Mos Maiorum Plotumni - Parte Finale

di
genere
incesti

E così, all'età di 55 primavere, Fulvia rimase incinta e diede alla luce il figlio del figlio di suo figlio, Manlio. Le levatrici e un sacerdote di Vesta che la aiutarono a partorire non si spiegavano come avesse fatto a concepire un figlio a quell'età, e soprattutto dopo aver vissuto il dolore per la perdita del figlio Marco. La donna assicurava di non aver avuto rapporti con nessuno: in verità mentiva, per non macchiare dal sacrilegio il nome di Valerio e della famiglia. Allora convinti gli esperti, essi fecero interpretare i segni a un augure che affermò che Manlio era un bimbo prodigio, figlio donato a Fulvia e a Roma dal padre Giove; inoltre profetizzò cosa sarebbe diventato questo neonato, uno dei migliori uomini romani, più potente ed importante del suo avo Publio, e che avrebbe donato alla madre uno dei seggi sull'Olimpo, per ringraziarla di tutto quello che gli ha donato, a partire dalla vita. Le profezie vaticinate dall'augure, come si vedrà, erano tutte vere, tranne il fatto che Manlio fosse stato "donato" dagli dei. Tornati a casa, Fulvia e Valerio si interrogarono sulle notizie ricevute e i due furono investiti da sensi di colpa. "Forse era meglio aver partorito in campagna e aver aspettato che Manlio fosse cresciuto, così da non dare nell'occhio". "Valerio non arrovellarti la testa, non hai sentito il sacerdote?! Manlio è un prodigio divino, e per me lo è anche se è frutto del nostro amore. Ho passato brutti periodi nella mia vita, ma questo è uno dei più belli in assoluto e lo vivrò al massimo, insieme a te e a nostro figlio." Rassicurato e rinvigorito dalle parole della madre, Valerio la baciò intensamente, ringraziandola per il suo amore. Il tempo passava velocemente e prendeva con sé la vita dei Plotumni che continuavano a vivere tra le famiglie più blasonate di Roma. Prima del 60, Valerio conobbe Giulio Cesare, di cui divenne ben presto grande amico: il generale romano lo portò con sé in Gallia in qualità di legato, ma a differenza di altri soldati, Valerio poteva tornare più volte a Roma, a causa dell'età avanzata della madre e della piccola età di Manlio. Le licenze per Valerio erano graditissime, non vedeva l'ora di abbracciare suo figlio e dormire tra le braccia di Fulvia, per poi scopare tutte le notti. Nel 54, prima di intraprendere la seconda spedizione in Britannia, Cesare congedò Valerio poiché aveva riportato una ferita e non se la sentiva di condurlo con lui in terre sconosciute. Tornato a casa amareggiato, Valerio trovava conforto nelle medicazioni delle ancelle, ma soprattutto nelle amorevoli attenzioni di Fulvia: ad esempio una volta, presa dalla passione, la madre iniziò a segare il figlio, proprio sul triclinio dove concepirono Manlio. "Oh mamma, sei davvero dolce a prenderti cura di me, sono così fortunato ad averti accanto, mh" disse eccitato Valerio, ancora intontito dal dolore della ferita. "Io mi prenderò cura di te fino a quando gli dei me lo concederanno", e intanto si spogliava, concedendo alla vista del figlio le grazie di quel corpo maturo alle porta della vecchiaia: dopo la terza gravidanza, Fulvia si era appesantita ma in maniera giusta, il seno era sempre grande e abbondante ma era calato e flaccido (anche se restava la parte del corpo preferita di Valerio), così come il sedere, che mostrava i primi segni di cellulite. Nonostante l'età, Fulvia si faceva apprezzare agli occhi del figlio e aveva anche un eccezionale appetito sessuale: dopo essersi denudata completamente, scappellò il cazzo del figlio e iniziò un pompino da favola, ingoiando l'asta dura di Valerio che si contorceva dal piacere; ad