Solcato da sentieri che si intrecciano
di
Jan Zarik
genere
sentimentali
“5 stelle su 5: Commento di Alex
L’oggetto è sicuramente interessante. Mi definisco maschio etero con tendenze bi e sebbene sia un prodotto rivolto più comunemente al genere femminile, anche io mi sento di dare un parere onesto, avendo provato quello della mia compagna. Ci tengo a dire che non l’ho provato in sua presenza. Anzi, l’ho fatto di nascosto. Ho trafugato il suo cassetto e me lo sono ritrovato davanti. Mea culpa, lo so. È una storia che non mi sento di approfondire.
Tuttavia, è stata una delle esperienze più appaganti di sempre. L’ho usato in doccia. Mi è servito davvero poco per raggiungere il piacere. Ottima gamma di vibrazioni, qualità dei materiali ineccepibile. Il rabbit si può adattare anche agli uomini, perché stimola bene alcune parti del perineo. Consigliato sicuramente!”
Scorro gli annunci e le recensioni dei vari toys su un sito dedicato, alla ricerca di qualcosa che possa attirare la mia attenzione. La storia di Pietro mi aveva turbato e incuriosito allo stesso tempo. Ho trovato un forum su internet in cui si condividono storie di esperienze con giocattoli erotici. Speravo di trovare qualche recensione su ovetti vibranti ma non ho trovato finora nulla di interessante o minimamente collegato alla questione. Esistono diversi modelli, quello lì in particolare sembrerebbe una versione collegata tramite app, quindi gestibile da remoto in qualsiasi momento o occasione.
I commenti di un certo Alex, tuttavia, mi incuriosiscono. Lui sostiene di essere un fruitore occasionale dei toys della compagna, per cui vanta una esperienza diretta e pertanto sembra recensirli con entusiasmo. In un altro commento dice, ad esempio:
“3 stelle su 5: Commento di Alex
Per movimentare la nostra vita sessuale, avevo deciso di regalare l’ovetto con duplice comando via app e via telecomando alla mia compagna. Credevo di fare una sorpresa gradita, poiché ero già a conoscenza dell’uso di toys da parte sua e avevo intenzione di trovare un nuovo modo per divertirci. In passato, ne ho provati altri sulla mia pelle (potete leggere le altre recensioni precedenti del sottoscritto su altri modelli), per potermi assicurare che fossero all’altezza.
Tuttavia, mai scelta fu più sbagliata, questa volta! Non appena lei ha scartato il suo regalo, è rimasta dubbiosa, perplessa. Direi addirittura spaventata, in preda all’ansia.
Non so se si tratta di un mio problema. Non capisco perché abbia reagito così. So soltanto che la vista di questo “coso” l’ha turbata così tanto che mi ha implorato di restituirlo. Ho chiesto spiegazioni ma si è rifiutata di concedermene, dicendo che un oggetto del genere nasconde insidie che non potrei nemmeno immaginare. Mi sfugge qualcosa? Chiedo a voi, più esperti.
Secondo me è un grande peccato. L’ho provato pure da solo. Funziona da paura. Comodissimo. L’app funziona bene. Penso che me lo terrò, per le notti in solitaria. Scrivo questa recensione per dirvi che se decidete di fare un regalo del genere, concordatelo sempre prima col vostro partner, perché le reazioni potrebbero essere impreviste!”
Più in basso, riesco a leggere altri commenti di risposta, meno specifici. Passo in rassegna i vari modelli, fino a trovarne uno praticamente identico a quello che ha tenuto in mano Pietro, quella sera. Nessuna recensione. Punteggi discretamente alti, tuttavia.
Sono giorni che ripenso a quella passeggiata, nel buio della strada deserta, con un conoscente che non vedevo da tempo, disperato per l’ennesima delusione sentimentale. Il mio lavoro mi ha sempre permesso di entrare in contatto con i tipi umani più strambi e interessanti. Al locale si viene per bere, eppure spesso finisco io per essere ubriaco di quelle storie tutte diverse tra loro.
Quando abbiamo deciso di aprire il locale quattro anni fa, io e Renzo eravamo ottimi amici, prima ancora che colleghi. Lui aveva una capacità imprenditoriale pazzesca, aveva messo su una rete di contatti e fornitori molto efficace. Il locale prese subito piede e diventò inizialmente molto popolare.
Fu lui ad assumere molti dei nostri dipendenti. Dopo la sua dipartita, alcuni di loro se ne andarono, altri rimasero.
