Asado a la espada
di
Jan Zarik
genere
prime esperienze
Cerco le parole ma non le trovo.
Questo accade non tanto perché vorrei esprimere qualcosa di difficile da comprendere a chi legge o chi ascolta. Piuttosto, cerco le parole nel tentativo di decifrare cosa sto pensando, come un faro in mezzo all’oscurità. Di solito, quando si hanno le idee chiare a livello concettuale, le parole escono fuori quasi da sole. O ancora meglio, quando hai una storia in testa, che sia fondata su esperienze passate o che sia immaginaria ma profondamente vicina al tuo animo, le parole evocate sono molteplici, mirabili e appassionate, poiché tentano di ricondurre esattamente a ciò che si vuole dire.
Tuttavia, quando il pensiero diventa fumoso, dubbioso, insicuro, balbettante, intrecciato e distorto, le uniche parole che escono fuori risultano soltanto in una più o meno variegata definizione di nulla. Una sorta di cecità bianca, come la descrive Saramago, che non ti permette di vedere assolutamente niente ma che al tempo stesso ti sovrasta e ti invade, togliendoti il fiato e il riposo. Così i pensieri affollati tappano la bocca al vocabolario e riducono i tuoi scritti a un lamentoso e patetico verso animalesco, senza ruolo e senza significato.
Ecco ciò che intendo quando “cerco le parole ma non le trovo”. Alcuni preferiscono la dicitura “blocco dello scrittore”, poiché più facile, più generalista, più immediata da comprendere. “Forse sei soltanto un po’ bloccato.” Dicono quei soliti due o tre amici a cui fai leggere in anteprima le varie robe, confortati dal pensiero che prima o poi può succedere a tutti gli scrittori di professione, assicurandoti che il momento di impasse, esattamente come è venuto, prima o poi se ne andrà.
Altre persone invece suggeriscono di distrarmi, fare un viaggio, conoscere nuova gente e trarre ispirazione per nuove storie. Una di queste è Andreas, una collega e amica argentina naturalizzata italiana. Lei vive qui ormai da 15 anni e lavora presso una scuola di lingue. Ho conosciuto Andreas poiché ha fatto parte del mio stesso gruppo di amici. Ha frequentato per un lungo periodo una ragazza che era anche membro della mia comitiva. Ora, quella comitiva non esiste praticamente più, la ragazza in questione è uscita dai radar ma io e Andreas abbiamo mantenuto i rapporti. L’ho sempre trovata una persona esplosiva, piena di vita, estroversa e casinista. Una volta conclusi gli studi, ha fatto il giro di mezza Europa rimanendo nomade per circa due anni, arrabattandosi con lavori stagionali. Dopodiché, è tornata nella mia città, dove aveva studiato e tenuto la maggior parte dei contatti. Non le fu facilissimo trovare lavoro ma adesso dice che è soddisfatta di cosa ha ottenuto dalla vita. Io, invece, tutto l’opposto. Quasi mai schiodato il culo dalla sedia durante gli studi. Ho preferito sempre i viaggetti comodi, le gite organizzate e i posti canonici. Mai messo un piede fuori dal continente. Mi piaceva fare parte di un gruppo variegato e internazionale di persone come se questo compensasse la lacuna. Mi faceva sentire parte del mondo, nonostante evitassi di esserlo davvero. Studiavo, ponevo degli obbiettivi sempre irrealistici e minimizzavo le conquiste accademiche. Dopo una travagliata relazione durata tre anni, ora mi ritrovo a cercare le parole di un pensiero che non esiste, forse spento, estinto ancor più che semplicemente affollato.
Per cui, una sera decido di accettare il consiglio. Avevo messo da parte un bel gruzzolo nel corso di tutto l’anno precedente. Soldi per lo più ricavati dalla mia vera professione, quella che mi obbliga ogni tanto a visitare persone, dire loro come effettuare certi esami, suggerire loro uno stile di vita più sano, palparli dove sentono male, sorridere forzatamente quando non fanno quello che gli dici di fare. Non lavoro a tempo fisso. Lavoro perlopiù a contratto flessibile. Posso dunque permettermi di non fissare turni di lavoro per un periodo indefinito. Ho un contratto a tempo indeterminato soltanto con gli anni di vita che mi rimangono, il resto è solo hobbistica professionale.
Dove vado? Beh. In Argentina. Perché proprio lì? Perché Andreas ha in programma un periodo da passare insieme alla famiglia e perché a me serve un cambio di prospettiva, quindi l’Argentina è il luogo ideale per sovvertire qualsiasi punto di vista. Lì c’è l’estate mentre qui stiamo in Inverno. Lì al Sud fa freddo e al Nord fa caldo. In Argentina la gente parla una lingua che non conosco ma sono abbastanza sicuro che capiscano comunque cosa cerco di dire, perché molti conoscono l’italiano o hanno parenti italiani. Perché l’Argentina è splendida, ha una storia lunga, affascinante e complicata, sebbene a partire da presupposti totalmente diversi da quella nostra. Perché gli Argentini sono molto simili a noi ma allo stesso tempo sono totalmente diversi da noi. Perché in Argentina ci sono paesaggi meravigliosi, perché si mangia a poco prezzo, perché Buenos Aires è immensa e tenebrosa ed è la patria di Borges. Perché in Argentina la carne è saporita e succosa, perché si balla il tango anche se io non so ballare il tango.
Ed è proprio questo il punto. Io non vado in Argentina per trovare le parole che descrivano ciò che penso. Vado in Argentina per poter perdere finalmente il legame tossico e asfissiante coi miei pensieri ciechi e insensati. Pars destruens, senza costruens.
Così io e Andreas prendiamo un volo nei primi di marzo e dopo uno scalo a Newark atterriamo a Buenos Aires. Lì ad attenderci vi sono la madre Avelina, veterinaria, il padre Ignacio, vicedirettore di una filiale di banca e la sorella Antonella, che studia farmacia all’Università. Parlano tutti in spagnolo ma si fanno capire abbastanza bene. Inoltre, Andreas traduce ogni cosa per me. La prima cosa che faccio dopo aver posato le valigie è dormire. Non riuscivo più a dormire bene da mesi, attanagliato da quell’angoscia esistenziale. Dopo circa otto ore mi sveglio e sono sudato. Il sole è ormai calato quasi del tutto, poiché siamo arrivati la mattina presto e il jet lag è un disastro. Esploriamo un po’ la città. Prendiamo la metro, anche se io pensavo ci trovassimo già in centro. Invece scopro che per arrivare ad Avenue Corrientes ci vogliono quasi dieci minuti e un cambio linea. Una volta giunti, rimango a guardare stupito un Obelisco in mezzo ad una enorme piazza e imbambolato cerco di capire perché si trovi lì. Andreas e Antonella mi fanno fare un breve tour dei viali principali. Mi raccontano un paio di aneddoti e infine mi fanno bere qualcosa di dolciastro per brindare alle réunion familiari e alla pars destruens di cui sopra.