intervalli, leccava le palle e si faceva palpeggiare e massaggiare da Valerio, che si era abbandonato alle cure materne. "Valerio, ti ricordi la prima volta su questo triclinio, eri solo un ragazzo all'epoca, ma eri il mio amore" e continuava il suo lavoro, lasciandosi toccare dal figlio, che indugiava su quelle tettone cadenti. Era così vogliosa che salì anch'ella sul triclinio e si impalò sul cazzo di Valerio che penetrò facilmente, dato che l'aveva lubrificato con la sua saliva. "Oh sii  Valerio, scopami, possiedimi, prendi la tua mamma"; Fulvia saltava sul cazzo di quel ragazzo sdraiato sul triclinio, eccitato di scopare una donna matura e per di più costei era sua madre. "Sii mamma, godo, continua, sei così sensuale"; con le sue forze, riuscì ad alzare la parte superiore del corpo e abbracciò Fulvia, stringendo le sue mammelle e succhiando avidamente i capezzoli. "Mamma, ti avrò per sempre, ti amo ahh sii, SII"; con podere, eiaculò prepotentemente dentro di lei, e la sua forza rallentò il ritmo di Fulvia, che prese la testa immersa tra le tettone e la rivolse a lei, così da poter baciare Valerio. Quasi tutte le licenze erano contornate da queste scopate intense tra i due che non si vedevano per lunghi periodi: ma l'incombenza della carica di Valerio era molta, e Cesare non era da meno (doveva risolvere una volta per tutte la questione Pompeo). Ad un certo punto, a Fulvia non bastarono più le licenze di Valerio per soddisfare la sua astinenza sessuale, e capì, perciò, che doveva trovare un'alternativa. Ovviamente non intendeva tradire Valerio, voleva solo dare amore al suo corpo e a quello di qualcun'altro, ma non un estraneo; a Fulvia venne in mente soltanto Manlio, che intanto era cresciuto ed era coetaneo di Marco prima e Valerio poi, quando all'epoca ebbero le prime loro avventure con la madre. Nel 47 Valerio era impegnato in Egitto in una delle ultime campagne di Cesare e non sarebbe rientrato per almeno due mesi: Fulvia intuì che l'unico a "poterla aiutare" era soltanto Manlio, che intanto stava preparandosi a indossare la toga virilis (aveva passato le 17 primavere). Ma come poteva attirarlo? All'epoca, quando Marco e Valerio ebbero le prime voglie sessuali, lei era una donna giovane e attraente, ora invece era vecchia e logora, e come poteva accorgersi Manlio di lei? L'unica cosa che poteva provare era quella di mettere in risalto le curve, vestendosi con abiti leggeri e che non lasciavano spazio a immaginazione (con Manlio era sempre ben vestita). Una sera, prima di cenare, indossò una tunica larga di lino, che dava più spazio alle tettone di essere libere e disegnava perfettamente il culo grosso. Appena Manlio la vide non riuscì a non farle i complimenti e rimase estasiato: la strategia aveva fatto colpo. "Grazie tesoro, ormai sei un uomo, per cui non mi devo più nascondere ai tuoi occhi". Non appena Fulvia accennava un piccolo movimento, gli occhi di Manlio si posavano su quelle maestose mammelle, che quasi rischiavano di uscire dalla tunica; allo stesso tempo, Fulvia, con saggia perspicacia, notava gli apprezzamenti del figlio, nonché il bozzo che si era creato sulla toga all'altezza del pube. Dopo cena, i due dispensarono i servi, e camminarono insieme nel chiostro: "Mamma questa sera hai qualcosa in più, sei davvero una bella donna"; "Oh amore, mi fai imbarazzare, come ti possa piacere una donna della mia età, vecchia, logora..."; "Ma mamma, nella tua vecchiaia sei ancora attraente, mio padre ti ama perché sei una donna speciale, e anche lui è più giovane di te. Secondo te cosa lo colpisce di te?". A questa domanda, Fulvia si mise di fronte al figlio e con eleganza si tolse