Schiava bianca condivisa (parte 3)
di
Kugher
genere
sadomaso
Il tepore del letto li avvolgeva mentre le braccia di lui la tenevano stretta.
Il sentimento che in quei due anni era lentamente e inaspettatamente cresciuto aveva dato ancor più forza ai momenti di dominio che, al termine, lasciava le loro anime scaldate e cullate dalle carezze sulla pelle.
Non vi era contraddizione alcuna tra i segni della frusta sulla schiena della donna e le parole intime pronunciate sottovoce nella penombra artificiale diurna, quando il petto di John aderiva alla schiena di Ambra mentre, stesi sul fianco destro, le braccia dell’uomo li teneva saldati assieme.
Era lo stesso lato della loro personalità visto da due prospettive diverse.
Il sentimento si era fermato sulla soglia dell’amore avendo trovato la porta chiusa per entrambi. La serratura blindata non impedisce che le emozioni siano comunque forti e lascino in entrambi la necessità di cercarsi e parlarsi pur senza alcun legame esclusivo.
Non aveva importanza ciò che le parole trasmettevano con la complicità tipica di chi confida un segreto, così da sentirsi destinatari esclusivi di qualsiasi pensiero avessero condiviso.
Parlavano tra loro e di loro. A volte il sussurro sconfinava nell’appisolamento per riprendere al sopraggiungere della veglia come se questa non avesse interrotto nulla.
Appena Ambra era entrata in casa, prima di spogliarsi e inginocchiarsi davanti all’uomo, aveva notato sul tavolino all’ingresso la cornice d’argento che gli aveva regalato e che lui aveva riempito con una loro foto. Aveva scelto un selfie che si erano fatti a Firenze.
Non gli aveva detto nulla. Lo avrebbe fatto più avanti. Sapeva quanto fosse sincero e importante quel gesto che avrebbe potuto sembrare semplice se alle spalle non ci fosse stato un matrimonio di lui conclusosi traumaticamente qualche anno addietro e che lo aveva portato a eliminare dalla casa ogni traccia di vincolo sentimentale.
Le aspre vicissitudini della convivenza coniugale che avevano cercato fino all’ultimo di salvare, gli aveva fatto giurare che mai si sarebbe rimesso in altra relazione.
Queste promesse a sé stessi sono destinate ad essere infrante quando la vita prepotentemente torna a premere e la si lascia entrare, ma a piccoli passi.
“Martedì e mercoledì devo andare a Londra. Partirò la mattina ma rientrerò mercoledì sera tardi”.
Lei stette zitta sapendo che lui avrebbe proseguito.
Ambra indietreggiò con il corpo per aderire maggiormente con la schiena al petto dell’uomo. Lui le pose una mano sul ventre piatto, mentre lei avvertiva dietro di sé ciò che lui chiamava “sostanza” e lei “pancia del commenda”. La donna conservava quella forma che la giovane età le consentiva di avere. Aveva visto una foto di lui quando aveva la stessa sua età attuale e ne aveva apprezzato il fisico, ormai decaduto per il venir meno dell'intensa attività fisica che un tempo poteva fare, quando aveva il tempo.
Quel rapporto partito dalla fine, cioè dal sesso e dal dominio, era stato rimpito di emozioni, lasciando la parte fisica inalterata e conservata, probabilmente, anche dal confine invalicabile della mancata convivenza.
In quegli anni di rapporto sempre più forte aveva imparato l’ubbidienza sessuale ottenuta con frustate e punizioni, utili più per misurare le rispettive forze e posizioni in un tempo ancora fresco in cui i ruoli dovevano essere definiti, ed ora cosa naturale, che nessuno dei due pensava minimamente di rimettere in discussione attesi gli equilibri raggiunti.
John, soprattutto in prossimità di un incontro, pretendeva che lei pulisse casa, attività resa inutile dall’attento lavoro dell’impresa di pulizie, utile invece per creare un filo rosso teso tra i due.
Prima di scivolare nell’ulteriore appisolamento nel quale sarebbero stati ancora abbracciati, le disse che avrebbe dovuto aspettarlo a casa mercoledì sera.
“A che ora arriverai?"
“Non so quale aereo prenderò. Dipende dalla riunione”.
Al loro risveglio andarono a cena. Lui la accompagnò a casa salutandola sulla porta con l’ultimo bacio e stretta tra le braccia.
