La moglie del Presidente golpista (parte 1)
di
Kugher
genere
sadomaso
“Portatemene su una bionda”.
Mentre firmava alcuni documenti, il Capo di Stato diede l’ordine alle due guardie. Il Corpo di sicurezza era stato istituito 23 anni addietro, quando Morath era riuscito a conquistare il potere con la forza dell’esercito allora amico. Tutti i membri, fidati ed addestrati, erano ormai abituati a soddisfare le esigenze del Presidente della Nazione, tale si era definito nel discorso di insediamento dopo il golpe militare.
Le due guardie scesero nelle carceri poste nell’interrato del palazzo dove venivano rinchiusi uomini e donne giovani condannati, o fatti condannare apposta, per essere a disposizione del Capo di Stato, della moglie e della figlia.
“Muoviti cagna, oggi tocca a te”.
Quella era merce intoccabile per le guardie. Il Presidente aveva già fatto condannare a morte qualcuno che aveva osato toccare la roba sua. Qualche volta era stata giustiziata una guardia che, forse, non aveva fatto nulla, solo sulla base di due lamentele di altrettante schiave. Nel dubbio, tuttavia Morath aveva preferito dare il buon esempio. Di guardie ne aveva a sufficienza, non sarebbero state due in più o in meno a creargli problemi.
La fecero spogliare dagli abiti logori della prigionia e la portarono dalle cameriere di palazzo per farla lavare, profumare, sistemare i capelli in modo che potesse essere bella per l’utilizzo.
“Dai animale, che non abbiamo la giornata per te”.
Dovette camminare scalza fino ai bagni, tirata da una corda legata al collo come guinzaglio. Come da protocollo, aveva i polsi legati dietro alla schiena ed una corda che univa le caviglie. Qualche volta era capitato che schiave o schiavi avevano cercato di scappare. Era un evento sperato dalle guardie e, a volte, anche incentivato perché, quale estrema punizione, erano state date in pasto agli uomini perché si divertissero anche loro.
“Che numero hai di piede?”.
La capo cameriera, deputata alla preparazione delle condannate, scelse un paio di scarpe del numero indicato, nere, tacco 12, come piaceva al Presidente perché slanciavano il corpo nudo della ragazza.
La moglie e la figlia invece volevano schiave e schiavi scalzi.
Il Presidente stava firmando ancora alcuni documenti quando le due guardie entrarono portando la schiava al guinzaglio, questa volta di pelle nera, stesso materiale del collare.
L’uomo alzò lo sguardo.
“Edith, ottima scelta, bravi”.
Era la figlia di un giudice che a lui era piaciuta molto, alta, elegante, ottimo portamento e, soprattutto, tra i 20 ed i 25 anni, quelle che preferiva. Dopo averla adocchiata aveva dato l’ordine alla polizia segreta di trovarla con una buona quantità di droga per poterla condannare.
“Avvicinati a quattro zampe”.
Gli piaceva quella ragazza, lo eccitava. Scegliendo lei, le guardie erano andate sul sicuro. Edith si chinò ed iniziò il suo lungo percorso fatto di pochi metri. Il Presidente trovava eccitante quello sguardo di odio e di sfida che non lasciava mai gli occhi della ragazza. Adorava assistere alla resa di quell’odio evidente che non riusciva a nascondere. Era schiava da soli tre mesi. Sarebbe durato ancora poco quello sguardo intenso, ma fino ad allora si sarebbe divertito.
Prese un pasticcino dal piatto sempre pieno sulla sua scrivania e lo gettò a terra, davanti alla ragazza.
Questa non avrebbe potuto esimersi dal chinarsi a raccoglierlo con la bocca. Lo fece senza staccare gli occhi dall’uomo che, eccitato, assisteva alla scena.
Le due guardie si posizionarono ai lati della porta, come erano soliti fare per essere pronti ad intervenire in caso di reazione da parte della schiava di turno.
La fierezza di Edith non cedette alle provocazioni perché sapeva che l’intervento delle guardie sarebbe stato fonte di divertimento per l’aguzzino.
