di gestirsi. E anche stavolta, lei aveva fatto in modo di dare loro ragione.
Ottavo episodio
Hélène stava sudando come un femmina in calore, e si agitava sobbalzando sulle due ginocchia in modo scomposto: lo stantuffo duro e caldo di Joe la stava facendo letteralmente impazzire; la ragazzotta cavalcava il suo stalliere, infilzata in mezzo alle cosce, travolta da un mare di liquidi, e posseduta per bene. Era imbambolata, una scena davvero impietosa.
Lo stalliere la reggeva per i fianchi, lasciando che fosse lei ad agitarsi e scuotersi tutto il tempo; era strano, pensava lui: una ragazzotta così timida ma vogliosa, fino al punto da apparire persino disperata, nel modo in cui rimbalzava sopra di lui. Era da più di due anni che nessuno la stracciava, lo si poteva ben intuire dal modo in cui la poveretta godeva.
“Con il frustino nella mani, la eccita tenerlo su mentre io…”; e questa volta era toccato a lei, di sottostare al trattamento.
Travolta dalla voluttà, Hélène s’inarcò leggermente in avanti con la schiena: dal momento che le due mani dello stalliere la reggevano sempre per i fianchi, ciò fece sì che il vestitino le si sollevasse candidamente sul di dietro, in modo indiscreto.
Adesso la situazione aveva veramente oltrepassato il limite della vergogna: benché nessuno avesse la velleità di avvicinarsi, da lontano si poteva intravedere la pelle molla dei glutei ingombranti di lei, rimbalzare ininterrottamente. E a fissarla bene, anche quella mazza di carne imposta nel mezzo, ferma e lucida che la puntellava. Finirono in molti per additarli, con vivace e morbosa curiosità: non era certo uno spettacolo normale cui assistere, in un luogo pubblico.
“… botte, e poi dentro!”. “Ooooooooo…”.
“… botte, e poi dentro!”. “Ooooooooo… ooo”.
Lui fece quello che non doveva assolutamente fare: le afferrò i glutei scoperti con le mani, rendendo ancor più visibile la parte bassa di quel sederone enorme e gonfio. Adesso la ragazzotta era completamente domata, sospinta sui glutei e sbatacchiata in mezzo alle gambe, senza alcuna possibilità di sfuggire alla presa; accelerò, spalancando la bocca. Puzzava.
“Ooooooooo…”.
Cavalcava in modo intenso ed affannato, con le mani strette intorno al collo di Joe, pregandolo di insistere e di non fermarsi mai. Lui adesso la guardava sorridendo, non poteva davvero credere a quello che faceva: era una maiala, pensava.
La ragazzotta prese a sbattere con tutto il grembo, scendendo sopra di lui con degli scatti incontrollabili ed improvvisi, schiudendogli il pene ogni volta in modo sempre più profondo, senza nemmeno rendersi conto che avrebbe potuto sentirlo presto scoppiare; non aveva nemmeno la prudenza di evitare un possibile pasticcio.
Disperata intuì che stava per finire, mentre le mani di lui le stringevano i due glutei dilaniandoli, sotto il vestito che per sua buona sorte, era gentilmente ricaduto in basso ricoprendole tutta quanta la vergogna. Ma inarcò la schiena sempre di più, sentendo che in quel modo, lui batteva in modo diverso, strusciandola in modo greve, trascinandola inesorabilmente sul fondo. Stava godendo come una vacca.
“Ooooooooo… ooo”.
Lo stalliere riuscì a liberarsi un solo istante prima di combinare il disastro; la ragazzotta sul più bello, sentì la vagina svuotarsi, morbida e completamente dilatata: una colonna durissima di carne bollente la serrava su tutto il lato posteriore del sedere, dritta in mezzo ai glutei, segnati dalla fatica e dal grande sudore di quell’inattesa cavalcata; istintivamente fece due rimbalzi indietro, sentendo quell’oggetto imperioso aprirsi e schiudersi per bene.
Un nuovo gioco, mai provato prima: adesso la scellerata rimbalzava tenendolo appiccicato al sedere, assicurandosi che quel membro oltraggiosamente rigonfio ed eretto, continuasse a muoversi mentre lei saliva e scendeva; lo stalliere non poteva credere a quello che lei stava facendo, oramai era caduto anch’egli nella morsa del piacere: le mise entrambe le mani sulla gonna, afferrandola da dietro. Poi aprì anch’egli la bocca, era sul punto di scoppiare.
Se la sbattè sulle ginocchia a sua volta, in modo inerte, e trattenendola; poi finalmente, senza alcun preavviso, le esplose sotto alla gonna e lungo tutta l’enorme estensione del sedere, più fradicio e bollente che mai, ansimando e cercando inutilmente di non farsi notare dai passanti.
“Uuuuuuh…”.
Le disse trattenendola ancora a fatica, mentre continuava ininterrottamente ad eiaculare: “…hai …veramente un …melone caldo… caldissimo… che razza di melone …uuuuh”.
L’aveva scopata, aggiungendola così al suo lungo elenco.
Noncurante degli sguardi della gente, Hélène si inarcò una volta ancora, dilatandosi le chiappone esauste con le mani, infilate disotto alla gonna; le bastava il solo pensiero, la sola fantasia, d’essere stata appena sbattuta in un luogo pubblico: per trascinarla definitivamente fino all’ovvia conclusione.
Le sue piccole mani, con l’anellino ricevuto dal suo precedente fidanzatino infilato bene al dito, spalancavano tutto il suo citato melone: Hélène crollò dopo pochi istanti, gocciolando come una fontanella, infradiciandogli tutti quanti i pantaloni di sotto, e sporcandolo così, in modo davvero inopinato e vergognoso. “Ooooooo… nooooo”.
“… che razza di maiala…” recitò lui, mentre senza troppa gentilezza la prendeva su per un braccio, costringendola ad alzarsi. Hélène era tutta sudata, aveva ripreso a vergognarsi.
Ma fu in piedi sopra di lui, ricoprendolo per una volta ancora, mentre lo stalliere a fatica si richiudeva i pantaloni nascondendosi tutto il membro; le sue dimensioni erano ora ben diverse, rispetto a quando lei l’aveva inizialmente curato;
preparandogli la tavola per bene.
Sedettero per alcuni minuti senza guardarsi e senza nemmeno parlare; la ragazzotta sarebbe rincasata con le sue mutandine infilate dentro alla piccola borsetta nera, dopo averlo accompagnato a riprendere il treno delle sette.
Si vergognava di sé stessa al punto da dubitare fortemente, di volerlo realmente incontrare di nuovo, al successivo sabato: magari per l’ultimissima volta. Ma sarebbero bastati pochi giorni per chiarirle definitivamente tutte le idee.
