In cantiere
di
sophie
genere
etero
Novembre 1977, la mia università proseguiva come al solito, cioè senza particolare impegno, ogni tanto, però, facevo qualche lavoretto per papà, niente di importante, qualche rilievo, qualche disegno, però lo facevo contento.
Era a Roma per non so bene che tipo di appalto, chiamò casa per chiedermi di fargli un favore, stavano aprendo un cantiere vicino Lodi, a Borgo San Giovanni (chissà dov’era) mi chiese di passare in ufficio a prendere dei documenti che il mattino dopo, molto presto, servivano al capo cantiere che avrebbe ricevuto la visita di un ispettore dell’INPS, e di portarli in cantiere entro le 18,00 ci avrei trovato degli operai che stavano finendo la messa in sicurezza, mi chiese di lasciare quei documenti in baracca, non avevo molta voglia, comunque quando Papà chiede è………...un ordine, quindi mi preparai, passai in Corso Italia in ufficio a prendere un faldone che una segretaria aveva preparato ed andai a Lodi, o meglio, in un paesino sperduto che si chiamava Borgo San Giovanni.
Avrebbero costruito delle villette a schiera, trovai quasi subito il cantiere, c’era un'unica gru, e poi sul cartellone davanti c’era il nome di Papà come progettista e della sua società come proprietario, impossibile sbagliare; parcheggiai proprio davanti al cancello che, comunque, mi sembrava chiuso, provai a spingerlo e………… si aprì, la catena scorreva nei buchi ed il catenaccio non era chiuso, vidi subito che il pulmino degli operai era vicino alla baracca, dovevano essere lì, mi ci diressi e, dando uno sguardo dalla finestra vidi una scena interessante, due degli operai, con una ragazzotta abbastanza in carne, stavano facendo un bel sandwich, ero già bagnata, dal tipo di abbigliamento e, di ragazza, pensai fosse una prostituta e, in seguito, ne ebbi conferma, quello che mi colpì di più, però, fu un terzo operaio, non giovanissimo, che guardava gli altri due ed aveva il cazzo fuori dai pantaloni ed era una cosa……….incredibile, non ne avevo mai visto uno di quelle dimensioni, ed era praticamente a riposo, figuriamoci in erezione, leccandomi le labbra decisi di entrare e di fare un po’ di scena, non li avevo mai visti e, quindi non potevano sapere che ero la figlia del capo, spinsi la porta ed entrando comincia a parlare :” in ufficio mi hanno detto di portar…………..”, mi interruppi, volutamente e feci per uscire arretrando, quello non “impegnato” con due passi fu vicino a me e, senza curarsi di quell’animale che gli penzolava sul davanti disse:” signorina, la prego, non dica niente, il lavoro l’abbiamo finito, stavamo solo divertendoci un po’”; mi fermai , lo guardai, abbassai un attimo lo sguardo e dissi :” beh, un modo per farmi stare in silenzio ci sarebbe”, dicendo così, gli presi in mano il “mostro”, mi inginocchiai e cominciai a leccarlo, si mise a ridere ed il suo commento fu :”ah guarda un po’ questa troietta”, non me ne curai e continuai a leccare e succhiare quel cazzo gigantesco che si stava indurendo a vista d’occhio, facevo fatica a tenerlo in bocca, dovevo trattarlo come si fa con un cono gelato, lo leccai dal basso verso l’alto, partendo dallo scroto, gli scalpellai la cappella a piccoli colpi di lingua veloci, , gli mordicchiai