Vite parallele - 03 Miserie e incanto

di
genere
gay

“There are caravan we follow
Drunken nights in dark hotels
When chances breatle between the silence”
(Elton John, The one, 1992 Ed. Mca)

“Alex! , ora è mamma a chiamare, possibile che in questa casa non si possa mai stare in pace? – ricordati di prendere le borse di plastica; non devi comprarle nuove ogni volta!”
“Che palle! Si, si le prendo: stai tranquilla!”
Corro in bagno a lavarmi la faccia e – già che ci sono, non si sa mai – faccio dei gargarismi col collutorio, poi scendo al piano di sotto.
Albe, che nel frattempo ha preso i borsoni, aspetta davanti al box: sono molto orgoglioso della mia vetturetta, una Y10 bianca con il bordino azzurro che, partendo dal cofano, segue il perimetro della carrozzeria stilosa estendendosi sotto i vetri.
Dopo mesi di insistente pressing psicologico, mamma me l’ha finalmente comprata: ovviamente è di seconda (forse anche di terza) mano e ha qualche problemino alla carrozzeria: (un finestrino bloccato, il portellone bagagli che non resta aperto ecc. ecc.)
Inoltre, quando piove forte, cosa che in valle succede spesso, si blocca inspiegabilmente: tuttavia l’ho fortemente voluta per il suo design e soprattutto perché da ragazzino adoravo la pubblicità della Y con la donna robot delle tette a punta nella città del futuro.
“Wow che bella macchinina di classe, proprio da ricca signora annoiata!” è il primo commento di Alberto.
“Ma vaffa!”
Saliamo a bordo ridendo e percorro con prudenza il primo tratto, stretto e in discesa, che porta alla statale.
“Ehi siamo ricchi socio: abbiamo ben 120.000 lire da spendere!”
“Precisiamo: tu ne hai 20 e io ne ho 100 con i quali devo fare il pieno, la spesa e, ti ricordo, anche ricomprare lo stock che ti sei scolato come un’idrovora!”
“Che ci siamo scolati prego! Comunque hai ragione non sono tanti se consideri che ho voglia anche di vodka, un pacchetto di sigarette vere e qualche sfizio.”
“Ho paura! Cosa intendi per sfizio?”
“Come sei prevenuto! Cose assolutamente innocenti: una t-shirt, un costumino; non me lo sono portato e tu non avevi accennato ad un giretto al lago?”
“No caro: io ti avevo proposto una gita in montagna!”
“Cosa cambia è lo stesso no?”
L’asfalto si srotola come un tappeto grigio davanti alla mia andatura moderata – sono sempre molto prudente alla guida – e continuiamo a parlare
“Considerato che sono ormai le 9.30 e dobbiamo tornare al massimo entro l’una e mezzo, propongo di fare prima la spesa, poi la benzina e, valutato quanto ci resta, dedicarci agli sfizi!”
“Sei così noiosamente pianificatore tu?”
“Si, sono così!”
“Allora siamo complementari: io preferisco sempre essere travolto dagli eventi!”
Mi viene naturale allungare una mano verso il ginocchio: ha la pelle chiara e lievemente fresca.
“Che cazzo fai? Sono mica frocio io!” e rimette con decisione la mia mano sul volante.
“Dai, stavo scherzando, ci sei rimasto male? Comunque hai ragione tu: facciamo prima la spesa, però per alcuni prodotti lascia fare a me, tu stai solo attento!”
“Attento a cosa?”
“Lo vedrai al momento giusto!”
“Sai che sei davvero strano?”