Essere ospiti a casa di Andreas è strano. Sono comodamente seduto su un letto matrimoniale e ho un bagno privato. La sua famiglia è piuttosto benestante, sembrano tutti gentili e mi chiedono un sacco di cose. Mi chiedono cosa faccio, come ho conosciuto Andreas, quali sono le mie abitudini. È comprensibile, dato il contesto, che siano particolarmente incuriositi dalle persone straniere che entrano in casa. Tuttavia, mi sorge qualche dubbio circa le modalità di comunicazione con la loro figlia più grande. Percepisco una certa tensione di sottofondo che ammetto mi ricorda un po’ i vecchi stridori che ho avuto in gioventù quando stavo dai miei. La madre mi rivolge un ampio sorriso di benevolenza mentre il padre riesce poco a camuffare un certo grado di diffidenza nei miei riguardi. Non ho intenzione di abusare della loro ospitalità per cui mi chiedo se sia il caso che mi cerchi un altro posto dove stare. Un pomeriggio, Andreas decide di uscire con sua madre per scegliere un vestito nuovo, lasciandomi riposare. C’è in programma la festa di laurea di sua sorella questo sabato, rimandata proprio in occasione del ritorno di Andreas. Una volta sveglio, raggiungo in balcone Antonella, intenta a bere mate. Quello è il primo momento in cui mi rendo conto di quanto le due sorelle siano diverse. Andreas ha una carnagione olivastra, i capelli scuri e il volto piuttosto squadrato, più simile a quello della madre. Antonella invece mostra un viso più appuntito, i capelli biondo-chiaro e gli occhi di ghiaccio. I suoi accennati ricci si adagiano delicatamente sulle spalle, lasciando scoperte le clavicole, di cui la sua carnagione chiara ne risalta i rilievi. Il vestito lilla sembra caderle addosso senza quasi toccarla, dato l’elegante portamento. La osservo tenere il calabazo del mate con le sole due dita, succhiare la bevanda dalla bombilla e con un rituale quasi ipnotico versare nuova acqua, per poi, infine, rivolgermi un rapido sguardo, quasi più un guizzo fulmineo e chiedermi se ne voglio un po’. Accetto di buon grado, sorpreso dall’inaspettato magnetismo di quegli occhi. Beviamo mate insieme per una buona mezz’ora, parlando del più e del meno. È una ragazza molto intelligente, mi rendo conto. Un tipo diverso di intelligenza, se comparato all’arguzia della esuberante e avventurosa sorella maggiore. Ci ritroviamo in breve a parlare proprio di Andreas. Mi rendo conto che la questione sembra delicata. Antonella mi confida che in realtà i suoi genitori non pensavano fossi solo un amico di Andreas. Piuttosto, credono che io e lei abbiamo una sorta di affaire. Le rispondo che è impossibile, perché non ho assolutamente lasciato intendere alcunché. Dormiamo in letti separati e abbiamo affrontato a tavola più volte l’argomento di come ci siamo conosciuti! Lei, tuttavia, mi fa notare che nulla di tutto questo è stato chiarito in modo esplicito. Andreas, che è lesbica da quando la conosco, ovvero da quasi quindici anni, non è mai riuscita a fare coming out coi suoi genitori. Credo lo sia sempre stata, anche prima di trasferirsi in Italia. Tutto ciò, nel 2024 sembra paradossale. Cerco di smarcarmi da quella situazione scomoda e chiedo ad Antonella come potremmo sciogliere quella situazione. A quel punto, lei mi anticipa che probabilmente sua sorella ha intenzione di dire la verità ai suoi genitori solo poco prima di ripartire per l’Italia, in modo da minimizzare gli imbarazzi. Cristo santo! L’unica cosa a cui penso è che si tratta di una situazione del cazzo e che dovrà durare ancora un po’ di giorni.
Una volta ricongiunti con Andreas, esplodo come una granata, accusandola di avermi invitato in casa sua spacciandomi per il suo ragazzo. Dopo una vivace discussione, riusciamo a placare gli animi da persone civili. «Prometti che non dirai nulla fino a quando non sarò io a prendere l’argomento?» chiede lei. «Mi stai chiedendo qualcosa di enorme.» ribatto io. «Lo so. Ma in questo momento mi servi come alleato.» risponde lei. Non l’ho mai vista così timorosa. Mi fa un certo effetto vederla così, anche se devo ammettere che la determinazione con cui abbiamo affrontato l’argomento mi ha fatto ricredere circa la sua irruente personalità. Di fronte a me ho adesso una donna ponderata, che forse schiva le questioni difficili usando una maschera, facendo dei giri larghi attraverso diversi continenti. Esplorare il mondo è la sua comfort zone. Il suo mondo interiore, invece, è il vero mondo inesplorato.
Mi rendo conto che, nonostante non mi sia mai definito un vagabondo viaggiatore, anche io sono così. Anche io ho sempre evitato di affrontare me stesso, le mie paure, i miei fallimenti, le mie aspirazioni, il mio lavoro e le mie relazioni naufragate sotto tre quintali di orgoglio. Questo viaggio non è dunque un tentativo di fare qualcosa di diverso ma la conferma di ciò che ho sempre cercato di fare e pertanto di ciò che sono sempre stato.
La sera della festa, ci vestiamo di tutto punto. Ho comprato una cravatta speciale con dei minuscoli fiori argento su uno sfondo blu scuro. Andreas indossa un completo bianco e nero, porta i capelli su con uno chignon morbido che fa risaltare il suo volto marcato, il quale assume una connotazione forte ma al tempo stesso armoniosa. La sorella è splendidamente vestita con un abito chiaro, in parte asimmetrico, lungo fino alle caviglie con uno spacco reso a intravedere parte della coscia destra. Porta un rossetto bordeaux e una rosa bianca tra i capelli, i suoi capelli sono sciolti e il suo sorriso è radioso. La festa è magnifica. C’è una band dal vivo, i colleghi della festeggiata coinvolgono il resto degli invitati in balli di gruppo e l’atmosfera è rilassata. Si beve parecchio vino rosso e si avverte un vago odore di sigaro nell’aria umida della serata. Io mangio con gusto per via delle varie specialità di carne cotta sul posto, ma i bicchieri di vino iniziano a superare di gran lunga il numero di portate. Per cui, l’alcol inizia a darmi alla testa piuttosto facilmente. «Abbracciami, ogni tanto!» chiede Andreas mentre mi trova in disparte. Io sorrido, cercando di mantenere un contegno. Le poggio dunque una mano sulla schiena e lei quindi se la trascina sul fianco. «Così, ecco!» mi dice.