il filetto e gli passai la lingua lentamente, ancora sullo scroto, imboccandolo e succhiandolo, ora era durissimo ed ancora più grande, mamma mia, la mia passerina era fradicia dei miei umori, le mie mutandine erano ormai ridotte ad uno straccio bagnato, scalciai le scarpe e mi sfilai i jeans in un attimo, quasi mi strappai gli slip, avevo ancora la felpa ma non me ne curai, volevo quella cosa enorme e fremente dentro di me, mi misi in ginocchio come un cagnolino, sculettando per fargli capire cosa volevo, lui, dietro di me, strisciò la cappella sulle mie grandi labbra che erano già gonfie e grondanti, stavo quasi già venendo solo al contatto, continuò a torturarmi per qualche istante, poi, lentamente iniziò la penetrazione, un centimetro dopo l’altro, permettendo alla mia vagina di abituarsi a quel mostro, respiravo velocemente, poi, all’improvviso, un affondo , stavolta il respiro mi mancò, poi immobile, dentro di me, si vede che era pratico,si tirò indietro lentamente, e poi avanti, e poi indietro e poi ….avanti, Dio mio, che dolore e che……….piacere anche, ora scorreva liberamente, avanti e indietro, senza sosta come i miei orgasmi, uno dietro l’altro, ogni tanto mi dava una sberla sul sederino ed andò avanti per non so quanto tempo, lui non sembrava venire mai, mentre ero così qualcuno mi baciò, aprii gli occhi, era l’altra ragazza, era nella mia stessa posizione davanti a me, con qualcuno dietro che la sfondava, proprio come me, solo che io avevo le lacrime agli occhi e lei no, il terzo operaio si mise subito in ginocchio tra noi due presentandoci il suo membro, un po’ flaccido da leccare, non ci facemmo pregare, e le nostre lingue si intrecciarono su quella cappella; finì tutto all’improvviso, quello dentro di me uscì all’improvviso e la mia schiena venne inondata della sua sborra bollente, contemporaneamente anche il mio viso e quello della mia nuova amica venne schizzato dal terzo operaio. Senza una parola mi rimisi i pantaloni e le scarpe, le mutandine, ormai, erano inutilizzabili, senza una parola raccolsi da terra il faldone che avevo lasciato cadere per terra e lo posai sulla scrivania, con un paio di salviettine mi ripulii il viso, e, insieme alla ragazza, che si chiamava Lisa, uscii dalla baracca, Le diedi un passaggio fino alla Via Emilia, ci scambiammo i telefoni e me ne tornai a Milano, stanca, felice di aver fatto un favore a Papà, e con l’unico desiderio di fare un bagno bollente.
Era a Roma per non so bene che tipo di appalto, chiamò casa per chiedermi di fargli un favore, stavano aprendo un cantiere vicino Lodi, a Borgo San Giovanni (chissà dov’era) mi chiese di passare in ufficio a prendere dei documenti che il mattino dopo, molto presto, servivano al capo cantiere che avrebbe ricevuto la visita di un ispettore dell’INPS, e di portarli in cantiere entro le 18,00 ci avrei trovato degli operai che stavano finendo la messa in sicurezza, mi chiese di lasciare quei documenti in baracca, non avevo molta voglia, comunque quando Papà chiede è………...un ordine, quindi mi preparai, passai in Corso Italia in ufficio a prendere un faldone che una segretaria aveva preparato ed andai a Lodi, o meglio, in un paesino sperduto che si chiamava Borgo San Giovanni.