Pochi minuti dopo, parcheggiata la cucciola davanti l’ingresso, siamo dentro lo store con il nostro bravo carrello.
“Dammi la lista! Ok iniziamo con le cose pesanti: prima acqua e bibite”
“Ma sono in fondo verso l’uscita: la prendiamo alla fine, no?”
“Cosa ti ho detto prima?”
Lo seguo osservandolo caricare sul carrello due casse d’acqua e una di cedrata per poi dirigersi verso la zona super alcolici.
“Hai uno strano modo di fare la spesa!”
Altezzoso, con lo sguardo rivolto verso l’alto, non si degna di rispondere limitandosi a mettere nel carrello due bottiglie di stock 84 e ben tre della marca più cara di vodka.
“Queste le offro io” afferma in tono enigmatico “prego signorina, continui pure con la sua spesa”. Ride.
La lista di mamma, redatta in base alla disposizione delle merci in quel supermercato, ove, peraltro, andiamo sovente, è molto precisa e ci sbrighiamo in fretta.
“Aspetta, che ne dici se prendiamo del gelato?” chiede Alberto, con gli occhi attenti e un mezzo sorriso.
“Può essere una buona idea, che gusto ti piace?”
“A me piace tutto, scegli tu: ecco guarda quanti ce ne sono!” apre il vetro scorrevole del grande freezer.
Veloce si china verso il carrello, solleva le estremità opposte della confezione d’acqua e, prese due bottiglie, ne versa il contenuto dentro al freezer dei gelati lasciando all’interno le bottiglie vuote.
Poi si china e, con altrettanta destrezza, afferra le vodke: fingendo di scegliere le vaschette di gelato ne versa il contenuto nelle bottiglie d’acqua vuote che, lestamente, ricolloca nella confezione originale.
Spostandosi sul lato opposto del freezer gelati, compie la medesima operazione questa volta con stock e cedrata.
Le bottiglie di superalcolici vuote giacciono abbandonate nel vano gelati coperte alla meglio da qualche vaschetta.
Tutto si è svolto con una rapidità quasi ipnotica: sono esterrefatto.
“Sei proprio lento sai? Ma quanto ci metti a scegliere un gelato? Su andiamo vorrà dire che lo compreremo in gelateria al tuo paese: quello artigianale è anche più buono!”
Non so perché, anzi lo so benissimo, ma inizio ad avere una paura fottuta.
“Eccoci: andiamo alla cassa 2, quella con la cassiera anziana.”
Mentre sono paralizzato, sfodera il suo sorriso migliore: “Buongiorno signora, ecco la tessera. Devo mettere su le casse?”
“No lasci pure giù: ho qui i codici”
“Grazie e complimenti per la pettinatura!”
“Che caro, le piace? L’ho fatta stamattina, sa domani si sposa mio nipote!”
“Allora tanti tati auguri! Alex caro, scusa, puoi darmi una mano con le borse?”
Non so se sbellicarmi dalle risate oppure essere indignato: probabilmente entrambe le cose, ma non ho il tempo di vagliare queste opposte sensazioni, perché Albe è un ciclone.
“Su, veloce con le borse! e poi via, cambiamo aria: ce lo siamo meritati o no, un bel caffè con una siga di quelle giuste?”
Provo a fare il duro: “Sono basito per il tuo comportamento! Ma ti rendi conto o no che abbiamo rischiato di farci arrestare?”
“Come la fai lunga! Io invece penso che per te sia stata, in un certo senso, un’esperienza eccitante: hai bisogno di iniziare a vivere invece che ingobbire sui libri! O no?” e si avvicina dandomi un morso all’orecchio destro rischiando quasi di farmi sbandare.
Ha lo straordinario, dolcissimo potere di turbarmi non solo fisicamente.
“Fermati qui all’angolo, al bar tabacchi. Quali sigarette vuoi? Offro io!”
“Lo sai che non fumo e poi… intendi rubare anche queste?”
Scende senza rispondere.
Torna lanciando, nel finestrino aperto, un pacchetto di muratti ambassador “Ecco queste sono per te, vecchia signora, per me invece lucky stryke da vero uomo!”
In fondo quello che mi piace (o mi fa impazzire?) di lui è anche il suo atteggiamento decisamente spaccone che, intuisco, nasconde sofferenza e tanta fragilità.
Un bullo tenero, a tratti clownesco, dall’anima opaca.
“Non ci crederai ma le muratti sono le sigarette che fuma mia zia Angela: meglio così, almeno invece di buttarle gliele regalo! Devo fartela conoscere perché è un personaggio davvero originale!”
“Non vedo l’ora: comunque io il pacchetto l’ho preso per te!”
“Ma io non voglio prendere il vizio!”
“Di vizi ne hai già tanti: cosa vuoi che cambi uno di più?”
“Fottiti!”
“Che si fa adesso?”
“Facciamo benzina e poi torniamo a casa, no?”
“Ma tu sei sempre così tanto “bravo ragazzo” che ubbidisce agli ordini di mamma? Non ho voglia di tornare in quel buco di culo di Ronchi Alpese!”
Nemmeno io ho voglia di tornare a casa, il tempo trascorso insieme noi due soli ha una qualità speciale, un’intensità inebriante e seducente.
“Fammi pensare… ecco, ci sono, potremmo andare verso il confine e fare benzina che costa meno. Non lontano da lì c’è un piccolo centro termale, con le piscine all’aperto circondate dalle montagne, dove hanno anche l’ingresso orario e possiamo rilassarci un’oretta.”
Si mette a saltellare sul sedile “Wow! Fighissimo!”
“Ci sono due problemi però! Primo ci vogliono cuffia, ciabatte e costume che non abbiamo. Secondo: un’ora costa ventimila e non ci bastano i soldi.”
“Cazzo! Sempre i soldi, tutto solo con questi sporchi, maledetti soldi! Potremmo, diciamo così, “investire” 10.000 lire in gratta e vinci, sento che è un giorno speciale!”
“Chi nel gioco spera soccorso, metterà il pelo lungo come l’orso!”
“Sei più vecchio di mia nonna! Dove possiamo comprare dei gratta & vinci in questa città?”
“Il posto più vicino è in stazione!”
“Ok, allora andiamoci subito.”
“Non avrai mica in mente qualche strana idea? Guarda che per oggi abbiamo già rischiato abbastanza!”
“Ehi, ma per chi mi hai preso! Te l’ho detto: oggi sento dentro un’energia, un fluido diciamo molto intenso. Dammi il deca e aspettami in macchina, vedrai che torno con almeno 100 sacchi.”
A malincuore sgancio i soldi e lo osservo entrare in stazione.

