Mos Maiorum Plotumni

di
genere
incesti

Durante uno studio genealogico, una sera mi sono imbattuto in un catalogo impolverato e malconcio, riposto in un angolo dimenticato dell'archivio. Poiché avevo ancora tempo, ho dato un occhiata e spinto dalla curiosità ho scoperto una storia mai sentita prima: l'argomento, a tratti un po' spinto ed eccitante, non sarà di certo oggetto della mia ricerca, ma sarà utile a tempo perso.
Roma, I secolo a.C. La storia inizia in quella che in futuro si chiamerà regio Capena, ovvero la zona dell'Urbe tra Palatino e Celio. Qui, in una domus, abitava una famiglia apprezzata e conosciuta dagli ambienti influenti della Roma repubblicana, quella dei Plotumni. Il paterfamilias, Publio Plotumnio, era reduce dalla guerra sociale condotta contro i popoli italici che richiedevano la cittadinanza romana: egli era un legato sodalis di Gaio Mario, uno dei più grandi consoli dell'età repubblicana. Ma non sarà lui il protagonista della storia, bensì sua moglie, Fulvia: donna avvenente e di gran carattere, ha origini umili (viene da una famiglia plebea), ma la sua bellezza e un patto l'hanno catapultata in una vita che una ragazza come lei avrebbe potuto solo sognare. Da quando era divenuta sposa del legato, è stata accusata di essere una prostituta e un'adultera, ma queste erano solo dicerie e calunnie di donne plebee che non avevano avuto la sua stessa fortuna. Infatti la donna era dedita alla cura della casa e della vita familiare, nonché ad istruire Marco, il suo unico figlio: diversamente dai suoi coetanei, egli era stato educato dalla madre che aveva sempre rifiutato di mandarlo nel foro col padre per diventare un grande politico. Ma non era solo questa la ragione. Il ragazzo era svogliato, e ambiva a rivestire cariche minori non troppo dispendiose; tuttavia, la sua svogliatezza non era dovuta al fatto che fosse viziato, ma cercava, invece, di mantenere un basso profilo in un ambiente dove tutti volevano primeggiare e sedere in alto (Marco aveva preso senz'altro da Fulvia). Era l'anno 82, da due anni Roma e i suoi territori vivevano sotto la morsa di Silla, acerrimo nemico di Mario, che aveva instaurato la dittatura (era da quattrocento anni che questo tipo di governo non veniva usato a Roma). Le conseguenze più brutte erano le liste di proscrizione, emanate dal dittatore per eliminare chiunque fosse stato vicino a Mario e avesse potuto quindi prendere il potere. Publio Plotumnio era finito in quelle liste, ma fino a quel momento aveva solo subito confische di alcuni terreni vicino Tusculum e non poteva più esercitare la funzione di legato nell'esercito. Un giorno di aprile Publio, avendo sempre più paura, confidò alla sua famiglia un piano: "Donna, e figlio mio, non so quanto tempo ci rimane, ma Roma non è più sicura. Se vogliamo essere più tranquilli dobbiamo fuggire, lontano da Silla e i suoi legati." Avvicinandosi, abbracciò moglie e figlio che, non avendo altre idee, si affidarono al paterfamilias. "Ma dove andiamo? A nord del Rubicone non si passa, e a sud so che le pattuglie di Silla sono più spietate." disse Fulvia preoccupata per le sorti del marito. "I Piceni ci potranno ospitare finché le acque non si calmeranno, sono sicuri e hanno combattuto al mio fianco durante la guerra. Partiremo stanotte". E così, preparato tutto l'occorrente, i tre si misero in viaggio su di un carro coperto trainato da un cuoiaio che si dirigeva a Forum Sempronii, meta dei Plotumni e roccaforte dei Piceni. Durante il viaggio, Marco, incredulo e abbattuto, era accanto a sua madre, che come sempre lo accoglieva e lo proteggeva dalle sue paure. "Marco, tranquillo, non ci accadrà nulla, hai sentito tuo padre?! Roma non è lontana e quando tutto questo finirà ci ritorneremo". Le parole di Fulvia calmarono il ragazzo che era sdraiato accanto a lei come un bimbo angosciato: nonostante avesse preso la toga virilis a marzo (a Roma si diventa adulti a 17 anni), Marco era legato all'affetto materno, tanto da idolatrarne quasi la figura. Fulvia era ancora una giovane donna e con un gran fisico: il volto come quello di Venere, il corpo snello come quello di Demetra, le curve generose