Schiava bianca condivisa (parte 6)
di
Kugher
genere
sadomaso
A volte capita che gli argini si rompano in un tempo inferiore rispetto a quello inizialmente previsto, o programmato o anche solo desiderato.
In questi eventi tanta importanza ha l’aspetto umano, i rapporti personali e quella connessione tra animi che si crea o si rafforza.
Mark si era concentrato sulla ragazza bianca sotto i suoi piedi. Lo eccitavano i contrasti e la forza dei simbolismi pur non animati da rivalsa che, comunque, non sarebbe rientrata nelle sue competenze o anche solo aspettative.
Che gli argini si fossero improvvisamente rotti era cosa evidente a tutti, al punto che solo le buone maniere erano deputate a contenere le emozioni e a misurare i gesti.
Il piede nero dell’ospite cercò la bocca della schiava entrando prima con l’alluce e poi, ad una ad una, tutte le altre dita.
Soddisfatto della prima violazione del corpo della schiava, spostò il piede ancora umido di saliva sui seni.
L’altro cercò la pelle delle gambe in quella parte dove le autoreggenti rappresentano il confine superato per avere raggiunto il pizzo. Il piede presto guadagnò il contatto della pelle non protetta dalla calza che anticipa la visione del sesso, sprovvisto di ogni difesa delle mutandine considerate inutili sin dall’inizio della serata.
“La funzione di un vestito bello come quello indossato dalla tua schiava è di evidenziare il corpo, anticipando il piacere della vista di ciò che copre”.
Le sue domande si erano trasformate in affermazioni, complici quegli argini ormai frantumati che lasciavano correre il flusso delle emozioni prima contenute.
I piedi cercavano di farsi strada sotto il vestito, alzandolo e rivelando sempre più il chiarore della pelle della ragazza a contrasto con quella del piede che lo esplorava.
L’educazione portò Mark ad attendere ciò che sapeva sarebbe arrivato da chi ne aveva il vero potere.
L’ordine impartito da John era carico della tensione che l’eccitazione porta alle corde vocali quando traggono le loro vibrazioni dalla bocca dello stomaco la quale, a sua volta, trova energia dal cazzo sempre più teso.
“Spogliati”.
Ambra sapeva che al Padrone piaceva assistere allo spettacolo della svestizione mentre lei era in piedi, mantenendo la posizione eretta per il tempo necessario a levare il vestito che copriva solo la pelle, priva di intimo alcuno.
Le autoreggenti e le scarpe nere erano una parte della bellezza del corpo della donna e restarono ad assolvere il loro scopo primario.
L’ordine venne impartito con gli occhi, forti di quella complicità creatasi nel tempo e nella condivisione degli animi, delle emozioni e dei sentimenti.
Si pose a quattro zampe e si diresse, scodinzolando, verso Mark, i cui occhi erano ormai quasi dimentichi della presenza di John. La schiava gli si avvicinò con la bocca ancora semi aperta, carica di promesse.
La lingua della schiava si appoggiò prima con la punta e poi con tutta la parte resa piatta in corrispondenza del cazzo dell’uomo ancora protetto dai pantaloni.
“Succhialo”.
Mark si rese conto che l’ordine non era uscito dalla sua bocca anche se era ciò che stava pensando e avrebbe voluto dire.
Le promesse della bocca della schiava vennero mantenute e le labbra ingoiarono il cazzo duro dopo averlo carezzato, lambito, riempito di desiderio con la lingua che ne cercava ogni millimetro di pelle e puliva, bevendolo, il liquido che l’eccitazione dell’uomo non riusciva a trattenere.
La funzione di quel cazzo duro avvolto dalla sua lingua era solo quella di eccitare il suo Padrone, i cui occhi sentiva su di sé ed il cui cazzo, quello vero che le interessava, le sembrava di vedere e di sentirne il turgore, desiderando di averlo dentro di sé.
Quel cazzo duro che leccava la faceva sentire sempre più di proprietà del suo Padrone e questa cosa la riempiva molto più di quel pezzo di carne in bocca.
Poiché il sesso non era di John, poteva giocarci a piacimento, a beneficio di colui al quale apparteneva. Voleva fargli vedere quanto era brava ad eccitare il suo amico e, suo tramite, lui, perchè in quel momento il gioco era tra lei ed il suo Padrone. Solo lui in quel momento era nei suoi desideri erotici.
Fece uscire il cazzo dalla bocca e iniziò a leccarlo, scendendo verso il basso e cercando di entrare nei pantaloni per far capire che, se levati, avrebbe potuto raggiungere le palle e leccarle, succhiarle, prenderle in bocca.
Mark percepì il messaggio senza rendersi probabilmente conto che avrebbe ubbidito ad un comando implicito della donna a quattro zampe.
