Un'amorevole zia
di
Agraphicus
genere
incesti
Non so ora quale sia il motivo per cui la stia raccontando, forse il rimorso, o forse il piacere di ricordarla. Era estate. Mi trovavo in campagna, a casa di un mio zio acquisito che aveva sposato in seconde nozze mia zia Gloria, sorella di mia madre. Penso che sia la zia con cui ho legato di più, poiché da piccolo ero sempre con lei, quasi ero suo figlio: ma ciò che accadde in quella estate ci fece legare ancora di più. Mia zia era una bella donna, non troppo alta, un bel viso, capelli lunghi il giusto (scendevano un po' sotto le spalle), fisico asciutto (andava in palestra quasi tutti i giorni); ciò che amavo più di lei, però, era il seno e il sedere: il primo era grande e lievemente cadente, il secondo non era pronunciato, ma la grandezza superava i fianchi. Quando ero piccolo non sentivo questo desiderio, ma crescendo l'istinto mi ha portato a vedere mia zia sotto altre vesti, come una donna da possedere e amare. Allora quel giorno eravamo a casa sua, insieme alla mia famiglia. Mia zia indossava una canotta lunga che arrivava fin sopra le ginocchia, sostenuta da due bretelline: sotto non aveva reggiseno, poiché le sue tette e i capezzoli si notavano (non so invece se indossava delle mutande, ma mi piacerebbe dire di no). Ricordo che, dopo aver finito di mangiare, la aiutammo a sistemare tutte le cose, anche le sedie, che erano da riporre in uno sgabuzzino. Ora, questo era in pessime condizioni e così a mia zia venne in mente di pulirlo: prima spazzò via polvere e terra, poi, preso un secchio e un mocho, iniziò a lavare il pavimento. Mentre mia zia si chinava, le tette, seguendo la forza di gravità, allargavano la canotta, dando la possibilità di ammirarle in tutta la loro grandezza. Io, che ero lì con le sedie, a questa visione non riuscivo a non pensare alla bellezza di mia zia, che, inconsapevolmente mi mostrava le sue grazie. Alzando lo sguardo, cercavo di intravedere i capezzoli, ma questi erano a contatto con il tessuto della canotta, perciò mi accontentai del ballo delle tettone. Quando lo sgabuzzino fu pronto, mia zia si alzò e io rimisi le sedie all'interno con imbarazzo, ma allo stesso tempo eccitato e desideroso di vedere quei seni perfetti completamente nudi. E l'occasione non tardò ad arrivare. Qualche giorno dopo la visione, andai al mare con mia zia e i miei cugini (io e mio fratello andavamo spesso al mare con loro, ma quel giorno aveva un impegno) e ci eravamo messi d'accordo che io fossi rimasto a mangiare da loro. Ma per una serie di coincidenze fortunose, i miei cugini incontrarono dei loro amici e decisero di rimanere in spiaggia, mentre io e la zia facemmo ritorno a casa. "Bene, alla fine passeremo una giornata come quando eri piccolo, ti ricordi?"; "Certo zia, sono sicuro che starò benissimo, come sempre." Dovevo approfittare di queste ore da soli, visto che mancava anche lo zio, che era a lavoro. Dopo un pranzetto veloce, mia zia lavava i piatti mentre io ero sdraiato all'ombra sull'amaca; pensavo a lei oggi al mare, con quel costume blu così arrapante: il pezzo di sopra sembrava non coprire interamente le tettone, e quello di sotto era messo indecentemente, quasi a mo' di perizoma. Quei pensieri mi eccitavano e a poco a poco il cazzo si induriva: volevo a tutti i costi scopare con mia zia e quel pomeriggio era perfetto, poiché eravamo soli e avevamo la casa tutta per noi. Dopo una decina di minuti mia zia, con indosso ancora il bikini coperto da un pareo che formava un vestito quasi elegante, venne e mi chiese se volessi qualcosa. "No zia, non voglio altro, resto qui all'ombra, anzi perché non rimani anche tu?"; "Si va bene, è da un po' che non stiamo insieme". Ci spostammo allora sul dondolo, così da stare più comodi: "Ti piace stare all'aria aperta, vero?"; "Si zia, e quasi rigenerante, anche se in estate fa caldo anche all'ombra. Poi qui è bellissimo, la casa è grande ed è bello stare in tua compagnia"; "Grazie, anche per me è lo stesso. Sai, mi ricordo quando da piccolo eri con me, che mi abbracciavi e mi dicevi che mi volevi bene. Ora è da molto che non mi abbracci, né mi dici ciò." Non so se fosse un invito o altro ma, preso dalle sue parole, la abbracciai, nonostante fossimo sudati per il caldo afoso. Restammo incollati per un lungo istante: i cuori battevano più velocemente e il seno