Non le interessava che fosse ricco, o che fosse intelligente; lei voleva uno che sapesse farla vergognare di nuovo in quella maniera, proprio così come aveva fatto lui. Si era innamorata senza volerlo, dello stalliere dell’amichetta di sua sorella: anche se non lo avrebbe confessato veramente a nessuno.
Nono episodio
“Ooooo… uh …ooh”.
“Ooooo… ooh…”.
“Oooo …ooooh… oo”.
“…oo …ooooh”.
“Ooooooo…”.
“Uh! …ooooo! …uh…”.
“Ooooooo…”.
Bianca aveva assistito per la prima volta in tutta quanta la sua vita, ad un atto di sesso. Provava un sentimento strano, di ansia e di disagio: ma non era verosimilmente dovuto, o forse solo in parte, a questa sua curiosa esperienza; cupa e silenziosa, la ragazzina non riusciva a capire realmente che cosa la turbasse così tanto: sentiva che qualcosa era sul punto di accadere con lei. Ma non avrebbe saputo dire cosa.
Finalmente la corriera era arrivata, quando oramai era tutto buio intorno; Bianca e Chloe apparivano esauste dopo la lunga giornata, culminata nell’interminabile attesa, tutte sole in mezzo alla strada: si sedettero in fondo al corridoio, avrebbero dovuto viaggiare diritto fino all’ultima fermata, per cui non occorreva domandare a nessuno, dove scendere.
Durante il tragitto, furono avvicinate da tre uomini con caratteristiche del volto di chiaro stampo magrebino, che per loro fortuna parlavano pochissimo l’inglese; ma tanto bastava, per spaventarle ulteriormente: s’erano cacciate in un bel guaio una volta ancora, e la loro destinazione era ancora lontana. “…what’s your name” disse il primo di loro.
Chloe respinse uno dei tre, di nome Youssef, che provava goffamente ad approcciarla; non risparmiava l’uso delle mani, e la piccola bionda di Amay fu quasi in punto di chiedere aiuto in modo esplicito, prima che costui si fermasse; gli altri uomini presenti sulla corriera le fissavano incuriositi: erano vestite in modo troppo leggero e sbarazzino, per poter realmente andare in giro da sole, a quell’ora della sera. Se l’erano in qualche modo, cercata, quella loro esuberanza indesiderata e un po’ sopra le righe.
Gli sguardi degli uomini erano rudi ed irriverenti, a tratti persino scurrili; quando le due ragazzine si alzarono in piedi per sfuggire dall’altro lato, Bianca teneva una mano sulla sua gonnellina, memore di quanto l’era stato fatto notare, durante il giorno da Nadine sulla spiaggia.
Finalmente raggiunsero la fermata della metropolitana, quando erano oramai passate le dieci di sera; Bianca sapeva che avrebbe trovato Benoît in casa ad attenderla, e s’era impegnata a predisporre una validissima giustificazione: in fondo lei e Chloe, avevano solo seguito Nadine con il suo nuovo fidanzato; la colpa era senz’altro della bambolina, che le aveva costrette a trattenersi contro la loro stessa volontà.
Bianca ripensava a Nadine, a quello che lei aveva combinato, insieme al suo Stavros; non era certo invidiosa, dal momento che quello sconosciuto ragazzo greco tantomeno le appariva bello. Ma nel suo intimo provava piuttosto, profonda desolazione, ed un terribile senso di inadeguatezza. Non era mai stata presa in considerazione da nessuno, fino a quel giorno, a causa del suo aspetto fisico: era piuttosto bassa e decisamente sproporzionata nei fianchi, con un corpo leggermente a forma di pera; proprio come quello, assai più massiccio e pingue, della sua invidiata sorellastra.
Nel tratto della metropolitana faceva persino freddo; Chloe veniva additata da numerosi passanti per via del suo abbigliamento, del tutto inadeguato all’orario. Anche Bianca esibiva una spalla tutta nuda, con le sue ciabattine di gomma ai piedi: le due non vedevano l’ora di tornare a casa.
Nel loro piccolo appartamento, buio e sprovvisto di balcone, Mimi aveva già provato per ben più d’una volta, a cercare Nadine, senza ottenere però alcuna risposta al telefono: la bambolina era assorta completamente nel sonno, seminuda e interamente bagnata di umori; dormiva in modo profondo, del tutto indifferente rispetto alla sorte delle sue due amiche.
Robusto e sportivo, l’uomo che s’era improvvisamente presentato alla porta di quella casa, le aveva dato alcuni nuovi aggiornamenti sulla sbadataggine delle tre ragazzine: lui era una persona riservata e di poche parole, che Mimi non aveva mai visto prima del loro incontro all’arrivo nell’aeroporto; con discrezione egli sostava di fronte alla tivù tenendone il volume abbassato, in atteggiamento di paziente attesa: ma muoveva le mani sulle ginocchia nervosamente, stirandosi gli eleganti pantaloni neri in modo ripetuto e meccanico; indossava una polo rossa con il classico marchio alla moda, sotto la quale esibiva due bicipiti assai vigorosi.
Benoît aveva quarantaquattro anni, ma ne dimostrava qualcuno in più; Mimi lo guardava ogni tanto dalla stanza accanto, cercando di intuire se egli fosse o meno scocciato da quanto era accaduto: avrebbe forse preferito trascorrere la serata in un modo differente, piuttosto che venire a controllare la stupida figliastra che rincasava a quell’ora; Mimi lo pensava e lo guardava. Aveva il doppio dei suoi anni.
“Sono finite nel sud della città, non abbiamo capito dove sono e non sappiamo come faranno a tornare” commentava l’uomo con un tono di voce più ironico che desolato. Mimi non conosceva il numero di telefono di Chloe, e fu tuttavia sollevata nel comprendere che le sue amiche stavano bene.
Erano oramai nelle vicinanze, percorrevano l’ultimo tratto a piedi; il trillo improvviso del citofono venne accolto con un sospiro liberatorio da parte di Mimi, che essendo leggermente più adulta, avvertiva inevitabilmente una forma di particolare responsabilità nei confronti delle sue compagne. “Finalmente! Ce l’hanno fatta!” esclamò.
Benoît allertò immediatamente la signora Dominique, proprio nell’istante in cui la ragazza scendeva trafelata, ad aprire il portone lungo la strada con le sue chiavi; la madre di Bianca annuì, con poche e sobrie parole di circostanza: “Vorrei che tu adesso la facessi riflettere… bene però…”.
Salirono le scale ridendo nuovamente come delle galline, come se tutta quanta la loro paura fosse improvvisamente svanita nel nulla: mentre squittivano ripetutamente lungo i ripidi gradoni in legno, già la scabrosa liaison di Nadine con Stavros era stata rivelata per filo e per segno, alla loro incredula e curiosissima amica francese: non risparmiandole alcun minimo dettaglio, compresi quei suoi vagiti irriferibili. Bianca ancora una volta arrancava dietro di loro, tenendo nuovamente tutta la mano aperta sulla sua gonnellina.