“Striscia fino ad omaggiare il tuo Signore”.
Alla ragazza non restò che obbedire, lentamente, in quanto, se fosse stata troppo veloce, sarebbe stata punita per avere limitato il divertimento dell’uomo.
Dovette baciargli le scarpe fino a che il Padrone non si alzò per camminarle sopra, cosa che lo eccitava moltissimo. Le pose una scarpa sul dorso e l’altra sulle natiche. Fece il percorso anche al contrario prima di sedersi nuovamente.
“Succhiami il cazzo”.
Mentre la schiava eseguiva l’ordine, entrò la moglie del Presidente. Dietro di sé aveva uno schiavo a quattro zampe, il suo cagnolino del momento. Nella sua vita precedente era stato un fabbro, alto, muscoloso, condannato per spionaggio dopo che la donna lo aveva notato.
Edith non dovette distrarsi dal suo lavoro mentre l’uomo scambiava qualche parola con la moglie. Dovevano decidere chi invitare a cena il prossimo sabato sera.
Vennero interrotti dal Segretario di Stato che, trafelato, entrò di corsa annunciando che il palazzo era attaccato.
Una parte dell’esercito, guidato dall’aristocrazia, stava facendo irruzione.
Da tempo il Presidente sapeva che una parte dei nobili, cui erano stati sottratti potere e ricchezza, cercavano di sobillare il popolo e parte dell’esercito con la scusa di frapporre l’aristocrazia quale corpo intermedio tra Presidente e popolo, limitando le sue pretese dispotiche e costringendolo a porre sopra di sé la legge. Legge che, ovviamente, avrebbero fatto aristocratici e militari.
Del popolo non interessava niente a nessuno. Lui sapeva che avevano in mente solo di recuperare quel potere e, soprattutto, la ricchezza della quale lui li aveva in parte privati.
Col piede scalciò via in malo modo la schiava e cercò inutilmente di fuggire, abbandonando la moglie mentre anche lei cercava di scappare e lo schiavo l’aveva fatta cadere e trattenuta.
Mentre firmava alcuni documenti, il Capo di Stato diede l’ordine alle due guardie. Il Corpo di sicurezza era stato istituito 23 anni addietro, quando Morath era riuscito a conquistare il potere con la forza dell’esercito allora amico. Tutti i membri, fidati ed addestrati, erano ormai abituati a soddisfare le esigenze del Presidente della Nazione, tale si era definito nel discorso di insediamento dopo il golpe militare.
Le due guardie scesero nelle carceri poste nell’interrato del palazzo dove venivano rinchiusi uomini e donne giovani condannati, o fatti condannare apposta, per essere a disposizione del Capo di Stato, della moglie e della figlia.
“Muoviti cagna, oggi tocca a te”.
Quella era merce intoccabile per le guardie. Il Presidente aveva già fatto condannare a morte qualcuno che aveva osato toccare la roba sua. Qualche volta era stata giustiziata una guardia che, forse, non aveva fatto nulla, solo sulla base di due lamentele di altrettante schiave. Nel dubbio, tuttavia Morath aveva preferito dare il buon esempio. Di guardie ne aveva a sufficienza, non sarebbero state due in più o in meno a creargli problemi.
La fecero spogliare dagli abiti logori della prigionia e la portarono dalle cameriere di palazzo per farla lavare, profumare, sistemare i capelli in modo che potesse essere bella per l’utilizzo.
“Dai animale, che non abbiamo la giornata per te”.
Dovette camminare scalza fino ai bagni, tirata da una corda legata al collo come guinzaglio. Come da protocollo, aveva i polsi legati dietro alla schiena ed una corda che univa le caviglie. Qualche volta era capitato che schiave o schiavi avevano cercato di scappare. Era un evento sperato dalle guardie e, a volte, anche incentivato perché, quale estrema punizione, erano state date in pasto agli uomini perché si divertissero anche loro.
“Che numero hai di piede?”.
