Non dire il mio nome

di
genere
dominazione

Anche questa sera sono rincasata tardi da lavoro. Da circa un paio di mesi, va avanti così. Mi alzo presto, faccio colazione, vado a lavoro, discuto con i colleghi sulle deadline di fine mese, litigo con il mio capo per via delle troppe cose che sto facendo per ora, infine torno a casa con il fumo che mi esce dalle orecchie.
Stefania, amica storica, mi consiglia di licenziarmi. In realtà, io amo il mio lavoro. È un lavoro di merda ma non riesco a lasciarlo. La nostra generazione nata a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 deve necessariamente pensarla così, no? I nostri genitori potevano permettersi di comprare case da centoventi metri quadri, potevano andare in pensione a sessantaquattro anni, potevano fare figli – almeno due – farsi l’amante, giocare a tennis, votare Berlusconi e ignorare i cambiamenti climatici.
Noi no! Noi dobbiamo stare attenti alla linea, dobbiamo vivere nei monolocali, dobbiamo lavorare (in nero) per buste paga misere ma con una promessa di carriera. Dobbiamo laurearci, abbandonare qualsiasi velleità di costruire una famiglia, aspettare gli sconti all’Esselunga.
Noi donne ancora peggio! Dobbiamo accettare che gli uomini, anche quelli che si professano femministi egualitari, ci insultino nel privato, ci molestino, ci considerino degli oggetti al loro uso e consumo.
Per questo e per altri motivi ho scelto la castità, la totale estraneità dal mondo degli affetti. Faccio da sola, piuttosto; Ogni tanto riesco ancora a masturbarmi, quando ho due minuti di tempo, per conciliare il sonno. Non mi faccio fregare dalle scopate volatili da una notte e via. Lascio quelle robe volentieri alle ventenni di oggi, ancora illuse che la vita possa essere meglio di così, molto più capaci di me di nuotare nel mare della fluidità sessuale, al contrario mio che sono condannata a una vita di eterosessualità disillusa. Forse è per colpa di quel fottuto narcisista del mio ex che sono diventata così spietata, arida e stronza.
Me lo dico da sola: “Paola, sei una stronza!” Stronza perché hai permesso che la vita ti raggelasse, ti mutasse in pietra, ti rendesse una vecchia arida e inconsistente, sempre a lamentarti come se avessi ottant’anni, il culo moscio e la sensualità di un calamaro.
Anzi, forse i calamari se la passano meglio di me. Ci sono intere saghe hentai piene di tentacoli di calamaro che incontrano fiche e buchi di culo, infarcendoli come tacchini. Devo dire, comunque, che quel genere di disegni erotici è talmente ridicolo da strapparmi un sorriso, per cui stasera forse mi dedicherò a uno di quei bei calamari mentre shakera una ragazza giapponese dalle forme succose, pochi minuti prima di addormentarmi.
Per cui, tutto pronto: Lenzuolo fresco e appena lavato, pigiama indosso facile da rimuovere, PC carico con la pagina dei manga già impostata per la navigazione. Scorro un paio di titoli, alcuni davvero buffi. La scelta cade su uno di quelli la cui protagonista ricorda un po’ la mia amica Stefania: Capelli biondi, corti, tette generose e succulente, piedini piccoli e arrossati, sedere abbondante. Proporzioni che solo i giapponesi possono comprendere. Ogni pagina è sempre più spinta, sempre più esplicita. Alcuni disegni sono letteralmente impossibili da immaginare, per via della elasticità presunta di certe parti del corpo, dilatate a dismisura. Nonostante il senso di grottesco, la poca abilità di mano mi permette di eccitarmi lo stesso, complice il caldo avvolgente del pigiama in paille, per cui proseguo con la lettura sempre più avidamente.
Mentre la giovane Hikuro, figlia di un ricco magnate del petrolio, è alla ricerca di una rara pianta curativa per salvare il padre malato, un mostro a sette tentacoli fa la sua improvvisa comparsa nell’antica grotta in cui credeva di poter nuotare, sodomizzandola e facendole capire l’importanza di una dieta a base di pesce. Sto quasi per venire immaginando la viscida proboscide carnosa che fa su e giù per gli orifizi della protagonista, quando improvvisamente clicco per errore su un banner, lasciando che il mio browser si trasferisca in un’altra pagina internet.