“Davvero è successo? È proprio andata così…?” chiedeva attonita la ragazza più adulta, mentre finalmente esse varcavano sane e salve, la porta di quel piccolo appartamento. Trovando Benoît in piedi vicino al salotto.
“Ooo… buonasera signor…” esclamò Chloe per prima; Bianca entrò dopo un solo istante, e subito incrociò i suoi occhi, abbassando immediatamente lo sguardo.
Lei e Chloe, avevano solo seguito Nadine con il suo nuovo fidanzato; la colpa era senz’altro della bambolina, che le aveva costrette a trattenersi contro la loro stessa volontà.
La colpa non era loro, era ovvio che fosse così.
Benoît non si scompose né tantomeno si mosse; si limitò ad un garbato e formale saluto nei confronti di entrambe. Si attendeva forse una qualche parola di scuse, da parte di quelle due ragazzine: che avevano trattenuto lui, e la signora Dominique in apprensione per tutto quanto il corso della giornata. A quel punto, la figliastra si espresse come in una recita, si era preparata per bene tutto quanto il suo discorso.
Lei e Chloe, avevano solo seguito Nadine con il suo nuovo fidanzato; la colpa era senz’altro della bambolina, che le aveva costrette a trattenersi contro la loro stessa volontà.
Benoît chiese di poter restare un istante con Bianca, per parlarle: e Mimi e Chloe lo accontentarono immediatamente.
Decimo episodio
Chi è la ragazzotta in carne, non proprio bellissima, che vestita come una cameriera d’altra epoca e con la gonnellina a fiori completamente sollevata, geme rumorosamente nel retrobottega del vecchio ristorante Place Dauphine? Sembra davvero una vacca in calore. E il ragazzo forte e nerboruto cui offre generosamente i propri fianchi e le proprie grazie, potrebbe essere davvero un rozzo soldato in libera uscita.
I due stanno creando un gran trambusto, soprattutto la ragazza con i suoi mugolii di piacere e con i suoi movimenti poco eleganti da elefantessa: speriamo che non se ne accorgano su dalla cucina del ristorante, non è nemmeno terminato l’orario di lavoro e la cameriera dovrebbe ancora essere lì a servire gli ultimi clienti della sera.
In realtà il tipo che la sta sbattendo nel retrobottega è proprio un cliente del ristorante, anche se non si direbbe uno abituale. È stato visto entrare, ordinare qualcosa di frugale con una certa indifferenza e fretta, ed infine parlottare con la ragazza dopo averle regolarmente pagato il conto.
E adesso se la sta scopando per bene nel sottoscala. Anche se deve essere un po’ scomodo soprattutto per lui che ha ancora i pantaloni addosso e deve stare leggermente piegato in avanti con la testa. Ora che si sporge un po’ indietro si vede cha ha un membro davvero possente, che non finisce mai, lungo e tornito. La cameriera ora è invece disposta avanti a lui a cavalcioni su una vecchia sedia di legno, con le gambe completamente divaricate, ed un lago di sudore e di umori che la cola dalle cosce fradicie. Dopo averla sbattuta a lungo e con impeto dal didietro, come un toro da monta, ora la possiede invece con ritmo più delicato e per certi versi gentile, anche se la ragazza non ha nulla di fine nei lineamenti e nelle movenze.
Il tipo invece deve essere anche molto robusto, se ad un certo punto la ragazzona appare come sollevata dalla sedia, costretta tra la piccola finestra ed il grosso membro davanti che la puntella come un chiodo, appiccicandola al muro. Ogni tanto un gridolino rompe l’aria umida e polverosa del piccolo ripostiglio, ad anticipare il vortice dell’orgasmo in cui la cameriera sta per sprofondare.
Fuori dalla minuscola finestra, dalla quale nessuno può scorgerli, delle piccole campanelle suonano, e l’Île de la Cité offre il solito aspetto languido e un po’ triste, di vecchia nobiltà decaduta.
Così iniziava Melone rosso caldo. Hélène non nascondeva a sé stessa, il fatto d’essersi vagamente lasciata ispirare dal suo stalliere: con quei suoi metodi tanto volgari e osceni; proprio nel disegnare la scabrosissima scena, quella del sottoscala del ristorante, lui le aveva acceso l’immaginazione; in quell’atto esplicito che apriva il suo lungo racconto, lui l’aveva indubbiamente sospinta con la sua veemenza.
Il finale era del tutto inventato, per confondere in realtà la parte veritiera di tutta quanta la lunga storia: la triste vicenda racchiusa con esattezza nel cuore del quinto capitolo, rappresentava un resoconto quasi fedele, con pochissimi sprazzi di fantasia, del modo in cui il signor Eric l’aveva punita, durante la sua festa di compleanno.
Si era trattato, a detta di Hélène, di una punizione immeritata. Lei aveva solo reagito ad una provocazione da parte della sorellastra Bianca: ma alla fine, lei le aveva prese.
Gliele aveva suonate in modo davvero serio ed esemplare: e soprattutto, lo aveva fatto davanti allo sguardo di altre persone, esterrefatte ed incredule per i metodi domestici.
“Pe… perché me …l’ha date, mamma…” aveva biascicato annichilita e stordita, verso la madre che - come accade sempre in questi casi - in modo un po’ scontato e banale era accorsa a consolarla; quando il bruciore su entrambi i glutei era ancora vivissimo e doloroso, con il grosso sederone di lei nascosto a fatica, ma ancora caldissimo per le botte prese.
“L’ha fatto solo per il tuo bene” le aveva semplicemente risposto la signora Dominique; ed aveva ragione: la disciplina di quegli sganassoni le sarebbe indubbiamente servita, onde evitare di far di lei una ragazzotta impunita ed imprudente. Quelle erano state le conseguenze, ed erano anche le medesime parole del suo odiatissimo patrigno, proferite a distanza di quasi dieci anni nel loro recentissimo incontro. E quello era stato realmente il suo bene. Le botte.
Raccontarlo le avrebbe parimenti giovato: per Hélène fu certo come una liberazione. Per quasi cinque anni, nei quali la ragazzotta si sarebbe persino affrancata dalla madre, trasferendosi a Bruxelles per lavorare tutto il tempo nella redazione di un noto giornale, l’ossessione di quel ricordo si sarebbe alla lunga attenuata.
“Pe… perché me …l’ha date, mamma…”. Eppure, le erano servite.
Ogni giorno Hélène rileggeva il suo scritto, finché finalmente a distanza di oltre un anno, ella decise di pubblicarlo su un sito di racconti erotici. Finendo bersagliata da un numero esagerato di critiche, ma anche dalla bramosia di presunti ammiratori di sesso maschile, i quali desideravano accertarsi, che quella storia fosse vera; e sapere se dietro alla sfortunata protagonista di nome Sophie, ci fosse il volto ancora sconosciuto dell’ambigua e ignota scrittrice.
