Schiava bianca condivisa (parte 7)

di
genere
sadomaso

“Cavalchiamola”.
John ancora aveva i capelli della schiava tra le mani. Le tirava indietro la testa mentre un piede era sulla sua schiena incurvata verso il basso, a quattro zampe.
La testa così tirata offriva la vista del seno che, seppur non grosso, era evidenziato dalla forza di gravità.
La bocca semiaperta, costretta dalla postura, era una continua promessa mentre recava, appena sotto il labbro inferiore, le prove del piacere interrotto, bagnando il mento con il liquido del cazzo di Mark mischiato alla saliva della donna che continuava a guardare l’uomo che le stava davanti.
Mark intese quella parola con la scopata, magari montando la cagna mentre è a quattro zampe.
Ambra no, aveva capito benissimo a cosa si stesse riferendo il Padrone ed il dolore che avrebbe sentito le anticipò il piacere dell’appartenenza e della riduzione ad animale da trasporto.
John tirò ancora i capelli per farla indietreggiare e posizionare meglio tra le poltrone, con il viso, anzi, il muso, rivolto verso lo spazio ampio della sala.
Senza riguardi si sedette sulla schiena della schiava, nella parte incurvata, comoda nella sua sella naturale. Adorava sentire il corpo che leggermente si piegava sotto il suo peso, adorava sentire i muscoli dell’animale che si irrigidivano per obbedire al suo desiderio di dominio e di piacere.
Gli occhi eccitati di Mark erano solo un ulteriore strumento per l’eccitazione del padrone di casa.
“Muoviti”.
I colpi a mano aperta sulle natiche avevano lo scopo di incentivare la cavalla a proseguire il percorso reso difficoltoso dal peso sopra di sé.
Ambra procedeva a fatica. Il suo corpo, benché tonico, era leggero rispetto al peso chiamata a sorreggere sulla schiena.
La posizione innaturale delle scarpe col tacco la costringeva a tenere il piede in una posizione diversa da quella che avrebbe voluto per un incedere più agevole.
Lo sforzo la portò ad alzare la schiena per diminuire il dolore provato.
Tre colpi secchi con la mano accompagnarono l’ordine di tenere bassa la sella naturale del suo corpo da cavalla.
John non si alzò finché la schiava non stette per cedere sotto la fatica. Ambra, sgravata dal peso, si accasciò a terra in cerca di quel riposo che sapeva le sarebbe stato utile per i prossimi sforzi.
Il Padrone le pose il piede sulla faccia a terra, osservando il petto che si muoveva in cerca di aria utile per dare ai muscoli l’ossigeno reso necessario dallo sforzo muscolare.
“Vuoi usarla tu?”
Nel formulare l’invito schiacciò col piede sulla faccia a terra, non sapendo se l’atto fosse determinato dal piacere di sentire il viso sotto di sé o, piuttosto, per affermare la proprietà di quella donna mentre la offriva ad altri.
“Volentieri”.
La risposta venne data più per compiacere chi la proferiva, anticipando il piacere imminente, che per comunicare all’amico l’accettazione scontata dell’offerta.
John spinse col piede il corpo della donna a terra.
“Mettiti in posizione”
Lasciò passare qualche secondo utile per consentire che il piacere dei minuti successivi entrasse sottopelle a tutti.
“Resisti più di quanto hai fatto con me e soddisfare il mio amico”.
Anche quella frase avrebbe potuto essere intesa utile ad affermare il potere diverso da quello della persona che avrebbe usato la schiava.
L’invito venne seguito da una frustata sulla schiena, vicino al segno della prima frustata che ormai si era riassorbito, come se volesse dare continuità al simbolo iniziale in rappresentanza del gioco tra loro due.
Mark si sedette, imitando l’amico e facendo cadere il peso sulla schiena nella parte della sella naturale. Comprese immediatamente il motivo che aveva indotto John a compiere quel gesto nelle modalità imitate e che gli avevano dato eccitazione solo alla vista, sensazione confermata nella sua moltiplicazione.
Alzò le gambe da terra e appoggiò le mani sulle spalle come aveva visto fare da chi evidentemente aveva più esperienza di lui.
Si sbilanciò un poco quando diede il colpo sulla natica quale invito ad iniziare la cavalcata, ma si ristabilì immediatamente senza dover appoggiare il piede a terra.
Fu impietoso nello spronare la cavalla umana, con colpi a mano aperta anche sul fianco scoperto della schiena, oltre a incentivarla con la stretta delle gambe.
Sentire quella persona più magra di lui che raccoglieva le forze in ogni parte dei suoi muscoli per compiere quel percorso per lei faticosissimo, gli impedì di perdere eccitazione al cazzo, cui si sommava la sensazione tipica del dominio, a lui sconosciuta in quei termini, che gli apriva una porta del piacere sino a quella serata sconosciuta.
Più la ragazza barcollava e si sforzava di assecondarlo, maggiore era l’eccitazione che sentiva salire dentro.
Si girò appena per osservare con piacere la natica destra arrossata dai colpi frequenti che le aveva dato, la cui funzione era di farla procedere nonostante sembrasse che le forze la stessero abbandonando.
Anticipando il cedimento, mise i piedi a terra nel momento in cui a terra ci finì la cavalla, esausta.
L’eccitazione non gli consentì di attendere che la schiava si riprendesse.
Non si accorse del sorriso compiaciuto dell’amico mentre gli passava il frustino.
La colpì sulla schiena provando scosse di piacere ad ogni colpo.
“Mettiti in ginocchio”.
La velocità di esecuzione non fu soddisfacente a suo giudizio e cercò di ottenere risultati migliori con altri colpi di frustino, utili più al suo piacere che alla maggiore velocità di esecuzione.
Il cazzo entrò nella bocca che, abituata, era già aperta.
La fatica passata, lo sforzo fisico, il fiato corto, il petto che si allargava cercando urgente ossigeno, non le impedirono di succhiare e muovere la lingua in modo da dare al cazzo un turgore diverso da quello ottenuto con l’episodio di dominio, una eccitazione che, subito dopo la cavalcata, era fisica e mentale contemporaneamente.
Mark non sembrava lontano da quell’orgasmo che John voleva ritardare per giocare ancora e diversamente.
“Aspetta a godere, giochiamo a scopa”.
di
scritto il
2025-01-18
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