No. Renzo non è morto. Semplicemente, abbiamo litigato: Divergenze di vedute, questioni sui bilanci. Alcune cose che non mi furono per niente chiare. Inoltre, beveva molto e questo col tempo lo aveva reso ingestibile. Ricordo bene l’ultima sfuriata, prima che sbattesse la porta per non farsi vedere mai più.
Mi disse “Vorrei non aver mai incrociato il tuo percorso!”
Lui era così: plateale e scenografico.
Lo mandai a cagare, continuando l’attività in solitaria. La continuo ancora adesso, con qualche fatica e un po’ di straordinari non richiesti.
Tuttavia, Renzo mi ha anche insegnato tanto. La capacità che aveva di interloquire con le persone, proporsi come psicologo da bar, perdere tempo a fidelizzare il cliente, erano doti che non credo siano possibili da eguagliare.
Io ci provo, ogni tanto. Forse, l’aver permesso a Pietro di dare sfogo alle sue paturnie dopo una serata impegnativa deriva anche da questo. È il lascito più prezioso che ammetto di aver ereditato dal mio ex socio.
Inoltre, devo ritenermi fortunato: le mie collaboratrici dotate di maggior esperienza, Miriam e Camilla, sono state assunte entrambe proprio da lui. Loro, per fortuna, son rimaste ed è anche merito loro se il locale riesce a tirare avanti. Con una di loro, poi…
«Beh, che fai ancora lì? Perché non vieni a letto?» dice Camilla, distesa sul mio materasso, con indosso solo una magliettina bianca con scritto “Directed by: David Lynch” e le mutandine nere brasiliane. Più alta di me, dotata di due gambe stupende e una pancia piatta, scolpita e levigata. Capelli mossi, biondi come una birra lager. Tiene in mano un calice di vino rosso e scrolla distrattamente le notifiche del cellulare. Un sorriso sbuca inconsciamente dalla mia bocca, alla sua vista.
«Che ne diresti di comprare un ovetto?»
«Ancora con questa storia?»
«Dai, su! Secondo me potrebbe essere divertente…» ribadisco io.
«Già ti ci vedo a farmi cadere i bicchieri mentre servo i clienti.» risponde lei a tono, divertita.
L’idea, che fino a un momento fa non mi era neanche balenata in testa, adesso mi eccita da morire. La immagino chiudere gli occhi, in preda al piacere improvviso, mentre di fronte a lei gente ignara riceve i cocktail, shakerati più del dovuto.
«Non hai detto tu stesso che dovremmo mantenere un approccio professionale, quando siamo dietro al bancone?» mi chiede, mentre con nonchalance sfrega le gambe una sull’altra, come a richiamare la mia attenzione.
È vero, tuttavia, potrebbe essere un bell’incentivo per attirare nuova gente.» rispondo io, sornione.
«Vaffanculo.» risponde lei, mostrandomi il dito medio e sorseggiando il suo vino.
Io mi avvicino a lei furtivo, cercando di baciarla sulle cosce.
«Quel Pietro ti ha proprio mandato in pappa il cervello.» dice lei, mentre indugio sulle sue ginocchia.
«Suvvia, dai! Era disperato.»
«Era comunque un tipo strano.»
«I tuoi giudizi sono troppo affrettati. Ce ne sono un sacco di persone così. Tu non sei meno strana quando fai certi tuoi salamanecchi!» le faccio notare io, mentre lentamente, una mano inizia a scivolarle lungo l’interno coscia.
Camilla ha un sussulto. Attende un attimo prima di rispondere.
«Quali sarebbero i miei salamanecchi?!»
«Quelli sulla politica, ovviamente.»
«Brutto bastardo ingrato! Sappi che se le persone mi provocano, io tendo a rispondere per le righe! Comunisti o fascisti, a ‘m’in freg ‘n caz! Se sei un coglione, a t’ò digh!» dice, esprimendo le sue chiare origini romagnole, con lieve tremore di voce.
La mia mano arriva fino al tessuto nero, in parte già impregnato di umori. Sento i suoi muscoli rilassarsi al mio passaggio.
«Prima o poi farai scoppiare delle risse…» osservo io.
«La bocca è mia e soltanto mia. Decido io cosa dire e quando dirla. Mi sembra piuttosto chiaro, no?» risponde piccata, guardandomi negli occhi con tono ammonitore. Le sue gambe, nel frattempo, mi comunicano tutt’altro. Mi chiedono di insinuarmi ancora di più. La vedo bere il suo vino, assicurandomi l’erezione in modo definitivo.
«Cosa facciamo, dunque, con quella bocca?»
«Beviamo.» risponde lei.
«Fammi assaggiare.»