Finì addirittura per venire corteggiata da alcuni uomini in carne ed ossa, senza che tantomeno essi avessero mai veduto una sua foto; uno di loro, una specie di maniaco francese di nome Joseph, ebbe persino la sfacciataggine di andarla a cercare in quel di Parigi, nei luoghi descritti dal suo racconto.
Eppure, per tutti quei lunghi anni, Hélène non avrebbe mai più avuto un nuovo fidanzato.
Lo stalliere di nome Joe intanto non la chiamava, ed era già arrivato il mercoledì: che forse egli fosse rimasto così deluso da lei? La poveretta rimuginava sola tutto quanto il tempo.
La ragazzotta non amava affatto di dover prendere l’iniziativa per prima; era pur sempre una femmina: ma in fondo non era stata proprio lei, a chiedergli di scambiarsi il numero di telefono quel pomeriggio in campagna?
“Oh …che sorpresa… il melone è sempre caldo?” esordì lui, dopo che Hélène lo ebbe spudoratamente cercato per ben due volte. “Perché non mi chiamavi più…?” lo incalzò subito lei; era coricata a pancia in giù sul letto nella sua cameretta, vestita unicamente con un completino di intimo nero, e con la piccola chicca di una vaporosa gonnellina rossa in chiffon, mai indossata prima. Si era acchittata per telefonargli, come se si fosse dovuta preparare per un incontro: chissà che cosa mai avrebbe inopinatamente desiderato di sentirsi dire, attraverso quel telefono. “Perché non mi chiamavi più…?”.
Non sarebbe stato affatto piacevole.
“Questo sabato non voglio vederti” la raggelò subito lui, aggiungendo poi “…forse è meglio che ti cerchi un altro”.
Hélène tacque per un istante, e lui senza alcuna sensibilità, la
umiliò con delle parole che avrebbe decisamente potuto evitare: “…porta quel melone a spasso da un’altra parte…”.
La ragazzotta pianse ininterrottamente per un bel po’ di tempo, piegata sul letto con la sua ridicola gonnellina, leggermente scomposta attorno ai fianchi; anche la domestica Mabel si accorse di lei, e s’affacciò per domandarle che cosa di spiacevole fosse successo: senza ottenere però alcuna risposta. “…porta quel melone a spasso da un’altra parte…”, le aveva detto senza alcun riguardo.
Eppure, contrariamente alle premesse di quel giorno, si sarebbero rivisti di nuovo per almeno sei o sette volte; Hélène lo avrebbe ritrovato su internet dopo poco più di un mese, scovandolo in maniera leggermente casuale: lui era decisamente più affamato e desideroso rispetto a come lei l’aveva lasciato; stava forse muovendosi alla ricerca di una nuova preda, sui siti dove andavano tutti quanti.
Continuava a fare sesso con Nadine, la quale però aveva adesso un fidanzato ufficiale. E non era la guida turistica conosciuta in Grecia durante le recenti vacanze, bensì un ricco quarantenne di Düsseldorf, incontrato in aereo durante il viaggio di ritorno, che l’aveva ammaliata con il suo portafogli; costui era volato persino a trovarla, presso la dimora di Namur, durante un recente fine settimana di settembre: venendo subito introdotto al signor Eric e alla madre Marie. Era così strano vedere Nadine con un uomo.
Hélène era solamente uno squallido ripiego per Joe; la ragazzotta capiva assai bene di esserlo, ma non se ne crucciava affatto: che cosa importava oramai la dignità per lei, dopo che lui l’aveva offesa e derisa in modo continuo, per svariate volte di fila? Cosa importava che lui non fosse affatto innamorato di lei, quando la scopava?
Il destino avrebbe disposto che si incontrassero proprio il 5 di ottobre, dentro alla fredda galleria nella stazione di Namur, quando Hélène aveva da poco compiuto i suoi ventiquattro anni: a dieci anni precisi di distanza da quel triste giorno, quello delle sue prime botte.
Undicesimo episodio
Bianca entrò dopo un solo istante, e subito incrociò i suoi occhi, abbassando immediatamente lo sguardo.
Riconobbe l’espressione nel volto dell’uomo, era severa.
Mimi e Chloe uscirono dalla stanza come richiesto, immaginando di poter udire forse una breve paternale di costui, nei confronti della loro amichetta, ma nulla di più.
Invece Benoît era sempre in piedi con le braccia conserte, e domandò alla figliastra con tono di voce apparentemente disteso: “Ti sei divertita così tanto allora?”. Lei fece cenno di no con la testa.
“Eppure, ti ho sentita ridere… non eri tu quella che rideva lungo le scale poco fa?”.
“Mi… dis… dispiace” mormorò lei, tenendo lo sguardo tutto abbassato; aveva sempre una mano aperta sulla sua gonnellina. “Ti dispiace vero? …adesso ti dispiacerà un poco di più, lo sai…?” rispose lui, senza alcuna enfasi. Mimi e Chloe intanto avevano ripreso a parlottare e a ridere, le si poteva udire dalla stanza accanto, erano del tutto ignare.
L’uomo finalmente si mosse verso Bianca, stringendole con forza il braccio destro, quello sprovvisto di spallina; la ragazzina non voleva che finisse così, sapeva che sarebbe stata una grande vergogna; ma si lasciò tirare in avanti, finendo aggrappata ad uno dei suoi avambracci. Poi fu sospinta lungo la schiena: di fronte a sé aveva solamente una parete nuda tappezzata di bianco sporco, con un piccolo quadro floreale nel mezzo che la sovrastava, sottomessa.
“…Ooh no ooo” ululò lei; a questo punto l’uomo la cinse per bene con tutto il braccio sinistro, obbligandola a mantenere il busto rivolto verso la parete di fronte: lei aveva ancora la mano sinistra tutta aperta sulla sua gonnellina. “Oooo…”.
“L’hai sentita anche tu?” disse Chloe a Mimi, con malcelata curiosità, dopo che la ebbero udita dalla stanza accanto; si mossero appena in tempo per assistere a tutta la scena.
“Forse stavolta impari” esclamò Benoît sorreggendola, volgendo il capo verso la schiena piegata in avanti di lei; era oramai evidente quello che stava per accaderle. “Ti devono sentire tutti” aggiunse poi con voce ferma, senza scomporsi.
Le prese la mano, quella che lei teneva sempre sul retro della gonna, e facendole ruotare il braccio sinistro, fece sì che la ragazzina lo unisse al busto, proprio così come il destro; adesso era piegata per bene. I fianchi le furono mollati per un solo istante dalla morsa, lasciandola libera di respirare: oramai sapeva di non avere alcuna possibilità di evitarlo.
Ne ebbe immediatamente conferma, quano sentì la mano di Benoît che le afferrava la gonnellina: e subito dopo, un senso di freddo e di conseguente vergogna; era stata sollevata da lui, gliela aveva rovesciata per bene lungo tutta la schiena.