L’atrio è ampio e poco affollato a quell’ora.
Alberto si guarda intorno, memorizza, con la precisione di un radar, la posizione del bar e varchi d’uscita, poi, a passo veloce, si dirige verso i bagni.
Non gli piace quello che sta per fare, ma non è la prima volta e non sarà l’ultima.
Anzi oggi è diverso rispetto al passato: lo sta facendo per un optional e non per necessità come nei mesi in cui, lasciata la casa paterna e quella troia della matrigna, ha vagabondato per qualche mese.
Ovvio certe cose non si possono raccontare, soprattutto non si DEVONO raccontare ad una come sua nonna che, se solo immaginasse, ne farebbe una malattia.
“Non uccido mica nessuno” dice tra se e poi serve per passare una bella mattinata con Alex che, sebbene sia decisamente tonto e irrimediabilmente addormentato con i suoi libri, il suo latinorum e gli amori romantici è simpatico.
Sa bene di aver totalmente sconvolto il suo mondo in meno di ventiquattro ore e quasi presagendo, in modo vago, la rovinosa caduta dai picchi dell’euforia, pensa che sarebbe bello, a titolo di riparazione psicologica preventiva, potergli offrire l’ingresso alle terme e magari anche gli accessori.
Perso in siffatti pensieri, si avvicina all’orinatoio: ve ne sono cinque e, volgendo il viso affilato nell’una e nell’altra direzione, si posiziona in quello centrale.
Arriva un tizio sui 30 anni con una t-shirt a strisce che, fatte le sue cose, si allontana subito.
Trascorre qualche istante senza che accada nulla a parte il gocciolio di un rubinetto mal chiuso, gli annunci in sottofondo dei convogli in arrivo e partenza e un persistente odore di disinfettante che inizia ad infastidirlo.
Poi, eccolo lì il tipo giusto – Albe lo inquadra al volo – arriva uno sulla cinquantina: camicia a quadri con pancetta, pantaloni di lino grigi, mocassini neri: a giudicare dall’abbigliamento deve essere un turista.
Si posiziona nell’orinatoio alla destra di Albe che, allungato il collo, prima getta un occhio indiscreto seguito da un impercettibile colpetto di tosse e da un mezzo sorriso; con la punta della lingua, appena affiorante, percorrere le labbra sottili.
Sorride anche il ciccio: ha abboccato.
Senza parlare, sfiorandogli solo la spalla, Alberto indica con lo sguardo il bagno con la serratura lì a due passi, precedendolo dentro.
Fortuna che non c’è nessuno.
Si posiziona a gambe leggermente divaricate sul fondo dell’angusto vano, iniziando ad accarezzarsi pesantemente il pube, sollevando di tanto in tanto lo scroto con il palmo piegato sotto.
Non è facilissimo farlo indurire: questa mattina è già venuto una volta ed inoltre lo pseudo turista, dai capelli unti schiacciati di lato, è davvero un cesso.
“Allez, viens ici!” lo esorta languido
Il porco obbedisce subito: sta già sbavando, visibilmente eccitato, a fissargli il pacco.
Gli fa cenno di chiudere la porta e, voilà, mentre la vittima del giorno compie una leggera torsione per accertarsi di avere ben inserito la sicura, gli sfila il portafoglio.
Un gioco da ragazzi, fin troppo facile con uno sfigato simile!
Si lascia spompinare un po' – in fondo il poveraccio se l’è meritato poi, sfoderando un francese ineccepibile – la classe non è acqua - si china premuroso con tono innocente, sussurrando: “Je suis désolé, mais je dois y aller, mon train arrive!”
Rapidissimo spalanca la porta con il tipo ancora a braghe calate e si allontana, correndo all’esterno, verso l’auto dell’amico.

