Pornografia del quotidiano - Vol. 3
di
Jan Zarik
genere
guide
Stai sculettando. Tutti ti notano. Indossi una gonna a pieghe e un maglioncino bianco. Ti aggiri per gli scaffali della tua libreria preferita, di fronte alla macelleria di carne equina, in una nota strada defilata del centro storico, gestita dall’uomo coi capelli lunghi e gli occhiali tondi che parla piano e ti corregge quando sbagli la pronuncia degli autori russi.
Non stai davvero ondeggiando le natiche sperando che i clienti di quel negozio osservino la tua mercanzia. Non cerchi visibilità, non desideri attenzioni. Stai semplicemente sculettando, il che significa normalizzare l’idea che i glutei, legati indissolubilmente al bacino, balzino a destra e a sinistra per bilanciare il tuo passo lento e cadenzato, mentre rivolgi uno sguardo alle sezioni narrativa, letteratura straniera, saggistica, psicologia e filosofia, storia, arte visiva, musica e cinema, non necessariamente in quest’ordine.
Normalizzare, tuttavia, non equivale a ignorare.
Il sedere c’è e sta effettivamente ondeggiando. Tuttavia, la tua testa pensa ad altro, libera di tuffarsi tra i vari titoli che incroci nel tuo campo visivo. Una raccolta di poesie di Borges cattura inizialmente il tuo sguardo. Allunghi un dito in modo delicato e pigi sull’angolo esterno superiore del libriccino fino a inclinarlo a tal punto da permettergli di cascarti sul palmo della mano. Fai così con molti dei libri che incontri in queste tue passeggiate.
Alcuni anonimi clienti sembrano soffermarsi più del dovuto vicino a te, sfogliando Tolstoj, Nabokov, Calvino e Damasio. Li riconosci perché ti rivedi in loro, nella loro performance estatica, divisi tra coscienza di apparire e desiderio di sapere. Chissà se la tua presenza possa aver contribuito alla durata della loro sosta!
Pare che le loro pupille stiano scorrendo rapidamente una riga dopo l’altra della quarta di copertina, salvo poi interrompere la loro discesa perché catturate dal guizzo armonioso dei tuoi piegamenti mentre raggiungi gli scaffali più in basso. Ti stanno guardando il culo. Non esiste altro modo per dirlo.
Il contrappasso è becero, quasi offensivo della sacralità di quel luogo. Tuttavia, è altrettanto calzante e appropriato; Infatti, metà della letteratura presente in quegli scaffali descrive sostanzialmente il solito circolo vizioso, comune a tutte le grandi storie: Le parole e i pensieri che diventano desiderio, un desiderio che si fa carne, la carne che si fa incontro e l’incontro che genera altri pensieri e parole.
Nel frattempo, il tuo circolo vizioso assume altre forme, altri rituali. Ad esempio, hai l’abitudine di annusare i libri. Più sono grossi, più il tuo naso lì penetra con invadenza. Pensi che la quantità di carta sia direttamente proporzionale all’intensità dell’odore e, finora, non sei mai stata smentita.
I saggi sembrerebbero avere un odore più vellutato, quasi torbato. Invece, i grossi tomi sulla fotografia sono puzzolenti, carichi di petrolio. Non li godi molto.
Il romanzo tascabile ti ricorda un vago sentore di abete, fresco e giovane. Le versioni hard-cover sono come dei camini spenti da poco, umidi e caldi. Le biografie hanno un sentore che giudichi troppo sintetico, le autobiografie invece odorano di rancido. Una volta hai avuto la totale convinzione che un libro di storia medioevale con rilegatura a colla avesse lo stesso odore dell’interno coscia di tua zia, poiché eri solita appisolarti sulle sue gambe quando eri piccola, nelle settimane in cui eri ospite nella loro casa al mare. Forse l’accostamento sensoriale è dovuto al fatto che quella villetta era piena zeppa di libri sul medioevo. Forse la villetta stessa odorava di medioevo. Insomma, non sapresti in quale altro modo descrivere quell’odore.
Così come l’unico modo che hai per descrivere il profumo dei manga è quello delle lampade a olio dei conventi benedettini.
Sei lì da ormai mezz’ora e ne avrai odorati almeno quindici, tutti diversi, senza sceglierne neanche uno. Il punto non è scegliere quello giusto. Il punto è godersi lo spettacolo in attesa che quello giusto compaia in modo autonomo e irruento interrompendo la tua gita, schiaffeggiandoti sul viso e facendoti sentire in colpa per non esserti accorta prima che era lì da sempre e tu te ne sei deliberatamente fregata.
Giungi perfino a lambire i confini della sezione “viaggi”, scorri le dita sui dorsi delle varie guide, toccando il Messico (bella panciuta), Tokyo (polverosa al tatto), Perù (senti il sapore delle foglie di coca sulle gengive), New York (snob radical chic), Islanda (avventura per superare la depressione) e Vietnam (guardi molto Pechino Express).
