Racconto di notte
di
Jan Zarik
genere
sentimentali
Sotto un cielo senza luna, abbagliati dalla tracotanza delle stelle, cullati dalle onde di un mare nero e piatto, il silenzio si fece assordante. La solida rete elastica del catamarano ci impediva di cadere in mare e ci sorreggeva, distesi con gli occhi in su a fissare il vuoto maestoso. I nostri amici e compagni di viaggio erano andati già tutti sotto-coperta lasciando soltanto me, te e il guazzo dell’acqua in mezzo ai due scafi.
«Ne è rimasta?»
«Ancora un po’. Vuoi?»
«Mah, si! Un tiro soltanto.»
Senza distogliere gli occhi dalla Via Lattea, coi pensieri sincronizzati con l’ondeggiare della barca, ti diedi il mezzo centimetro di canna rimasto.
Stringesti dunque il filtro ormai schiacciato tra le dita e avvicinasti la fiamma dell’accendino per ravvivare quel poco che ne rimaneva. Ti sentivo succhiare e trattenere il fiato. Quindi, mi girai verso di te per ammirare il fumo fuoriscire dalla tua bocca, lentamente. Dopodiché, tornasti distesa sulla rete.
«Cazzo, che meraviglia.»
«Concordo.»
«Quand’è l’ultima volta che hai visto una cosa così bella?»
«Forse non ho mai visto una cosa così bella.»
«Ok. Non così specifico, ma più in generale?»
«Forse una volta, sul tetto della mia vecchia casa di campagna.»
«Figo.»
Ogni tanto ruotavo la testa per individuarti nell’assoluta oscurità, illuminata soltanto dal riverbero del mare di notte, rintracciandoti tra le ombre, con la tua silhouette magra e i capelli neri e crespi, il viso appuntito e le braccia rassodate da anni di arrampicate. Quella vista e quel momento erano già sufficienti per eccitarmi come una scimmia, ma a questo si aggiungeva l’essere strafatto.
«Jaco?»
«Dimmi, Ludo.»
«Te hai mai scritto qualcosa?»
«Ogni tanto mi dedico, ma non sono mai soddisfatto di quel che scrivo.»
«Uuuh. Davvero? Fammi leggere qualcosa!»
Giudicai fosse impossibile in quelle condizioni. Avrei lottato per non addormentarmi e al tempo stesso sarebbe stato difficile nascondere l’assurda erezione di quel bellissimo istante intimità che stavamo vivendo.
«Non credo sia il caso.»
«Dai, sono curiosa!» Dicesti, mentre ti voltavi verso di me. Riuscivo a scorgere la rotondità dei tuoi fianchi, immaginando di scorrervi le dita, come fosse un corrimano.
«Non sono sicuro.»
«Perché?»
«Magari non ti piace.»
«Fallo decidere a me.»
«Un po’ mi imbarazzo.»
«Secondo me saresti bravo. Anzi, sai che ti dico? Ora devi proprio farmi leggere qualcosa.» ribadivi con decisione, mentre ritornavi in posizione distesa.
Passarono alcuni minuti, mentre rimuginavo vari pensieri, finché l’eccitazione e la trepidazione non presero piedee: cercai dunque nell’archivio del mio cellulare. Sapevo di aver tenuto uno di quei vecchi e rozzi racconti, sporco, intimo e personale. Continuavo a chiedermi: “Glielo lo mostro oppure no? Faccio questa cazzata, oppure evito?”
Mentre la mia incertezza procedeva in silenzio, il mio sesso era certamente più concreto: pulsava infatti come un faro nella notte. L’idea stessa mi stava procurando una immensa ansia ma al tempo stesso mi intrigava. Sarei stato troppo audace? Mi che se non fosse accaduto quella sera, sul catamarano al largo di Filicudi, non sarebbe accaduto mai più. Per cui, spinto da una paura tremenda di sbagliare, mosso da una trepidazione folle, feci la mia mossa.
«Vuoi davvero leggere qualcosa di mio?»
«Si.»
«Sicura? Potrebbe essere un po’ forte.»
«Perfetto. Già parte bene.»
«Nel senso… potrebbe risultare un po’eccessivo.»
«Prima avevi la mia curiosità, ora hai la mia attenzione.»