“Scopa MILF arrapate a pochi passi da casa tua.”

Certo, sarebbe fin troppo facile. Prima di tutto, non sono una MILF, né sono alla ricerca di una MILF. Secondo, non credo ci sia nessuno che scoperebbe qualcun altro nei dintorni di casa mia, essendo un vicinato composto per lo più da pensionati ottantenni. Terzo, mi chiedo come sia possibile cascare in questi annunci truffa. Sono consapevole che il maschio medio sia stupido abbastanza da cascare nelle truffe su internet, specie se per scopare, ma questo mi sembra un tantino troppo pretenzioso.
D’un tratto, partorisco una idea malsana.
Se è vero che gli annunci truffa della “MILF vicino casa tua” siano assolutamente ignorati da tutti, poiché nessuno ci crede, cosa succederebbe se ne inventassi uno?
Un semplice banner, uno soltanto, lasciato appositamente in uno dei siti più beceri e ignobili che ci sia, con il solo obbiettivo di fare qualche centesimo ogni mese. Uno scherzo, una specie di piccolo inutile riscatto morale che mi faccia vivere la vita un po’ meno meschinamente di quanto faccia per ora. Qualcosa di segreto, che possa sapere soltanto io. Uno sfogo per cui fantasticare la notte, senza fronzoli. Una cazzata in onore dei vecchi tempi, in cui mi bastava essere ubriaca a una festa di laurea o mezzo tiro di hashish sugli scogli d’estate in compagnia degli amici del liceo per considerarmi felice.
Un vaffanculo a questa vita di merda, fatta solo di scadenze, diritti negati, pregiudizi e odiosi perbenismi.

Decido quindi di scattare un paio di foto per questo mio progetto malsano. Due foto fatte davvero male, con il pigiama sollevato e le mammelle ballonzolanti, per niente sensuali. Dopodiché, un paio coi pantaloni calati e il culo a ponte. Mi assicuro che si veda un po’ di pelo ma senza ano, così da lasciare spazio all’immaginazione. Rispolverando le mie carenti conoscenze di photo-editing, creo un rettangolo verticale costituito dalle mie tette e dal culo mezzi sgranati, su cui sopra appare una scritta schifosamente finta:

“Fatti insultare da donne normali”

Mi sembra perfetto. Ignorante, satirico, sfacciatamente finto e deprecabile. Non ho mai lasciato mie foto erotiche in giro per internet ma questa cosa sembrerebbe assolutamente impossibile da ricondurre a me, per cui mi sento abbastanza “safe”. Inoltre, lascerò questo piccolo rettangolo in un luogo totalmente inabitato, per cui rimarrà soltanto un gioco perverso fine a se stesso. Leggendo su internet come si creano annunci pubblicitari, mi rendo conto che per realizzare questa cosa occorre che paghi uno spazio. Una piccola cifra, vista la modesta quantità di pixel che devo occupare e il tipo di sito su cui devo farmi pubblicare. Devo inoltre specificare alcuni dettagli economici che qui vi risparmio. Non contenta, creo una pagina html dove le persone possano effettivamente compilare una formale richiesta di contatto. Una pagina bianca scarna dove poter lasciare un messaggio e un indirizzo a cui si può venire ricontattati.

La notte passa in fretta. Una volta terminato il lavoretto, mi rendo conto che sono già le tre di notte, non ho avuto alcun orgasmo neanche stavolta (stronza!) e domani mi devo svegliare presto.
Per cui spengo il PC e inizio a dormire.