«Prego.» dice lei, rimanendo immobile, a gambe semi aperte. La sua fica è lì, parzialmente coperta dal tessuto nero, a disposizione di occhi e olfatto.
«Intendevo il vino…»
«Ah. Scusa!» risponde lei divertita, porgendomi il calice. Bevo un sorso senza perdere lo sguardo. La osservo mordersi un labbro. Le riporgo indietro il suo vino, con ancora le labbra sporche e umide, prima di accostarle finalmente al suo sesso.
Lei chiude gli occhi e con un movimento automatico posa il calice sul comodino che si trova accanto.
Con la mano libera, pinza un lato del tessuto, scostandolo e rivelando le intimità della carne. Quasi mi commuovo alla vista di quella grazia. La sfioro con la lingua, in corrispondenza del promontorio di venere, sentendola ansimare.
È bella, Camilla. Audace, spigliata, un po’ troppo severa con se stessa, a volte.
È capace di riportarmi alla realtà molto più di quanto io sia in grado di farlo con lei.
Io, tutt’al più, mi concedo di farla sollevare da terra per qualche secondo, utilizzando le dita come in questo caso. Ad esempio: il mio anulare insiste sul suo pertugio, stretto e contratto, provocandole uno spasmo inatteso. Nel mentre, con la bocca lambisco il suo clitoride, succhiando con sfumata avidità.
Posso apprezzare il suo ventre irrigidirsi, ondeggiare sinuoso, contrazione dopo contrazione. Le sue labbra sono dilaniate dai morsi che essa stessa si infligge, per controllare le parole di eccitazione. Avverto la sua pelle d’oca, riesco quasi a vederne il dettaglio in tutta la sua magnificenza.
Ormai, il mio dito è dentro al suo culo per metà. Lei ha iniziato a mordicchiarsi la falange del dito omologo della mano destra.
«Non ti fermare.» chiede lei, ansimando.
E chi si ferma? Cazzo, non ci penso nemmeno.
Per quanto mi riguarda, è il momento più importante della giornata. Certi giorni, sogno di ritrovarmi nella posizione in cui sono adesso. È tutto ciò che ho sempre desiderato: Leccare la fica di Camilla.
Lei ancora non lo sa, ma questo mio anulare che penetra il suo sedere provocandole l’orgasmo, circondato dal suo prelibato anello di muscolo, prima o poi vorrei che indossasse un anello di materiale diverso. Se mai dirà di sì.
Chi lo sa. Io ci spero.
Nel frattempo, la ammiro venire inesorabile. Il mio movimento circolare attorno al suo pube in sincro col resto delle dita sembra aver funzionato. Sta mugolando una dolce e soave musica per le mie orecchie. Una armonia di cui mi innamoro ogni giorno.
Vorrà sposarmi? Chi lo sa. Mi ama davvero o sono pur sempre il suo datore di lavoro?
Queste riflessioni non potranno distogliermi dall’estasi in cui sono immerso.
Lei, intanto, mi ha appena tirato a sé. Vuole baciarmi. Non posso far altro che accontentarla.
Il dito sguscia via con un rumore umido. Riesco a sentire l’odore già da qui. Sono invaso dalla sua lingua fin dentro l’ugola. Mi bacia come se fossi un suo amante, più che il suo fidanzato. Io le carezzo la nuca, insinuando le mie dita tra i capelli e pettinandoli verso il basso. So che il massaggio ai capelli la fa impazzire, infatti riservo sempre questa parte nei momenti più dolci.
Mi sfilo i pantaloni, lasciando che sia lei a fare il resto. Con cura, lei sceglie di abbassare i miei boxer dalla sommità dell’elastico, come fosse una scatola di cioccolatini.
Alla vista del mio cazzo, si appresta a impugnarlo come se fosse la pistola della soda.
Sputa sulla cappella, solo per il gusto di farlo. Non sarebbe servita una grande umidità, vista la situazione, ma poiché sa che adoro vederglielo fare, non risparmia mai la sua saliva.
Armeggia per qualche secondo, sorridendo. Anche io sorrido, perché è bellissima ancora di più quando tiene il mio uccello tra le mani.
Con la lingua, caramella il mio glande massaggiandolo su e giù, a ripetizione. I suoi pompini sono interessanti ma piuttosto atipici. Mi ha confessato di avere una sorta di riflesso faringeo molto sensibile, per cui spesso deve fare un grande sforzo per autocontrollarsi.
Tradotto: Se le scopassi la gola, potrei causarle qualche disagio.
Rispetto questa sua caratteristica e mi godo le dolci pennellate sulla cappella, cosa che tra l’altro sa fare molto bene. Il suo sguardo è parte del godimento. Io non oso pensare cosa veda lei: un maschio quarantacinquenne che fa smorfie corrugate nel tentativo di resistere il più possibile. Di sicuro qualcosa di molto poco erotico.