Sorridemmo entrambi per la gustosa citazione.
Ti passai il mio smartphone con la mano tremante. Nel farlo, ebbi un piccolo sussulto al cuore, poiché il proverbiale dado era tratto. In fondo, stavo per mostrarti qualcosa di inedito, qualcosa di profondamente intimo. Ti vidi stringere gli occhi, per abituarli alla luce dello schermo. Il mio respiro si fermò d’un tratto, preoccupato per l’attesa di una tua reazione. I primi secondi sarebbero stati decisivi: Se avessi proseguito la lettura per più di cinque secondi senza dire “ok basta così”, allora forse c’era una speranza. Eri immersa nella lettura, concentrata. I cinque secondi erano già passati da un pezzo ma tu sembravi ancora presa da quel raccontino. Il mio cuore batteva a mille.
Al termine della lettura, Sorridevi. Se avessi potuto, avresti notato il mio volto rosso carico d’imbarazzo. Tuttavia, era notte e c’era un silenzio totale interrotto soltanto dalle rare onde del mare.
«Quindi?»
«Sono senza parole.»
«Ovvero?»
«Dico che i è piaciuto molto.»
«Sicura?»
«Vuoi sapere davvero cosa ne penso?»
«Sentiamo.»
«Penso di essere eccitata. Penso che tu sappia scrivere davvero bene. Qualche errore qua e là si trova ma per il resto fa il suo lavoro. Inoltre, ho impressione che questa L. sia una donna molto affascinante e di mia conoscenza.»
«Da cosa l’hai capito?»
«Fa il mio stesso lavoro, frequenta la mia palestra. Dice cazzate tutto il tempo! quindi penso di aver capito chi sia.»
«E’ soltanto una fantasia…»
«Ah sì?»
«Una boutade. Sai, certe volte mi ritrovo eccitato, da solo, sul balcone di casa. Magari la lieve brezza arriva a stuzzicare più del dovuto e il mio cervello vola un po’ troppo in alto.»
«Beh, se tutte le volte che sei eccitato vengono fuori robe del genere, dovresti eccitarti di più.»
Ridemmo entrambi. Eravamo improvvisamente molto più vicini. Tu eri lì, che continuavi a fissarmi negli occhi, mentre io ricambiavo.
«Già, forse dovrei.»
«Già. Dovresti.»
«Forse dovrei anche smetterla di scrivere per segarmi.»
«Oppure potresti continuare e condividere con gli altri più spesso.»
«Intendi dire che dovrei continuare a scrivere e lasciare gli altri leggere? Oppure, intendi dire che dovrei segarmi di più e lasciare gli altri guardare?»
«Tu pensi che cambi qualcosa?»
«Già, forse no.»
«A me piacerebbe vedertelo fare più spesso.»
«Quale delle due?»
«Magari entrambe.»
Sorridevi, maliziosa, lasciandomi incantato. I nostri corpi si sfioravano sempre di più per una sorta di avvicinamento inconscio. D’un tratto, ci toccammo.
La tua mano sfiorò la mia spalla, le mie labbra toccarono le tue che si schiusero per accogliere il mio bacio. Non serviva più usare gli occhi, potevamo fare senza. Le onde guidavano i nostri movimenti. Sentivo la tua mano scivolare lungo il mio fianco, le tue dita insinuarsi delicatamente sotto l’elastico del costume. Allo stesso modo, la mia mano stringeva il tuo seno. Ti sentivo afferrare l’uccello ormai turgido, facendo persino mambassa di alcuni peli pubici incontrati nel tuo cammino.
«Quindi, come si comporterebbe la tua L. in queste situazioni?»
«Forse inizierebbe da qualcosa di soft.»
«Ah, sì? Mi sembra un’ottima idea.»
Tirasti fuori l’asta con delicatezza, abbassandomi il costume. Mi volevi a cazzo nudo sotto le stelle, come se non fosse bastato il mettermi a nudo con la scrittura. Per cui dovevo per forza ricambiare, sfilando i tuoi slip. Quel poco che la luce lasciava scorgere era compensato dal tatto e dall’olfatto. Una pelle morbida, rinfrescata dalla brezza marina, una lievissima pelle d’oca che moltiplicava le sensazioni. Un odore inconfondibile, diverso dalla salsedine. Man mano che la mia mano si addentrava tra le tue cosce, il tuo calore si faceva sempre più vivo. Dunque quella era la tua fica! Era protetta da una elegante distesa di soffici peli, calda e grondante. Ti sentivo gemere con riserbo, mentre con un dito ti esploravo. Tu, al contempo, iniziasti una sega allo stesso ritmo della barca basculante. Eravamo noi, quella barca. Decidevamo noi il suo ondeggiare.