Avrebbero costruito delle villette a schiera, trovai quasi subito il cantiere, c’era un'unica gru, e poi sul cartellone davanti c’era il nome di Papà come progettista e della sua società come proprietario, impossibile sbagliare; parcheggiai proprio davanti al cancello che, comunque, mi sembrava chiuso, provai a spingerlo e………… si aprì, la catena scorreva nei buchi ed il catenaccio non era chiuso, vidi subito che il pulmino degli operai era vicino alla baracca, dovevano essere lì, mi ci diressi e, dando uno sguardo dalla finestra vidi una scena interessante, due degli operai, con una ragazzotta abbastanza in carne, stavano facendo un bel sandwich, ero già bagnata, dal tipo di abbigliamento e, di ragazza, pensai fosse una prostituta e, in seguito, ne ebbi conferma, quello che mi colpì di più, però, fu un terzo operaio, non giovanissimo, che guardava gli altri due ed aveva il cazzo fuori dai pantaloni ed era una cosa……….incredibile, non ne avevo mai visto uno di quelle dimensioni, ed era praticamente a riposo, figuriamoci in erezione, leccandomi le labbra decisi di entrare e di fare un po’ di scena, non li avevo mai visti e, quindi non potevano sapere che ero la figlia del capo, spinsi la porta ed entrando comincia a parlare :” in ufficio mi hanno detto di portar…………..”, mi interruppi, volutamente e feci per uscire arretrando, quello non “impegnato” con due passi fu vicino a me e, senza curarsi di quell’animale che gli penzolava sul davanti disse:” signorina, la prego, non dica niente, il lavoro l’abbiamo finito, stavamo solo divertendoci un po’”; mi fermai , lo guardai, abbassai un attimo lo sguardo e dissi :” beh, un modo per farmi stare in silenzio ci sarebbe”, dicendo così, gli presi in mano il “mostro”, mi inginocchiai e cominciai a leccarlo, si mise a ridere ed il suo commento fu :”ah guarda un po’ questa troietta”, non me ne curai e continuai a leccare e succhiare quel cazzo gigantesco che si stava indurendo a vista d’occhio, facevo fatica a tenerlo in bocca, dovevo trattarlo come si fa con un cono gelato, lo leccai dal basso verso l’alto, partendo dallo scroto, gli scalpellai la cappella a piccoli colpi di lingua veloci, , gli mordicchiai il filetto e gli passai la lingua lentamente, ancora sullo scroto, imboccandolo e succhiandolo, ora era durissimo ed ancora più grande, mamma mia, la mia passerina era fradicia dei miei umori, le mie mutandine erano ormai ridotte ad uno straccio bagnato, scalciai le scarpe e mi sfilai i jeans in un attimo, quasi mi strappai gli slip, avevo ancora la felpa ma non me ne curai, volevo quella cosa enorme e fremente dentro di me, mi misi in ginocchio come un cagnolino, sculettando per fargli capire cosa volevo, lui, dietro di me, strisciò la cappella sulle mie grandi labbra che erano già gonfie e grondanti, stavo quasi già venendo solo al contatto, continuò a torturarmi per qualche istante, poi, lentamente iniziò la penetrazione, un centimetro dopo l’altro, permettendo alla mia vagina di abituarsi a quel mostro, respiravo velocemente, poi, all’improvviso, un affondo , stavolta il respiro mi mancò, poi immobile, dentro di me, si vede che era pratico,si tirò indietro lentamente, e poi avanti, e poi indietro e poi ….avanti, Dio mio, che dolore e che……….piacere anche, ora scorreva liberamente, avanti e indietro, senza sosta come i miei orgasmi, uno dietro l’altro, ogni tanto mi dava una sberla sul sederino ed andò avanti per non so quanto tempo, lui non sembrava venire mai, mentre ero così qualcuno mi baciò, aprii gli occhi, era l’altra ragazza, era nella mia stessa posizione davanti a me, con qualcuno dietro che la sfondava, proprio come me, solo che io avevo le lacrime agli occhi e lei no, il terzo operaio si mise subito in ginocchio tra noi due presentandoci il suo membro, un po’ flaccido da leccare, non ci facemmo pregare, e le nostre lingue si intrecciarono su quella cappella; finì tutto all’improvviso, quello dentro di me uscì all’improvviso e la mia schiena venne inondata della sua sborra bollente, contemporaneamente anche il mio viso e quello della mia nuova amica venne schizzato dal terzo operaio. Senza una parola mi rimisi i pantaloni e le scarpe, le mutandine, ormai, erano inutilizzabili, senza una parola raccolsi da terra il faldone che avevo lasciato cadere per terra e lo posai sulla scrivania, con un paio di salviettine mi ripulii il viso, e, insieme alla ragazza, che si chiamava Lisa, uscii dalla baracca, Le diedi un passaggio fino alla Via Emilia, ci scambiammo i telefoni e me ne tornai a Milano, stanca, felice di aver fatto un favore a Papà, e con l’unico desiderio di fare un bagno bollente.
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