Subito venne nuovamente stretta attorno ai fianchi, lui aveva una certa fretta, di arrivare alla meritata conclusione.
Mimi aveva paura di guardare, mentre Chloe spiava dal corridoio: vide così tutto il culo nudo della sua amichetta, esposto senza alcuna protezione; il filino nero nel mezzo non era null’altro che il disotto d’un completino, unito alla sua sottile canottierina nera, e non la ricopriva per nulla. La bionda di Amay si mise subito una mano sulla bocca.
Benoît aprì il braccio destro, e senza dire nulla di più, le colpì quel culo con una sculacciata fortissima, impartita su tutto il gluteo sinistro; Bianca rimbalzò in avanti, trattenuta dalla sua presa, ululando penosamente. Subito le aveva fatto male.
“Uuuuuuuuuu…”.
“Adesso ti devono sentire tutti quanti” ribadì lui: e stavolta le schiaffeggiò il gluteo destro con vigore. Poi aprì nuovamente il braccio, e le fece schioccare tutto il sedere in modo penoso, con un tonfo fragoroso che si dovette persino udire lungo tutta la strada. “Oooooo…”.
Anche Mimi si fece avanti impietrita, e inevitabilmente gli occhi le caddero subito su quel povero sedere, che dopo soli tre sculaccioni, appariva già lievemente arrossato. Ne avrebbe ricevuti in tutto, forse più di centocinquanta ancora.
“Prendi questa…”, “Oh… ooo”.
“E questa…”, “Ooooo… ooo”.
Povera Bianca: ecco che cosa la sorte le aveva riservato quel giorno; di venire ascoltata dalle sue compagne proprio come l’amichetta Nadine, con i suoi urletti incresciosi.
Il piacere del sesso per l’una, il calore intenso e l’umiliazione delle botte per l’altra; questa era la sua realtà.
Benoît iniziò a batterla in modo deciso e severo; facendola miseramente traballare in avanti, sentendola a tratti squittire come una scimmia. Uno sculaccione dietro l’altro, le stava lentamente gonfiando il sedere, mollo e inerte; era adesso di un pallido colore rosato, ma evidentemente non le bastava.
“Ti sei divertita allora?” disse lui, fermandosi solamente per un istante. Bianca tossì e non rispose, era annichilita.
Poi aprì nuovamente il braccio destro, mollandole una scudisciata fortissima; l’aveva solo fatta respirare. E poi ripresero gli sganassoni, reiterati e penosi, dinanzi agli sguardi allibiti e imbarazzati delle altre due ragazzine: erano venute completamente allo scoperto, e Mimi chiudeva istintivamente gli occhi, ogni volta che la mano di Benoît si abbatteva sulla sua sfortunata compagna di viaggio.
Prese ad alternare i due glutei in modo fermo e sistematico, non smettendo mai di trattenerla; adesso la ragazzina era piegata con le mani sulle ginocchia, e scuoteva il capo miseramente, con la piccola coda di cavallo piegata in giù.
Il rumore delle percosse era adesso più deciso e regolare, al punto che chiunque dalla strada, avrebbe compreso quello che stava accadendo; Benoît stava facendo alla ragazzina un culo così.
Chloe stava quasi scoppiando in lacrime, mentre la sua povera amichetta taceva e subiva il castigo in maniera totalmente inerte; “…metti le mani al muro” le ordinò l’uomo, affinché ella sollevasse meglio il corpo.
La ragazzina lo fece, ed in questo modo, fu disposta con la schiena rivolta precisamente verso le altre due amiche: esibiva la cellulite lungo le cosce, ben illuminate sul lato del televisore acceso; “adesso impari” disse di nuovo Benoît.
Iniziò a batterla senza sosta, con la mano robustissima, in modo ancor più impietoso: questa volta i glutei della poveretta rimbalzavano con un frastuono simile ad uno schiocco, mentre erano divenuti entrambi rossi in una maniera vistosa e completamente imbarazzante. A questo punto Bianca prese inesorabilmente a piangere, ed era quello che l’uomo attendeva.
La strinse ancora più forte e decise di dargliene ancora, con l’intento di ridurla in uno stato di cui lei dovesse realmente vergognarsi; Mimi continuava a chiudere gli occhi e a voltare il capo al fracasso di ogni percossa, con le braccia strette: né lei e né tantomeno Chloe, avevano mai visto nulla di simile nella loro vita, non essendo mai state punite sul serio.
La fece piangere per davvero, continuando a sculacciarla senza sosta per almeno altri cinque minuti; quando infine si placò, Bianca era completamente ridotta in lacrime.
Aveva staccato le mani dal muro, e adesso penzolava con la vita stretta nel braccio sinistro dell’uomo, e la gonna che s’era leggermente stropicciata: quel povero fondoschiena vibrava rigonfio all’inverosimile, con le sue enormi macchie rosse a ricoprirle almeno la metà inferiore, del tutto sfigurata; quella era stata una punizione diversa rispetto alle precedenti, non tanto per la sua severità, quanto per il fatto d’essere avvenuta dinanzi allo sguardo delle sue amiche.
“Spero che tu ti sia divertita… la prossima volta sai già quello che ti succede”, chiosò l’uomo, mentre finalmente le rimetteva a posto la gonnellina; quella piccola gonnellina a scacchi da cui tutto quanto l’impiastro di quella giornata era iniziato.
Bianca rimase ferma in piedi, non aveva il coraggio di voltarsi, e continuava ininterrottamente a piangere; Chloe si avvicinò e vide che era tutta rossa in viso: era inconsolabile, sia per via del dolore, che dell’umiliazione subita. Così pensarono di lasciarla sola, mentre Benoît nel frattempo si accingeva nuovamente a telefonare alla signora Dominique.
“Sta piangendo… sì, è per quello” disse l’uomo con voce garbata e tono imperturbabile. Si sentivano dei singhiozzi anche attraverso il telefono: quelle botte erano state efficaci, c’era davvero da sperare che qualcosa si fosse smosso in lei.
Non poté salutarla, dal momento che Bianca si rifiutava di parlargli; si congedò da Mimi e Chloe pregando loro di avere pazienza, e confessando che non era stata quella, la prima volta. “Purtroppo era già successo, sono dispiaciuto quanto voi ma qualcosa dovevo fare”. In quell’istante Chloe si rese conto, che sarebbe piuttosto dovuto toccare anche a lei, ed istintivamente abbassò lo sguardo: fu attraversata da un riflesso umiliante, ed immaginò sé stessa nella medesima condizione di Bianca. Prima che Benoît le lasciasse salutando.
La ragazzina punita, attese che le altre sue amiche si infilassero in camera da letto, prima di provare a ricomporsi; aveva un pigiamino bianco che indossò una volta nascosta nel bagno. Il sedere le faceva talmente male, che dovette abbassarsi nuovamente la culotte e provare a massaggiarselo, senza alcun risultato: era stata abituata a percosse ben più severe, ma quel giorno le faceva stranamente molto più male del solito; era rosso e mollo.
