Pornografia del quotidiano - Vol. 4

di
genere
esibizionismo

Il suo nome è Anita.
La descrizione del suo corpo meriterebbe un posto a parte nelle riviste di settore, poiché così bella da rendere quasi stupidi. Anno 1984, si presenta quasi sempre nuda, in tutta la sua magnifica e conturbante fisicità. Le sue tonalità mulatte a tinte mogano sono coperte in parte solo da una placca nera adiacente all’ombelico, vezzo estetico ancora in voga in certi contesti. I suoi fianchi sono generosi e accoglienti, non ingombranti né tanto meno sformati. Le sue dolci curve ipnotizzano e tranquillizzano allo stesso tempo. L’addome, pertanto, si va stringendo in modo elegante, accoglie gli sguardi degli ammiratori più trasgressivi ma allo stesso tempo incute un tenero timore reverenziale. Scorrendo verso la parte alta del busto, il soave profilo dei fianchi si amplia nuovamente, dando sfogo a un torace imperioso e un collo svettante, magnifico, suggestivo. Esso si slancia lungo, sinuoso, abbellito da intarsi e monili distanziati in modo geometrico. Ha un sorriso armonico e ben misurato, cosa molto importante per il lavoro che fa. Emana un istinto quasi materno, se vissuta in un contesto familiare. Altrimenti, la sua capacità espressiva genera emozioni che difficilmente potranno essere scordate.
Già, una bellezza di siffatta natura non si scorda tanto facilmente. Queste parole sono state scelte con cura e cercherò di spiegarvi perché.
Anita è una cantante. Nata e cresciuta in Spagna, figlia di falegnami e artisti. In seno, porta sia le arti che le tecniche, la storia e la mitologia, gli arabi e i celti, il calore mediterraneo e il vigore post-coloniale dei popoli oltreoceano. È cresciuta cibandosi di musica, matematica, amore e politica. Ha un carattere forte, dominante, capace di intortare i migliori strateghi e le peggiori canaglie. Possiede una sottile ma precisa propensione all’amore carnale, eppure è capace altresì di distinguere le grandi escursioni passionali dalle camminate in punta di piedi e con riverenza o dalle solennità dei momenti silenziosi, puri e semplici.
Personalmente, mi sono infatuato di Anita per la sua presenza scenica dirompente, degna di una estasi visiva e uditiva come poche. Tuttavia, è col suo carattere gentile e delicato che mi sono definitivamente innamorato di lei.
Già. Un amore incrollabile, un fuoco che non può essere spento. Un’anima che non può essere estinta, quella di Anita. Circondata da ammiratori, spesso si ritaglia un posto nelle fantasie perverse e ambiziose di quegli uomini che intendono possederla. Molti di questi non ci hanno provato neanche, a dirla tutta: “Troppo sofisticata.” “Preferisco stili più moderni” e così via. I pochi che hanno avuto la fortuna di toccare con mano una qualsiasi delle sue componenti, ne hanno lodato le grandi qualità, sebbene ne avessero raramente saputo cogliere la vera essenza.
Non credo di essere stato un ottimo amante, con lei.
Spesso sono stato volgare, irruento e animalesco. La sua voce e i suoi movimenti sono stati balsamo per le mie orecchie e i miei occhi; tuttavia, è stato grazie alle sue notti di passione con altri amanti che lei ha saputo dare il meglio di sé.
Eh, sì. Ve lo dicevo poc’anzi: Anita è una performer. Il suo scopo nella vita è appagare il pubblico. Spesso, lascia vittime per strada. Quando qualcuno tiene testa ai suoi ardenti desideri e sa trainare il suo entusiasmo, lo spettacolo è assicurato.
Uno dei suoi tanti amanti, al secolo Aldo Emanuele De Lucia, la descrive così in una sua biografia particolarmente apprezzata per le sublimi immagini sinestesiche, cioè capaci di farsi ascoltare pur essendo solo osservate. Vi lascio alle sue calde parole.