come quelle di Giunone avevano sempre fatto capolino nei pensieri di Marco che, crescendo, quasi vedeva la madre come una donna da possedere e da fare sua. Ma questi pensieri non li ha fatti mai trasparire, per non recare imbarazzo a Fulvia e mancare di rispetto a Publio e ai sacri penati. All'alba i tre arrivarono a Forum Sempronii e furono ospitati da un tale di nome Faustolo, che li nascose in casa di una vecchia contadina. "Questa sarà la vostra nuova casa, è appartata e Domizia è molto discreta. Qui sarete al sicuro. Starete nella cavea (all'epoca una specie di seminterrato), così da non farvi vedere, questa strada è un ramo secondario della via Flaminia". Sistemate tutte le cose, i tre ringraziarono gli dei per essere sfuggiti da morte certa, anche se il peggio doveva arrivare. Ambientarsi non è mai facile, ma i Plotumni si trovarono subito bene: il posto era tranquillo e molto carino, e l'aria di campagna avrebbe fatto bene. Ma solo dopo un giorno dal loro arrivo, Publio si accorse di aver dimenticato una cosa importante a Roma e di dover recuperarla il prima possibile. "Il papiro dove c'era scritto l'indirizzo del nascondiglio non l'ho distrutto. È stata una mancanza mia, e devo tornare a Roma prima che sia troppo tardi". A queste parole, madre e figlio, con le lacrime agli occhi, tentarono di convincere Publio a non andare ma dopo accurati pensieri e per paura di essere scovati, lasciarono partire il proprio caro a suo rischio e pericolo. "Abbiamo fatto un errore. Non dovevamo farlo andare, non avrebbero mai trovato quel papiro". Si tormentava così Fulvia, e ripeteva la stessa cosa ogni istante, provocando più timore a Marco, preoccupato per le sorti del padre. "Tranquilla mamma, sono sicuro che mio padre sia conscio di quello che sta facendo!" Questa volta a cercare conforto non era Marco, ma Fulvia che, in preda al panico, cercava calore con un abbraccio. Il grande seno era a contatto con il petto di Marco, e il calore del contatto scatenò una reazione lì dove non avrebbe dovuto scatenarsi, ma Fulvia sembrò non accorgersene. "Si, spero che sia come dici tu figlio". Così i due, provati dalle forti emozioni, si accasciarono in un sonno profondo, costellato da incubi e brutti sogni. Il giorno dopo, la disgrazia. Era mattina, gli uccelli stridevano e dalla piccola finestra entrava un flebile raggio di sole che andava a posarsi sul volto di Fulvia: la donna, infastidita, si svegliò e vide il letto vuoto di suo figlio che era accanto a lei e ricordò così che il marito era lontano e per giunta in pericolo. L'unica gioia per Fulvia era avere accanto a sé ancora suo figlio, quel ragazzo che da qualche settimana era diventato adulto e che da grande le avrebbe procurato tante soddisfazioni. Era sempre stato un piacere per Fulvia ammirare suo figlio mentre dormiva, sembrava sempre contento e rilassato, la sua espressione era simile a quella di un adone greco, bello e fiero di sé (se non fosse suo figlio quasi ci avrebbe provato). Il momento però fu spezzato da un rumore familiare: zoccoli di cavallo al galoppo erano in avvicinamento e Fulvia fu ancora più contenta, perché sapeva che il suo amato era tornato. Così, salutata Domizia, uscì e vide, suo malgrado, che la persona che arriva non era Publio, ma Licinio, un amico fraterno del marito. Sceso dal cavallo, l'uomo aveva in volto la disperazione e, avvicinatosi a Fulvia, si gettò a terra e in ginocchio consegnò una piccola scatola alla donna. "Fulvia, lui per voi ha fatto il possibile, e anche con ciò, vi ha salvato la vita". Impallidita, Fulvia aprì la scatola e ci trovò il foglio di papiro avvolto su sé stesso, ma nell'aprirlo la macabra scoperta: un dito mozzato con un anello che riportava l'insegna di Mario. Fulvia allora comprese, ed emettendo un urlo si battè il petto e si graffiò la faccia, continuando a piangere amaramente. Intanto, sentite le urla, Marco era già sull'uscio della porta e vedendo sua madre e l'amico li raggiunse, cercando di partecipare anche lui al dolore. Bevuta una bevanda calda gentilmente preparata da Domizia, i tre rimasero in silenzio pregando gli dei che l'anima di Publio potesse uscire il prima