La cosa fece sorridere la schiava perché la volta che aveva provato a far fare qualcosa del genere al suo Padrone con quei messaggi del corpo e del sesso, ne aveva ricavato uno schiaffo, una presa per i capelli ed il cazzo che premeva in gola fino a farle mancare il respiro, perchè tenuto premuto dalla mano forte del Padrone che, nel frattempo, la punì col frustino sulle natiche.
Leccare e tenere in bocca le palle di Mark era come tenere in bocca il suo cazzo, soprattutto se, per prenderle in bocca, si chinava verso il basso e, rivolgendo lo sguardo in alto, cercava i suoi occhi per fargli vedere, nei propri, la sua sottomissione e disponibilità a soddisfare il suo piacere.
John la guardava e capiva, dai movimenti che aveva imparato a conoscere, che lei stava succhiando quel cazzo per dare piacere a lui. Percepiva la presenza dell’amico come strumento di piacere suo e della sua schiava che, paradossalmente, sentiva ancor più sua mentre teneva in bocca quel cazzo che, privo di potere di possesso, era solo un pezzo di carne tra loro due, gli unici veri presenti in quella sala che odorava di sesso, di piacere e di complicità.
Ambra succhiava avendo mantenuto la posizione a quattro zampe, sapendo che la parte esposta del suo corpo piaceva moltissimo al suo Padrone. Mantenne quella postura, leggermente ancheggiante, a suo esclusivo beneficio.
Non si stupì quando sentì il primo colpo di frustino sulle natiche. Un colpo forte, di possesso, di potere, dato con quella sicurezza e quella decisione tipica di chi può, perché possiede, perché sa di poter dare dolore e piacere a sua discrezione.
Mark ebbe un sussulto di cazzo nell’assistere alla fustigazione mentre il suo sesso restava al sicuro e al caldo in quella bocca che sembrava volesse farlo scoppiare di piacere.
Era presto per finire il gioco. John conosceva le capacità di quella lingua che in quel momento scorreva sul cazzo duro, dalle palle al glande che spariva nella bocca per portare le labbra fino a contatto con il pube dell’uomo, trattenendo i conati e giocando con la lingua per quanto possibile, fino a farlo uscire, lentamente, per ritornare con la lingua fino alle palle, offrendo a Mark la vista di sé quasi prostrata, ed al suo Padrone, unico destinatario delle sue azioni, della sua sottomissione, della sua ubbidienza e del culo offerto alla frusta, come se il dolore del corpo fosse la porta per il piacere dell’anima e della sua esigenza di appartenere, donarsi, strisciare a quei piedi che l’avrebbero calpestata.
John la prese per i capelli e le tirò indietro la bocca per liberare il cazzo che, temeva, avrebbe potuto godere troppo in fretta.
“Cavalchiamola”.
In questi eventi tanta importanza ha l’aspetto umano, i rapporti personali e quella connessione tra animi che si crea o si rafforza.
Mark si era concentrato sulla ragazza bianca sotto i suoi piedi. Lo eccitavano i contrasti e la forza dei simbolismi pur non animati da rivalsa che, comunque, non sarebbe rientrata nelle sue competenze o anche solo aspettative.
Che gli argini si fossero improvvisamente rotti era cosa evidente a tutti, al punto che solo le buone maniere erano deputate a contenere le emozioni e a misurare i gesti.
Il piede nero dell’ospite cercò la bocca della schiava entrando prima con l’alluce e poi, ad una ad una, tutte le altre dita.
Soddisfatto della prima violazione del corpo della schiava, spostò il piede ancora umido di saliva sui seni.
L’altro cercò la pelle delle gambe in quella parte dove le autoreggenti rappresentano il confine superato per avere raggiunto il pizzo. Il piede presto guadagnò il contatto della pelle non protetta dalla calza che anticipa la visione del sesso, sprovvisto di ogni difesa delle mutandine considerate inutili sin dall’inizio della serata.
“La funzione di un vestito bello come quello indossato dalla tua schiava è di evidenziare il corpo, anticipando il piacere della vista di ciò che copre”.
Le sue domande si erano trasformate in affermazioni, complici quegli argini ormai frantumati che lasciavano correre il flusso delle emozioni prima contenute.
I piedi cercavano di farsi strada sotto il vestito, alzandolo e rivelando sempre più il chiarore della pelle della ragazza a contrasto con quella del piede che lo esplorava.
L’educazione portò Mark ad attendere ciò che sapeva sarebbe arrivato da chi ne aveva il vero potere.
L’ordine impartito da John era carico della tensione che l’eccitazione porta alle corde vocali quando traggono le loro vibrazioni dalla bocca dello stomaco la quale, a sua volta, trova energia dal cazzo sempre più teso.
“Spogliati”.
Ambra sapeva che al Padrone piaceva assistere allo spettacolo della svestizione mentre lei era in piedi, mantenendo la posizione eretta per il tempo necessario a levare il vestito che copriva solo la pelle, priva di intimo alcuno.
Le autoreggenti e le scarpe nere erano una parte della bellezza del corpo della donna e restarono ad assolvere il loro scopo primario.