«Così mi metti in imbarazzo, però.» Dico io, cercando di mantenere una apparente spontaneità. «Zitto. Sono più in imbarazzo io, fidati!» risponde lei, mentre da lontano sorride a parenti e amici. La serata continua con musica sempre più ad alto volume, sempre più alcol nel corpo e allegria nell’aria. Una volta che gran parte dei parenti è andata via, lasciando per lo più i giovani, riusciamo a scrollarci di dosso quel cartonato di apparenze e smettere con quella farsa. La tensione nel corpo e nella mente di Andreas sparisce rapidamente e il suo sorriso si fa sempre più autentico. Mi porge un bicchiere e brindiamo. «Grazie per esserci stato e avermi accompagnato fin qui.» Mi dice, prima di vederla allontanarsi e scatenarsi in centro sala e ballare insieme ai vari invitati. Io, intanto, più guardo Antonella e più rimango abbagliato da quella bellezza quasi aristocratica. Inizio ad avvertire un certo fremito. Sento che l’alcol mi ha già dato alla testa. Affiorano ricordi che con difficoltà provo a scacciare via. A un certo punto, Antonella si allontana dal centro della sala e incrocia il mio sguardo. Io alzo il calice di vino e lei ricambia con un sorriso abbagliante. «Ti stai divertendo?» chiede lei in spagnolo, mentre si serve della sangria. «Mucho!» rispondo io, col mio pessimo accento. Antonella ride e mi abbraccia. Sento il suo mento poggiarsi sulla mia spalla e le braccia congiungersi attorno al mio collo. Dopodiché, avverto un bacio sulla guancia destra, tremendamente vicino alla rima della bocca. Sgrano gli occhi e la guardo attentamente. Sembra piuttosto allegra ma il suo viso è cambiato. Ha le gote rosse, il rossetto delle labbra è quasi andato via, lasciando il posto a un rosato naturale, più acceso del solito. Per un attimo mi è sembrato che si mordesse il labbro inferiore, con sguardo carico di desiderio. Le sue mani scivolano lungo la mia schiena e dopodiché si dividono lasciandomi andare, allontanandosi da me, senza dire nulla. Rimango così, poggiato sul muretto in pietra e il calice in mano e un senso di apparente turgore in mezzo alle cosce. È stato un attimo, inafferrabile, tuttavia estremamente potente. Non sono tante le volte in cui ricevo un flirt così palese ma quello ha tutta l’aria di un richiamo esplicito e poco fraintendibile. Per circa una mezz’ora non mi muovo da lì. Ogni tanto qualcuno si avvicina per scambiare quattro chiacchere ma il mio pensiero è completamente divorato da quelle sensazioni. Mi sento scisso, strappato da continui dubbi. Il pensiero si è fatto nuovamente indecifrabile, incasinato. Da un lato, vorrei davvero vivere quel momento, esplorare quel corpo sublime e assaporarne ogni istante, sia di spazio che di tempo. Dall’altro, sono ancora piuttosto dilaniato dal passato che torna nella mia mente come una mareggiata e mi impedisce di alleggerire il peso dei sentimenti. Cerco di distrarmi ballando, anche se mi confermo una frana in certi contesti.
La festa termina verso l’una di notte. Gli ultimi convenevoli vengono scambiati seduti sui tavoli ormai pieni di bicchieri, alcuni vuoti altri semi-pieni di vari liquidi e ghiaccio semi-sciolto. Torniamo a casa in macchina, in silenzio. Andreas, accanto a me, mi rivolge un’occhiata interrogativa che io ricambio con un sorriso stanco. Antonella, invece, è poggiata sul finestrino con gli occhi chiusi, forse sta dormendo o forse è soltanto preda di una grande sbornia. Ci salutiamo tutti e ci dirigiamo ognuno nelle rispettive stanze. Attendo che il silenzio e l’oscurità mi pervadano. Da un lato, sento una profonda eccitazione prendere corpo, dall’altro capisco di aver perso l’attimo. Cosa faccio, mi presento in camera sua e come se nulla fosse ci abbandoniamo agli istinti più arcaici? Sembra un piano poco credibile. Eppure, quel fremito non accenna a passare. Mi attanaglia. Devo fare qualcosa. Masturbarmi? Probabilmente sì. Tuttavia, non riesco a rilassarmi come vorrei. Mi alzo dal letto e faccio i giri attorno a me stesso un paio di volte. Decido di indossare due ciabatte e uscire dalla stanza, ancora in mutande. Mi ritrovo nel corridoio totalmente al buio. C’è silenzio. In lontananza qualcuno sembra russare. Gli occhi mi si chiudono da soli e devo sforzarmi di mantenerli aperti. Mi avvio verso la cucina. L’intenzione è di bere un po’ d’acqua. Apro il frigo. La luce interna mi acceca d’improvviso. Di nuovo, una cecità bianca e abissale. Laggiù, la spada non smette di abbassare la guardia, sguainata ed eretta, mentre la mia mente gira come un mulinello. Mi bagno la maglietta bevendo a canna. Mi rendo conto di essere ancora mezzo ubriaco, per cui cerco di raggiungere il bordo del piano cottura, onde evitare di incespicare barcollando. Chiudo gli occhi e sospiro. La mia mano si addentra quasi del tutto al di sotto dell’elastico dei boxer, impugnando la base dell’asta. Credo di aver mantenuto quella posizione per circa dieci minuti, senza nemmeno avere le forze di proseguire verso una direzione specifica, in balia dei capogiri. Dopodiché, una voce sussurrante mi sveglia dal torpore. «Todo esta bien?» I miei occhi percepiscono solo una profonda oscurità, incapaci di distinguere forme e sagome. Mi devo fidare del fatto che chi ha sussurrato quella frase sia a meno di un metro di distanza. Dopo alcuni secondi, la lucidità mi sfiora e mi rendo conto che sto ancora tenendo il pene in mano da dentro i boxer, come un pervertito, in mezzo al salotto della casa presso cui sono ospite. D’istinto, tolgo la mano e cerco di camuffare l’erezione ma riconosco di essere praticamente impresentabile, in mutande e con la maglietta umida. «Oh, sì. Todo bien. Grazie.» Rispondo biascicando. La voce si avvicina, sussurrante. «te divertiste en la fiesta?» domanda, sempre più vicina, quasi richiamando quella stessa identica domanda che mi fu posta durante la serata. La mia vista inizia a distinguere sfumati contorni, senza ancora essersi abituata del tutto. «Eh, si. Mucho!» Ripeto a comando. Avverto di nuovo quella vibrazione strana nell’aria. Una perturbazione insolita. «Veo que te has relajado.» che credo si possa tradurre con “vedo che ti sei rilassato”. A questo punto, la donna si avvicina sempre più e tende la mano verso la punta di quell’uccello starnazzante che non riesce a nascondersi sotto il tessuto bianco dei boxer. Lo smuove. Lo titilla. Io apro la bocca, sgomento. Si tratta di Antonella? Non riesco ancora a mettere a fuoco, perché l’oscurità non permette di distinguere i colori, per cui mi posso solo affidare alle forme, sbiadite e adombrate. Con le dita, tira a sé l’elastico di quei poveri boxer già sottoposti a tensione e lo abbassa fino a far svettare in libertà l’asta oscillante, vagamente traslucida nella notte profonda. Rimanendo in silenzio, la donna inizia a massaggiarmi le palle dal basso, con movimenti sussultori e pressori. Inspiro profondamente. A un certo punto, la vedo soffiare sul dito indice, come a farmi divieto di proferire parola. Io allora rimango muto, mentre la vedo avvicinarsi al glande ormai libero e racchiuderlo tra le sue labbra, mentre con gli occhi mi fissa sprezzante. Avrebbe dovuto essere Antonella, con quello sguardo magnetico, intenta ad accogliere la lunghezza intera di quell’asta turgida che comincia prima a sbatterle sul palato, dopodiché a adagiarsi sulla lingua, da cui viene carezzata e umidificata a ritmo. Tuttavia, quello sguardo magnetico non appare. Chi è allora, quella ragazza? Perché sembra familiare?
Non appena riesco a mettere a fuoco, un terrore mi assale. Si tratta di Marta, la mia ex. Un pensiero sconcertante si fa quindi strada nella mia testa. Non sta succedendo davvero. Quella non è una fellatio. È solo la mia fantasia da sbronzo. Dove mi trovo, quindi?
Mi ritrovo ancora nel corridoio totalmente al buio. C’è silenzio. In lontananza, qualcuno sembra russare. Gli occhi mi si chiudono sempre da soli e devo sforzarmi perciò di mantenerli aperti. Sono in piedi, poggiato al muro. I boxer ancora indosso. L’erezione ancora manifesta. Di fronte a me, una porta si apre.
«Perché sei sveglio?» chiede Andreas. Stavolta mi è facile riconoscerla. «Non riuscivo a dormire.» dico io. «Neanche io.» risponde lei. Poi, il suo sguardo si posa sul mio imbarazzante sesso proteso in avanti. Fa una smorfia, accennando un sorriso. Io ricambio il sorriso, consapevole di essere ormai incapace di gestire la mia disinibizione latente. Andreas mi prende per mano e mi fa entrare in stanza. «Vieni, prima che ti becchi qualcuno.»