Afferrai il tuo culo. Quel tuo meraviglioso culo.
«Cosa dicevi, riguardo al culo, nel tuo racconto?»
«”Dolce come latte di mandorla, aspro come limonata. La mia lingua aveva come obbiettivo morire immergendosi dentro di te.”»
Era vero. La mia lingua moriva dal desiderio di affogare in quell’ ano carnoso. Le mie dita avrebbero allargato quelle lucenti natiche per permettere al resto del mio volto di scomparirvi in mezzo. Ti sentivo mugolare in modo osceno, capivo che eri eccitata per via del ritmo crescente con cui stavi letteralmente staccandomi il cazzo dal corpo.
Migrai dalla bocca alle mammelle. Ne pizzicai una con discreta forza e succhiai l’altra, stringendola tra i denti. Tu, in cambio, mi tirasti i capelli, per finta protesta, come si fa con le redini di un cavallo imbizzarrito. Intanto procedevo l’esplorazione con due polpastrelli, mentre tu sembravi una meravigliosa leonessa in calore. Iniziasti a massaggiarmi le palle, facendomi percorrere un brivido lungo la schiena. Cambiai posizione: Mi addentrai con la testa e iniziai a bere da quella tua fica, schiacciandovi la faccia. Era strano poter ricevere gli schizzi di acqua di mare attraverso la rete, mentre gioivo dell’odore dei tuoi umori. Neanche gli chef stellati avrebbero potuto replicare un tale gusto.
Con il dito medio, vinsi la resistenza del tuo piccolo sfintere, sentendolo allargare. La mia lingua, invece, non avrebbe mai lasciato il tuo clitoride, neanche fosse stata sotto la tempesta.
Ti avevo vista irrigidire gli addominali, in preda al piacere. Questo non faceva altro che aumentare la mia voglia, per cui leccai più forte, lambendo e succhiando, fino a farmi quasi male la mandibola. Ti sentivo imprecare in quella notte. Avevamo quasi paura che gli amici si svegliassero, che venissero a curiosare.
«E se ci beccano?» domandai io, senza tanta convinzione.
«Saranno cazzi loro.»
Amen.
Sentii il tuo primo orgasmo sulla mia lingua e fu inebriante. Era carico di salinità e di nutrienti per l’animo. Mi afferrasti dalle orecchie e mi riportasti a te. Baciasti la mia bocca fradicia.
«Chissà che sapore avrebbe L.!»
«Decisamente un bel sapore, dovresti provarlo.»
«Ho fame di qualcos’altro.»
Qui la memoria iniziava già a fare cilecca, per cui dovetti sforzarmi più del solito. Ti osservai trangugiare avidamente il glande, mentre solcavi con la lingua il bordo della cappella tesa. Continuasti verso la base, ripercorrendone il profilo. Ingoiasti quel mio uccello dritto tutto in una volta, per poi serrarlo tra le labbra. Lo prendevi e lo rilasciavi, poco alla volta. Cristo santo.
Io non riuscivo a tenere gli occhi chiusi. Avrei voluto lasciarmi andare in uno scoppio di liquido bianco diretto nelle tue fauci. Invece, mi ostinai a guardarti fino in fondo, senza mai chiudere le palpebre. Non volevo perdere neanche un istante. La tua mano stringeva il pene con cura, guidando la tua lingua e la bocca. Quegli occhi vivi e profondi rimanevano fissi, come a ricordarmi che in quella fiaba eri tu la scrittrice, non più io.
“Succhiami. Fai che quel bocchino riecheggi in tutto l’arcipelago. Voglio sentire i gorgogli del mio cazzo in festa. Voglio poter scopare le tue papille gustative. Vorrei che ti nutrissi solo di calda mia sborra.”