Eppure, lei sostiene che adora vedermi godere. Sarà vero?
«Oggi con.»
«Va bene, amore.»
Allungo una mano verso il cassetto e tiro fuori un goldone. Lo strappo con i denti. Glielo porgo. Lei mi aiuta a indossarlo.
Chissà quali sono i pensieri che la portano a decidere se farmi indossare il preservativo o meno. Lei non usa la pillola perché in passato le ha dato fastidio. Certe volte, desidera ardentemente che io venga dentro di lei, consapevole dei possibili rischi cui andiamo incontro.
Altre volte, come in questo caso, la prudenza prende il sopravvento.
Ci guardiamo intensamente negli occhi. Ormai, conosco la strada sufficientemente bene da non avere bisogno di guidarla con lo sguardo. All’inserzione, entrambi socchiudiamo le palpebre, decifrando ogni micromovimento della pelle, assaporando la sua distensione, il suo calore, la mia durezza.
Si tratta di un viaggio intorno al globo, ogni volta. Arrivati a questo punto, lei ansima a voce alta. Alterna espressioni composte a turpiloqui esagerati.
Ho imparato a capire che questo dipende dal grado di stress accumulato durante la giornata. Se i “Cristo santo” sono più numerosi dei “Vaffanculo!”, allora quella era stata una giornata buona.
Viceversa, avrei saputo che quella appena conclusa era stata una giornata di merda.
Il sesso come ricompensa o come sfogo, un po’ come l’alcol come premio o come consolazione.
Era una frase che diceva sempre Renzo, per pubblicizzare il locale negli after-hour delle competizioni sportive. Quel bastardo a cui, di fatto, devo un lavoro e anche l’aver incontrato questa meravigliosa donna. Strano come certe vite vengano solcate da sentieri che si intrecciano l’un l’altro. Gli stessi sentieri che il mio ex socio giurò di non voler più incrociare con me.
Che si fotta.
Accompagnando le pompate a questo fulgido pensiero, raggiungo presto il mio orgasmo. Il profilattico stretto ha i suoi pro e contro. Uno di questi è che non mi permette di rendermi sempre conto del grado di sollecitazione a cui sto arrivando. Lei ha uno sguardo sereno, mi contagia ogni volta. Mi sdraio al suo fianco e rimaniamo abbracciati, distesi a letto.
Carezzo i suoi avambracci, solleticandoli con la punta delle dita. Lei ridacchia, nel suo torpore post-coito.
In modo quasi ingenuo, approfitto dei pensieri liberi nella mia testa e le dico una frase, assolutamente slegata dal contesto.
«Sai quanto ci starebbe bene un tatuaggio in queste braccia?»
«Ah si? E cosa suggerisci?» chiede lei, con gli occhi chiusi.
«Non so. Una bella chiave di violino, ad esempio.»
«Davvero? Che strano…»
«Perché dici strano?»
«Come mai ci hai pensato?»
«Non so. È una idea che mi è balenata in testa, tutto qui.»
«Beh, comunque non credo faccia molto per me. Non sono tanto esperta di musica. Inoltre, mi seccherebbe copiare i tatuaggi di Miriam.»
A quelle parole, sento come un sussulto.
«Che hai detto?»
«Eh, Miriam! Lei ha un tatuaggio proprio qui, sulla parte interna del braccio. Non te ne sei mai accorto? Lo avrai visto tante di quelle volte che ora pensi di propinarlo anche a me. Che scemo che sei…»
La mia testa inizia a pulsare. Sono frastornato. Devo mettermi a sedere.
«Ehi, che c’è? Vedi che stavo scherzando. Non te la prendere!» dice Camilla, preoccupata mentre mi tocca una spalla.
«No, tesoro. Tranquilla. Anzi scusami. Effettivamente, non so perché mi sia venuta una idea simile! Che cazzata. Ah-ha!» dico io, per dissimulare.
Lei mi rivolge uno sguardo stranito, non del tutto convinta.
«Domani ti va se ti raggiungo dopo dal grossista? Ho un po’ di faccende da sbrigare.»
«Ok…»
La bacio sulla fronte e mi distendo. Sfilo il condom dall’uccello e lo butto nel cestino di fianco alla scrivania. Spengo la luce, per accogliere la notte tra le coperte.
La testa, tuttavia, non smette di vorticare.