Mi bacia appassionatamente. Ricambio abbracciandola e togliendole la maglietta, liberando due generosi seni e i loro capezzoli turgidi. Sento affondare la sua lingua dentro la bocca, di cui assaporo la consistenza e il calore. Con una mano è riuscita a togliermi del tutto i boxer, lasciandomi nudo. «Così ti piace?» chiede Andreas, mentre mi afferra la base del pene e inizia a strofinarlo alternando i movimenti. «Un sacco.» rispondo io, eccitato. Il quesito di Andreas sembrava sincero, non retorico. Non è abituata a toccarmi in quel modo. Probabilmente non è abituata a toccare nessun uomo in quel modo. In verità, mi chiedo perché lo stia facendo. Perché proprio con me. Perché proprio quella notte.
Mi scaraventa a letto e continua a baciarmi mentre prosegue con il suo massaggio. Ogni tanto, si lascia colare alcune gocce di saliva sulla mano, riprendendo poi a menarmelo. «Sono sempre stata curiosa, sai?» osserva lei, mentre le sue mammelle lambiscono il mio petto. «Confesso di esserlo stato anche io.» rispondo con la voce tremante. Vedo il suo busto muoversi verso il basso, lasciando che il cazzo le strofini tutto l’addome, risalga fin su, lungo lo sterno e il collo, per poi atterrare sul suo mento. Dopodiché, mi stringe dai glutei e inizia a succhiare.
È incredibile come da una fantasia da sbronzi si possa passare a questo. Sento il dovere morale di avvicinare la sua bocca alla mia e darle un bacio appassionato, quasi riconoscente. Nel mentre, la afferro da un fianco e cerco il suo interno coscia. Una volta calibrato e allineato, io e Andreas ci guardiamo negli occhi e ci accingiamo a unire le nostre carni in una sola. Un dolce asado a la espada dal sapore intenso, dolciastro, piccante. Lei chiude gli occhi, mentre io sono dentro, è una sensazione che riconosce come non molto familiare, tuttavia non si tira indietro. «È strano, cazzo!» dice, mentre il suo fiato si fa corto. «È strano farlo con un uomo?» Chiedo io. «È strano farlo con te.» ribadisce lei. Ok. Forse non è la cosa più eccitante che si possa dire in quei contesti, ma d’altronde lei è Andreas. È nel suo stile. In quel momento io la riconosco ed è assolutamente devastante. Il mio orgasmo è imminente e cerco di farglielo capire in tutti i modi. Lei, tuttavia, sembra concentrata a raccogliere tutte le sensazioni possibili, gemendo delicatamente a ogni colpo. Trovo il coraggio per uscire appena in tempo prima che tre schizzi facciano prepotentemente capolino. Una vibrazione mi sconquassa da capo a coda. La tensione degli addominali si arrende di fronte al piacere. Mi ritrovo disteso, esanime, appagato, mentre Andreas sorride vicina a me. Lei non è venuta. Un po’ mi vergogno. Mi sento stupido e inadeguato. Tuttavia, quasi come se avesse letto i miei pensieri, ella accompagna la mia mano sinistra fin sul suo pube, facendomi incontrare le sue grandi labbra. Quindi, come una maestra fa col suo discente, mi guida nei movimenti, lasciandomi esplorare quelle vallate umide. Ci soffermiamo sulla clitoride, eseguendo movimenti circolari. Poi, un paio di falangi penetrano dentro, solcano la sua vagina e confluiscono avanti e indietro, assecondando il suo piacere. La mia mano è una semplice esecutrice. Andreas si sta masturbando per il mio tramite. Se da un lato mi sento insulso, dall’altro mi sento in profonda connessione con lei. Intuisco sempre di più quali siano i movimenti più efficaci. Vorrei baciarle il monte di venere, leccare i punti più intimi del suo scrigno umido. Tuttavia, sembra che Andreas abbia altri piani. Accelera il passo, eseguendo movimenti sempre più rapidi. La vedo aprire progressivamente la bocca, aspettando che il piacere esploda. I singulti si fanno sempre più frequenti. A un certo punto, la sua voce si arresta, bloccata a metà, in quello che verosimilmente è il culmine di un orgasmo. Il suo corpo trema, le mie dita sono fradicie. Analogamente al mio corpo, anche ella si abbandona e si rilassa, dunque chiude gli occhi.
Dopo qualche minuto, si accende una sigaretta come nei migliori cliché. Mi chiede se mi sia piaciuto. Le rispondo di si, a quel punto le ricambio la domanda. Lei ci pensa e mi dice «Non offenderti, ma credo di preferire lo stesso le donne.» dice, sorridendo. «Però è stato interessante.» aggiunge con una dolcezza nello sguardo che solo una vera amica può darti. «Ammetterai che è un po’ strano, tuttavia.» conclude, infine. «Cosa?» chiedo io. «Beh, il fatto che sia io che tu…» sussurra timidamente Andreas.
A quel punto, tutto ripiomba in una beffarda realtà. «Già.» ammetto io. Forse non avremmo dovuto. Forse è stato un errore. Io e lei. Amici di lunga data e una ex in comune.
«Ogni tanto ci pensi?» mi chiede lei. «Abbastanza.» le confesso io. «È normale, credo. Anche io ci penso, ogni tanto.» ribadisce Andreas. Marta, questo il suo nome, è stata con me per tanto tempo prima di rendersi conto che desiderava altro da una relazione. Una fluidità sessuale e sentimentale che mal si conciliava coi precetti stabiliti da una tipica relazione etero come la nostra. Appena mi confessò i veri motivi di quella rottura, ne fui all’inizio sollevato, tuttavia per anni rimasi ottuso, spaesato. Dopo qualche tempo, Marta e Andreas si conobbero. Dopo ancora qualche anno, anche la loro storia si è conclusa. L’amore per Marta è una cosa che io e Andreas abbiamo avuto in comune senza mai raccontarcelo. Questa sera, nudi e ubriachi, ci siamo ritrovati a parlarne sul serio per la prima volta. La delusione per un rapporto concluso, sublimato con questa surrogata, falsa imitazione perversa. Il fantasma di un rapporto passato, interpretato dall’amichevole rivale in amore. Forse, l’ultimo pezzo mancante di un puzzle intricato e confuso, che adesso si può considerare giunto a conclusione.
Parliamo a lungo, fino ad addormentarci abbracciati.
Il mattino dopo, Andreas è riuscita a fare il “discorso” ai suoi genitori. Credevamo tutti sarebbe stata una tragedia, invece è stato un momento sereno, senza conflitti. In fondo, forse se lo erano sempre immaginati. Avranno forse sperato che la mia presenza potesse suggerire qualcosa di inatteso, ma credo che abbiano accettato di buon grado la natura di quella figlia maggiore giramondo. E Antonella, dunque? Cosa né è rimasto di quella vigorosa e dirompente infatuazione per la sorella minore della mia amica? Niente. Solo un vago ricordo e qualche fantasia, chissà se il suo sguardo di ghiaccio incontrerà mai nuovamente il mio.
Io e Andreas siamo tornati in Italia qualche giorno dopo quei piccoli eventi che tanto hanno significato per entrambi. Una volta in città, abbiamo ricominciato le nostre quotidianità, vedendoci sempre più di rado, con affetto immutato e complicità. I nuovi ricordi sono scolpiti nella mente. Le parole sono terminate, ma ho trovato quelle che stavo cercando.