possibile dal regno dei morti e raggiungere i Campi Elisi. Prendendo coraggio, Licinio confortò un'ultima volta Fulvia e Marco, accompagnandoli nella cavea: "Sarai tu a seppellirlo, rendigli l'onore che spetta a un soldato morto invano". Col viatico di Fulvia, Licinio ritornò indietro, svanendo a poco a poco in una coltre di nebbia che oscurava, forse, uno dei giorni più brutti della vita dei Plotumni. "Marco, so cosa significa perdere qualcuno di caro. Mia mamma è morta quando io avevo la tua età, ma con mio padre ci siamo sostenuti a vicenda e ne siamo usciti più forti di prima. Ora dobbiamo pensare a noi e ripartire da zero. È l'unico modo per tornare ad essere felici". Fulvia parlò così, ma non sapeva adesso come crescere Marco che, sebbene fosse diventato uomo adulto, aveva ancora bisogno che qualcuno lo guidasse nelle scelte della vita. I giorni successivi sarebbero stati tutti uguali, quasi un copione di una tragedia: il silenzio che pervadeva la cavea era tagliente e i due non riuscivano a reagire alla mancanza se non mangiando le leccornie preparate da Domizia. Arrivati alle calende di maggio, Fulvia e Marco iniziarono a riprendere contatto con il mondo circostante: la primavera, ormai arrivata al culmine, regalava giornate calde e bellissime da passare in mezzo alla natura. Era proprio lo svago che piaceva a Marco, perdersi tra i boschi circostanti, e se era insieme a Fulvia era più piacevole. Tra mamma e figlio il rapporto era sempre più affiatato e se prima alcuni freni inibitori impedivano strani contatti, con l'arrivo della bella stagione questi scomparvero. Marco era sempre più irrequieto e Fulvia non poteva sempre imporsi, questa vita era dura sia per lei, sia per il figlio. Un giorno, durante un bagno al  torrente vicino alla casa, Marco, senza malizia, palpò il sedere alla madre. "Marco, so che è difficile, ma ti devi contenere". Dopo aver detto ciò, e dopo aver sentito le scuse del ragazzo, Fulvia si guardò intorno e non notando nessuno, invitò Marco a riprovarci, quasi con aria di sfida. Il figlio allora, preso in contropiede, con uno sguardo allupato si fiondò sul sedere della madre e, alzandole la tunica, massaggiò quel culo che aveva sempre sognato di toccare. Dal canto suo, ciò piaceva anche a Fulvia e non appena notava alcune crisi di suo figlio, mostrava alcune sue grazie, fino a quando un giorno quei sentimenti non esplosero. In una solita passeggiata, i due si allontanarono e si imbatterono in luogo quasi magico: una radura con una piccola cascata che formava un laghetto, e accanto una grotta. Assaliti dal caldo, Fulvia e Marco decisero di fermarsi e fare un bagno per rinfrescarsi. "Dai Marco girati così mi spoglio ed entro in acqua". "Ma dai mamma, cosa mi giro a fare se ormai conosco il tuo corpo a memoria, anzi proprio oggi me ne sono dimenticato, me lo faresti vedere?" Così Fulvia accontentò il figlio, mostrandosi come mai prima d'ora: prima di entrare in acqua lasciò cadere la tunica, scoprendo lentamente il seno e nel mentre si girò, mostrando il sedere sodo e perfetto. Entrata in acqua, a poco a poco bagnò con le mani delicate il suo corpo e arrivata all'altezza delle tettone le soppesava, facendole rimbalzare una ad una. Vedendo ciò, Marco si avvicinò alla riva del lago con una vistosa erezione sotto la toga, che anch'essa scivolò lentamente a terra. Quasi ipnotizzato, non si accorse che era già di fronte alle bocce materne e si risvegliò soltanto quando Fulvia prese in mano il cazzo che ormai svettava verso l'alto eccitato. "Mamma mia, perché non è accaduto prima..." "Perché doveva essere naturale figlio". Mamma e figlio si avvicinarono fin quando le due bocche non si toccarono le une con le altre: ora erano fusi come un unico corpo, le due lingue che si cercavano sotto il rumore schioccante delle bocche, le tettone schiacciate contro il petto e il cazzo che già cercava l'entrata tanto desiderata. Fulvia, mentre era ancora intenta a baciare il figlio, iniziò una piacevole sega, accompagnata da Marco che stuzzicava i capezzoli color caffè con le dita. "Mamma, non sai da quanto aspettavo questo momento, ahh". "Lo so, figlio, mi ero accorta