Era stata messa in riga, ma quanto a lungo sarebbe durato?
Ovviamente Nadine lo seppe già all’indomani, non appena diede pronte notizie di sé, al primo mattino; a quanto pare Stavros aveva una fidanzata, e doveva liquidarla in fretta.
Le quattro ragazzine continuarono la loro vacanza, ma qualcosa adesso era inesorabilmente cambiato: una, tra di loro, aveva preso le botte; era sempre muta e scura in volto.
Benoît e la signora Dominique ritornarono in Belgio dopo meno di una settimana, quando le ragazzine erano già sbarcate sull’isola di Paro, lasciando la città con tutti quei loro ricordi: in parte dolci ed in parte, tristemente amari.
Anche stavolta, Benoît aveva avuto la sua parte in tutto ciò.
Ogni mattina Bianca si guardava nello specchio, sperando di poter finalmente indossare il proprio piccolo costume. Le amichette provavano tanta pena per lei, mentre prendevano il sole ridendo, tutte sdraiate di fronte ad un mare bellissimo.
Le macchie sul sedere erano diventate nere, e non sarebbero scomparse del tutto prima di svariati giorni. Quando finalmente la ragazzina punita, poté indossarlo, si poteva intravedere ancora qualche segno: tra i glutei e l’attaccatura delle cosce, la pelle della povera Bianca era segnata da tratti di cellulite e da bucce d’arancia violacee; le amiche fecero finta che non fosse evidente, ma qualcosa di strano si notava.
Iniziò a batterla senza sosta, con la mano robustissima, in modo ancor più impietoso: questa volta i glutei della poveretta rimbalzavano con un frastuono simile ad uno schiocco, mentre erano divenuti entrambi rossi in una maniera vistosa e completamente imbarazzante. A questo punto Bianca prese inesorabilmente a piangere, ed era quello che l’uomo attendeva.
Dodicesimo episodio
La festeggiata era bella e radiosa, una ragazza completamente diversa rispetto a quella timida e dimessa conosciuta al liceo; ci spalancò la porta di casa esibendo un vestitino corto e attillato color arancio chiaro, con un’elegante giacchetta bianca sulle spalle, e delle sottili ballerine nere. Dietro di lei, uno stuolo di parenti e amici riempiva una veranda molto ampia, piena di palloncini colorati e di fiori; entrammo in punta di piedi, non conoscevamo davvero nessuno, e subito notammo gente molto distinta ed elegante, non sapevamo se fossero parenti o semplicemente amici di Sophie.
Nel tentativo di rompere il ghiaccio, Sophie ci accompagnò dentro alla veranda, salutando un bel po’ di persone lungo il tragitto, per guidarci infine dentro l’ampio salone, pieno di quadri e di mobili di pregio, dove finalmente potemmo conoscere i suoi genitori e la sorella più piccola.
Ci spostammo con Sophie nella veranda, dove venimmo abbandonati per un tempo lunghissimo, in cui io e Maxime ci dedicammo a mangiare deliziosi dolci e a scrutare la gente attorno a noi. Fummo improvvisamente dispersi dallo spegnersi delle luci con l’ingresso nella veranda della grande torta con le candeline; Sophie si precipitò a spegnerle nel bel mezzo della sala con il suo bel vestito attillato, tra i nostri applausi e i gridolini d’approvazione delle amiche; la madre prese a tagliare la torta e iniziò a distribuirla a tutti i presenti dentro tanti piccoli piattini di porcellana.
Soggiunse anche il signor Eric, sempre felpato e discreto nelle movenze, portando al collo una macchina fotografica di grosse dimensioni, e iniziò a scattare alcune foto a Sophie e alla madre vicine alla torta, con alcuni parenti e amici che le abbracciavano; erano entrambe belle e sorridenti, e in quell’occasione notai una viva somiglianza tra le due.
Si avvicinò anche il gruppo di ragazzine del coro, ed attaccarono tutte assieme una filastrocca di auguri per la festeggiata, con le loro giovani voci bellissime; Sophie fece con le braccia il cenno di volerle abbracciare tutte quante, e finse di cantare insieme a loro, mentre il marito della madre continuava sempre ad immortalare la scena.
Alcuni bambini più piccoli facevano adesso un gran trambusto nel mezzo della veranda giocando con alcuni palloncini colorati che si erano staccati dall’addobbo sul soffitto, mentre molte altre persone si erano spostate nel salone per consegnare i regali di compleanno a Sophie e intrattenersi con la sua famiglia. In quel momento guardai l’orologio, erano passate almeno tre ore dal nostro arrivo alla festa, e già alcuni presenti avevano iniziato a congedarsi lasciando la casa alla spicciolata.
Notammo solamente in quell’istante la presenza garbata e silenziosa di una bellissima giovane dalla pelle olivastra e dai lineamenti del viso leggermente marcati; aveva la fattezza esotica di un’antica odalisca, ed esibiva con leggerezza e innocenza due cosce piene e tornite, avvolte da sottili collant neri, ogni qual volta che saliva e scendeva le scale vestita con un grembiulino scuro da cameriera.
Maxime si fermò a guardarla con tale insistenza, che dovetti farglielo notare e pregarlo per cortesia di distogliere la sua attenzione, così plateale, da quella misteriosa ragazza.
Era un’autentica femmina di razza, dotata di fascino carnale e sanguigno, occhi scurissimi e capelli neri, sensuale in un modo animale e selvaggio; credo che potesse far letteralmente impazzire tutti gli uomini che incontrava. Capimmo molto presto che si trattava della donna delle pulizie, dal fatto che spostava oggetti e stoviglie dalla veranda alla cucina, oppure vedendola salire e discendere le scale spostando delle sedie pieghevoli o semplicemente portando via alcuni regali che erano stati accatastati in un angolo della sala.
Non eravamo i soli a seguirla nel suo incedere lento e gentile, ma certamente gli occhi di Sophie notarono piuttosto gli sguardi morbosi e neppure tanto malcelati di mio fratello; e quando le chiesi per caso, chi mai fosse quella ragazza così vistosa, scorsi chiaramente l’espressione della gelosia più nera sul suo volto. Com’era cambiato il suo viso rispetto a qualche minuto prima, quando con Maxime si era appartata in una lunga e piacevole conversazione.
La definì in maniera assai dura e sprezzante, con l’infamante epiteto di serva. Ma poi, da ragazza educata e gentile quale lei era, si corresse dicendo che si chiamava Floreanne, per tutti Flora, e che abitava con la sua famiglia fin da quando era stata trovata da alcuni conoscenti, abbandonata per mano di un gruppo di clandestini provenienti dal Marocco.