la parte superiore della tunica, liberando il prosperoso seno cadente: "Ecco cosa colpisce tuo padre". Manlio rimase a bocca aperta e immobile come una statua: l'unica cosa che si muoveva era il cazzo che si destò improvvisamente. "Mamma, ora capisco perché papà ti ama così tanto"; Manlio si avvicinò alla madre e timidamente tendeva le mani alle tettone, ma non osava toccarle. Allora Fulvia, con fare deciso, prese le mani del figlio e le poggiò sui meloni: vinto da tanta eccitazione, Manlio iniziò a spremere le grandi mammelle, mentre Fulvia cercava l'uccello ancora nascosto nella toga, ma che già era dritto e duro. Manlio continuava a soppesare le tettone burrose e Fulvia iniziò una sega furiosa: "Come il tuo avo, come tuo nonno, e come tuo padre sei ossessionato dal mio seno, ti piace?"; "Ah mamma, e come potrei risponderti diversamente, te ne stai accorgendo anche tu lì sotto, dico bene?" I due si abbandonarono a questo scambio di piacere al chiaro di luna, il figlio che amoreggiava con le bocce materne e la madre che segava il cazzo del figlio. In mezzo a tanta abbondanza, Manlio non riuscì a resistere oltre e con vigore spruzzò una gran quantità di sperma che macchiò sia la sua toga, sia la tunica di Fulvia. "Per Giove, che avventura, non pensavo fosse questo l'amore vero mamma"; "Amore mio, sono contenta che ti sia piaciuto, ma non dire niente di ciò a tuo padre, promettimelo! E stai certo, le promesse vengono ripagate.." I due si avvicinarono e suggellarono il rapporto appena avvenuto con un bacio. Il tempo si portò con sé anche altre storie tra Fulvia e Manlio, nonché anche vite umane: dopo la guerra civile tra Pompeo e Cesare, quest'ultimo, divenuto dictator perpetuum, fu ucciso in una congiura alle Idi di marzo del 44. Valerio, molto intimo con Cesare, sapeva che questi, dopo aver assunto il potere assoluto, rischiava molto e infatti fu avvicinato da alcuni congiurati ma se ne allontanò subito, allontanando da questi anche la sua famiglia. Venutosi allora a creare il secondo triumvirato tra Ottaviano, Antonio e Lepido, si organizzò la caccia ai cesaricidi che erano fuggiti da Roma: Valerio e Manlio conoscevano benissimo sia Ottaviano (erede designato da Cesare, nonché suo figlio adottivo), sia Antonio (collega di Valerio e legato di Cesare), ma i due Plotumni erano più vicini al giovane Ottaviano, che si differenziava da Antonio per il buon cuore e la generosità. Antonio però nutriva gelosie e invidie verso Valerio, poiché questi era benvoluto da Ottaviano, ma anche prima da Cesare e aveva paura che, alla fine della missione punitiva contro i cesaricidi, altri avrebbero preso il suo posto. Per cui, stipulò con gli altri membri del triumvirato le liste di proscrizione contro i suoi nemici, inserendo tra gli altri il nome di Valerio e quello di Cicerone. Dopo che le liste furono pubblicate, vedendo il suo nome, Valerio chiese spiegazioni a Ottaviano che, purtroppo, aveva le mani legate dagli accordi. "Una cosa te la voglio dire: appena Antonio avrà raggiunto i suoi obiettivi, io e i miei sodali vendicheremo te e tutti coloro che moriranno invano e quando il popolo capirà, vi osannerà con i canti del trionfo. Va da mio padre ora, dal tuo amico". Le poche parole spese da Ottaviano erano chiare: Valerio, se voleva proteggere la sua famiglia doveva morire, ma non sotto le spade dei sicari, ma suicidandosi, per rispettare l'onore e cadere da uomo libero. Valerio ripetè le stesse parole di Ottaviano ai famigliari la sera stessa: se Fulvia comprendeva, anche se con profondo rammarico, Manlio era deluso dal comportamento del padre e di Ottaviano, che non lo difendeva. A consolarlo c'era Giulia, una