Credevo di essere impotente BDSM

di
genere
dominazione

Credevo di essere impotente.
La conoscenza di Stella mi fece capire che la mia pseudo impotenza era causata da un forte piacere nel possedere una donna dominandola.
Mi ero innamorato di lei per i suoi modi gentili e la sua presenza elegante e decisa. Era una che parlava poco e un po’ timida, questo per me era un grande pregio.
Ci siamo baciati la prima volta davanti alla fontana di Trevi, circondati da turisti internazionali. In quel primo abbraccio posai subito la mano sul suo sedere per verificare se ci fossero gli estremi per un’imminente futuro di passione e buon sesso, perché di li a poco saremmo stati a casa sua.
Una volta a casa sua mi resi conto che purtroppo non fu così.
Quando il mio corpo nudo entrò in contatto con il suo corpo nudo, quando le nostre mani accarezzarono, prima dolci e poi più intensamente, la pelle dell’altro, quando le mia bocca non si accontentò più della sua e la mia lingua assaggiò il suo sapore, qualcosa non funzionò perché il mio cazzo non reagì.
Nemmeno la seconda volta.
Il guerriero non voleva saperne di disseppellire l’ascia di guerra, indifferente a tutte le sue attenzioni.
Diciamoci la verità: è frustrante.
Ma le prime volte, in una relazione, capita a molti uomini. Io ci scherzavo sopra un po’ imbarazzato (“Niente. Anche oggi è in sciopero.” “Ma sei sicura di saperci fare?” “Forse ha bisogno di un po’ di palestra”...) e cercavo di rassicurarla pur avendo una paura matta di non essere più buono a nulla.
Dopo tre settimane ancora niente. Mi convinsi quindi che avessi un problema piuttosto serio e cominciai a preoccuparmi.
Ma un giorno inaspettatamente avvertii qualcosa.
Qualcosa si mosse – è proprio il caso di dirlo – durante un pranzo a casa sua. Lei mi punzecchiava con la forchetta accusandomi di essere, con poco grasso e tutti quei muscoli, non certo molto buono da masticare. Il vino mi aveva reso un po’ più avventuroso e decisi di provare a fare qualcosa di diverso.
L’afferrai per le spalle e, rimanendo seduto sulla sedia, la tirai prona sulle mie gambe. Le abbassai i pantaloncini e slip e la sculacciai ripetutamente. L’intento era scherzoso, ma il suo fondoschiena cominciò a bruciare. Cercava di divincolarsi, ma la tenevo ferma con forza e continuavo. Aumentavo anche la potenza. Urlai. “Zitta!” intimai, e la sculacciata seguente rimbombò nella sala. Un dolore acuto gli rizzò la schiena.
Poi lo sentii che il cazzo prendeva vigore e poi lo spingevo sul ventre. Tonico e possente.
Si tirò su e si inginocchiò di fronte a me, in contemplazione del miracolo che avveniva sotto la stoffa dei miei pantaloni. Io la guardavo in silenzio; ed ella mi slacciò la cintura e finalmente eccolo lì, in tutta la sua prestanza. Me lo toccava, lo baciava e lo accolse fra le labbra.
Dopo cinque minuti era di nuovo ridotto alle dimensioni e alla consistenza di un lumacone viscido. Lo guardava con fare interrogativo ed io feci spallucce.
Fu allora che capimmo entrambi quale era il problema.
D’ora in poi è lei che si racconta.
Mi sfilai dalle gambe gli indumenti e mi sistemai nuovamente con la pancia sulle sue gambe.
Ricominciò a sculacciarmi. Forte. Molto forte. Avrei voluto correre sul bidet con l’acqua fredda a tutta pressione.
Ed eccolo di nuovo, prepotente spingermi il cazzo contro l’ombelico.
Questa volta non mi alzai. Lo lasciai continuare a fendere manate e infilando un braccio sotto il mio busto, tra le sue gambe, iniziai a masturbarlo.
Mentre le mie natiche diventavano sempre più incandescenti, rosse come non erano mai state, lo sentii contrarsi e il suo sperma caldo mi schizzò contro la pancia e colò a terra, abbondante. La sua mano intanto si era fermata sul mio gluteo destro e nello spasmo lo stringeva con forza. Poi si abbandonò sulla mia schiena. Mi coccolò e mi accarezzò gentile, come suo solito.
Ora conoscevo la chiave segreta del suo piacere.