Questo accade non tanto perché vorrei esprimere qualcosa di difficile da comprendere a chi legge o chi ascolta. Piuttosto, cerco le parole nel tentativo di decifrare cosa sto pensando, come un faro in mezzo all’oscurità. Di solito, quando si hanno le idee chiare a livello concettuale, le parole escono fuori quasi da sole. O ancora meglio, quando hai una storia in testa, che sia fondata su esperienze passate o che sia immaginaria ma profondamente vicina al tuo animo, le parole evocate sono molteplici, mirabili e appassionate, poiché tentano di ricondurre esattamente a ciò che si vuole dire.
Tuttavia, quando il pensiero diventa fumoso, dubbioso, insicuro, balbettante, intrecciato e distorto, le uniche parole che escono fuori risultano soltanto in una più o meno variegata definizione di nulla. Una sorta di cecità bianca, come la descrive Saramago, che non ti permette di vedere assolutamente niente ma che al tempo stesso ti sovrasta e ti invade, togliendoti il fiato e il riposo. Così i pensieri affollati tappano la bocca al vocabolario e riducono i tuoi scritti a un lamentoso e patetico verso animalesco, senza ruolo e senza significato.
Ecco ciò che intendo quando “cerco le parole ma non le trovo”. Alcuni preferiscono la dicitura “blocco dello scrittore”, poiché più facile, più generalista, più immediata da comprendere. “Forse sei soltanto un po’ bloccato.” Dicono quei soliti due o tre amici a cui fai leggere in anteprima le varie robe, confortati dal pensiero che prima o poi può succedere a tutti gli scrittori di professione, assicurandoti che il momento di impasse, esattamente come è venuto, prima o poi se ne andrà.
Altre persone invece suggeriscono di distrarmi, fare un viaggio, conoscere nuova gente e trarre ispirazione per nuove storie. Una di queste è Andreas, una collega e amica argentina naturalizzata italiana. Lei vive qui ormai da 15 anni e lavora presso una scuola di lingue. Ho conosciuto Andreas poiché ha fatto parte del mio stesso gruppo di amici. Ha frequentato per un lungo periodo una ragazza che era anche membro della mia comitiva. Ora, quella comitiva non esiste praticamente più, la ragazza in questione è uscita dai radar ma io e Andreas abbiamo mantenuto i rapporti. L’ho sempre trovata una persona esplosiva, piena di vita, estroversa e casinista. Una volta conclusi gli studi, ha fatto il giro di mezza Europa rimanendo nomade per circa due anni, arrabattandosi con lavori stagionali. Dopodiché, è tornata nella mia città, dove aveva studiato e tenuto la maggior parte dei contatti. Non le fu facilissimo trovare lavoro ma adesso dice che è soddisfatta di cosa ha ottenuto dalla vita. Io, invece, tutto l’opposto. Quasi mai schiodato il culo dalla sedia durante gli studi. Ho preferito sempre i viaggetti comodi, le gite organizzate e i posti canonici. Mai messo un piede fuori dal continente. Mi piaceva fare parte di un gruppo variegato e internazionale di persone come se questo compensasse la lacuna. Mi faceva sentire parte del mondo, nonostante evitassi di esserlo davvero. Studiavo, ponevo degli obbiettivi sempre irrealistici e minimizzavo le conquiste accademiche. Dopo una travagliata relazione durata tre anni, ora mi ritrovo a cercare le parole di un pensiero che non esiste, forse spento, estinto ancor più che semplicemente affollato.
Per cui, una sera decido di accettare il consiglio. Avevo messo da parte un bel gruzzolo nel corso di tutto l’anno precedente. Soldi per lo più ricavati dalla mia vera professione, quella che mi obbliga ogni tanto a visitare persone, dire loro come effettuare certi esami, suggerire loro uno stile di vita più sano, palparli dove sentono male, sorridere forzatamente quando non fanno quello che gli dici di fare. Non lavoro a tempo fisso. Lavoro perlopiù a contratto flessibile. Posso dunque permettermi di non fissare turni di lavoro per un periodo indefinito. Ho un contratto a tempo indeterminato soltanto con gli anni di vita che mi rimangono, il resto è solo hobbistica professionale.
Dove vado? Beh. In Argentina. Perché proprio lì? Perché Andreas ha in programma un periodo da passare insieme alla famiglia e perché a me serve un cambio di prospettiva, quindi l’Argentina è il luogo ideale per sovvertire qualsiasi punto di vista. Lì c’è l’estate mentre qui stiamo in Inverno. Lì al Sud fa freddo e al Nord fa caldo. In Argentina la gente parla una lingua che non conosco ma sono abbastanza sicuro che capiscano comunque cosa cerco di dire, perché molti conoscono l’italiano o hanno parenti italiani. Perché l’Argentina è splendida, ha una storia lunga, affascinante e complicata, sebbene a partire da presupposti totalmente diversi da quella nostra. Perché gli Argentini sono molto simili a noi ma allo stesso tempo sono totalmente diversi da noi. Perché in Argentina ci sono paesaggi meravigliosi, perché si mangia a poco prezzo, perché Buenos Aires è immensa e tenebrosa ed è la patria di Borges. Perché in Argentina la carne è saporita e succosa, perché si balla il tango anche se io non so ballare il tango.
Ed è proprio questo il punto. Io non vado in Argentina per trovare le parole che descrivano ciò che penso. Vado in Argentina per poter perdere finalmente il legame tossico e asfissiante coi miei pensieri ciechi e insensati. Pars destruens, senza costruens.
Così io e Andreas prendiamo un volo nei primi di marzo e dopo uno scalo a Newark atterriamo a Buenos Aires. Lì ad attenderci vi sono la madre Avelina, veterinaria, il padre Ignacio, vicedirettore di una filiale di banca e la sorella Antonella, che studia farmacia all’Università. Parlano tutti in spagnolo ma si fanno capire abbastanza bene. Inoltre, Andreas traduce ogni cosa per me. La prima cosa che faccio dopo aver posato le valigie è dormire. Non riuscivo più a dormire bene da mesi, attanagliato da quell’angoscia esistenziale. Dopo circa otto ore mi sveglio e sono sudato. Il sole è ormai calato quasi del tutto, poiché siamo arrivati la mattina presto e il jet lag è un disastro. Esploriamo un po’ la città. Prendiamo la metro, anche se io pensavo ci trovassimo già in centro. Invece scopro che per arrivare ad Avenue Corrientes ci vogliono quasi dieci minuti e un cambio linea. Una volta giunti, rimango a guardare stupito un Obelisco in mezzo ad una enorme piazza e imbambolato cerco di capire perché si trovi lì. Andreas e Antonella mi fanno fare un breve tour dei viali principali. Mi raccontano un paio di aneddoti e infine mi fanno bere qualcosa di dolciastro per brindare alle réunion familiari e alla pars destruens di cui sopra.