sua coetanea che presto sarebbe diventata sua moglie, appartenente alla famiglia di Cesare, e quindi dello stesso Ottaviano. "Manlio non essere sciocco: se tuo padre dice così significa che è la scelta giusta, per tutti quanti. A Roma e agli dei ciò è ben accetto, tuo padre sarà onorato e non rimarrà a penarsi nell'Ade come i sacrileghi"; "Giulia ha ragione Manlio, e compio questo gesto per salvare voi. Io tengo a Roma, ma prima c'è la salute di coloro che amo". A queste parole tutti gli andarono intorno e lo abbracciarono, Manlio, Giulia, e Fulvia, che fino a quel momento non aveva proferito parola. E soltanto dopo che i due ragazzi si ritirarono, Fulvia salutò suo figlio: "Valerio, figlio di mio figlio, padre del prodigio, amore, tu sarai con me sempre, così come sono con me Publio e Marco. Giove mi mette costantemente alla prova, ma penso non abbia messo alla prova nessuno come me. Saluta Publio e Marco quando sarai dall'altra parte. Ti amo. Ora va." Scesero su di lei i timori passati e le ombre della morte: Valerio si preparò bevendo un infuso alla cicuta e sdraiandosi subito dopo; era meglio per lui se si fosse riuscito ad addormentare, non avrebbe sentito nulla. L'indomani, il primo a recarsi alla stanza fu Valerio, che accertò la morte del genitore e lo fece preparare per la cremazione alle ancelle. Dopo di lui fu la volta di Fulvia: impassibile, questa volta non indossava i vestiti del lutto poiché quello che era venuto si trattava di sacrificio. Con garbo si avvicinò al capezzale, e chinatasi baciò per l'ultima volta il figlio, suo ultimo grande amore. Ma come si è detto questa non fu una morte dolorosa come quelle di Publio e Marco: i Plotumni, infatti, rispettarono il tempo del lutto, ma riuscirono a risollevarsi subito con le nozze di Manlio e Giulia qualche mese dopo. Fulvia era felice per suo figlio, poiché costruiva una famiglia nuova sulle ceneri che si andavano perdendo, e per di più entrando a far parte di quella che sarebbe diventata la famiglia reale. Tuttavia, fino a quando Ottaviano non avrebbe sconfitto Antonio, Manlio e Giulia preferirono restare a casa di Fulvia: errore più fatale non si commise. Dopo varie settimane dal matrimonio, Giulia scoprì di essere incinta: tutte e due le famiglie, quella dei Plotumni e la Iulia, furono felici della lieta notizia, così come lo fu Manlio, anche se lui non era del tutto entusiasta (infatti non riusciva a sopportare di non poter scopare con sua moglie). Manlio ne aveva parlato con Giulia, lei fu felice di ciò, poiché era un segno che Manlio le volesse davvero bene, ma lei non poteva rischiare di perdere il bambino: le propose così di andare con una concubina quando avrebbe avuto bisogno, ma il solo pensiero di andare a letto con una prostituta lo disgustava. Ed è così che a Manlio venne in mente un'idea indecente che tenne solo per sé; una notte, mentre sua moglie dormiva, Manlio raggiunse la camera della madre (sapeva di trovarla sveglia, poiché Fulvia soffriva di insonnia). Fulvia sapeva dei pensieri che turbavano Manlio, ma non sapeva cosa avesse in mente davvero il figlio. "Mamma ti ricordi quella volta alcuni anni fa, quando ci siamo scambiati effusioni, cosa mi dicesti?"; "Si ricordo, fu un momento magico e bello"; "Si, ma tu mi parlasti di una promessa che dovevo mantenere, e che se mantenute le promesse vanno ripagate"; "Ah si, ora ricordo, e ora da me cosa vuoi?"; "Voglio essere ripagato..." Fulvia aveva intuito cosa volesse il figlio, ma si divertiva a farlo attendere e a penarsi: "Sai amore, mi ingelosisce un po' il fatto che tu sia sposato con Giulia, il che è giusto, ma a me non pensa più nessuno"; "È per questo che