La merda

di
genere
feticismo

"Quella mangia la merda", mi avevano detto indicandoti.
Non sono uno da feste, certi ambienti affollati mi mettono a disagio. A volte però qualche circostanza mi faceva finire in un locale per un compleanno, per una laurea o per puro caso, come quella volta.
Come al solito me ne stavo in disparte, appoggiato al muro, un bicchiere in mano e lo sguardo perso tra i corpi danzanti. Tra loro, qualche conoscente, ma per lo più sconosciuti. Vergine disincantato e disilluso, guardavo le dinamiche che andavano creandosi nella stanza come avessi uno sguardo superiore, esterno ai fatti, sicuramente pieno di giudizio - l'unica attività in grado di portarmi qualche forma di divertimento.
Riconoscevo rapidamente tutte le diverse specie di persone che ciondolavano a ritmo di musica. C'erano quelli sicuri di sé, spesso alti e dalle spalle larghe e con una massa di capelli a coprire la fronte, a volte tenuti fermi da un paio di occhiali da sole blu o arancioni: erano i più fisici, si toccavano fra di loro e toccavano le ragazze, quelle del tipo che si faceva toccare. L'altra specie predominante di ragazzi era quella di chi cercava disperatamente di somigliare alla prima: la cosa curiosa è che questi secondi erano meno fisici e più vocali, nel senso che la forma di contatto a cui ambivano era l'essere toccati dal primo gruppo, come premio per una battuta particolarmente efficace, o magari tanto pietosa da meritare una consolazione. Poi c'erano le ragazze. Le guardavo meno, temendo di apparire molesto o alla disperata ricerca di attenzioni, ma anche di loro c'erano due gruppi ben distinti. Il primo cercava l'attenzione del primo gruppo di ragazzi: erano di solito ragazze più appariscenti, e tendenzialmente anche più belle. Il secondo invece faceva gruppo a sé, era composto da vari capannelli di ragazze meno approcciabili, che passavano il tempo a divertirsi in modo più innocente e meno pretenzioso. Quello era il gruppo delle vergini, delle caste smaliziate, di quelle che non scopano, insomma, e che nemmeno hanno troppa voglia di scopare, e al limite si scambiano qualche bacetto fra di loro.
A queste quattro specie che tendevo a ritrovare ad ogni festa vanno integrati i casi particolari.
Tra i casi particolari c'eri tu.
I casi particolari erano tutte quelle persone che apparivano interessanti ai tipi come me. Gente che magari si scatenava in pista ed era ben inserita nei meccanismi sociali, ma che sembrava avere comunque un qualcosa di alieno. Lo segnalavano i vestiti, i capelli, gli occhiali, il trucco, i piercing, gli accessori, i movimenti; le narici, le braccia, le unghie, le cosce, il culo, i piedi; la schiena, la fronte, le sopracciglia, gli occhi.
Tutti gli elementi che componevano queste persone, seppur ogni volta diversi, significavano originalità, eccentricità, intelligenza, carisma. Erano le persone con cui sarei scappato dalla festa, mi sarei buttato in un lago di notte da nudi, avrei esplorato i boschi, suonato i campanelli dei palazzi per poi scappare, corso sotto la pioggia, rubato ai mercati, letto libri, giocato davanti ad un fuoco, parlato di sentimenti e litigato di cultura.
Tu eri una di questi. Lo sei.
Ti avevo notata subito. Un vestito beige corto, le cosce abbronzate sinuose e forti, i capelli neri e ricci appiccicati alla fronte per il sudore, il respiro affannato dal continuo muoversi, la bocca aperta, i denti bianchi. Forse qualche gene latino. Lo sguardo irrequieto, la fronte aggrottata - non eri presente, ma per scelta: volevi scatenarti e perderti, non pensare, svuotarti. Questo perché, si vedeva, avevi molto dentro.
Avevo una vaga idea di chi fossi. Alle superiori facevamo lo stesso liceo, anche se chissà di che classe eri. Si diceva fossi una di quelle sveglie, voti altissimi tranne in condotta. Eri in quei gruppi che organizzavano le occupazioni, una piccola attivista, probabilmente avevi beccato qualche sospensione, ma che te ne importava (genitori ricchi?).
Qualcuno si era accorto che ti stavo guardando (l'errore che cercavo di evitare).