[Questo racconto si collega ad altri precedenti dal titolo "All'interno di un universo tumultuoso", "Sospesa su un filo tra due rocce scoscese" e "l'importanza del vuoto"]
L’oggetto è sicuramente interessante. Mi definisco maschio etero con tendenze bi e sebbene sia un prodotto rivolto più comunemente al genere femminile, anche io mi sento di dare un parere onesto, avendo provato quello della mia compagna. Ci tengo a dire che non l’ho provato in sua presenza. Anzi, l’ho fatto di nascosto. Ho trafugato il suo cassetto e me lo sono ritrovato davanti. Mea culpa, lo so. È una storia che non mi sento di approfondire.
Tuttavia, è stata una delle esperienze più appaganti di sempre. L’ho usato in doccia. Mi è servito davvero poco per raggiungere il piacere. Ottima gamma di vibrazioni, qualità dei materiali ineccepibile. Il rabbit si può adattare anche agli uomini, perché stimola bene alcune parti del perineo. Consigliato sicuramente!”
Scorro gli annunci e le recensioni dei vari toys su un sito dedicato, alla ricerca di qualcosa che possa attirare la mia attenzione. La storia di Pietro mi aveva turbato e incuriosito allo stesso tempo. Ho trovato un forum su internet in cui si condividono storie di esperienze con giocattoli erotici. Speravo di trovare qualche recensione su ovetti vibranti ma non ho trovato finora nulla di interessante o minimamente collegato alla questione. Esistono diversi modelli, quello lì in particolare sembrerebbe una versione collegata tramite app, quindi gestibile da remoto in qualsiasi momento o occasione.
I commenti di un certo Alex, tuttavia, mi incuriosiscono. Lui sostiene di essere un fruitore occasionale dei toys della compagna, per cui vanta una esperienza diretta e pertanto sembra recensirli con entusiasmo. In un altro commento dice, ad esempio:
“3 stelle su 5: Commento di Alex
Per movimentare la nostra vita sessuale, avevo deciso di regalare l’ovetto con duplice comando via app e via telecomando alla mia compagna. Credevo di fare una sorpresa gradita, poiché ero già a conoscenza dell’uso di toys da parte sua e avevo intenzione di trovare un nuovo modo per divertirci. In passato, ne ho provati altri sulla mia pelle (potete leggere le altre recensioni precedenti del sottoscritto su altri modelli), per potermi assicurare che fossero all’altezza.
Tuttavia, mai scelta fu più sbagliata, questa volta! Non appena lei ha scartato il suo regalo, è rimasta dubbiosa, perplessa. Direi addirittura spaventata, in preda all’ansia.
Non so se si tratta di un mio problema. Non capisco perché abbia reagito così. So soltanto che la vista di questo “coso” l’ha turbata così tanto che mi ha implorato di restituirlo. Ho chiesto spiegazioni ma si è rifiutata di concedermene, dicendo che un oggetto del genere nasconde insidie che non potrei nemmeno immaginare. Mi sfugge qualcosa? Chiedo a voi, più esperti.
Secondo me è un grande peccato. L’ho provato pure da solo. Funziona da paura. Comodissimo. L’app funziona bene. Penso che me lo terrò, per le notti in solitaria. Scrivo questa recensione per dirvi che se decidete di fare un regalo del genere, concordatelo sempre prima col vostro partner, perché le reazioni potrebbero essere impreviste!”
Più in basso, riesco a leggere altri commenti di risposta, meno specifici. Passo in rassegna i vari modelli, fino a trovarne uno praticamente identico a quello che ha tenuto in mano Pietro, quella sera. Nessuna recensione. Punteggi discretamente alti, tuttavia.
Sono giorni che ripenso a quella passeggiata, nel buio della strada deserta, con un conoscente che non vedevo da tempo, disperato per l’ennesima delusione sentimentale. Il mio lavoro mi ha sempre permesso di entrare in contatto con i tipi umani più strambi e interessanti. Al locale si viene per bere, eppure spesso finisco io per essere ubriaco di quelle storie tutte diverse tra loro.
Quando abbiamo deciso di aprire il locale quattro anni fa, io e Renzo eravamo ottimi amici, prima ancora che colleghi. Lui aveva una capacità imprenditoriale pazzesca, aveva messo su una rete di contatti e fornitori molto efficace. Il locale prese subito piede e diventò inizialmente molto popolare.
Fu lui ad assumere molti dei nostri dipendenti. Dopo la sua dipartita, alcuni di loro se ne andarono, altri rimasero.
No. Renzo non è morto. Semplicemente, abbiamo litigato: Divergenze di vedute, questioni sui bilanci. Alcune cose che non mi furono per niente chiare. Inoltre, beveva molto e questo col tempo lo aveva reso ingestibile. Ricordo bene l’ultima sfuriata, prima che sbattesse la porta per non farsi vedere mai più.