Poi ti fermi e rivolgi lo sguardo all’indietro. Un uomo sulla quarantina butta giù frettolosamente il suo muso sulla copertina dell’ultima graphic novel di ZeroCalcare. Dietro di lui, come se finora l’avessi deliberatamente esclusa dal campo visivo, c’è la sezione “fantascienza”.
Ti chiama, ti sussurra all’orecchio di raggiungerla e farne brandelli di pagine. Ti accosti a essa e inizi a parlottare muovendo le labbra come durante un esercizio di dizione.
“Heinlein”, “Asimov”, “Russell”, “Kornbluth”, “Van Vogt”, “Rocklynne”, “Bradbury”, “Herbert”, “Dick”. Li pronunci tutti, insistendo molto sulle doppie consonanti, schioccando la lingua a ogni sillaba tronca.
D’un tratto, un piccolo volumetto inizia a lampeggiare alla tua vista. Non lampeggia davvero, però è giallo. Un intenso giallo misto a nero, con la copertina retrò, edizione Urania, quasi sicuramente autore italiano. Infatti, è un titolo che non hai mai letto prima: “Il gioco degli immortali”, autore Massimo Mongai.
Sfogli e annusi anche questo. È un odore inedito per te. Si tratta di una carta ormai estinta, di quelle ancora fatte in un certo modo, rozza ma pregnante. Senti la gonna agitarsi, qualcuno è passato rapido dietro di te smuovendo le merlature del tuo abito.
Quel movimento quasi entropico ti fa serrare la mano che tiene il volume fino a farla chiudere in una presa stretta. È segno che la scelta è stata compiuta. Anche questa volta, è successo.
Sei apparsa bella, invitante e con una storia interessante al tuo interno. Pertanto, il libro di fronte a te ha ben pensato di sfogliarti, ti ha avvicinato, sedotto e toccato fino a portarti con sé.
Siamo noi le vere storie sugli scaffali, ognuno al nostro posto, impilati in ordine solo apparente, divisi per categorie. Sebbene abbiamo la convinzione di poterci muovere liberamente, abbiamo tutti un codice a barre univoco che ci identifica nel profondo e racconta chi siamo o cosa pretendiamo d’essere.
I libri, quindi, coi loro titoli stampati a chiare lettere, stanno lì a scrutarci da lontano, attendono fino a che siamo sufficientemente vicini, prima di colpirci e appropriarsi della nostra voluttà, come predatori nella selva.
E noi rimaniamo con la speranza di essere aperti a metà, divaricati, stirati, spiegazzati, letti, amati, odorati, toccati e sfogliati dalla prima all’ultima pagina.
Non stai davvero ondeggiando le natiche sperando che i clienti di quel negozio osservino la tua mercanzia. Non cerchi visibilità, non desideri attenzioni. Stai semplicemente sculettando, il che significa normalizzare l’idea che i glutei, legati indissolubilmente al bacino, balzino a destra e a sinistra per bilanciare il tuo passo lento e cadenzato, mentre rivolgi uno sguardo alle sezioni narrativa, letteratura straniera, saggistica, psicologia e filosofia, storia, arte visiva, musica e cinema, non necessariamente in quest’ordine.
Normalizzare, tuttavia, non equivale a ignorare.
Il sedere c’è e sta effettivamente ondeggiando. Tuttavia, la tua testa pensa ad altro, libera di tuffarsi tra i vari titoli che incroci nel tuo campo visivo. Una raccolta di poesie di Borges cattura inizialmente il tuo sguardo. Allunghi un dito in modo delicato e pigi sull’angolo esterno superiore del libriccino fino a inclinarlo a tal punto da permettergli di cascarti sul palmo della mano. Fai così con molti dei libri che incontri in queste tue passeggiate.
Alcuni anonimi clienti sembrano soffermarsi più del dovuto vicino a te, sfogliando Tolstoj, Nabokov, Calvino e Damasio. Li riconosci perché ti rivedi in loro, nella loro performance estatica, divisi tra coscienza di apparire e desiderio di sapere. Chissà se la tua presenza possa aver contribuito alla durata della loro sosta!
Pare che le loro pupille stiano scorrendo rapidamente una riga dopo l’altra della quarta di copertina, salvo poi interrompere la loro discesa perché catturate dal guizzo armonioso dei tuoi piegamenti mentre raggiungi gli scaffali più in basso. Ti stanno guardando il culo. Non esiste altro modo per dirlo.
Il contrappasso è becero, quasi offensivo della sacralità di quel luogo. Tuttavia, è altrettanto calzante e appropriato; Infatti, metà della letteratura presente in quegli scaffali descrive sostanzialmente il solito circolo vizioso, comune a tutte le grandi storie: Le parole e i pensieri che diventano desiderio, un desiderio che si fa carne, la carne che si fa incontro e l’incontro che genera altri pensieri e parole.