I giorni procedono come al solito. Solita frenesia, solita incazzatura, soliti aperitivi insulsi con le amiche che parlano dei loro futuri matrimoni. Mi rendo conto di essere inutilmente invidiosa. Non è da me. Non dovrei essere così.
Forse sono depressa. Il mio internet banking mi informa che ci sono stati alcuni movimenti nella carta, nell’ultima settimana. Cazzo. Vuoi vedere che ho lasciato che entrassero nel mio conto, che rubassero tutto? Controllo meglio e scopro che il mio conto è aumentato di quasi duecento euro.
Come è possibile?
Scorro la lista movimenti e scopro di aver collezionato gettoni di guadagno per via dei click sul banner. Lo shock mi pervade. Duecento euro a settimana significa circa trenta euro al giorno, è quasi la metà di quello che guadagno col mio lavoro normale, senza fare nulla.
Apro quindi la pagina che avrebbe dovuto raccogliere tutte le istanze degli utenti che hanno cliccato sul banner e trovo una lista insolitamente lunga. Ammetto di essere un po’ spiazzata.
Sono tanti, molti di più di quanto pensassi. In verità, pensavo che non accadesse proprio nulla. Invece mi ritrovo decine di messaaggi. Alcuni chiedono di incontrarmi per farsi insultare mentre si masturbano, altri propongono scambio di foto. Altri ancora sono disposti a pagare per una sessione privata. Altri ancora descrivono con sincera fantasia quello che desiderano fare con alcune mie parti del corpo che neanche sapevo di possedere.
Mi fermo quindi a riflettere su quanto stesse accadendo. Sono la finta protagonista di un vero scherzo? Oppure sono la vera protagonista di un finto annuncio? Oppure entrambi?
Sono diventata una imprenditrice del sesso? O semplicemente sto ricevendo molestie sessuali su internet? Quanto di questo è vero? Quanto solo illusione?

Decido che lascerò stare il sito, per il momento, cercando di non pensarci.
Intanto, le settimane passano e il conto continua a gonfiarsi. Niente di esagerato, ma le entrate procedono costanti. Le richieste si fanno sempre più esplicite. Una sera decido di scaricare alcuni allegati provenienti dagli utenti (avevo effettivamente lasciato la possibilità che mi contattassero includendo allegati, cosa di cui mi sono resa conto soltanto dopo).

Il settantacinque per cento dei contenuti è costituito da foto di cazzi in erezione. Alcuni mi chiedono di dare un voto al loro membro. Altri mi implorano semplicemente di mortificarli esprimendo giudizi negativi sulle loro dimensioni. Altri invece si impegnano a descrivere dove avrebbero collocato il loro membro, per quanto tempo e con quale intensità, se mi avessero avuta davanti.
Il più divertente di tutti è stato un signore di cinquant’anni, con la pancetta da birra e un pene di discreta fattezza, probabilmente già avvezzo a quel tipo di approcci, per chiedermi se mi andasse di assaggiare del buon formaggio di capra abruzzese. Effettivamente, la foto lo ritrae nudo, seduto su uno sgabello in legno, il cazzo in mano in erezione con le vene ben rappresentate, tutt’intorno a dei prosciutti e delle forme di formaggio. È probabilmente il suo caseificio. Lui “lavora” in quel posto. È forse il proprietario di quell’azienda. Sta lì, mostrando la sua mercanzia con adorabile semplicità.
Lui è il primo a cui decido di rispondere.
“Mi spiace, sono intollerante al lattosio.”

Qualche ora dopo, ricevo un messaggio. “Abbiamo anche prodotti senza lattosio. Ti faccio uno sconto del 50% se porti quel tuo bel sedere qui.”
Volete saperlo? Sono un po’ tentata. Sembrano davvero dei bei formaggi, inoltre i casari hanno la nomea di bei scopatori (non chiedetemi come lo so). Decido comunque di mandarlo a cagare, scrivendogli che il suo formaggio era così puzzolente che se avessi scorreggiato sulla sua faccia avrebbe sentito per la prima volta aria fresca. Mi ha risposto il giorno dopo dicendo “grazie, sei fantastica.” accompagnato da una foto di un primosale su cui aveva appena sborrato.
Mi sono sentita improvvisamente potente.