Mi disse “Vorrei non aver mai incrociato il tuo percorso!”
Lui era così: plateale e scenografico.
Lo mandai a cagare, continuando l’attività in solitaria. La continuo ancora adesso, con qualche fatica e un po’ di straordinari non richiesti.
Tuttavia, Renzo mi ha anche insegnato tanto. La capacità che aveva di interloquire con le persone, proporsi come psicologo da bar, perdere tempo a fidelizzare il cliente, erano doti che non credo siano possibili da eguagliare.
Io ci provo, ogni tanto. Forse, l’aver permesso a Pietro di dare sfogo alle sue paturnie dopo una serata impegnativa deriva anche da questo. È il lascito più prezioso che ammetto di aver ereditato dal mio ex socio.
Inoltre, devo ritenermi fortunato: le mie collaboratrici dotate di maggior esperienza, Miriam e Camilla, sono state assunte entrambe proprio da lui. Loro, per fortuna, son rimaste ed è anche merito loro se il locale riesce a tirare avanti. Con una di loro, poi…
«Beh, che fai ancora lì? Perché non vieni a letto?» dice Camilla, distesa sul mio materasso, con indosso solo una magliettina bianca con scritto “Directed by: David Lynch” e le mutandine nere brasiliane. Più alta di me, dotata di due gambe stupende e una pancia piatta, scolpita e levigata. Capelli mossi, biondi come una birra lager. Tiene in mano un calice di vino rosso e scrolla distrattamente le notifiche del cellulare. Un sorriso sbuca inconsciamente dalla mia bocca, alla sua vista.
«Che ne diresti di comprare un ovetto?»
«Ancora con questa storia?»
«Dai, su! Secondo me potrebbe essere divertente…» ribadisco io.
«Già ti ci vedo a farmi cadere i bicchieri mentre servo i clienti.» risponde lei a tono, divertita.
L’idea, che fino a un momento fa non mi era neanche balenata in testa, adesso mi eccita da morire. La immagino chiudere gli occhi, in preda al piacere improvviso, mentre di fronte a lei gente ignara riceve i cocktail, shakerati più del dovuto.
«Non hai detto tu stesso che dovremmo mantenere un approccio professionale, quando siamo dietro al bancone?» mi chiede, mentre con nonchalance sfrega le gambe una sull’altra, come a richiamare la mia attenzione.
È vero, tuttavia, potrebbe essere un bell’incentivo per attirare nuova gente.» rispondo io, sornione.
«Vaffanculo.» risponde lei, mostrandomi il dito medio e sorseggiando il suo vino.
Io mi avvicino a lei furtivo, cercando di baciarla sulle cosce.
«Quel Pietro ti ha proprio mandato in pappa il cervello.» dice lei, mentre indugio sulle sue ginocchia.
«Suvvia, dai! Era disperato.»
«Era comunque un tipo strano.»
«I tuoi giudizi sono troppo affrettati. Ce ne sono un sacco di persone così. Tu non sei meno strana quando fai certi tuoi salamanecchi!» le faccio notare io, mentre lentamente, una mano inizia a scivolarle lungo l’interno coscia.
Camilla ha un sussulto. Attende un attimo prima di rispondere.
«Quali sarebbero i miei salamanecchi?!»
«Quelli sulla politica, ovviamente.»
«Brutto bastardo ingrato! Sappi che se le persone mi provocano, io tendo a rispondere per le righe! Comunisti o fascisti, a ‘m’in freg ‘n caz! Se sei un coglione, a t’ò digh!» dice, esprimendo le sue chiare origini romagnole, con lieve tremore di voce.
La mia mano arriva fino al tessuto nero, in parte già impregnato di umori. Sento i suoi muscoli rilassarsi al mio passaggio.
«Prima o poi farai scoppiare delle risse…» osservo io.
«La bocca è mia e soltanto mia. Decido io cosa dire e quando dirla. Mi sembra piuttosto chiaro, no?» risponde piccata, guardandomi negli occhi con tono ammonitore. Le sue gambe, nel frattempo, mi comunicano tutt’altro. Mi chiedono di insinuarmi ancora di più. La vedo bere il suo vino, assicurandomi l’erezione in modo definitivo.
«Cosa facciamo, dunque, con quella bocca?»
«Beviamo.» risponde lei.
«Fammi assaggiare.»
«Prego.» dice lei, rimanendo immobile, a gambe semi aperte. La sua fica è lì, parzialmente coperta dal tessuto nero, a disposizione di occhi e olfatto.