Essere ospiti a casa di Andreas è strano. Sono comodamente seduto su un letto matrimoniale e ho un bagno privato. La sua famiglia è piuttosto benestante, sembrano tutti gentili e mi chiedono un sacco di cose. Mi chiedono cosa faccio, come ho conosciuto Andreas, quali sono le mie abitudini. È comprensibile, dato il contesto, che siano particolarmente incuriositi dalle persone straniere che entrano in casa. Tuttavia, mi sorge qualche dubbio circa le modalità di comunicazione con la loro figlia più grande. Percepisco una certa tensione di sottofondo che ammetto mi ricorda un po’ i vecchi stridori che ho avuto in gioventù quando stavo dai miei. La madre mi rivolge un ampio sorriso di benevolenza mentre il padre riesce poco a camuffare un certo grado di diffidenza nei miei riguardi. Non ho intenzione di abusare della loro ospitalità per cui mi chiedo se sia il caso che mi cerchi un altro posto dove stare. Un pomeriggio, Andreas decide di uscire con sua madre per scegliere un vestito nuovo, lasciandomi riposare. C’è in programma la festa di laurea di sua sorella questo sabato, rimandata proprio in occasione del ritorno di Andreas. Una volta sveglio, raggiungo in balcone Antonella, intenta a bere mate. Quello è il primo momento in cui mi rendo conto di quanto le due sorelle siano diverse. Andreas ha una carnagione olivastra, i capelli scuri e il volto piuttosto squadrato, più simile a quello della madre. Antonella invece mostra un viso più appuntito, i capelli biondo-chiaro e gli occhi di ghiaccio. I suoi accennati ricci si adagiano delicatamente sulle spalle, lasciando scoperte le clavicole, di cui la sua carnagione chiara ne risalta i rilievi. Il vestito lilla sembra caderle addosso senza quasi toccarla, dato l’elegante portamento. La osservo tenere il calabazo del mate con le sole due dita, succhiare la bevanda dalla bombilla e con un rituale quasi ipnotico versare nuova acqua, per poi, infine, rivolgermi un rapido sguardo, quasi più un guizzo fulmineo e chiedermi se ne voglio un po’. Accetto di buon grado, sorpreso dall’inaspettato magnetismo di quegli occhi. Beviamo mate insieme per una buona mezz’ora, parlando del più e del meno. È una ragazza molto intelligente, mi rendo conto. Un tipo diverso di intelligenza, se comparato all’arguzia della esuberante e avventurosa sorella maggiore. Ci ritroviamo in breve a parlare proprio di Andreas. Mi rendo conto che la questione sembra delicata. Antonella mi confida che in realtà i suoi genitori non pensavano fossi solo un amico di Andreas. Piuttosto, credono che io e lei abbiamo una sorta di affaire. Le rispondo che è impossibile, perché non ho assolutamente lasciato intendere alcunché. Dormiamo in letti separati e abbiamo affrontato a tavola più volte l’argomento di come ci siamo conosciuti! Lei, tuttavia, mi fa notare che nulla di tutto questo è stato chiarito in modo esplicito. Andreas, che è lesbica da quando la conosco, ovvero da quasi quindici anni, non è mai riuscita a fare coming out coi suoi genitori. Credo lo sia sempre stata, anche prima di trasferirsi in Italia. Tutto ciò, nel 2024 sembra paradossale. Cerco di smarcarmi da quella situazione scomoda e chiedo ad Antonella come potremmo sciogliere quella situazione. A quel punto, lei mi anticipa che probabilmente sua sorella ha intenzione di dire la verità ai suoi genitori solo poco prima di ripartire per l’Italia, in modo da minimizzare gli imbarazzi. Cristo santo! L’unica cosa a cui penso è che si tratta di una situazione del cazzo e che dovrà durare ancora un po’ di giorni.
Una volta ricongiunti con Andreas, esplodo come una granata, accusandola di avermi invitato in casa sua spacciandomi per il suo ragazzo. Dopo una vivace discussione, riusciamo a placare gli animi da persone civili. «Prometti che non dirai nulla fino a quando non sarò io a prendere l’argomento?» chiede lei. «Mi stai chiedendo qualcosa di enorme.» ribatto io. «Lo so. Ma in questo momento mi servi come alleato.» risponde lei. Non l’ho mai vista così timorosa. Mi fa un certo effetto vederla così, anche se devo ammettere che la determinazione con cui abbiamo affrontato l’argomento mi ha fatto ricredere circa la sua irruente personalità. Di fronte a me ho adesso una donna ponderata, che forse schiva le questioni difficili usando una maschera, facendo dei giri larghi attraverso diversi continenti. Esplorare il mondo è la sua comfort zone. Il suo mondo interiore, invece, è il vero mondo inesplorato.
Mi rendo conto che, nonostante non mi sia mai definito un vagabondo viaggiatore, anche io sono così. Anche io ho sempre evitato di affrontare me stesso, le mie paure, i miei fallimenti, le mie aspirazioni, il mio lavoro e le mie relazioni naufragate sotto tre quintali di orgoglio. Questo viaggio non è dunque un tentativo di fare qualcosa di diverso ma la conferma di ciò che ho sempre cercato di fare e pertanto di ciò che sono sempre stato.
La sera della festa, ci vestiamo di tutto punto. Ho comprato una cravatta speciale con dei minuscoli fiori argento su uno sfondo blu scuro. Andreas indossa un completo bianco e nero, porta i capelli su con uno chignon morbido che fa risaltare il suo volto marcato, il quale assume una connotazione forte ma al tempo stesso armoniosa. La sorella è splendidamente vestita con un abito chiaro, in parte asimmetrico, lungo fino alle caviglie con uno spacco reso a intravedere parte della coscia destra. Porta un rossetto bordeaux e una rosa bianca tra i capelli, i suoi capelli sono sciolti e il suo sorriso è radioso. La festa è magnifica. C’è una band dal vivo, i colleghi della festeggiata coinvolgono il resto degli invitati in balli di gruppo e l’atmosfera è rilassata. Si beve parecchio vino rosso e si avverte un vago odore di sigaro nell’aria umida della serata. Io mangio con gusto per via delle varie specialità di carne cotta sul posto, ma i bicchieri di vino iniziano a superare di gran lunga il numero di portate. Per cui, l’alcol inizia a darmi alla testa piuttosto facilmente. «Abbracciami, ogni tanto!» chiede Andreas mentre mi trova in disparte. Io sorrido, cercando di mantenere un contegno. Le poggio dunque una mano sulla schiena e lei quindi se la trascina sul fianco. «Così, ecco!» mi dice.
«Così mi metti in imbarazzo, però.» Dico io, cercando di mantenere una apparente spontaneità. «Zitto. Sono più in imbarazzo io, fidati!» risponde lei, mentre da lontano sorride a parenti e amici. La serata continua con musica sempre più ad alto volume, sempre più alcol nel corpo e allegria nell’aria. Una volta che gran parte dei parenti è andata via, lasciando per lo più i giovani, riusciamo a scrollarci di dosso quel cartonato di apparenze e smettere con quella farsa. La tensione nel corpo e nella mente di Andreas sparisce rapidamente e il suo sorriso si fa sempre più autentico. Mi porge un bicchiere e brindiamo. «Grazie per esserci stato e avermi accompagnato fin qui.» Mi dice, prima di vederla allontanarsi e scatenarsi in centro sala e ballare insieme ai vari invitati. Io, intanto, più guardo Antonella e più rimango abbagliato da quella bellezza quasi aristocratica. Inizio ad avvertire un certo fremito. Sento che l’alcol mi ha già dato alla testa. Affiorano ricordi che con difficoltà provo a scacciare via. A un certo punto, Antonella si allontana dal centro della sala e incrocia il mio sguardo. Io alzo il calice di vino e lei ricambia con un sorriso abbagliante. «Ti stai divertendo?» chiede lei in spagnolo, mentre si serve della sangria. «Mucho!» rispondo io, col mio pessimo accento. Antonella ride e mi abbraccia. Sento il suo mento poggiarsi sulla mia spalla e le braccia congiungersi attorno al mio collo. Dopodiché, avverto un bacio sulla guancia destra, tremendamente vicino alla rima della bocca. Sgrano gli occhi e la guardo attentamente. Sembra piuttosto allegra ma il suo viso è cambiato. Ha le gote rosse, il rossetto delle labbra è quasi andato via, lasciando il posto a un rosato naturale, più acceso del solito. Per un attimo mi è sembrato che si mordesse il labbro inferiore, con sguardo carico di desiderio. Le sue mani scivolano lungo la mia schiena e dopodiché si dividono lasciandomi andare, allontanandosi da me, senza dire nulla. Rimango così, poggiato sul muretto in pietra e il calice in mano e un senso di apparente turgore in mezzo alle cosce. È stato un attimo, inafferrabile, tuttavia estremamente potente. Non sono tante le volte in cui ricevo un flirt così palese ma quello ha tutta l’aria di un richiamo esplicito e poco fraintendibile. Per circa una mezz’ora non mi muovo da lì. Ogni tanto qualcuno si avvicina per scambiare quattro chiacchere ma il mio pensiero è completamente divorato da quelle sensazioni. Mi sento scisso, strappato da continui dubbi. Il pensiero si è fatto nuovamente indecifrabile, incasinato. Da un lato, vorrei davvero vivere quel momento, esplorare quel corpo sublime e assaporarne ogni istante, sia di spazio che di tempo. Dall’altro, sono ancora piuttosto dilaniato dal passato che torna nella mia mente come una mareggiata e mi impedisce di alleggerire il peso dei sentimenti. Cerco di distrarmi ballando, anche se mi confermo una frana in certi contesti.