Mercoledì, come da ordini, sistemò una casa già pulita, dedicando maggiore attenzione alle vicinanze della poltrona, visto che avrebbe dovuto/voluto, come al solito, trascorrere tanto tempo a terra, ai suoi piedi.
Gli preparò la cena. Sarebbe bastato scaldarla appena al suo arrivo.
Una volta terminato, nuda, si accucciò sul tappeto appena dietro alla porta per attenderlo.
Mentre lui si faceva la doccia parlarono di quanto accaduto in quei giorni in cui non si erano né visti né sentiti.
Lui la ascoltò e si scambiarono riflessioni.
Cenarono assieme.
La stanchezza non gli consentì di usarla per soddisfarsi sessualmente, come invece aveva pensato la mattina, al risveglio a Londra, prima di entrare nel vortice delle riunioni.
Erano abbracciati a letto, come erano soliti addormentarsi quelle volte che dormivano assieme, poche per evitare di avvicinarsi troppo alla convivenza che nessuno dei due voleva, forse intimoriti dalle implicazioni o dalla perdita della propria autonomia, o, forse molto più semplicemente, per la paura di un rapporto. Vivevano la loro relazione in un mondo sospeso tra sesso forte ed estremo ed emozioni condivise a metà che si fermavano sulla soglia di unaporta tenuta chiusa dalla paura.
Lui le confidò un suo desiderio erotico.
“Voglio esibire la tua ubbidienza a qualche mio amico”.
L’aveva abituata a cose sempre nuove, tutte incentrate sulla sua sottomissione.
Benché cosa nuova, non la spaventò, anzi, ebbe l’effetto di eccitarla sia per la complicità che ne sarebbe conseguita, sia perché intuì che si sarebbe sentita sua fisicamente, proiettata in quel vortice nel quale la scoperta sottomissione la pretendeva sempre più.
La voce le si incrinò per l’eccitazione.
“Hai già in mente qualcuno?”.
“No, non ancora, devo pensare se farlo davanti a persona che conosci oppure per te nuova”.
“Dovrò anche soddisfarlo sessualmente?”.
Nella voce non c’era preoccupazione. Era ciò che la formulazione della frase lasciava trasparire, cioè solamente una domanda, tipica di chi avrebbe ubbidito al desiderio del Padrone.
“Vediamo come evolve la cosa. Come in tutti i rapporti umani, non è possibile prevedere gli eventi e le emozioni”.
Il sentimento che in quei due anni era lentamente e inaspettatamente cresciuto aveva dato ancor più forza ai momenti di dominio che, al termine, lasciava le loro anime scaldate e cullate dalle carezze sulla pelle.
Non vi era contraddizione alcuna tra i segni della frusta sulla schiena della donna e le parole intime pronunciate sottovoce nella penombra artificiale diurna, quando il petto di John aderiva alla schiena di Ambra mentre, stesi sul fianco destro, le braccia dell’uomo li teneva saldati assieme.
Era lo stesso lato della loro personalità visto da due prospettive diverse.
Il sentimento si era fermato sulla soglia dell’amore avendo trovato la porta chiusa per entrambi. La serratura blindata non impedisce che le emozioni siano comunque forti e lascino in entrambi la necessità di cercarsi e parlarsi pur senza alcun legame esclusivo.
Non aveva importanza ciò che le parole trasmettevano con la complicità tipica di chi confida un segreto, così da sentirsi destinatari esclusivi di qualsiasi pensiero avessero condiviso.
Parlavano tra loro e di loro. A volte il sussurro sconfinava nell’appisolamento per riprendere al sopraggiungere della veglia come se questa non avesse interrotto nulla.
Appena Ambra era entrata in casa, prima di spogliarsi e inginocchiarsi davanti all’uomo, aveva notato sul tavolino all’ingresso la cornice d’argento che gli aveva regalato e che lui aveva riempito con una loro foto. Aveva scelto un selfie che si erano fatti a Firenze.
Non gli aveva detto nulla. Lo avrebbe fatto più avanti. Sapeva quanto fosse sincero e importante quel gesto che avrebbe potuto sembrare semplice se alle spalle non ci fosse stato un matrimonio di lui conclusosi traumaticamente qualche anno addietro e che lo aveva portato a eliminare dalla casa ogni traccia di vincolo sentimentale.
Le aspre vicissitudini della convivenza coniugale che avevano cercato fino all’ultimo di salvare, gli aveva fatto giurare che mai si sarebbe rimesso in altra relazione.