Oh, se potessi rendere per iscritto quelle scene indelebili allo stesso modo con cui le ho vissute.
Il rilievo delle venature sotto la pelle, scomparivano nella tua bocca come vecchi tronchi che cadono da una cascata. Tu succhiavi mentre la mia testa volava tra stelle. Quel pompino aveva le fattezze del cosmo. Più volavo alto, più rivedevo nei tuoi occhi quella lussuria magniloquente, per cui succhiavi e rullavi e leccavi e palpavi e gemevi e morsicavi e sputavi e di nuovo leccavi, all’infinito.
«Chi lo fa meglio, tra me e L?»
In fondo, era chiaro chi fosse davvero L., nonostante volessi comunque fingere “come se”.
“Penetra la mia fica come quella che hai descritto, arrossata e colante. Fammi venire come hai fatto venire lei.”
“Allarga il mio culo, come se da quello dipendesse il tuo prossimo romanzo.”
“Inondami del tuo seme, come se quello potesse sostituire il mare che abbiamo sotto di noi.”
Mentre entravo dentro di te, mi tappasti la bocca per evitare che parlassi o per paura che urlassi di piacere. Allora anche io ti zittii, nel momento in cui fui dentro fino in fondo. I tuoi occhi roteavano all’indietro. Il tuo urlo soffocato bagnava il palmo della mia mano. Ora eravamo lì, su quella rete, a scopare come maledette sirene, sotto un cielo stellato, imbavagliati a vicenda.
Entravo e uscivo come stantuffo ben oleato da quella fica con quel mirabile grip che mi teneva stretto quanto necessario.
Entrambi raggiungemmo l’apice mentre l’onda più forte ci fece ballare sulla barca ancorata al largo della notte profonda. Mentre scaricavo il mio seme dentro di te, colpevole del mio piacere, rimbambito dalla droga e dalla passione, ormai innamorato di te, tu mi baciasti in bocca con delicatezza e con ambigua gratitudine
«Questa L. è davvero fortunata.» dicesti tu, mentre rimanevamo lì, distesi e abbracciati, le mie labbra sulle tue guance, i tuoi occhi verso il cielo. Ci addormentammo nudi, nella notte, sperando che potesse rimanere notte per sempre, come pagine di un racconto scritto in cui il tempo si cristallizza, in cui gli orgasmi si ripetono all’infinito e il mare non finisce mai di ondeggiare.
djhop3128@hnbjm.dpn
«Ne è rimasta?»
«Ancora un po’. Vuoi?»
«Mah, si! Un tiro soltanto.»
Senza distogliere gli occhi dalla Via Lattea, coi pensieri sincronizzati con l’ondeggiare della barca, ti diedi il mezzo centimetro di canna rimasto.
Stringesti dunque il filtro ormai schiacciato tra le dita e avvicinasti la fiamma dell’accendino per ravvivare quel poco che ne rimaneva. Ti sentivo succhiare e trattenere il fiato. Quindi, mi girai verso di te per ammirare il fumo fuoriscire dalla tua bocca, lentamente. Dopodiché, tornasti distesa sulla rete.
«Cazzo, che meraviglia.»
«Concordo.»
«Quand’è l’ultima volta che hai visto una cosa così bella?»
«Forse non ho mai visto una cosa così bella.»
«Ok. Non così specifico, ma più in generale?»
«Forse una volta, sul tetto della mia vecchia casa di campagna.»
«Figo.»
Ogni tanto ruotavo la testa per individuarti nell’assoluta oscurità, illuminata soltanto dal riverbero del mare di notte, rintracciandoti tra le ombre, con la tua silhouette magra e i capelli neri e crespi, il viso appuntito e le braccia rassodate da anni di arrampicate. Quella vista e quel momento erano già sufficienti per eccitarmi come una scimmia, ma a questo si aggiungeva l’essere strafatto.
«Jaco?»
«Dimmi, Ludo.»
«Te hai mai scritto qualcosa?»
«Ogni tanto mi dedico, ma non sono mai soddisfatto di quel che scrivo.»
«Uuuh. Davvero? Fammi leggere qualcosa!»
Giudicai fosse impossibile in quelle condizioni. Avrei lottato per non addormentarmi e al tempo stesso sarebbe stato difficile nascondere l’assurda erezione di quel bellissimo istante intimità che stavamo vivendo.