Avrebbe compiuto diciotto anni a febbraio, e viveva segregata del resto del mondo, a completa disposizione della famiglia che la ospitava e che l’aveva sostenuta economicamente e umanamente fin dal suo arrivo nel paese.
Fu così che Maxime all’improvviso si allontanò da noi, e ancora una volta fu notato da Sophie che ormai osservava con ossessione tutti i suoi movimenti; temeva infatti che mio fratello potesse voler provare ad avvicinare Flora, ed era gelosa da morire. Nel frattempo, la cameriera appariva sempre più spesso nella sala, andando e venendo, sempre estremamente compunta e disciplinata, totalmente devota alle pulizie e a riordinare la veranda.
Mentre accadevano tutte queste cose, e mentre le ragazzine del coro se ne uscivano facendo un gran trambusto nel corridoio, udii la voce ovattata di Sonia, che raccontava a Nicole e Jeanne di avere visto mio fratello, rinchiudersi inopinatamente nel bagno degli ospiti assieme alla cameriera.
Flora quindi riprese a mettere ordine nella veranda come se nulla fosse accaduto, sempre distante e disciplinata, e soprattutto indifferente rispetto alle occhiate perfide e supponenti delle altre ragazze presenti dentro la sala.
Sophie era lì vicino e continuava a scrutare mio fratello, che nel frattempo continuava ad incrociare lo sguardo della bella cameriera, in modo per nulla rispettoso dell’imbarazzo in cui quest’ultima s’era cacciata per causa sua.
Anche Bianca era in piedi vicino a Sophie, e sembrava godere della gelosia morbosa e disperata di sua sorella. Decisi di andare in bagno, mi scappava e non ne potevo più.
Uscita dal bagno poi, fui subito distolta da alcune grida provenienti dalla veranda; percorsi il corridoio, si distingueva benissimo la voce di Sophie, e arrivata nel punto in cui la veranda e il salone si congiungevano, vidi Bianca che piangeva a dirotto, con tutta la camicia bagnata, Sophie che urlava come una matta, ed un bicchiere di cristallo rotto in mille pezzi sul pavimento.
Non capivo bene che cosa fosse accaduto, sembravano impazzite tutte e due, ma Bianca non la smetteva di piangere, mentre nel frattempo Sophie si era placata e aveva iniziato a raccogliere i pezzi di vetro dal pavimento della sala.
Sentii giungere la signora Dominique alle mie spalle, la quale mi scivolò davanti con passo veloce e deciso, e arrivata infine nel mezzo della scena, chiese a Sophie di alzarsi e di guardarla bene negli occhi; le altre ragazze e i pochi ospiti rimasti tacquero, solamente pochi di loro continuarono a fare finta di niente, provando a rendere la situazione meno imbarazzante.
“Mamma, mamma … Sophie mi ha tirato un bicchiere addosso !!!”; vidi la mia compagna di banco arrossire come un peperone, ed abbassare subito lo sguardo; la madre le si avvicino minacciosa: “Sophie !!!”, e poi “Che diavolo hai combinato a tua sorella !!!” e allungò il braccio teso come se volesse mollarle uno schiaffone; Sophie fece un passo indietro, e balbettando con voce tremolante ed incomprensibile, sussurrò: “Bianca mi ha detto che io sono solo … che io sono solo una cicciona …” ed iniziò a gemere anche lei; Bianca ribatté: “Sì … Sei solo una cicciona !!!”.
La madre ruotò il busto e invece che a Sophie, mollò un forte ceffone alla più piccola delle due, e Bianca si piegò in avanti piangendo e urlando.
Il trambusto aveva attirato anche l’attenzione del signor Eric, che si affacciò nella veranda chiedendomi cortesemente il permesso; domandò alla moglie che cosa fosse accaduto, e mentre tutte e due le sorelle piangevano all’unisono in modo un po’ esagerato, lei rispose con calma e freddezza: “Bianca ha insultato Sophie, e lei le ha tirato addosso un bicchiere del servizio in cristallo”.
Non so se fosse il valore del bicchiere, o la gravità del gesto, ma il signor Eric fece un repentino passo indietro tornando sull’uscio; lo potevo vedere perfettamente bene, di profilo dallo stipite cui ero appoggiata, leggermente defilata e nascosta.
Dentro alla sala adesso tutti tacevano, nessuno si era potuto spostare, dal momento che il signor Eric era lì fermo sull’ingresso. Altri palloncini colorati si erano staccati dal soffitto ed erano sparsi un po’ dappertutto; le ragazze ogni tanto si lasciavano scappare qualche risolino, non avevano minimamente intuito la gravità della situazione.
Il signor Eric fissò negli occhi Sophie, che iniziò a tremare tutta dalla testa ai piedi; lì compresi che era giunta sul punto di venire punita sul serio, proprio nel giorno della sua festa di compleanno, e provai un sentito timore per lei.
Il signor Eric indicò con la mano destra alzata, in modo solenne e perentorio, il salone che si trovava lì accanto, e con tono di voce assertivo esclamò: “Sophie !!! con me! subito!”.
Dalla veranda nulla si mosse, e Sophie abbassò nuovamente lo sguardo; la madre le prese un braccio con un moto di materna dolcezza, e le disse: “Sophie, cara, ascolta, fai come dice”. A questo punto dato che Sophie non rispondeva, il signor Eric perse un po’ la pazienza, e facendo nuovamente un piccolo passo in avanti, le puntò il dito addosso alzando la voce: “Non farmi perdere tempo ragazzina! hai capito cosa ho detto!?! … con me !!! subito !!!”.
Sophie mi passò davanti a testa bassa, senza guardarmi, e quando fu vicina al signor Eric, quest’ultimo le strinse il braccio al punto tale che sembrò volesse stritolarglielo. La trascinò dentro al salone come un peso morto; accorse lì anche la madre, mentre Bianca era rimasta da sola a piangere per il sonoro ceffone appena ricevuto.
Le liberò il braccio mollando la presa solo quando fu comodamente seduto sul sofà, con Sophie in piedi immobile e incartata nel suo vestitino color arancio innanzi a lui, e la madre da un lato. Accanto a me, che potevo vedere molto bene la scena e sentire quello che si dicevano, si avvicinò Sonia, che a quanto pare era molto curiosa di vedere cosa stesse succedendo.
Il signor Eric, con voce decisamente più morbida, disse a Sophie: “Non cresci mai … cosa dobbiamo fare noi con te!?!”; vidi Sophie stringersi le guance tra le mani, e la sentii mormorare a bassissima voce: “Ti prego …”.
Il signor Eric sbottonò ed avvolse i polsini della camicia, e lisciandosi con le mani i pantaloni sopra alle ginocchia, ribatté: “sei solo una stupida bambinona … non cresci mai”.
La signora Dominique provò a lenire la situazione, prendendo la parola: “Sophie, prometti a me e a Eric che non lo farai mai più! promettilo subito, giuralo!”, e Sophie ripeté come un pappagallo, non lo avrebbe fatto più, di litigare con la sorellina.