“Era la sera del nostro ultimo spettacolo, a Siviglia. Ricordo che gli spalti erano gremiti con il pubblico pagante delle grandi occasioni. Infatti, avremmo iniziato di lì a poco un tour in giro per il mondo, toccando Ciudad de Mexico, Rio, Seoul, Tokyo, New York e Vienna, che ci avrebbe tenuto lontani dai teatri del nostro amato paese.
In prima fila, ricordo che apparve uno dei ministri dell’epoca. Uno dei più odiati e discussi, perché accusato di rubare soldi degli appalti per suo tornaconto. Tuttavia, quella sera lui era solo uno tra tanti, appassionato come tutti e desideroso di ascoltare la soave voce di Anita.
Lei era al mio fianco, radiosa come sempre. Impreziosita da alcuni trattamenti cosmetici per evitare che le luci di scena oscurassero la sua presenza. Avevamo fatto le prove per tutta la mattina. Nel pomeriggio invece, ci riposammo, per lasciar riposare le dita e le corde vocali.

Il pezzo con cui dovevamo esibirci era “la flor azul”, una rivisitazione del famoso brano della splendida Mercedes Sosa, “La Negra” argentina.
Anita era splendida, come sempre. Era legata a me come al suo solito, le asole in pelle nera incastrate perfettamente tra i suoi perni. Manteneva una inclinazione di circa 30 gradi, per ottimizzare il timbro e la comodità d’esecuzione. La sfiorai con i polpastrelli, procedendo lungo tutto il suo profilo, prima di pizzicare le sue corde in modo netto e deciso. Lei quasi sembrò non accorgersene, partì squillante, mentre la mia mano sinistra sceglieva le direzioni che il suo canto avrebbe dovuto prendere.
Ritmo serrato in Re e Sol7, perfetto per un connubio di forza e leggiadria: Un omaggio alla Chacarera del nord dell’Argentina.
Più la sfioravo coi pollici, come a evocare bassi istinti carnali, più la sua calda voce intonava i magici versi. La sentivo ansimare, in preda ai miei cambi tumultuosi, inondati da tempi che si avvicendavano e si intrecciavano. La presi e la girai. Premetti a lungo le sue carni, rivelando una pancia ondeggiante. Schiaffeggiai i suoi fianchi per darle ritmo e incalzai il suo acuto improvvisare. Eravamo un tutt’uno.
Lei gemeva, io godevo e mi mordevo le labbra a ogni nota, a ogni sussulto metrico.
Le mie mani erano come coltello caldo nel burro, le sue corde erano al contrario muscoli tesi e audaci.
Impostavo il ritmo con la mia amante mantenendo una solenne umiltà, prima di venire inondato dalle sue spettacolari partiture virtuose, di cui sarò sempre grato.
D’un tratto, lei mi sussurrò all’orecchio che stava per venire.
Anche io ero pronto a concedermi a quell’orgasmo multi-sensoriale, per cui individuai gli spazi della melodia e li navigai, su e giù. Le mie scale, diteggiate con esperienza, risuonavano in lei come schiocchi di frusta, tagliacarte a dividere un foglio bianco e lucente. Alcune note dissonanti per conferire novità e interesse per stimolare lo sguardo compiaciuto e malizioso di Anita che sembrava suggerire “Ehi, cosa è questa cosa? Rifalla, mi piace…”
Io la rifeci, lei ne godette. Io la incalzai e lei vibrò in un singulto quasi spaventoso, prima di urlare una nota alta, sublime, leggendaria.
Lo scroscio d’applausi ci sorprese anzitempo. Eravamo ancora madidi di sudore per lo sforzo e il godimento.
Ci limitammo a chinare il capo verso il pubblico, prima di reincontrarci con gli occhi.
Anche questa volta ce l’avevamo fatta ed era stato bellissimo.”
scritto il
2024-10-03
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