Nel frattempo, il tuo circolo vizioso assume altre forme, altri rituali. Ad esempio, hai l’abitudine di annusare i libri. Più sono grossi, più il tuo naso lì penetra con invadenza. Pensi che la quantità di carta sia direttamente proporzionale all’intensità dell’odore e, finora, non sei mai stata smentita.
I saggi sembrerebbero avere un odore più vellutato, quasi torbato. Invece, i grossi tomi sulla fotografia sono puzzolenti, carichi di petrolio. Non li godi molto.
Il romanzo tascabile ti ricorda un vago sentore di abete, fresco e giovane. Le versioni hard-cover sono come dei camini spenti da poco, umidi e caldi. Le biografie hanno un sentore che giudichi troppo sintetico, le autobiografie invece odorano di rancido. Una volta hai avuto la totale convinzione che un libro di storia medioevale con rilegatura a colla avesse lo stesso odore dell’interno coscia di tua zia, poiché eri solita appisolarti sulle sue gambe quando eri piccola, nelle settimane in cui eri ospite nella loro casa al mare. Forse l’accostamento sensoriale è dovuto al fatto che quella villetta era piena zeppa di libri sul medioevo. Forse la villetta stessa odorava di medioevo. Insomma, non sapresti in quale altro modo descrivere quell’odore.
Così come l’unico modo che hai per descrivere il profumo dei manga è quello delle lampade a olio dei conventi benedettini.
Sei lì da ormai mezz’ora e ne avrai odorati almeno quindici, tutti diversi, senza sceglierne neanche uno. Il punto non è scegliere quello giusto. Il punto è godersi lo spettacolo in attesa che quello giusto compaia in modo autonomo e irruento interrompendo la tua gita, schiaffeggiandoti sul viso e facendoti sentire in colpa per non esserti accorta prima che era lì da sempre e tu te ne sei deliberatamente fregata.
Giungi perfino a lambire i confini della sezione “viaggi”, scorri le dita sui dorsi delle varie guide, toccando il Messico (bella panciuta), Tokyo (polverosa al tatto), Perù (senti il sapore delle foglie di coca sulle gengive), New York (snob radical chic), Islanda (avventura per superare la depressione) e Vietnam (guardi molto Pechino Express).
Poi ti fermi e rivolgi lo sguardo all’indietro. Un uomo sulla quarantina butta giù frettolosamente il suo muso sulla copertina dell’ultima graphic novel di ZeroCalcare. Dietro di lui, come se finora l’avessi deliberatamente esclusa dal campo visivo, c’è la sezione “fantascienza”.
Ti chiama, ti sussurra all’orecchio di raggiungerla e farne brandelli di pagine. Ti accosti a essa e inizi a parlottare muovendo le labbra come durante un esercizio di dizione.
“Heinlein”, “Asimov”, “Russell”, “Kornbluth”, “Van Vogt”, “Rocklynne”, “Bradbury”, “Herbert”, “Dick”. Li pronunci tutti, insistendo molto sulle doppie consonanti, schioccando la lingua a ogni sillaba tronca.
D’un tratto, un piccolo volumetto inizia a lampeggiare alla tua vista. Non lampeggia davvero, però è giallo. Un intenso giallo misto a nero, con la copertina retrò, edizione Urania, quasi sicuramente autore italiano. Infatti, è un titolo che non hai mai letto prima: “Il gioco degli immortali”, autore Massimo Mongai.
Sfogli e annusi anche questo. È un odore inedito per te. Si tratta di una carta ormai estinta, di quelle ancora fatte in un certo modo, rozza ma pregnante. Senti la gonna agitarsi, qualcuno è passato rapido dietro di te smuovendo le merlature del tuo abito.
Quel movimento quasi entropico ti fa serrare la mano che tiene il volume fino a farla chiudere in una presa stretta. È segno che la scelta è stata compiuta. Anche questa volta, è successo.
Sei apparsa bella, invitante e con una storia interessante al tuo interno. Pertanto, il libro di fronte a te ha ben pensato di sfogliarti, ti ha avvicinato, sedotto e toccato fino a portarti con sé.
Siamo noi le vere storie sugli scaffali, ognuno al nostro posto, impilati in ordine solo apparente, divisi per categorie. Sebbene abbiamo la convinzione di poterci muovere liberamente, abbiamo tutti un codice a barre univoco che ci identifica nel profondo e racconta chi siamo o cosa pretendiamo d’essere.
I libri, quindi, coi loro titoli stampati a chiare lettere, stanno lì a scrutarci da lontano, attendono fino a che siamo sufficientemente vicini, prima di colpirci e appropriarsi della nostra voluttà, come predatori nella selva.
E noi rimaniamo con la speranza di essere aperti a metà, divaricati, stirati, spiegazzati, letti, amati, odorati, toccati e sfogliati dalla prima all’ultima pagina.
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