“Allora, abbiamo vinto?”
“Si! Te l’avevo detto che c’ho il fluido oggi? Sbrigati metti in moto così di ore alle terme magari ce ne facciamo due, invece di una!”
“Figo! Dobbiamo prima comprare gli accessori però! E dimmi: quanto abbiamo vinto?”
“A maggior ragione allora, metti in moto e fila! Non so quanto abbiamo vinto, ma sicuramente ci basta!”
“Scusa – chiedo perplesso entrando con cautela nella rotonda che dalla stazione porta verso la statale – ma SE hai vinto, come fai a non sapere QUANTO hai vinto?”
“Aspetta, adesso te lo dico!” apre il suo zainetto nero estraendone un portafoglio marrone, gualcito e rigonfio.
Guardo un po' la strada e un po' il mio passeggero: un inquietante sospetto sta affiorando al livello della coscienza.
Imperturbabile Albe si mette a contare: cento, duecento, trecento, venti, quaranta, sessanta, cinque: “Cazzo, socio! Abbiamo 367.850 lire, siamo praticamente ricchi! Non sei contento?”
Il sospetto si va facendo certezza: “Alberto! Non esistono premi da 367.850 lire! Cosa hai fatto?”
“Sei contento o no che possiamo spassarcela insieme?”
“Ti ripeto la domanda: COSA hai fatto?”
“Se proprio vuoi saperlo si chiama “redistribuzione del reddito”! Guarda che stai parlando con un futuro ragioniere!”
“Dimmi che non è vero!”
“Alex, caro? cos’è in fondo la realtà se non una continua finzione tra due abissi?” risponde mettendosi ad armeggiare nervoso con il finestrino.
“Non mi prendere per il culo, hai capito?” inchiodo a bordo strada quasi rischiando di essere tamponato dal furgoncino rosso che avevamo dietro.
“Ma te sei fuori? Che cazzo fai, jakufumna?” queste gentili parole vengono accompagnate da un sonoro colpo di clacson e da un inequivocabile dito medio.
Con le mani strette al volante tremo per lo spavento, il respiro affannoso; Alberto scende dalla Y e, schiena poggiata sul retro, si accende una sigaretta.
Siamo fermi su una piccola piazzola della statale che conduce al confine; poco oltre il guardrail il terreno erboso declina ripido.
“A che gioco stai giocando? Non sono abituato a frequentare ladri e impostori e non intendo certo iniziare oggi! Non voglio rovinarmi la vita! E non voglio che nemmeno tu te la rovini, hai capito?” gli urlo avvicinandomi.
“A parte che io l’ho fatto anche per te, comunque non ho fatto nulla di male; anzi a pensarci bene ho reso un servizio!”
“E tu questo me lo chiami rendere un servizio? Ma cosa cazzo hai nella testa?” grido sventolandogli il portafogli davanti agli occhi.
Alberto l’afferra gettandolo nel dirupo oltre il guardrail. “Ma cosa cazzo ne sai tu della vita vera, principino dei miei stivali? Suca minchia represso! Bello avere la pappa pronta, la cameretta rifatta, la macchinina stilosa vero? La vita non è così semplice per tutti, prima o poi lo capirai! E dovrai svegliarti, imparare a cavartela da solo come ho fatto io! Perché fuori del tuo paesino del cazzo e della bambagia in cui ti hanno cresciuto c’è la vita vera, che è spietata credimi!
“Homo hominis lupus.”
“Sei insopportabile con questo latino di merda! Comunque io volevo solo passare due ore speciali con te. Due ore belle senza problemi, senza pensieri, senza la costante preoccupazione dei soldi che non bastano mai!”
“Questo non giustifica quello che, a tutti gli effetti, è un furto in piena regola!”
“Il tipo se l’è cercata!”
“Non capisco.”
“Ero nel bagno della stazione, lui mi ha seguito e ho capito subito che cercava una certa cosa! L’ho accontentato: in questo mondo tutto ha un prezzo, soprattutto il piacere!”
Avverto un groppo in gola, duro che scende ad attanagliare lo stomaco in una morsa gelida.
“Quindi, proseguo con voce incerta, tu ti vendi e poi rapini i tuoi amanti? Su, dai rapina anche me allora!”
Il suo schiaffo arriva improvviso e forte.
La mia guancia è rossa e accaldata, fisso Alberto: il sole è alle sue spalle, con un filo di barba che, ispida, inizia a crescere sul viso affilato, sembra una maschera funesta.
Ha gli occhi lucidi.
“Sei proprio uno stupido, se non ti rendi conto che con te è tutto diverso.” mormora piano.
Lo abbraccio stretto; è leggermente più alto di me: con il viso poggiato sul collo poco sotto la mandibola, aspiro il suo odore.
Ha il suo lievemente girato verso il dirupo.
È una questione di chimica, forse, o di chissà cos’altro: prendo a baciarlo sotto il mento per poi risalire, avido, verso la bocca.
Alberto si volta abbandonandosi al bacio: le nostre lingue, si scontrano, si avvinghiano, affondano l’una nell’altra.
Le lacrime si mescolano ai sorrisi.
Sento che sta succedendo qualcosa di enorme.
Dopo la miseria, l’incanto.

Fine 3° episodio
di
scritto il
2024-09-05
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