sono qui, mamma, è da molto tempo che ti penso... in quel senso..." A poco a poco Manlio si avvicinava al letto della madre e salitoci sopra la raggiunse: si posizionò dietro di lei e le staccò la fibia della tunica che, all'improvviso, si afflosciò sul letto, liberando il grande seno cadente che arrivava fino all'ombelico. Mentre Manlio massaggiava le tettone, Fulvia si fece indietro col culo per sentire il cazzo del figlio, che era già fuori della tunica. "Ah Manlio, non sai da quanto aspettavo ciò, mh sii"; "Oh mamma, anche io lo aspettavo, Giulia mi aveva proposto una concubina, ma come faccio a trascurare una donna come te". E impastava quelle mammelle come se fossero impasto per pane, burrose e candide: allora Fulvia si girò, e stendendosi prona, iniziò a spompinare il figlio che, eccitato, le sprofondava la faccia cosicché il cazzo andasse più in profondità. Dopo un intenso pompino, Fulvia notò che il figlio era ancora in forze adatte per un rapporto completo, per cui lo invitò a penetrarla: si mise a pecorina e ricevette dolcemente il cazzo di suo figlio, che intanto cercava sempre di acciuffare quei meloni maturi. "Oh mamma, ti sto scopando al posto di mia moglie, ah sii"; "Ah figlio mio, la tua mamma è meglio di tua moglie, ohh sii". Fulvia ansimava e gemeva silenziosamente, e godeva sotto i colpi di Manlio che aumentò il ritmo dopo ciò che aveva detto sua madre: si era eccitato, poiché trovava piacere nel scopare una donna diversa da sua moglie, per giunta costei era sua madre. "Ahh mamma, sto venendo, ohh sii godo": a queste parole, Fulvia si staccò e preso in mezzo alle tettone il cazzo, eseguì una spagnola così  perfetta che in men che non si dica Manlio impiastricciò di caldo seme quei seni che tutti in quella famiglia adoravano. Invece di lasciare sua madre, Manlio rimase con lei quella notte, abbracciandola e a intervalli penetrandola, quando l'uccello si ridestava: Fulvia non si lamentava, anzi era in dormiveglia, conscia del fatto che suo figlio la scopasse, e godeva, abbandonata alla passione e bagnata di umori. So che può sembrare strano, ma da questo punto in poi i dati diventano lacunosi e scarni, la storia viene quasi elencata e non dettagliata: nel 31, con la vittoria su Antonio ad Azio, Ottaviano diventa il solo uomo ad ambire al potere; accanto a lui si trovano uomini importanti come Agrippa, ma non si dimentica di Manlio, che diventerà governatore della Cirenaica. Le cronache dicono di lui come un buon amministratore e grande statista; formerà una famiglia numerosa insieme a Giulia, e i suoi figli verranno educati da un precettore d'eccezione, sua madre Fulvia: diventata molto anziana e incapace di sopportare i lunghi spostamenti di Manlio, si ammalò e morì durante l'anno 25. Alle sue esequie, Manlio non fu l'unico a pronunciare la laudatio funebris, ma anche un giovanissimo Tiberio, fresco di toga virilis; ricordandosi di ciò che la madre gli raccontò una volta (della sua nascita e del vaticinio dei sacerdoti riguardo la sua vita), si rese conto che tutto ciò era avvenuto secondo il volere degli dei, perciò chiese ad Augusto (che era ancora in buoni rapporti con Lepido, il pontefice massimo) di innalzare un tempio nel foro a Giunone pulcherrima, dove poter riporre le ceneri di Fulvia e quindi venerarle. Il desiderio di Manlio fu esaudito e in solo un anno sorse il tempio, dove assieme alle ceneri della madre venne riposto l'anello con l'effigie mariana di Publio: è proprio da quella morte che si intrecciarono le peripezie di una strana famiglia romana, ma dove senza dubbio non mancava amore.
scritto il
2023-07-04
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