prosperoso era stretto sul mio petto; il mio pene, invece, già duro a causa dei pensieri precedenti, era appoggiato sul suo ventre. "Zia ti voglio bene, davvero tanto". Decisi di azzardare e non attendere più: la scostai da me e le accarezzai il viso, e lentamente le slacciavo il nodo che teneva insieme il pareo. In pochi secondi mia zia si ritrovò di nuovo in costume e allora fu lei che, avendo compreso, si avvicinò di nuovo, questa volta per baciarmi: fu un bacio prima a stampo, poi iniziammo a limonare, giocando con le lingue che si impastavano nelle nostre bocche. Mentre ci baciavamo iniziammo a denudarci gradualmente: lei mi sfilò la maglietta, mentre io liberai prima una, poi l'altra mammella: erano davvero come le avevo immaginate, piene, morbide, immense, con dei capezzoli larghi e scuri, color caffè. "L'ho sempre saputo che avessi un debole per le mie tette: da bambino, quando mi lavavo, cercavi di spiarmi, allora facevamo la doccia insieme, ti ricordi?" Avendomi fatto ricordare questa immagine che avevo dimenticato, presi le tettone e incominciai a baciarle e a succhiarle, mentre lei iniziava a gemere e a massaggiare il cazzo, che tirò fuori in un baleno. Come un'ingorda, scese dal dondolo e iniziò prima a segarmi, e poi a sponpinarmi: riusciva ad ingoiare l'asta fino alle palle e il rumore della saliva mischiata ai miei umori faceva da contrasto al suono delle cicale. "Ah zia, sii, leccalo tutto, vai", e ci dava dentro, come un portento. Non ancora sazia, si alzò e mi baciò ancora, per poi prendermi il cazzo e trascinarmi dentro casa, direttamente sul letto: qui mi fece sdraiare, e toltasi lo slippino del costume, si allargò le labbra della figa fradicia di umori e si issò sul mio cazzo duro. Prese a cavalcarmi e ad ansimare come un'ossessa, mentre io le tenevo i fianchi e seguivo i suoi movimenti, gustandomi anche quelle mammellone che andavano a destra e a sinistra, sopra e sotto. "Oh amore della zia, hai visto che bello, sei felice?, sii ah"; "Ah zia, sono felicissimo, continua si, vai, scopami". Stanca, si buttò sul mio petto e, arrestato il movimento, mi baciò: allora le afferrai il culo e questa volta fui io a scoparla attivamente, cercando di andare il più possibile in profondità per farla godere ancora di più. "Oh mamma, che porco che sei, mi fai male e mi dai piacere, sii"; "Ah zia, voglio scoparti come mai nessuno ha mai fatto, ahhh". A volte staccavo le mani dal culo e afferravo le tettone, le tiravo alla bocca e ciucciavo avidamente quei capezzoloni così belli, e aumentavo intanto il ritmo. Prese di nuovo il cazzo in bocca e si mise poi a pecorina: mentre la fottevo, la sculacciavo, e lei gridava dal piacere; allora iniziai a gemere anche io e visto che stavo per venire, mia zia si mise in ginocchio e posizionò le tettone a mo' di davanzale. "Amore, spruzza il tuo seme su questi meloni maturi che ti piacciono tanto"; "Oh si zia, godo, che grandi seni che hai, sto venendo, ecco, si, SIII, AHHHH". Con sette, otto schizzi le mammellone di mia zia si imbrattarono di sperma che poi lei ebbe modo di usare come crema: prese anche il cazzo e lo posizionò in mezzo alle tette, così da ripulirlo a puntino. "Zia è stato davvero bello, non sai quanto lo desideravo"; "Anche per me è stato bello, sei il mio nipotino preferito, ti amo". Ci scambiammo ancora teneri baci e ci sdraiammo sul letto nudi, ancora bagnati dal sudore e dai nostri umori. Visto che eravamo sporchi di salsedine, dopo una decina di minuti decidemmo di farci una doccia rinfrescante e rigenerante: c'era fuori una doccia, in muratura e in mezzo al verde e per giunta coperta, in modo da avere la giusta privacy. Entrammo insieme e incominciammo a lavarci; mia zia era bellissima, e quando passava le mani sulle tettone per bagnarle mi eccitava, tanto da chiedermi: "Vuoi lavarle tu?" A questo invito non ci ripensai due volte e iniziai a massaggiarle e a spremerle, indugiando, ad intervalli, sui capezzoloni; intanto l'uccello era ritornato duro e, accortasene, mi zia prese a segarmi voracemente. Il contesto e l'amore che mia zia mi concedeva fecero sì che sborrassi di nuovo, questa volta ancora più violentemente e copiosamente. Infine ci lavammo sul serio e ci sistemammo, ma ci promettemmo che non sarebbe finita così, poiché il nostro era amore vero.
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