«Intendevo il vino…»
«Ah. Scusa!» risponde lei divertita, porgendomi il calice. Bevo un sorso senza perdere lo sguardo. La osservo mordersi un labbro. Le riporgo indietro il suo vino, con ancora le labbra sporche e umide, prima di accostarle finalmente al suo sesso.
Lei chiude gli occhi e con un movimento automatico posa il calice sul comodino che si trova accanto.
Con la mano libera, pinza un lato del tessuto, scostandolo e rivelando le intimità della carne. Quasi mi commuovo alla vista di quella grazia. La sfioro con la lingua, in corrispondenza del promontorio di venere, sentendola ansimare.
È bella, Camilla. Audace, spigliata, un po’ troppo severa con se stessa, a volte.
È capace di riportarmi alla realtà molto più di quanto io sia in grado di farlo con lei.
Io, tutt’al più, mi concedo di farla sollevare da terra per qualche secondo, utilizzando le dita come in questo caso. Ad esempio: il mio anulare insiste sul suo pertugio, stretto e contratto, provocandole uno spasmo inatteso. Nel mentre, con la bocca lambisco il suo clitoride, succhiando con sfumata avidità.
Posso apprezzare il suo ventre irrigidirsi, ondeggiare sinuoso, contrazione dopo contrazione. Le sue labbra sono dilaniate dai morsi che essa stessa si infligge, per controllare le parole di eccitazione. Avverto la sua pelle d’oca, riesco quasi a vederne il dettaglio in tutta la sua magnificenza.
Ormai, il mio dito è dentro al suo culo per metà. Lei ha iniziato a mordicchiarsi la falange del dito omologo della mano destra.
«Non ti fermare.» chiede lei, ansimando.
E chi si ferma? Cazzo, non ci penso nemmeno.
Per quanto mi riguarda, è il momento più importante della giornata. Certi giorni, sogno di ritrovarmi nella posizione in cui sono adesso. È tutto ciò che ho sempre desiderato: Leccare la fica di Camilla.
Lei ancora non lo sa, ma questo mio anulare che penetra il suo sedere provocandole l’orgasmo, circondato dal suo prelibato anello di muscolo, prima o poi vorrei che indossasse un anello di materiale diverso. Se mai dirà di sì.
Chi lo sa. Io ci spero.
Nel frattempo, la ammiro venire inesorabile. Il mio movimento circolare attorno al suo pube in sincro col resto delle dita sembra aver funzionato. Sta mugolando una dolce e soave musica per le mie orecchie. Una armonia di cui mi innamoro ogni giorno.
Vorrà sposarmi? Chi lo sa. Mi ama davvero o sono pur sempre il suo datore di lavoro?
Queste riflessioni non potranno distogliermi dall’estasi in cui sono immerso.
Lei, intanto, mi ha appena tirato a sé. Vuole baciarmi. Non posso far altro che accontentarla.
Il dito sguscia via con un rumore umido. Riesco a sentire l’odore già da qui. Sono invaso dalla sua lingua fin dentro l’ugola. Mi bacia come se fossi un suo amante, più che il suo fidanzato. Io le carezzo la nuca, insinuando le mie dita tra i capelli e pettinandoli verso il basso. So che il massaggio ai capelli la fa impazzire, infatti riservo sempre questa parte nei momenti più dolci.
Mi sfilo i pantaloni, lasciando che sia lei a fare il resto. Con cura, lei sceglie di abbassare i miei boxer dalla sommità dell’elastico, come fosse una scatola di cioccolatini.
Alla vista del mio cazzo, si appresta a impugnarlo come se fosse la pistola della soda.
Sputa sulla cappella, solo per il gusto di farlo. Non sarebbe servita una grande umidità, vista la situazione, ma poiché sa che adoro vederglielo fare, non risparmia mai la sua saliva.
Armeggia per qualche secondo, sorridendo. Anche io sorrido, perché è bellissima ancora di più quando tiene il mio uccello tra le mani.
Con la lingua, caramella il mio glande massaggiandolo su e giù, a ripetizione. I suoi pompini sono interessanti ma piuttosto atipici. Mi ha confessato di avere una sorta di riflesso faringeo molto sensibile, per cui spesso deve fare un grande sforzo per autocontrollarsi.
Tradotto: Se le scopassi la gola, potrei causarle qualche disagio.
Rispetto questa sua caratteristica e mi godo le dolci pennellate sulla cappella, cosa che tra l’altro sa fare molto bene. Il suo sguardo è parte del godimento. Io non oso pensare cosa veda lei: un maschio quarantacinquenne che fa smorfie corrugate nel tentativo di resistere il più possibile. Di sicuro qualcosa di molto poco erotico.