Anche Bianca, nel frattempo, era arrivata in salone, mentre una coppia di signori, probabilmente due zii, vi erano entrati in punta di piedi per recuperare le loro giacche, facendo alla signora Dominique un cenno furtivo di doversene andare. Quest’ultima si distolse dalla discussione e si avvicinò amorevolmente a loro, iniziando a scusarsi per il finale inaspettato della festa, accompagnandoli per tutto il corridoio fino all’ingresso, dove si chiuse una porta a vetri alle spalle.
Mentre io e Sonia guardavamo la scena immobili dallo stipite della veranda, altri si erano avvicinati e notarono cosa stesse accadendo in salone; i più facevano finta di niente, molti pensavano che la cosa si sarebbe conclusa con una semplice ramanzina.
A causa del viavai, non potei sentire cosa il signor Eric andava dicendo a Sophie, era certamente una lunga predica; ma ad un certo punto le vidi fare un goffo passetto indietro, e vidi lui levarsi di scatto dal divano, recuperandola subito e trascinandola nuovamente a sé per un braccio, esattamente come aveva fatto poco prima nel corridoio; Bianca era sempre immobile in piedi nell’angolo opposto del salone, e continuava a piangere anche se in modo più leggero e sommesso.
Allora il signor Eric si sciolse la cravatta ripiegandola sul sofà, e si rivolse a Sophie con tono ultimativo ordinandole: “Adesso tu obbedisci, e ti tiri su quella gonna senza fiatare … e vieni qui da me che le devi prendere … hai capito ragazzina!?! sulle mie ginocchia e con la gonna alzata! subito!” ed indicò in basso con un dito.
Sophie mugolava frasi senza senso, e lo implorava: “noo … ti prego … noo … non me le dare ti prego … “.
Abbassai istintivamente lo sguardo per non vedere, e quando lo rialzai Sophie era adagiata mollemente sul ventre del signor Eric, con il busto ed il volto immersi tra i cuscini del sofà. Questi le sollevò con un gesto molto deciso la gonna: il vestitino color arancio di Sophie era leggero ed elasticizzato, e si arrotolò fino attorno alla vita, liberandole i fianchi e le cosce molli, senza calze e con le sole mutandine che le avevo comperato indosso e le ballerine nere ai piedi.
Rimbalzò fuori tutto il sedere tornito e tremolante, bianco come il latte, che le mutandine non proteggevano né coprivano affatto, lasciando così completamente esposti agli sguardi di chi passava, i suoi glutei bianchi e molli rigonfi di cellulite.
Provai una vergogna immane per lei, ma non potevo fare davvero nulla per aiutarla in quell’imbarazzante situazione.
Nel frattempo ritornò sua madre, e mentre il signor Eric le aggiustava la gonna e le accomodava dolcemente la testa sopra i cuscini, le concluse così la sua ramanzina dicendo: “Ti sei comportata come una bambina stupida e cretina con Bianca … lo sai benissimo che te le sei meritate … e adesso Eric ti fa il sederone …”, e le mollò uno sculaccione forte e preciso proprio nel mezzo con il palmo della mano aperta, facendole schioccare assieme entrambi i glutei color latte come se fossero due palloncini che scoppiavano all’unisono.
Sophie si sollevò col busto ed emise un gridolino languido e sommesso, ma il signor Eric non aggiunse nulla e non si scompose affatto; le mise una mano sopra alla testa, e accompagnandola dolcemente la sprofondò nuovamente tra i cuscini del sofà.
Le assestò un secondo sculaccione, facendole schioccare nuovamente il didietro in modo penoso, e stavolta Sophie emise un grido di dolore più acuto; prese a batterla con impeto, e senza sosta. Bianca mi parve immediatamente rincuorata nel vedere la sorella subire il giusto castigo, ed esibiva adesso un’espressione soave e divertita.
Ci allontanammo sia io che Sonia, mentre dal salone proveniva costante il rumore sordo delle percosse, alternato ai gridolini e al pianto di Sophie; il signor Eric l’apostrofava dicendo: “… perché non parli più!?! …” e poi giù una nuova scudisciata, “dì qualcosa stupida! … diamine, dì qualcosa! ...”, e la batteva di nuovo; tutti compresero quello che stava accadendo, e passando avanti e indietro dinanzi al salone, potevano vedere la scena ed il didietro di lei, mentre il signor Eric la sculacciava e la puniva in modo esemplare.
Soggiunse anche Maxime, e mi chiese di poter vedere anche lui lo spettacolo; lo pregai di non andare, ma lui non mi diede ascolto e subito lo vidi in piedi eretto davanti alla porta, a guardare e ad ammirare il culone di Sophie che veniva battuto con vigore, rimbalzando mollemente ed in modo inesorabile.
Quando andai da lui per recuperarlo, il ritmo delle percosse era aumentato, ed i colpi erano sempre meglio assestati e precisi; si direbbe che il signor Eric fosse un ottimo giocatore di tennis, da come le batteva per bene il sederone facendolo schioccare ad ogni colpo.
Sul didietro molle e bianco di Sophie, totalmente vulnerabile e indifeso, iniziarono a formarsi due grossi e vistosi lividi rosa, che aumentavano di colore e di intensità ad ogni colpo che subiva.
Ad un certo punto si affacciò nella sala anche Flora, per riferire qualcosa alla signora Dominique; nel vedere la scena, fece un piccolo passetto indietro. Ma il signor Eric la tranquillizzò: “Non preoccuparti Flora, vieni pure avanti … mica avrai vergogna per il sederone di questa stupida cicciona”, e riprese a sculacciarla. Mio fratello sorrise a Flora in modo sornione, e quella ricambiò subito con i suoi occhi nerissimi e sensuali.
Provai solamente ad immaginare il dolore e l’umiliazione per Sophie, nel sentire quelle parole; ai gridolini si era adesso sostituito un mugolio sommesso alternato al pianto, attutito dai cuscini tra i quali era costretta a giacere, sospinta dalla mano forte che le teneva saldi i fianchi e la gonna, immobilizzandola completamente.
Continuò così a lungo a sculacciarla e a redarguirla, credo che durò per almeno altri dieci minuti, una vera eternità. I mugolii avevano oramai lasciato il posto ad un pianto dirotto; il signor Eric le ordinò di sistemarsi la gonna e di salire su in camera.
Allora pensammo che sarebbe stato sicuramente molto meglio, andarcene via senza salutarla; feci un cenno alla madre, mentre Sophie era di spalle e ancora piangeva disperata, con il culone rosso livido ancora in bella mostra.
Le aveva prese proprio durante la sua festa di compleanno, davanti agli occhi degli amici e dei parenti, ed era stata umiliata e annichilita con gli sculaccioni proprio come una bambina. Provai un’infinita vergogna per lei.
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