Queste promesse a sé stessi sono destinate ad essere infrante quando la vita prepotentemente torna a premere e la si lascia entrare, ma a piccoli passi.
“Martedì e mercoledì devo andare a Londra. Partirò la mattina ma rientrerò mercoledì sera tardi”.
Lei stette zitta sapendo che lui avrebbe proseguito.
Ambra indietreggiò con il corpo per aderire maggiormente con la schiena al petto dell’uomo. Lui le pose una mano sul ventre piatto, mentre lei avvertiva dietro di sé ciò che lui chiamava “sostanza” e lei “pancia del commenda”. La donna conservava quella forma che la giovane età le consentiva di avere. Aveva visto una foto di lui quando aveva la stessa sua età attuale e ne aveva apprezzato il fisico, ormai decaduto per il venir meno dell'intensa attività fisica che un tempo poteva fare, quando aveva il tempo.
Quel rapporto partito dalla fine, cioè dal sesso e dal dominio, era stato rimpito di emozioni, lasciando la parte fisica inalterata e conservata, probabilmente, anche dal confine invalicabile della mancata convivenza.
In quegli anni di rapporto sempre più forte aveva imparato l’ubbidienza sessuale ottenuta con frustate e punizioni, utili più per misurare le rispettive forze e posizioni in un tempo ancora fresco in cui i ruoli dovevano essere definiti, ed ora cosa naturale, che nessuno dei due pensava minimamente di rimettere in discussione attesi gli equilibri raggiunti.
John, soprattutto in prossimità di un incontro, pretendeva che lei pulisse casa, attività resa inutile dall’attento lavoro dell’impresa di pulizie, utile invece per creare un filo rosso teso tra i due.
Prima di scivolare nell’ulteriore appisolamento nel quale sarebbero stati ancora abbracciati, le disse che avrebbe dovuto aspettarlo a casa mercoledì sera.
“A che ora arriverai?"
“Non so quale aereo prenderò. Dipende dalla riunione”.
Al loro risveglio andarono a cena. Lui la accompagnò a casa salutandola sulla porta con l’ultimo bacio e stretta tra le braccia.
Mercoledì, come da ordini, sistemò una casa già pulita, dedicando maggiore attenzione alle vicinanze della poltrona, visto che avrebbe dovuto/voluto, come al solito, trascorrere tanto tempo a terra, ai suoi piedi.
Gli preparò la cena. Sarebbe bastato scaldarla appena al suo arrivo.
Una volta terminato, nuda, si accucciò sul tappeto appena dietro alla porta per attenderlo.
Mentre lui si faceva la doccia parlarono di quanto accaduto in quei giorni in cui non si erano né visti né sentiti.
Lui la ascoltò e si scambiarono riflessioni.
Cenarono assieme.
La stanchezza non gli consentì di usarla per soddisfarsi sessualmente, come invece aveva pensato la mattina, al risveglio a Londra, prima di entrare nel vortice delle riunioni.
Erano abbracciati a letto, come erano soliti addormentarsi quelle volte che dormivano assieme, poche per evitare di avvicinarsi troppo alla convivenza che nessuno dei due voleva, forse intimoriti dalle implicazioni o dalla perdita della propria autonomia, o, forse molto più semplicemente, per la paura di un rapporto. Vivevano la loro relazione in un mondo sospeso tra sesso forte ed estremo ed emozioni condivise a metà che si fermavano sulla soglia di unaporta tenuta chiusa dalla paura.
Lui le confidò un suo desiderio erotico.
“Voglio esibire la tua ubbidienza a qualche mio amico”.
L’aveva abituata a cose sempre nuove, tutte incentrate sulla sua sottomissione.
Benché cosa nuova, non la spaventò, anzi, ebbe l’effetto di eccitarla sia per la complicità che ne sarebbe conseguita, sia perché intuì che si sarebbe sentita sua fisicamente, proiettata in quel vortice nel quale la scoperta sottomissione la pretendeva sempre più.
La voce le si incrinò per l’eccitazione.
“Hai già in mente qualcuno?”.
“No, non ancora, devo pensare se farlo davanti a persona che conosci oppure per te nuova”.
“Dovrò anche soddisfarlo sessualmente?”.
Nella voce non c’era preoccupazione. Era ciò che la formulazione della frase lasciava trasparire, cioè solamente una domanda, tipica di chi avrebbe ubbidito al desiderio del Padrone.
“Vediamo come evolve la cosa. Come in tutti i rapporti umani, non è possibile prevedere gli eventi e le emozioni”.
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