Il giorno dopo è la volta di un ragazzo, probabile trentenne, quindi pochi anni meno di me. La sua richiesta è chiara: Vuole incontrarmi in hotel, a sue spese. Vuole che io lo guardi in silenzio mentre si masturba. È disposto a darmi trecento euro cash, metà all’inizio e metà alla fine. L’hotel si trova a pochi km di distanza da casa mia. Nella peggiore delle ipotesi, questo ragazzo è un serial killer e io sono la sua prossima vittima. Nella migliore delle ipotesi, è il fratello di qualche mia amica con cui si potrebbe creare un forte imbarazzo. Poi, ci sono tutte le situazioni intermedie. Tuttavia, la questione economica è rilevante.
Non fraintendetemi, io non avrei mai chiesto soldi. In realtà, io non chiedo proprio nulla. Sono loro che si fanno avanti. Io non intendo farmi sfiorare proprio da anima viva né intendo concedere foto erotiche o visioni celestiali delle mie pudenda a sconosciuti.
Tuttavia, è etico assecondare la loro follia invereconda per mio vantaggio, divertendomi?
Secondo me sì. Sono furiosa col mondo ed è giusto un po’ di rivalsa.

Devo farmi furba, tuttavia. Devo fare in modo di non essere riconoscibile. Devo viaggiare con macchine a noleggio o con mezzi pubblici. Devo impedire che possano rintracciarmi o pedinarmi. Questo sottobosco di pervertiti è fatto per gran parte di gente repressa che non farebbe male a una mosca ma alcuni di loro potrebbero manifestare comportamenti un po’ più aggressivi. Decido quindi di comprare anche uno spray al peperoncino e impostare le mie chiamate di emergenza e i localizzatori sempre attivi.
Accetto la proposta e al giorno stabilito mi reco all’hotel scelto dal giovanotto.
Un hotel di una località turistica piuttosto nota, ben tenuto. L’accordo è che lui si faccia trovare già in camera, il cui numero mi verrà comunicato a tempo debito. Avrebbe tenuto la porta aperta e io sarei dovuta entrare in stanza all’orario stabilito, vestita normalmente, con indosso una maschera. Lui si sarebbe dovuto far trovare già nudo e non avremmo dovuto proferire parola.
Faccio tutto come da programma, sperando dentro di me di non stare per compiere una enorme cazzata. Sono genuinamente eccitata, non tanto per la cosa in sé, quanto per tutto il resto: l’anonimato, il segreto, la trasgressione, il senso di potere, la spinta a evadere dal quotidiano. Arrivo in hotel e mi dirigo verso gli ascensori. Camera 308. Mentre raggiungo il terzo piano, sistemo la borsa, estraggo la mascherina (una classica veneziana nera di tessuto) e infine raggiungo la porta della camera. Il cuore mi batte all’impazzata. Avrei potuto girare i tacchi e andare via, invece decido di perseverare.
Accosto la porta con la mano, rendendomi conto che è effettivamente lasciata aperta.
Quindi è tutto vero.
Do uno sguardo a distanza. Vedo dei piedi sbucare in fondo a corridoio, capisco che è disteso sul letto. Capisco che mi sta aspettando.
«Sei tu?» chiede il ragazzo.
«Zitto, deficiente.» rispondo io.
Il ragazzo, da quel momento, non proferisce parola alcuna. Rimane sdraiato sul letto mentre io mi avvicino. Lo guardo in volto. È uno sconosciuto mai visto prima. Ho timore che possa ricordarsi di me se mi incontrasse per strada, per cui scelgo di tenere i capelli all’insù, nonostante non sia una capigliatura che porto spesso.
Il suo pene sussulta. Vedo che è eccitato. Inizia a menarselo con vigore. Come da contratto io devo stare seduta a guardarlo, finché non ha finito.
«Dove sono i soldi?» lo interrompo bruscamente. Lui mi indica un tavolinetto. Mi avvicino al tavolinetto e raccolgo sei banconote da cinquanta euro. Il testa di cazzo aveva lasciato la cifra intera. Sarei potuta quindi andare via in quell’istante, lasciandolo con il cerino in mano.