"Quella mangia la merda". Alzai le sopracciglia e mi girai verso la voce: uno di quei ragazzi del primo gruppo. "Mh?" risposi, bevendo un sorso. "Quella mangia la merda!" ribadì il tizio, indicandoti con il suo bicchiere e ridendo. Non sapevo bene se crederci, ma mi si era smosso qualcosa dentro, quindi tanto valeva cercare di scoprire di più. "Davvero esiste chi lo fa?" gli chiesi ridendo, dissimulando il turbamento che una risposta positiva non avrebbe potuto che accrescere (perché chiedere? perché correre il rischio?). "Neanch'io ci credevo, fra" rispose l'altro continuando a ridacchiare - forse percepiva di aver fatto colpo con la sua storia. "Neanch'io ci credevo, ma quella lo fa davvero. Ragazzi, ragazze: si scopa tutti, poi si fa cagare addosso e si mangia la merda. Vedrai che anche da questa festa se ne va con qualcuno: tu ricordati chi, e poi chiedigli se è vero". Io scossi la testa e sorrisi "Assurdo, eh?", commentai, fingendo di non essere scosso quanto lo ero. Più piccola di me, più
intelligente, più bella, e ti facevi cagare in bocca.
Immaginai di essere io quello con cui te ne saresti andata dalla festa. Mi immaginavo sicuro di me, disinibito, capace di accogliere quel tuo fetish e di sentirmi a mio agio. Mi immaginai brevemente una lunga relazione in cui non prestavo attenzione alle voci (vere) su di te, perché ti amavo per quello che eri, per quello che eri con me e per quello che eri stata anche con altri e con altre. Ma sapevo che eri anni luce oltre a me, che mi avresti sentito impacciato, imbarazzato. Avrei ucciso l'atmosfera, ti avrei messa in difficoltà e non avrei saputo che fare. Cazzo, io ero vergine e tu ti facevi cagare in bocca dalle ragazze! Possono due persone essere più distanti di così?
Uscii per un po' all'aperto a prendere qualche boccata d'aria. Fuori dal locale c'era un ampio spiazzo verde con qualche panchina e, poco più in là, una terrazza panoramica che dava sui boschi della collina che scendeva dolcemente verso la città. Mi accesi una sigaretta appoggiandomi al parapetto.
"Scusa, avresti da accendere?" sentii chiedere dietro di me. Voce da contralto, rivolta a me: ero l'unico là fuori, tolta una coppietta lontano, di fronte all'ingresso. Mi girai sapendo già che eri tu. Ti passai l'accendino, tu ricambiasti con un sorriso imbarazzato "Hai anche la sigaretta?". Te ne passai una. Ci sedemmo entrambi sulla panchina, gambe e avambracci si toccavano. Decisi che potevo permettermi di essere diretto. "Quindi la merda, eh?" ti chiesi, guardandoti con un sorriso ironico, quello di uno che non si scandalizza. Perché sapevo che non te ne fregava niente che si sapesse. Infatti non te ne fregava niente: "La merda" rispondesti sorridendo e alzando le sopracciglia, con l'espressione divertita di una persona che deve ripetere troppe volte una cosa che sa essere assurda. "E pure le sigarette" ironizzai, "non uno stile di vita sanissimo". Allungai una mano sulla mia gamba, e casualmente il mio mignolo sfiorava la sua. "Non sanissimo, direi di no". Mi sentivo stranamente a mio agio. "Ma senti" dissi con una voce più convinta, espirando il fumo. "Consistenza di cacca preferita? Ce ne sono un sacco tra cui scegliere". Mi finsi (ma lo ero) esageratamente interessato per riderci su. Tu infatti ridesti, battendo con la mano sulla mia tre volte, le ultime due più lente, come a mantenere il contatto più a lungo. Poi la spostasti sulla tua gamba, e casualmente il tuo mignolo sfiorava il mio. "Non ti devo rispondere, vero?". Risi, eri proprio sveglia. Avvicinai la mano alla tua, tu me la afferrasti. "Non ti fa schifo che mi mangi la merda?". Era una conversazione surreale. "Non direi, è un po' più strano di così. Ti invidio, direi. Non nel senso che mi mangerei la merda, ma il fatto che tu abbia accettato una cosa così estrema di te ti fa apparire molto..." non completai la frase, ma tu capisti. Il tuo pollice mi accarezzava il dorso della mano. Allungasti le gambe: avevi dei sandali beige come il vestito, le unghie dei piedi smaltate di rosa. "Mi piacciono anche i piedi, ma di quello nessuno parla. Forse avere un fetish più estremo oscura tutti gli altri", commentasti. Molto probabile, pensai, quasi ovvio: me l'avevi detto solo per dire che ti piacciono i piedi, il resto era quasi tautologico.
Era buio, c'erano le stelle, c'era l'aria fresca. Una sconosciuta che mangiava la merda mi teneva per mano, e io le stavo accarezzando il braccio con l'altra. "Pensa, tu mangi la merda e io ho venticinque anni e non ho nemmeno mai scopato" dissi. Sapevo che quella frase avrebbe probabilmente spezzato tutto: ti avevo delusa, ti aspettavi qualcuno di così disinibito e rodato che avrebbe potuto soddisfarti quella sera, e invece avevi trovato me. Invece, mi stringesti la mano. "Siamo tutti un po' un casino, in un modo o nell'altro".
scritto il
2024-07-10
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