Eppure, lei sostiene che adora vedermi godere. Sarà vero?
«Oggi con.»
«Va bene, amore.»
Allungo una mano verso il cassetto e tiro fuori un goldone. Lo strappo con i denti. Glielo porgo. Lei mi aiuta a indossarlo.
Chissà quali sono i pensieri che la portano a decidere se farmi indossare il preservativo o meno. Lei non usa la pillola perché in passato le ha dato fastidio. Certe volte, desidera ardentemente che io venga dentro di lei, consapevole dei possibili rischi cui andiamo incontro.
Altre volte, come in questo caso, la prudenza prende il sopravvento.
Ci guardiamo intensamente negli occhi. Ormai, conosco la strada sufficientemente bene da non avere bisogno di guidarla con lo sguardo. All’inserzione, entrambi socchiudiamo le palpebre, decifrando ogni micromovimento della pelle, assaporando la sua distensione, il suo calore, la mia durezza.
Si tratta di un viaggio intorno al globo, ogni volta. Arrivati a questo punto, lei ansima a voce alta. Alterna espressioni composte a turpiloqui esagerati.
Ho imparato a capire che questo dipende dal grado di stress accumulato durante la giornata. Se i “Cristo santo” sono più numerosi dei “Vaffanculo!”, allora quella era stata una giornata buona.
Viceversa, avrei saputo che quella appena conclusa era stata una giornata di merda.
Il sesso come ricompensa o come sfogo, un po’ come l’alcol come premio o come consolazione.
Era una frase che diceva sempre Renzo, per pubblicizzare il locale negli after-hour delle competizioni sportive. Quel bastardo a cui, di fatto, devo un lavoro e anche l’aver incontrato questa meravigliosa donna. Strano come certe vite vengano solcate da sentieri che si intrecciano l’un l’altro. Gli stessi sentieri che il mio ex socio giurò di non voler più incrociare con me.
Che si fotta.
Accompagnando le pompate a questo fulgido pensiero, raggiungo presto il mio orgasmo. Il profilattico stretto ha i suoi pro e contro. Uno di questi è che non mi permette di rendermi sempre conto del grado di sollecitazione a cui sto arrivando. Lei ha uno sguardo sereno, mi contagia ogni volta. Mi sdraio al suo fianco e rimaniamo abbracciati, distesi a letto.
Carezzo i suoi avambracci, solleticandoli con la punta delle dita. Lei ridacchia, nel suo torpore post-coito.
In modo quasi ingenuo, approfitto dei pensieri liberi nella mia testa e le dico una frase, assolutamente slegata dal contesto.
«Sai quanto ci starebbe bene un tatuaggio in queste braccia?»
«Ah si? E cosa suggerisci?» chiede lei, con gli occhi chiusi.
«Non so. Una bella chiave di violino, ad esempio.»
«Davvero? Che strano…»
«Perché dici strano?»
«Come mai ci hai pensato?»
«Non so. È una idea che mi è balenata in testa, tutto qui.»
«Beh, comunque non credo faccia molto per me. Non sono tanto esperta di musica. Inoltre, mi seccherebbe copiare i tatuaggi di Miriam.»
A quelle parole, sento come un sussulto.
«Che hai detto?»
«Eh, Miriam! Lei ha un tatuaggio proprio qui, sulla parte interna del braccio. Non te ne sei mai accorto? Lo avrai visto tante di quelle volte che ora pensi di propinarlo anche a me. Che scemo che sei…»
La mia testa inizia a pulsare. Sono frastornato. Devo mettermi a sedere.
«Ehi, che c’è? Vedi che stavo scherzando. Non te la prendere!» dice Camilla, preoccupata mentre mi tocca una spalla.
«No, tesoro. Tranquilla. Anzi scusami. Effettivamente, non so perché mi sia venuta una idea simile! Che cazzata. Ah-ha!» dico io, per dissimulare.
Lei mi rivolge uno sguardo stranito, non del tutto convinta.
«Domani ti va se ti raggiungo dopo dal grossista? Ho un po’ di faccende da sbrigare.»
«Ok…»
La bacio sulla fronte e mi distendo. Sfilo il condom dall’uccello e lo butto nel cestino di fianco alla scrivania. Spengo la luce, per accogliere la notte tra le coperte.
La testa, tuttavia, non smette di vorticare.
[Questo racconto si collega ad altri precedenti dal titolo "All'interno di un universo tumultuoso", "Sospesa su un filo tra due rocce scoscese" e "l'importanza del vuoto"]
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