«E il resto?» chiedo io, fregandomene dell’etica, del senso di rivalsa e del pudore.
«Il resto dopo!» dice lui, con la voce tremante.
«Ti ho detto di non parlare.» ribadisco io, mentre infilo i soldi nella borsa e mi siedo, senza distogliere lo sguardo.
Il ragazzo inizia a masturbarsi, lentamente. Come da accordi, devo apparire supponente e umiliante. Per cui, ogni tanto faccio alcune espressioni di disgusto e distolgo lo sguardo. Lui risponde con gemiti di soddisfazione. Il suo pene è ormai teso e operativo.
Devo essere sincera? Il cazzo del casaro era molto più seducente. Stagionato come i suoi prodotti ma ben tenuto, vissuto. Questo qui invece sembrava più sottile, aveva un glande insolitamente grosso, come la testa di un fungo. Era oggettivamente più lungo di altri, ma a essere sincera non sono mai stata attratta dalle lunghezze. Ho sempre preferito gli uccelli con un certo carattere. C’è anche da dire che il ragazzo è magro, asciutto. Lo vedo quindi allungare la mano verso un cofanetto, senza smettere di malmenarsi. Una volta aperto, estrae una specie di dildo le cui fattezze non sono per nulla somiglianti a quelle di un pene umano. Sembra piuttosto un tentacolo.
Sorrido. Il tizio sta per fiondarsi nel culo venti centimetri di tentacolo, pieno di ventose.
«Stai ridendo di me?» chiede l’uomo, goffamente, mentre spinge il tentacolo a fatica.
«Si.» rispondo io, impassibile.
«Bello, mi piace.» dice lui.
Effettivamente, quel cazzo di tentacolo riesce a penetrare per almeno dieci centimetri. Rimango quasi sorpresa. È la cosa più simile a un hentai che abbia mai visto nella mia vita. È una scena patetica, surreale, irrazionale.
Un po’ inizia a piacermi, per cui guardo con maggiore intensità quel piccolo povero uomo, completamente abnegato per il piacere sessuale, allietarsi nel modo che gli riesce meglio.
«Al solo tuo ordine io verrò.» dice lui, mentre non accenna a smettere di menarsi l’uccello e tritarsi l’ano.
«Beh, allora fallo.» dico io, forse troppo shoccata per inventare qualcosa di diverso.
Non ho mai assistito a uno schizzo così grande in vita mia.
Il ragazzo sembra aver prosciugato il suo intero corpo con quei fiotti di sperma, fin quasi a toccare il soffitto.
Ne ho contati almeno quattro. Il tentacolo è nel frattempo scivolato via, lasciando l’orifizio anale del ragazzo ancora boccheggiante. La verga pulsa come se fosse in preda alle convulsioni.
Mi alzo. Voglio andare via. Non credevo mi sarei sentita così. Sono letteralmente pervasa di emozioni contrastanti.
Il ragazzo, nel frattempo, geme come un piccolo maialino, assorto nel suo piacere. Riesce a dirmi con voce soffocata. «Grazie. Sei stata stupenda. Il resto è si trova nella tasca dello zaino!» Mi dirigo verso il suo zaino e rovisto un po’ finché non trovo altre sei banconote da cinquanta euro. Senza batter ciglio, prendo i soldi e lo guardo ancora una volta, il mio volto sembra comunicare sdegno e umiliazione ma in verità sono soltanto smarrita perché non so cosa pensare.
«Come ti chiami?» dice l’uomo, ancora disteso a letto, paralizzato dall’estasi.
«Non te lo dico neanche per sogno, idiota.»
«Ti prego, dimmi un nome! Uno qualsiasi andrà bene.»
Dopo qualche attimo, qualcosa mi balena in testa: «Io, per te, sono Hikuro.»
«Grazie mille, Hikuro.»
«Non dovrai pronunciare mai questo nome.»

Esco senza salutare e mi dirigo verso l’uscita. Una volta lontana, inizio a correre. Sono ansimante ed eccitata. Raggiungo la macchina che ho noleggiato e mi chiudo dentro. Mi sento morire.
Ho raggiunto la grotta del calamaro e ne sono uscita un fritto misto. Adesso, torno a casa.

djhop3128@hnbjm.dpn
scritto il
2024-07-11
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