Ne ebbi conferma due sere dopo, sul mio divano. Lui guardava un vecchio film erotico della mia collezione e io con la testa appoggiata sulle sue cosce e la nuca rivolta al televisore cercavo di ottenere qualche risultato con, un po’ di speranza magari, un pompino come Dio comanda.
Di fatto il pensiero diventò realtà ed il suo cazzo reagì.
Si inturgidì tra le mie labbra, meravigliosamente gonfio, massaggiato dalla mia lingua. Poi sentii i lamenti sensuali alle mie spalle e compresi. Erano le sevizie alla bionda del filmino al fianco di Emmanuelle a eccitarlo. Cercai di approfittarne, ma la scena finì in fretta e lui iniziò a ritrarsi.
Adesso però sapevo cosa fare.
Gli presi la mano e la accompagnai sul mio seno; guidai le sue dita sul mio capezzolo e glielo feci stringere. Forte, forse troppo.
Mentre lui strizzava, torceva e tirava, io cercavo di concentrarmi, malgrado il dolore che insisteva e aumentava, sui movimenti della mia bocca e delle mie mani.
Eccolo di nuovo.
Uno splendore forte come il marmo, probabilmente in grado di portare il paradiso dentro ogni donna. Compresi che per adorare questo totem molto speciale sarei stata disposto a tutto.
Mi alzai e gli montai a cavalcioni. Lo accolsi dentro di me, finalmente, lo sentii farsi spazio nel mio corpo, perfetto come la chiave nella sua serratura.
Non mi aveva lasciato il capezzolo, continuava a tormentarlo senza alcuna premura anzi prese anche l’altro e cominciò a stringere, si sente dolore ma è un dolore piacere che mi mandava in estasi.
Io ondeggiai il bacino su di lui, sinuosa, per godermi quel rapporto tanto agognato. Non riuscii a trattenere uno strillo, ma lui continuava
a tenerli in tensione, sempre più eccitato, mentre la mia libido era ormai alle stelle e il mio corpo si muoveva inerte in balia dei suoi rudi movimenti.
Venne dentro di me, contraendo sempre più le dita sul quelle povere parti maltrattate del mio corpo, poi si accasciò sul divano mentre i titoli di coda del filmino imbrunivano la stanza e il mio orgasmo arrivò portandomi quasi a perdere i sensi.
Nei giorni seguenti la nostra relazione fu splendida. Lui era affettuoso ed educato come un cavaliere d’altri tempi, gioviale e serio nella giusta misura. Cosa non facile.
Decisi di farmi trovare legata.
Lasciai la porta del mio appartamento socchiusa. Mi spogliai. Sul letto mi legai con la corda da arrampicata prima le caviglie agli angoli inferiori della rete, sdraiata prona, poi preparai i nodi scorsoi per i polsi agli altri due angoli, ci infilai le mani e tirando li strinsi, in modo da non riuscire più né ad uscirne, né ad allargarli di nuovo.
Scoccò l’ora dell’appuntamento.
Dopo alcuni minuti mi misi a pregare che non entrasse nessun altro in casa, ci mancava solo un ladro che mi trovasse lì bell’e pronta per aggiungere la violenza carnale al suo carnet di reati. Ovviamente il Grande Capo lassù se ne fregò altamente.
“Stellaaaa!...” urlò Davide, il mio pettegolo vicino di casa, entrando in corridoio. “Ti ho riportato il tuo...” Entrò nella stanza e ammutolì. Il suo sguardo si appiccicò tra le mie gambe spalancate, con le mie intimità ben in mostra proprio verso la porta su cui lui rimaneva impalato in trance.
“Non... Non è che.. È solo un gioco, io...” balbettai cercando di girare il viso verso di lui.
“Tutto b... bene? Sicura?...” Aveva la voce impastata da esame di diritto costituzionale. “Scu... Scusami. Allora... Torno magari domani...” e finalmente corse via. Probabilmente a masturbarsi o ad aggiornare quel suo stupido diario su quel suo stupido blog.
Finalmente arrivò il mio Lui ed entrò, in silenzio, pochi minuti dopo.
Sentivo il suo sguardo anche senza essermi voltata per osservarlo. Si avvicinò a piccoli passi. Prese in mano il frustino da cavallo – identico a quello del film di Emmanuelle – che io avevo appoggiato al mio fianco.