L’ordine venne impartito con gli occhi, forti di quella complicità creatasi nel tempo e nella condivisione degli animi, delle emozioni e dei sentimenti.
Si pose a quattro zampe e si diresse, scodinzolando, verso Mark, i cui occhi erano ormai quasi dimentichi della presenza di John. La schiava gli si avvicinò con la bocca ancora semi aperta, carica di promesse.
La lingua della schiava si appoggiò prima con la punta e poi con tutta la parte resa piatta in corrispondenza del cazzo dell’uomo ancora protetto dai pantaloni.
“Succhialo”.
Mark si rese conto che l’ordine non era uscito dalla sua bocca anche se era ciò che stava pensando e avrebbe voluto dire.
Le promesse della bocca della schiava vennero mantenute e le labbra ingoiarono il cazzo duro dopo averlo carezzato, lambito, riempito di desiderio con la lingua che ne cercava ogni millimetro di pelle e puliva, bevendolo, il liquido che l’eccitazione dell’uomo non riusciva a trattenere.
La funzione di quel cazzo duro avvolto dalla sua lingua era solo quella di eccitare il suo Padrone, i cui occhi sentiva su di sé ed il cui cazzo, quello vero che le interessava, le sembrava di vedere e di sentirne il turgore, desiderando di averlo dentro di sé.
Quel cazzo duro che leccava la faceva sentire sempre più di proprietà del suo Padrone e questa cosa la riempiva molto più di quel pezzo di carne in bocca.
Poiché il sesso non era di John, poteva giocarci a piacimento, a beneficio di colui al quale apparteneva. Voleva fargli vedere quanto era brava ad eccitare il suo amico e, suo tramite, lui, perchè in quel momento il gioco era tra lei ed il suo Padrone. Solo lui in quel momento era nei suoi desideri erotici.
Fece uscire il cazzo dalla bocca e iniziò a leccarlo, scendendo verso il basso e cercando di entrare nei pantaloni per far capire che, se levati, avrebbe potuto raggiungere le palle e leccarle, succhiarle, prenderle in bocca.
Mark percepì il messaggio senza rendersi probabilmente conto che avrebbe ubbidito ad un comando implicito della donna a quattro zampe.
La cosa fece sorridere la schiava perché la volta che aveva provato a far fare qualcosa del genere al suo Padrone con quei messaggi del corpo e del sesso, ne aveva ricavato uno schiaffo, una presa per i capelli ed il cazzo che premeva in gola fino a farle mancare il respiro, perchè tenuto premuto dalla mano forte del Padrone che, nel frattempo, la punì col frustino sulle natiche.
Leccare e tenere in bocca le palle di Mark era come tenere in bocca il suo cazzo, soprattutto se, per prenderle in bocca, si chinava verso il basso e, rivolgendo lo sguardo in alto, cercava i suoi occhi per fargli vedere, nei propri, la sua sottomissione e disponibilità a soddisfare il suo piacere.
John la guardava e capiva, dai movimenti che aveva imparato a conoscere, che lei stava succhiando quel cazzo per dare piacere a lui. Percepiva la presenza dell’amico come strumento di piacere suo e della sua schiava che, paradossalmente, sentiva ancor più sua mentre teneva in bocca quel cazzo che, privo di potere di possesso, era solo un pezzo di carne tra loro due, gli unici veri presenti in quella sala che odorava di sesso, di piacere e di complicità.
Ambra succhiava avendo mantenuto la posizione a quattro zampe, sapendo che la parte esposta del suo corpo piaceva moltissimo al suo Padrone. Mantenne quella postura, leggermente ancheggiante, a suo esclusivo beneficio.
Non si stupì quando sentì il primo colpo di frustino sulle natiche. Un colpo forte, di possesso, di potere, dato con quella sicurezza e quella decisione tipica di chi può, perché possiede, perché sa di poter dare dolore e piacere a sua discrezione.
Mark ebbe un sussulto di cazzo nell’assistere alla fustigazione mentre il suo sesso restava al sicuro e al caldo in quella bocca che sembrava volesse farlo scoppiare di piacere.
Era presto per finire il gioco. John conosceva le capacità di quella lingua che in quel momento scorreva sul cazzo duro, dalle palle al glande che spariva nella bocca per portare le labbra fino a contatto con il pube dell’uomo, trattenendo i conati e giocando con la lingua per quanto possibile, fino a farlo uscire, lentamente, per ritornare con la lingua fino alle palle, offrendo a Mark la vista di sé quasi prostrata, ed al suo Padrone, unico destinatario delle sue azioni, della sua sottomissione, della sua ubbidienza e del culo offerto alla frusta, come se il dolore del corpo fosse la porta per il piacere dell’anima e della sua esigenza di appartenere, donarsi, strisciare a quei piedi che l’avrebbero calpestata.
John la prese per i capelli e le tirò indietro la bocca per liberare il cazzo che, temeva, avrebbe potuto godere troppo in fretta.
“Cavalchiamola”.
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