«Non credo sia il caso.»
«Dai, sono curiosa!» Dicesti, mentre ti voltavi verso di me. Riuscivo a scorgere la rotondità dei tuoi fianchi, immaginando di scorrervi le dita, come fosse un corrimano.
«Non sono sicuro.»
«Perché?»
«Magari non ti piace.»
«Fallo decidere a me.»
«Un po’ mi imbarazzo.»
«Secondo me saresti bravo. Anzi, sai che ti dico? Ora devi proprio farmi leggere qualcosa.» ribadivi con decisione, mentre ritornavi in posizione distesa.
Passarono alcuni minuti, mentre rimuginavo vari pensieri, finché l’eccitazione e la trepidazione non presero piedee: cercai dunque nell’archivio del mio cellulare. Sapevo di aver tenuto uno di quei vecchi e rozzi racconti, sporco, intimo e personale. Continuavo a chiedermi: “Glielo lo mostro oppure no? Faccio questa cazzata, oppure evito?”
Mentre la mia incertezza procedeva in silenzio, il mio sesso era certamente più concreto: pulsava infatti come un faro nella notte. L’idea stessa mi stava procurando una immensa ansia ma al tempo stesso mi intrigava. Sarei stato troppo audace? Mi che se non fosse accaduto quella sera, sul catamarano al largo di Filicudi, non sarebbe accaduto mai più. Per cui, spinto da una paura tremenda di sbagliare, mosso da una trepidazione folle, feci la mia mossa.
«Vuoi davvero leggere qualcosa di mio?»
«Si.»
«Sicura? Potrebbe essere un po’ forte.»
«Perfetto. Già parte bene.»
«Nel senso… potrebbe risultare un po’eccessivo.»
«Prima avevi la mia curiosità, ora hai la mia attenzione.»
Sorridemmo entrambi per la gustosa citazione.
Ti passai il mio smartphone con la mano tremante. Nel farlo, ebbi un piccolo sussulto al cuore, poiché il proverbiale dado era tratto. In fondo, stavo per mostrarti qualcosa di inedito, qualcosa di profondamente intimo. Ti vidi stringere gli occhi, per abituarli alla luce dello schermo. Il mio respiro si fermò d’un tratto, preoccupato per l’attesa di una tua reazione. I primi secondi sarebbero stati decisivi: Se avessi proseguito la lettura per più di cinque secondi senza dire “ok basta così”, allora forse c’era una speranza. Eri immersa nella lettura, concentrata. I cinque secondi erano già passati da un pezzo ma tu sembravi ancora presa da quel raccontino. Il mio cuore batteva a mille.
Al termine della lettura, Sorridevi. Se avessi potuto, avresti notato il mio volto rosso carico d’imbarazzo. Tuttavia, era notte e c’era un silenzio totale interrotto soltanto dalle rare onde del mare.
«Quindi?»
«Sono senza parole.»
«Ovvero?»
«Dico che i è piaciuto molto.»
«Sicura?»
«Vuoi sapere davvero cosa ne penso?»
«Sentiamo.»
«Penso di essere eccitata. Penso che tu sappia scrivere davvero bene. Qualche errore qua e là si trova ma per il resto fa il suo lavoro. Inoltre, ho impressione che questa L. sia una donna molto affascinante e di mia conoscenza.»
«Da cosa l’hai capito?»
«Fa il mio stesso lavoro, frequenta la mia palestra. Dice cazzate tutto il tempo! quindi penso di aver capito chi sia.»
«E’ soltanto una fantasia…»
«Ah sì?»
«Una boutade. Sai, certe volte mi ritrovo eccitato, da solo, sul balcone di casa. Magari la lieve brezza arriva a stuzzicare più del dovuto e il mio cervello vola un po’ troppo in alto.»
«Beh, se tutte le volte che sei eccitato vengono fuori robe del genere, dovresti eccitarti di più.»
Ridemmo entrambi. Eravamo improvvisamente molto più vicini. Tu eri lì, che continuavi a fissarmi negli occhi, mentre io ricambiavo.
«Già, forse dovrei.»
«Già. Dovresti.»
«Forse dovrei anche smetterla di scrivere per segarmi.»
