Tributo
di
GM Aminta
genere
pissing
"L'uomo, in quanto essere vivente, può essere soggiogato, nel senso che il suo lato fisico e comunque esteriore può essere sottomesso al potere e alla violenza di altri. La volontà libera, invece, non può essere in sé e per sé costretta [...] Può essere costretto a qualcosa soltanto colui che vuole lasciarsi costringere".
Rintocchi di campane e gatti che miagolano per strada. Una porta cigola. È mezzanotte. Cesare cammina reggendo una rosa e una croce, ed è completamente nudo. Inizia a piovere, e nel taglio di luce di un fulmine si scorge una sagoma che si sporge da una porta. È Silvia, sua zia, che attende il tributo. Cesare le si ferma di fronte, si inginocchia e le consegna la rosa. Lei afferra la rosa per i petali e con il gambo spinato sferra un colpo sulla schiena bagnata del nipote, che rende grazie. La pioggia continua a battere, pulendo le ferite del ragazzo e incollando la veste leggera al corpo della zia. Cesare afferra la stoffa e stringe gli occhi, spingendo la faccia contro il ventre della zia, mentre lei gli accarezza i capelli. Attraverso il tessuto sottile e bagnato entrambi sentono il contatto con la pelle dell'altro, sentono il ritmo del respiro, irregolare dell'uno e calmo dell'altra. Silvia prende dolcemente il mento di Cesare e si piega verso di lui, lasciandogli intravedere una larga porzione del suo morbido seno bianco attraverso la scollatura, prima di ricoprirsi con l'altra mano. "Apri la bocca" gli sussurra, una volta arrivata a pochi centimetri dalle sue labbra. Lui obbedisce. Uno spesso rivolo di saliva scende dalle labbra della zia e si appoggia alla lingua del nipote. "Bravo" dice lei, mentre lui tiene la bocca aperta senza mandare giù. Silvia sorride e gli apre ancora di più la bocca, immergendovi poi a fondo la propria lingua. Zia e nipote restano incollati a lungo, sotto la pioggia, in quel bacio umido e osceno. Poi Silvia stringe la testa di Cesare al seno, sussurrandogli qualche parola di conforto. Cesare sentì un capezzolo turgido della zia sfiorargli la guancia attraverso la veste. "Sei tu, zia", decise. "È da te che voglio bere". Il rituale si stava compiendo. Il volto di Silvia si riempì di gioia: abbassatasi nuovamente sul nipote, gli leccò avidamente le labbra in un bacio proibito dalla Tradizione. "Alzati", disse a Cesare. Lui obbedì. Anche se ora la vedeva dall'alto, una donna minuta, a piedi scalzi sul selciato, fradicia di pioggia, avvolta da una veste ormai quasi invisibile e che la esponeva quasi come nella totale nudità, Silvia svettava su di lui, adorante nipote, nel suo totale potere carismatico. "Spogliami" ordinò al nipote nudo. Il laccio che chiudeva la vestaglia era appena sopra al monte di venere, di cui si intuiva la forma grazie alla poggia che aveva fatto aderire la sottile vestaglia alla pelle e ai peli - anch'essi visibili - della donna. Cesare, con mano tremante, tirò lentamente il filo. Come il nodo fu sciolto, la vestaglia si aprì e cadde, e il bianco corpo della zia fu illuminato dal bagliore di un secondo lampo. Cesare collò nuovamente in ginocchio, non potendo resistere dal toccare e baciare ogni centimetro di pelle della zia. Le baciò nuovamente i piedi bagnati di pioggia e le caviglie sottili, le accarezzò i polpacci e le cosce, la strinse a sé afferrandole le natiche, appoggiò lo zigomo al suo monte di venere, respirandola. A quel punto Silvia gli guidò la bocca verso il suo sesso, premendolo contro alle sue labbra. E mentre la pioggia cadeva, la zia riversò il suo liquido in bocca al nipote, che docile beveva, assetato di lei. "Puliscimi" disse lei, una volta finito. E Cesare provvide subito, dandosi da fare con la lingua e spingendosi fino al perineo, avvertendo le contrazioni del sesso della zia. A Silvia tremavano tanto le gambe che si dovette sedere a terra per non rischiare di cadere sul nipote. Lui si strinse a lei, due corpi nudi fusi nella pioggia notturna, e si accoccolò di nuovo contro il ventre della zia, prendendo un capezzolo tra le labbra in un'immagine ancestrale di maternità. Ma loro non erano madre e figlio, né erano più zia e nipote. Rosa e croce erano state consegnate, il rituale era compiuto. Come una cosa sola, l'uno dell'altra, l'uno nell'altra. Silvia fece entrare in casa Cesare, e chiudendo la porta alle sue spalle chiuse dietro di entrambi un vecchio mondo che non esisteva più.