La festa termina verso l’una di notte. Gli ultimi convenevoli vengono scambiati seduti sui tavoli ormai pieni di bicchieri, alcuni vuoti altri semi-pieni di vari liquidi e ghiaccio semi-sciolto. Torniamo a casa in macchina, in silenzio. Andreas, accanto a me, mi rivolge un’occhiata interrogativa che io ricambio con un sorriso stanco. Antonella, invece, è poggiata sul finestrino con gli occhi chiusi, forse sta dormendo o forse è soltanto preda di una grande sbornia. Ci salutiamo tutti e ci dirigiamo ognuno nelle rispettive stanze. Attendo che il silenzio e l’oscurità mi pervadano. Da un lato, sento una profonda eccitazione prendere corpo, dall’altro capisco di aver perso l’attimo. Cosa faccio, mi presento in camera sua e come se nulla fosse ci abbandoniamo agli istinti più arcaici? Sembra un piano poco credibile. Eppure, quel fremito non accenna a passare. Mi attanaglia. Devo fare qualcosa. Masturbarmi? Probabilmente sì. Tuttavia, non riesco a rilassarmi come vorrei. Mi alzo dal letto e faccio i giri attorno a me stesso un paio di volte. Decido di indossare due ciabatte e uscire dalla stanza, ancora in mutande. Mi ritrovo nel corridoio totalmente al buio. C’è silenzio. In lontananza qualcuno sembra russare. Gli occhi mi si chiudono da soli e devo sforzarmi di mantenerli aperti. Mi avvio verso la cucina. L’intenzione è di bere un po’ d’acqua. Apro il frigo. La luce interna mi acceca d’improvviso. Di nuovo, una cecità bianca e abissale. Laggiù, la spada non smette di abbassare la guardia, sguainata ed eretta, mentre la mia mente gira come un mulinello. Mi bagno la maglietta bevendo a canna. Mi rendo conto di essere ancora mezzo ubriaco, per cui cerco di raggiungere il bordo del piano cottura, onde evitare di incespicare barcollando. Chiudo gli occhi e sospiro. La mia mano si addentra quasi del tutto al di sotto dell’elastico dei boxer, impugnando la base dell’asta. Credo di aver mantenuto quella posizione per circa dieci minuti, senza nemmeno avere le forze di proseguire verso una direzione specifica, in balia dei capogiri. Dopodiché, una voce sussurrante mi sveglia dal torpore. «Todo esta bien?» I miei occhi percepiscono solo una profonda oscurità, incapaci di distinguere forme e sagome. Mi devo fidare del fatto che chi ha sussurrato quella frase sia a meno di un metro di distanza. Dopo alcuni secondi, la lucidità mi sfiora e mi rendo conto che sto ancora tenendo il pene in mano da dentro i boxer, come un pervertito, in mezzo al salotto della casa presso cui sono ospite. D’istinto, tolgo la mano e cerco di camuffare l’erezione ma riconosco di essere praticamente impresentabile, in mutande e con la maglietta umida. «Oh, sì. Todo bien. Grazie.» Rispondo biascicando. La voce si avvicina, sussurrante. «te divertiste en la fiesta?» domanda, sempre più vicina, quasi richiamando quella stessa identica domanda che mi fu posta durante la serata. La mia vista inizia a distinguere sfumati contorni, senza ancora essersi abituata del tutto. «Eh, si. Mucho!» Ripeto a comando. Avverto di nuovo quella vibrazione strana nell’aria. Una perturbazione insolita. «Veo que te has relajado.» che credo si possa tradurre con “vedo che ti sei rilassato”. A questo punto, la donna si avvicina sempre più e tende la mano verso la punta di quell’uccello starnazzante che non riesce a nascondersi sotto il tessuto bianco dei boxer. Lo smuove. Lo titilla. Io apro la bocca, sgomento. Si tratta di Antonella? Non riesco ancora a mettere a fuoco, perché l’oscurità non permette di distinguere i colori, per cui mi posso solo affidare alle forme, sbiadite e adombrate. Con le dita, tira a sé l’elastico di quei poveri boxer già sottoposti a tensione e lo abbassa fino a far svettare in libertà l’asta oscillante, vagamente traslucida nella notte profonda. Rimanendo in silenzio, la donna inizia a massaggiarmi le palle dal basso, con movimenti sussultori e pressori. Inspiro profondamente. A un certo punto, la vedo soffiare sul dito indice, come a farmi divieto di proferire parola. Io allora rimango muto, mentre la vedo avvicinarsi al glande ormai libero e racchiuderlo tra le sue labbra, mentre con gli occhi mi fissa sprezzante. Avrebbe dovuto essere Antonella, con quello sguardo magnetico, intenta ad accogliere la lunghezza intera di quell’asta turgida che comincia prima a sbatterle sul palato, dopodiché a adagiarsi sulla lingua, da cui viene carezzata e umidificata a ritmo. Tuttavia, quello sguardo magnetico non appare. Chi è allora, quella ragazza? Perché sembra familiare?
Non appena riesco a mettere a fuoco, un terrore mi assale. Si tratta di Marta, la mia ex. Un pensiero sconcertante si fa quindi strada nella mia testa. Non sta succedendo davvero. Quella non è una fellatio. È solo la mia fantasia da sbronzo. Dove mi trovo, quindi?
Mi ritrovo ancora nel corridoio totalmente al buio. C’è silenzio. In lontananza, qualcuno sembra russare. Gli occhi mi si chiudono sempre da soli e devo sforzarmi perciò di mantenerli aperti. Sono in piedi, poggiato al muro. I boxer ancora indosso. L’erezione ancora manifesta. Di fronte a me, una porta si apre.
«Perché sei sveglio?» chiede Andreas. Stavolta mi è facile riconoscerla. «Non riuscivo a dormire.» dico io. «Neanche io.» risponde lei. Poi, il suo sguardo si posa sul mio imbarazzante sesso proteso in avanti. Fa una smorfia, accennando un sorriso. Io ricambio il sorriso, consapevole di essere ormai incapace di gestire la mia disinibizione latente. Andreas mi prende per mano e mi fa entrare in stanza. «Vieni, prima che ti becchi qualcuno.»