Ci furono lunghi secondi di silenzio... Poi arrivò la prima scudisciata al sedere. Avevo immaginato facesse male, ma non pensavo tanto. Non feci in tempo a riacquistare il respiro che arrivò la seconda, alla schiena. Poi un’altra sul fianco, la punta schioccò sul lato del seno sinistro.
Non ricordo nemmeno se urlavo o meno, nei miei pensieri è presente solo quella successione di dolori lancinanti ma eccitanti da farmi bagnare tra le gambe.
All’ennesimo colpo al fondoschiena strinsi istintivamente i glutei desiderando di sprofondare nel materasso. Lui mi afferrò una chiappa. Mi sollevò violentemente il bacino e ci infilò sotto un cuscino, in modo da avere ancora più esposte le mie parti più intime. Fu lì che arrivò la frustata successiva. La sentii schiantarsi sull’inguine e a quel punto gridai, sicuramente. Me ne diede un’altra, proprio in mezzo.
Vidi il rigonfiamento nei suoi pantaloni crescere e premere sulla stoffa.
Sentivo la pelle, che non è quella di un cavallo, bruciare terribilmente.
Si fermò solo dopo quel che a me parve parecchio tempo e mi mise il frustino tra i denti, come a smorzare le grida che avrei presto lanciato. Si sbottonò, salì sul letto tra le mie gambe divaricate e mi sodomizzò brutalmente, strizzandomi i seni quasi a volerli far scoppiare.
Dopo essere venuto si sdraiò sulla mia schiena, accarezzandomi le piaghe della pelle, con il pene che si ritirava nel mio sfintere e lo sperma che risaliva i miei meandri.
Dopo quella prima serie di frustate prese a legarmi lui, tutte le volte. In posizioni sempre più umilianti e scomode; con le corde sempre più strette a tormentarmi gli arti, il seno, l’inguine, il culo, le cosce ...
Cosi cominciai ad abituarmi ad un rapporto tra Padrone e Schiava e mi resi conto ancora di più che ero nata con l’indole sadomaso e solo lui era riuscito a tirarmelo fuori come io sono riuscita a fargli capire che lui era il mio Padrone e che in quel modo di fare sesso il suo arnese funzionava benissimo. Lui andava in estasi tutte le volte che decidevamo di fare le sessioni di BDSM, che poi anche senza volerlo tutte le volte che stavamo insieme era in un modo o nell’altro una sessione, naturalmente con il finale da orgasmi fuori dalla comune conoscenza, anzi oserei dire olimpionici.
Ma vorrei raccontare nel dettaglio qualche sessione per capire fino a che punto due persone possano vivere un rapporto che per altri non sarebbe nemmeno pensabile o meglio forse ti direbbero che sei malato da psicanalisi. Mi frustò molte altre volte, Ovunque. Mi penetrò con gli oggetti più disparati di dimensioni che mai avrei immaginato potessero passarci. Avevo i seni e i glutei perennemente indolenziti; capezzoli, ano e vagina costantemente infiammati, a render ancora più dolorosa ogni penetrazione successiva. A volte, per venirmi dentro, usava dei preservativi che, giuro, non so proprio dove si procurasse; incastonati con borchie di metallo e altri ammennicoli volti a togliere qualunque piacere e dare qualsivoglia tormento a lei e stimolanti per lui. Il più delle volte si masturbava guardandomi, sporcando me o i vestiti con cui dovevo rincasare, gettati a terra, spesso strappati.
Non si può certo dire che gli mancasse l’inventiva. Una sera, legata mani e piedi, fui presa in braccio e portata in bagno. Aveva preparato una vasca d’acqua gelata; pezzi di ghiaccio galleggiavano in superficie. Mi ci immerse senza troppi riguardi. Sbarrai gli occhi irrigidita dal gelo improvviso. Infilò un braccio nell’acqua e, nonostante la poca sensibilità che il freddo mi permetteva, sentii che mi infilava dentro dei cubetti informi; davanti e dietro. Si masturbò osservandomi rabbrividire e venne sulle mie labbra blu.
Si procurò anche uno strano marchingegno elettrico, roba da tortura militare, con due elettrodi da applicare sulla pelle. Li fermava sul mio corpo con lo scotch da pacchi e poi dava corrente tramite una manopola.
La prima volta fu uno shock.