Rintocchi di campane e gatti che miagolano per strada. Una porta cigola. È mezzanotte. Cesare cammina reggendo una rosa e una croce, ed è completamente nudo. Inizia a piovere, e nel taglio di luce di un fulmine si scorge una sagoma che si sporge da una porta. È Silvia, sua zia, che attende il tributo. Cesare le si ferma di fronte, si inginocchia e le consegna la rosa. Lei afferra la rosa per i petali e con il gambo spinato sferra un colpo sulla schiena bagnata del nipote, che rende grazie. La pioggia continua a battere, pulendo le ferite del ragazzo e incollando la veste leggera al corpo della zia. Cesare afferra la stoffa e stringe gli occhi, spingendo la faccia contro il ventre della zia, mentre lei gli accarezza i capelli. Attraverso il tessuto sottile e bagnato entrambi sentono il contatto con la pelle dell'altro, sentono il ritmo del respiro, irregolare dell'uno e calmo dell'altra. Silvia prende dolcemente il mento di Cesare e si piega verso di lui, lasciandogli intravedere una larga porzione del suo morbido seno bianco attraverso la scollatura, prima di ricoprirsi con l'altra mano. "Apri la bocca" gli sussurra, una volta arrivata a pochi centimetri dalle sue labbra. Lui obbedisce. Uno spesso rivolo di saliva scende dalle labbra della zia e si appoggia alla lingua del nipote. "Bravo" dice lei, mentre lui tiene la bocca aperta senza mandare giù. Silvia sorride e gli apre ancora di più la bocca, immergendovi poi a fondo la propria lingua. Zia e nipote restano incollati a lungo, sotto la pioggia, in quel bacio umido e osceno. Poi Silvia stringe la testa di Cesare al seno, sussurrandogli qualche parola di conforto. Cesare sentì un capezzolo turgido della zia sfiorargli la guancia attraverso la veste. "Sei tu, zia", decise. "È da te che voglio bere". Il rituale si stava compiendo. Il volto di Silvia si riempì di gioia: abbassatasi nuovamente sul nipote, gli leccò avidamente le labbra in un bacio proibito dalla Tradizione. "Alzati", disse a Cesare. Lui obbedì. Anche se ora la vedeva dall'alto, una donna minuta, a piedi scalzi sul selciato, fradicia di pioggia, avvolta da una veste ormai quasi invisibile e che la esponeva quasi come nella totale nudità, Silvia svettava su di lui, adorante nipote, nel suo totale potere carismatico. "Spogliami" ordinò al nipote nudo. Il laccio che chiudeva la vestaglia era appena sopra al monte di venere, di cui si intuiva la forma grazie alla poggia che aveva fatto aderire la sottile vestaglia alla pelle e ai peli - anch'essi visibili - della donna. Cesare, con mano tremante, tirò lentamente il filo. Come il nodo fu sciolto, la vestaglia si aprì e cadde, e il bianco corpo della zia fu illuminato dal bagliore di un secondo lampo. Cesare collò nuovamente in ginocchio, non potendo resistere dal toccare e baciare ogni centimetro di pelle della zia. Le baciò nuovamente i piedi bagnati di pioggia e le caviglie sottili, le accarezzò i polpacci e le cosce, la strinse a sé afferrandole le natiche, appoggiò lo zigomo al suo monte di venere, respirandola. A quel punto Silvia gli guidò la bocca verso il suo sesso, premendolo contro alle sue labbra. E mentre la pioggia cadeva, la zia riversò il suo liquido in bocca al nipote, che docile beveva, assetato di lei. "Puliscimi" disse lei, una volta finito. E Cesare provvide subito, dandosi da fare con la lingua e spingendosi fino al perineo, avvertendo le contrazioni del sesso della zia. A Silvia tremavano tanto le gambe che si dovette sedere a terra per non rischiare di cadere sul nipote. Lui si strinse a lei, due corpi nudi fusi nella pioggia notturna, e si accoccolò di nuovo contro il ventre della zia, prendendo un capezzolo tra le labbra in un'immagine ancestrale di maternità. Ma loro non erano madre e figlio, né erano più zia e nipote. Rosa e croce erano state consegnate, il rituale era compiuto. Come una cosa sola, l'uno dell'altra, l'uno nell'altra. Silvia fece entrare in casa Cesare, e chiudendo la porta alle sue spalle chiuse dietro di entrambi un vecchio mondo che non esisteva più.
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