Mi bacia appassionatamente. Ricambio abbracciandola e togliendole la maglietta, liberando due generosi seni e i loro capezzoli turgidi. Sento affondare la sua lingua dentro la bocca, di cui assaporo la consistenza e il calore. Con una mano è riuscita a togliermi del tutto i boxer, lasciandomi nudo. «Così ti piace?» chiede Andreas, mentre mi afferra la base del pene e inizia a strofinarlo alternando i movimenti. «Un sacco.» rispondo io, eccitato. Il quesito di Andreas sembrava sincero, non retorico. Non è abituata a toccarmi in quel modo. Probabilmente non è abituata a toccare nessun uomo in quel modo. In verità, mi chiedo perché lo stia facendo. Perché proprio con me. Perché proprio quella notte.
Mi scaraventa a letto e continua a baciarmi mentre prosegue con il suo massaggio. Ogni tanto, si lascia colare alcune gocce di saliva sulla mano, riprendendo poi a menarmelo. «Sono sempre stata curiosa, sai?» osserva lei, mentre le sue mammelle lambiscono il mio petto. «Confesso di esserlo stato anche io.» rispondo con la voce tremante. Vedo il suo busto muoversi verso il basso, lasciando che il cazzo le strofini tutto l’addome, risalga fin su, lungo lo sterno e il collo, per poi atterrare sul suo mento. Dopodiché, mi stringe dai glutei e inizia a succhiare.
È incredibile come da una fantasia da sbronzi si possa passare a questo. Sento il dovere morale di avvicinare la sua bocca alla mia e darle un bacio appassionato, quasi riconoscente. Nel mentre, la afferro da un fianco e cerco il suo interno coscia. Una volta calibrato e allineato, io e Andreas ci guardiamo negli occhi e ci accingiamo a unire le nostre carni in una sola. Un dolce asado a la espada dal sapore intenso, dolciastro, piccante. Lei chiude gli occhi, mentre io sono dentro, è una sensazione che riconosce come non molto familiare, tuttavia non si tira indietro. «È strano, cazzo!» dice, mentre il suo fiato si fa corto. «È strano farlo con un uomo?» Chiedo io. «È strano farlo con te.» ribadisce lei. Ok. Forse non è la cosa più eccitante che si possa dire in quei contesti, ma d’altronde lei è Andreas. È nel suo stile. In quel momento io la riconosco ed è assolutamente devastante. Il mio orgasmo è imminente e cerco di farglielo capire in tutti i modi. Lei, tuttavia, sembra concentrata a raccogliere tutte le sensazioni possibili, gemendo delicatamente a ogni colpo. Trovo il coraggio per uscire appena in tempo prima che tre schizzi facciano prepotentemente capolino. Una vibrazione mi sconquassa da capo a coda. La tensione degli addominali si arrende di fronte al piacere. Mi ritrovo disteso, esanime, appagato, mentre Andreas sorride vicina a me. Lei non è venuta. Un po’ mi vergogno. Mi sento stupido e inadeguato. Tuttavia, quasi come se avesse letto i miei pensieri, ella accompagna la mia mano sinistra fin sul suo pube, facendomi incontrare le sue grandi labbra. Quindi, come una maestra fa col suo discente, mi guida nei movimenti, lasciandomi esplorare quelle vallate umide. Ci soffermiamo sulla clitoride, eseguendo movimenti circolari. Poi, un paio di falangi penetrano dentro, solcano la sua vagina e confluiscono avanti e indietro, assecondando il suo piacere. La mia mano è una semplice esecutrice. Andreas si sta masturbando per il mio tramite. Se da un lato mi sento insulso, dall’altro mi sento in profonda connessione con lei. Intuisco sempre di più quali siano i movimenti più efficaci. Vorrei baciarle il monte di venere, leccare i punti più intimi del suo scrigno umido. Tuttavia, sembra che Andreas abbia altri piani. Accelera il passo, eseguendo movimenti sempre più rapidi. La vedo aprire progressivamente la bocca, aspettando che il piacere esploda. I singulti si fanno sempre più frequenti. A un certo punto, la sua voce si arresta, bloccata a metà, in quello che verosimilmente è il culmine di un orgasmo. Il suo corpo trema, le mie dita sono fradicie. Analogamente al mio corpo, anche ella si abbandona e si rilassa, dunque chiude gli occhi.
Dopo qualche minuto, si accende una sigaretta come nei migliori cliché. Mi chiede se mi sia piaciuto. Le rispondo di si, a quel punto le ricambio la domanda. Lei ci pensa e mi dice «Non offenderti, ma credo di preferire lo stesso le donne.» dice, sorridendo. «Però è stato interessante.» aggiunge con una dolcezza nello sguardo che solo una vera amica può darti. «Ammetterai che è un po’ strano, tuttavia.» conclude, infine. «Cosa?» chiedo io. «Beh, il fatto che sia io che tu…» sussurra timidamente Andreas.
A quel punto, tutto ripiomba in una beffarda realtà. «Già.» ammetto io. Forse non avremmo dovuto. Forse è stato un errore. Io e lei. Amici di lunga data e una ex in comune.
«Ogni tanto ci pensi?» mi chiede lei. «Abbastanza.» le confesso io. «È normale, credo. Anche io ci penso, ogni tanto.» ribadisce Andreas. Marta, questo il suo nome, è stata con me per tanto tempo prima di rendersi conto che desiderava altro da una relazione. Una fluidità sessuale e sentimentale che mal si conciliava coi precetti stabiliti da una tipica relazione etero come la nostra. Appena mi confessò i veri motivi di quella rottura, ne fui all’inizio sollevato, tuttavia per anni rimasi ottuso, spaesato. Dopo qualche tempo, Marta e Andreas si conobbero. Dopo ancora qualche anno, anche la loro storia si è conclusa. L’amore per Marta è una cosa che io e Andreas abbiamo avuto in comune senza mai raccontarcelo. Questa sera, nudi e ubriachi, ci siamo ritrovati a parlarne sul serio per la prima volta. La delusione per un rapporto concluso, sublimato con questa surrogata, falsa imitazione perversa. Il fantasma di un rapporto passato, interpretato dall’amichevole rivale in amore. Forse, l’ultimo pezzo mancante di un puzzle intricato e confuso, che adesso si può considerare giunto a conclusione.
Parliamo a lungo, fino ad addormentarci abbracciati.
Il mattino dopo, Andreas è riuscita a fare il “discorso” ai suoi genitori. Credevamo tutti sarebbe stata una tragedia, invece è stato un momento sereno, senza conflitti. In fondo, forse se lo erano sempre immaginati. Avranno forse sperato che la mia presenza potesse suggerire qualcosa di inatteso, ma credo che abbiano accettato di buon grado la natura di quella figlia maggiore giramondo. E Antonella, dunque? Cosa né è rimasto di quella vigorosa e dirompente infatuazione per la sorella minore della mia amica? Niente. Solo un vago ricordo e qualche fantasia, chissà se il suo sguardo di ghiaccio incontrerà mai nuovamente il mio.
Io e Andreas siamo tornati in Italia qualche giorno dopo quei piccoli eventi che tanto hanno significato per entrambi. Una volta in città, abbiamo ricominciato le nostre quotidianità, vedendoci sempre più di rado, con affetto immutato e complicità. I nuovi ricordi sono scolpiti nella mente. Le parole sono terminate, ma ho trovato quelle che stavo cercando.
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