«Oppure potresti continuare e condividere con gli altri più spesso.»
«Intendi dire che dovrei continuare a scrivere e lasciare gli altri leggere? Oppure, intendi dire che dovrei segarmi di più e lasciare gli altri guardare?»
«Tu pensi che cambi qualcosa?»
«Già, forse no.»
«A me piacerebbe vedertelo fare più spesso.»
«Quale delle due?»
«Magari entrambe.»
Sorridevi, maliziosa, lasciandomi incantato. I nostri corpi si sfioravano sempre di più per una sorta di avvicinamento inconscio. D’un tratto, ci toccammo.
La tua mano sfiorò la mia spalla, le mie labbra toccarono le tue che si schiusero per accogliere il mio bacio. Non serviva più usare gli occhi, potevamo fare senza. Le onde guidavano i nostri movimenti. Sentivo la tua mano scivolare lungo il mio fianco, le tue dita insinuarsi delicatamente sotto l’elastico del costume. Allo stesso modo, la mia mano stringeva il tuo seno. Ti sentivo afferrare l’uccello ormai turgido, facendo persino mambassa di alcuni peli pubici incontrati nel tuo cammino.
«Quindi, come si comporterebbe la tua L. in queste situazioni?»
«Forse inizierebbe da qualcosa di soft.»
«Ah, sì? Mi sembra un’ottima idea.»
Tirasti fuori l’asta con delicatezza, abbassandomi il costume. Mi volevi a cazzo nudo sotto le stelle, come se non fosse bastato il mettermi a nudo con la scrittura. Per cui dovevo per forza ricambiare, sfilando i tuoi slip. Quel poco che la luce lasciava scorgere era compensato dal tatto e dall’olfatto. Una pelle morbida, rinfrescata dalla brezza marina, una lievissima pelle d’oca che moltiplicava le sensazioni. Un odore inconfondibile, diverso dalla salsedine. Man mano che la mia mano si addentrava tra le tue cosce, il tuo calore si faceva sempre più vivo. Dunque quella era la tua fica! Era protetta da una elegante distesa di soffici peli, calda e grondante. Ti sentivo gemere con riserbo, mentre con un dito ti esploravo. Tu, al contempo, iniziasti una sega allo stesso ritmo della barca basculante. Eravamo noi, quella barca. Decidevamo noi il suo ondeggiare.
Afferrai il tuo culo. Quel tuo meraviglioso culo.
«Cosa dicevi, riguardo al culo, nel tuo racconto?»
«”Dolce come latte di mandorla, aspro come limonata. La mia lingua aveva come obbiettivo morire immergendosi dentro di te.”»
Era vero. La mia lingua moriva dal desiderio di affogare in quell’ ano carnoso. Le mie dita avrebbero allargato quelle lucenti natiche per permettere al resto del mio volto di scomparirvi in mezzo. Ti sentivo mugolare in modo osceno, capivo che eri eccitata per via del ritmo crescente con cui stavi letteralmente staccandomi il cazzo dal corpo.
Migrai dalla bocca alle mammelle. Ne pizzicai una con discreta forza e succhiai l’altra, stringendola tra i denti. Tu, in cambio, mi tirasti i capelli, per finta protesta, come si fa con le redini di un cavallo imbizzarrito. Intanto procedevo l’esplorazione con due polpastrelli, mentre tu sembravi una meravigliosa leonessa in calore. Iniziasti a massaggiarmi le palle, facendomi percorrere un brivido lungo la schiena. Cambiai posizione: Mi addentrai con la testa e iniziai a bere da quella tua fica, schiacciandovi la faccia. Era strano poter ricevere gli schizzi di acqua di mare attraverso la rete, mentre gioivo dell’odore dei tuoi umori. Neanche gli chef stellati avrebbero potuto replicare un tale gusto.
Con il dito medio, vinsi la resistenza del tuo piccolo sfintere, sentendolo allargare. La mia lingua, invece, non avrebbe mai lasciato il tuo clitoride, neanche fosse stata sotto la tempesta.
Ti avevo vista irrigidire gli addominali, in preda al piacere. Questo non faceva altro che aumentare la mia voglia, per cui leccai più forte, lambendo e succhiando, fino a farmi quasi male la mandibola. Ti sentivo imprecare in quella notte. Avevamo quasi paura che gli amici si svegliassero, che venissero a curiosare.