La capo cameriera, deputata alla preparazione delle condannate, scelse un paio di scarpe del numero indicato, nere, tacco 12, come piaceva al Presidente perché slanciavano il corpo nudo della ragazza.
La moglie e la figlia invece volevano schiave e schiavi scalzi.
Il Presidente stava firmando ancora alcuni documenti quando le due guardie entrarono portando la schiava al guinzaglio, questa volta di pelle nera, stesso materiale del collare.
L’uomo alzò lo sguardo.
“Edith, ottima scelta, bravi”.
Era la figlia di un giudice che a lui era piaciuta molto, alta, elegante, ottimo portamento e, soprattutto, tra i 20 ed i 25 anni, quelle che preferiva. Dopo averla adocchiata aveva dato l’ordine alla polizia segreta di trovarla con una buona quantità di droga per poterla condannare.
“Avvicinati a quattro zampe”.
Gli piaceva quella ragazza, lo eccitava. Scegliendo lei, le guardie erano andate sul sicuro. Edith si chinò ed iniziò il suo lungo percorso fatto di pochi metri. Il Presidente trovava eccitante quello sguardo di odio e di sfida che non lasciava mai gli occhi della ragazza. Adorava assistere alla resa di quell’odio evidente che non riusciva a nascondere. Era schiava da soli tre mesi. Sarebbe durato ancora poco quello sguardo intenso, ma fino ad allora si sarebbe divertito.
Prese un pasticcino dal piatto sempre pieno sulla sua scrivania e lo gettò a terra, davanti alla ragazza.
Questa non avrebbe potuto esimersi dal chinarsi a raccoglierlo con la bocca. Lo fece senza staccare gli occhi dall’uomo che, eccitato, assisteva alla scena.
Le due guardie si posizionarono ai lati della porta, come erano soliti fare per essere pronti ad intervenire in caso di reazione da parte della schiava di turno.
La fierezza di Edith non cedette alle provocazioni perché sapeva che l’intervento delle guardie sarebbe stato fonte di divertimento per l’aguzzino.
“Striscia fino ad omaggiare il tuo Signore”.
Alla ragazza non restò che obbedire, lentamente, in quanto, se fosse stata troppo veloce, sarebbe stata punita per avere limitato il divertimento dell’uomo.
Dovette baciargli le scarpe fino a che il Padrone non si alzò per camminarle sopra, cosa che lo eccitava moltissimo. Le pose una scarpa sul dorso e l’altra sulle natiche. Fece il percorso anche al contrario prima di sedersi nuovamente.
“Succhiami il cazzo”.
Mentre la schiava eseguiva l’ordine, entrò la moglie del Presidente. Dietro di sé aveva uno schiavo a quattro zampe, il suo cagnolino del momento. Nella sua vita precedente era stato un fabbro, alto, muscoloso, condannato per spionaggio dopo che la donna lo aveva notato.
Edith non dovette distrarsi dal suo lavoro mentre l’uomo scambiava qualche parola con la moglie. Dovevano decidere chi invitare a cena il prossimo sabato sera.
Vennero interrotti dal Segretario di Stato che, trafelato, entrò di corsa annunciando che il palazzo era attaccato.
Una parte dell’esercito, guidato dall’aristocrazia, stava facendo irruzione.
Da tempo il Presidente sapeva che una parte dei nobili, cui erano stati sottratti potere e ricchezza, cercavano di sobillare il popolo e parte dell’esercito con la scusa di frapporre l’aristocrazia quale corpo intermedio tra Presidente e popolo, limitando le sue pretese dispotiche e costringendolo a porre sopra di sé la legge. Legge che, ovviamente, avrebbero fatto aristocratici e militari.
Del popolo non interessava niente a nessuno. Lui sapeva che avevano in mente solo di recuperare quel potere e, soprattutto, la ricchezza della quale lui li aveva in parte privati.
Col piede scalciò via in malo modo la schiava e cercò inutilmente di fuggire, abbandonando la moglie mentre anche lei cercava di scappare e lo schiavo l’aveva fatta cadere e trattenuta.
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