Avevo la schiena contro il termoarredo bollente, le braccia alzate e i polsi legati al tubo più alto. Aveva gettato a terra quattro manciate di sassi acuminati che mi martoriavano le piante del piede su cui alternavo continuamente il peso. I capezzoli erano stretti nelle due pinze di un appendi-pantaloni (mentre le faceva scorrere sull’asta regolandone la distanza per adattarli al mio seno lo trovai assurdamente geniale).
Preparò il suo marchingegno guardandomi penare per quei molteplici supplizi. Mi applicò gli elettrodi ai lati del pube e prima di far scattare l’interruttore mi masturbò. Non lo aveva mai fatto. Durante tutta la nostra storia non avevo mai avuto un orgasmo. Mi sorpresi sentendo che il suo tocco mi faceva effetto. Ebbi quella bella sensazione di umido lascivo mentre le sue dita si muovevano tra le labbra e dentro e intorno e ancora dentro... Pochi istanti prima che la libidine toccasse il suo apice, percepii un ‘click’.
Fu un dolore intollerabile.
Mi bloccò la capacità di godere per mesi.
La corrente passava invisibile nel clitoride ancora inturgidito dalle precedenti attenzioni e un crampo esageratamente potente mi colpiva inesorabile le mie zone più sensibili e delicate.
Scalciai, senza controllo, e lui mi legò anche la cosce contro il termo, con le natiche spinte contro i tubi alla massima temperatura.
Tornò alla manopola; la ruotò a fine corsa. Pensai che quel male atroce non mi sarebbe passato mai più.
Era terribile. Il dolore che dà la corrente elettrica, pensai, è il peggiore.
Mi sbagliavo.
Era già estate, ma le finestre erano chiuse, come sempre, per via delle mie urla.
Mi aveva legata caviglie e braccia alle quattro gambe del tavolo nella mia cucina, con la pancia e il petto rivolti verso il soffitto e la schiena inarcata in quella innaturale posizione.
Iniziò con un paio di pinze con il beccuccio ricurvo. Prima me le fece vedere, poi con le due punte mi aprì la bocca, mi strinse la lingua e la tirò fuori. Mugugnai sofferente. La lasciò e scese verso il petto. Mi pizzicò, incredibilmente forte malgrado non facesse alcun apparente sforzo, un capezzolo, poi l’altro. Furono le prima grida di una lunga serie.
Scese ancora. Mi fece sentire la consistenza del metallo contro il clitoride, strinse anch’esso, per alcuni lunghissimi secondi.
Poi prese lo stagnatore, uno strano attrezzo con la punta di rame che diventando incandescente scioglie lo stagno per saldarlo sui circuiti elettrici, e attaccò la spina alla presa di corrente.
Mentre il metallo bruno si arroventava lo avvicinò ai miei seni. Ne percepii il calore irraggiato nei pochi millimetri d’aria.
Ero immobilizzata dal terrore.
Lo avvicinò al mio solco. Io mi tirai il più possibile verso l’alto, abbastanza ridicolmente e soprattutto inutilmente.
Infine lo appoggiò sul pube appena bestialmente depilato e fu l’istante peggiore della mia vita. Un dolore lancinante, incredibilmente acuto, mi fece contrarre tutti i muscoli del corpo.
La corrente elettrica era un leggero fastidio in confronto.
Lo appoggiò una seconda volta. Prima di gridare ancora con tutto il mio fiato sentii chiaramente il sibilo della mia pelle che si ustionava.
Mi feci male alle caviglie e alle braccia divincolandomi. Mi morsi il labbro inferiore facendolo sanguinare e, mentre lui continuava incessantemente con quella orribile tortura, a piccoli inesorabili colpi, alcuni veloci e altri più lunghi, strisciati lungo alcuni centimetri di pelle, probabilmente persi i sensi più volte.
Non so quanto sia durata.
Ancora adesso a scriverne e a parlarne mi si irrigidiscono i muscoli e uno spiacevole sudore freddo mi fa rabbrividire.
Ricordo solo alla fine lui che si masturbava in piedi davanti a me, ormai esausta e sfinita dagli spasmi sul piano del tavolo, e il suo sperma proprio sopra la mia pelle ustionata, quasi a voler ledere il dolore ancora intensissimo.
Mi slegò; rimasi lì immobile, con il pianto che mi impiastricciava i capelli. Respiravo a fatica. Ma avrei ricominciato anche subito.


scritto il
2023-04-26
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