già prima di arrivare qui quanto mi desiderassi". Aggiogato dalla passione, Marco riuscì a prendere in braccio la madre e la issò sul cazzo penetrandola dolcemente. "Ahhh, Marco, sii, fai piano, ohh sii". "Sii, mamma, ti voglio sentire tutta, ahhh". Iniziò così a stantuffarla nel lago, prima gradualmente, poi più forte: il piacere invase Fulvia che ansimava di piacere sotto i colpi del figlio, il suo capo tendeva all'indietro, mentre i grandi seni rimbalzavano, cercati dalla bocca di Marco che tentava di ciucciarli come quando era piccolo. "Oh sii, sono dentro mia madre, godo, ahhh". "Si amore, scopami forte, solo come tu sai fare, siii". Poiché sentiva un po' di freddo e non sentendo le gambe, Marco, con sua madre ancora in braccio e con il cazzo infilato, camminò e raggiunse l'entrata della grotta. "Vai mamma, sdraiati e continuo a chiavarti, ahhh". "Oh si Marco, mi sistemo così sei più comodo". E così facendo, il ragazzo continuò a perforarla, cercando ogni momento lo sguardo eccitato di Fulvia. "Mamma, si sta seccando un po', perché non lo rivitalizzi?!". Senza fare altre domande, Fulvia si staccò e chinandosi, prese in bocca il pene del figlio e iniziò un fantastico pompino. "Ohhh sii, come sei gentile mamma, ahh". Come risposta ebbe solo il rumore della bocca che ingoiava l'intera asta fino a raggiungere le palle, e intanto le mani di Marco raggiungevano sempre i capezzoli per stimolarli un po' e spremevano quelle tettone così grandi. "Ti piacciono i miei grandi seni, vero Marco?! Ahh." "Si mamma, sono fantastici, non ne ho mai visti di così grandi". E mentre lei continuava a succhiare l'uccello, lui cercava sempre quell'angolo di paradiso. Arrivato al culmine, Marco fece girare la madre e la continuò a fottere a pecorina. "Ohh sii Marco, mio toro, né hai ancora per molto?! Ahh". "Ah mamma, io ti scoperei per il resto dei mie giorni. Ohhh, per Giove!". Madre e figlio erano di nuovo uniti l'uno con l'altro, e Marco, ancora con vigore e passione, si sdraiò sulla schiena della madre, continuando a scoparla e a spremere le grandi tettone. Ad un certo punto, arrivato allo stremo, ancora all'interno di sua madre, fece alzare Fulvia, continuandola a toccare e stimolandola con baci dietro al collo. "Mamma, ahh, ti amo, sto venendo, ohh sii". "Oh Marco, anche io ti amo, sii, sfondami e riempimi, daii". "Siii, eccooo, AHHHHHH, AHHH, AHH". Un copioso rivolo di sperma inondò la figa di Fulvia che, mentre si faceva riempire per bene dal figlio, sussultava di piacere, facendo rimbalzare ancora una volta quei seni enormi così tanto desiderati da Marco. Terminato l'amplesso, i due si sdraiarono accanto e lentamente ricominciarono a baciarsi per suggellare il loro amore. Notando che il cazzo di Marco era ancora in forze, Fulvia non ci ripensò due volte e ricominciò a segarlo con molta passione, mettendolo a volte in mezzo alle tettone. "Wow che avventura, amore, spero non finisca mai". "Ahh, mamma, lo spero anche io, ma se dopo una scopata del genere ti rinvigorisci così subito non penso che... uhh, AHHH, AHHHHHHH". Neanche riuscì a terminare la frase che Marco sborrò di nuovo questa volta imbrattando le tettone della madre che sorrideva stupita dall'enorme disponibilità del figlio. Ormai era nato l'amore tra i due e, nonostante il vincolo di parentela che li legava, Fulvia e Marco si riconoscevano come due innamorati. Dopo quel giorno speciale, manifestavano quasi sempre la loro passione, facendo sesso da tutte le parti, nella cavea, nei balnea, anche in casa quando Domizia si assentava. Ma il momento preferito, soprattutto quello di Marco, era al risveglio la mattina presto: alle prime luci, quando Fulvia ancora dormiva, Marco, con il cazzo ritornato in forze, la penetrava lentamente e intanto le cingeva il corpo con le braccia e, prima di venire, tirava fuori il pene e svegliandola amorevolmente, le faceva bere lo sperma, quasi fosse una scodella di latte. Insomma, mamma e figlio, in tema di lussuria, non disdegnavano nulla e continuarono così finché Fulvia non rimase incinta. Aspettava un figlio da suo figlio!
scritto il
2023-07-01
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