«E se ci beccano?» domandai io, senza tanta convinzione.
«Saranno cazzi loro.»
Amen.
Sentii il tuo primo orgasmo sulla mia lingua e fu inebriante. Era carico di salinità e di nutrienti per l’animo. Mi afferrasti dalle orecchie e mi riportasti a te. Baciasti la mia bocca fradicia.
«Chissà che sapore avrebbe L.!»
«Decisamente un bel sapore, dovresti provarlo.»
«Ho fame di qualcos’altro.»
Qui la memoria iniziava già a fare cilecca, per cui dovetti sforzarmi più del solito. Ti osservai trangugiare avidamente il glande, mentre solcavi con la lingua il bordo della cappella tesa. Continuasti verso la base, ripercorrendone il profilo. Ingoiasti quel mio uccello dritto tutto in una volta, per poi serrarlo tra le labbra. Lo prendevi e lo rilasciavi, poco alla volta. Cristo santo.
Io non riuscivo a tenere gli occhi chiusi. Avrei voluto lasciarmi andare in uno scoppio di liquido bianco diretto nelle tue fauci. Invece, mi ostinai a guardarti fino in fondo, senza mai chiudere le palpebre. Non volevo perdere neanche un istante. La tua mano stringeva il pene con cura, guidando la tua lingua e la bocca. Quegli occhi vivi e profondi rimanevano fissi, come a ricordarmi che in quella fiaba eri tu la scrittrice, non più io.
“Succhiami. Fai che quel bocchino riecheggi in tutto l’arcipelago. Voglio sentire i gorgogli del mio cazzo in festa. Voglio poter scopare le tue papille gustative. Vorrei che ti nutrissi solo di calda mia sborra.”
Oh, se potessi rendere per iscritto quelle scene indelebili allo stesso modo con cui le ho vissute.
Il rilievo delle venature sotto la pelle, scomparivano nella tua bocca come vecchi tronchi che cadono da una cascata. Tu succhiavi mentre la mia testa volava tra stelle. Quel pompino aveva le fattezze del cosmo. Più volavo alto, più rivedevo nei tuoi occhi quella lussuria magniloquente, per cui succhiavi e rullavi e leccavi e palpavi e gemevi e morsicavi e sputavi e di nuovo leccavi, all’infinito.
«Chi lo fa meglio, tra me e L?»
In fondo, era chiaro chi fosse davvero L., nonostante volessi comunque fingere “come se”.
“Penetra la mia fica come quella che hai descritto, arrossata e colante. Fammi venire come hai fatto venire lei.”
“Allarga il mio culo, come se da quello dipendesse il tuo prossimo romanzo.”
“Inondami del tuo seme, come se quello potesse sostituire il mare che abbiamo sotto di noi.”
Mentre entravo dentro di te, mi tappasti la bocca per evitare che parlassi o per paura che urlassi di piacere. Allora anche io ti zittii, nel momento in cui fui dentro fino in fondo. I tuoi occhi roteavano all’indietro. Il tuo urlo soffocato bagnava il palmo della mia mano. Ora eravamo lì, su quella rete, a scopare come maledette sirene, sotto un cielo stellato, imbavagliati a vicenda.
Entravo e uscivo come stantuffo ben oleato da quella fica con quel mirabile grip che mi teneva stretto quanto necessario.
Entrambi raggiungemmo l’apice mentre l’onda più forte ci fece ballare sulla barca ancorata al largo della notte profonda. Mentre scaricavo il mio seme dentro di te, colpevole del mio piacere, rimbambito dalla droga e dalla passione, ormai innamorato di te, tu mi baciasti in bocca con delicatezza e con ambigua gratitudine
«Questa L. è davvero fortunata.» dicesti tu, mentre rimanevamo lì, distesi e abbracciati, le mie labbra sulle tue guance, i tuoi occhi verso il cielo. Ci addormentammo nudi, nella notte, sperando che potesse rimanere notte per sempre, come pagine di un racconto scritto in cui il tempo si cristallizza, in cui gli orgasmi si ripetono all’infinito e il mare non finisce mai di ondeggiare.
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